TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-06-07, n. 202309569
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Pubblicato il 07/06/2023
N. 09569/2023 REG.PROV.COLL.
N. 10595/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Quinta Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10595 del 2017, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato N S, con domicilio eletto presso il suo studio in Padova, Riviera Tiso Da Camposampiero, n. 10;
contro
MINISTERO DELL'INTERNO, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
del provvedimento n. -OMISSIS- – emesso dal Ministro dell'Interno in data 1° giugno 2017 e notificato dalla Prefettura Ufficio Territoriale del Governo di Padova in data 11 luglio 2017 – recante rigetto dell'istanza, presentata dal ricorrente in data 21 gennaio 2014, volta a ottenere la concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell'art. 9, comma 1, lettera f) , della legge 5 febbraio 1992, n. 91, nonche´ di tutti gli atti allo stesso preordinati, presupposti, consequenziali e comunque connessi;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 marzo 2023 il dott. A M e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. – Con il ricorso in esame il ricorrente, cittadino straniero e residente in Italia da diversi anni, ha domandato l’annullamento del decreto n. -OMISSIS-, del 1° giugno 2017, con il quale il Ministero dell’interno ha rigettato la sua richiesta di concessione della cittadinanza italiana, presentata ai sensi dell’art. 9, comma 1, lettera f) , della legge n. 91 del 1992 (residenza decennale). La domanda di cittadinanza era stata avanzata in data 21 gennaio 2014.
L’atto di diniego ha richiamato un rapporto informativo della Questura di Padova dal quale è emersa a carico del richiedente una denuncia, in data 30 gennaio 2015, “ per lesioni personali, violazione di domicilio e danneggiamento ”. Si aggiunge, poi, che “ il reddito percepito dall’interessato risulta inferiore ai parametri ” di riferimento, corrispondenti – come l’atto stesso precisa – alla soglia di esenzione dalla spesa sanitaria per i titolari di pensione di vecchiaia e pari (ai sensi dell’art. 3 del decreto-legge n. 382 del 1989, convertito in legge n. 8 del 1990, come poi confermato dall’art. 2, comma 15, della legge n. 549 del 1995) a “euro 8.263,31, incrementato fino a euro 11.362,05 di reddito complessivo in presenza del coniuge a carico ed in ragione di ulteriori euro 516,00 per ogni figlio a carico ”. Nella motivazione, inoltre, si dà atto dell’invio al richiedente della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, ai sensi dell’art. 10- bis della legge n. 241 del 1990, e si aggiunge che “ non sono pervenute osservazioni al riguardo ”.
Il ricorso è affidato ad un unico, complesso motivo di impugnazione, così rubricato: “Violazione dell’art. 3 Legge n. 241 del 1990 e dell’art. 8, co. 1, Legge n. 91 del 1992. Eccesso di potere per insufficiente motivazione, travisamento dei presupposti di fatto e di diritto”.
Quanto alla motivazione del diniego concernente la denuncia, il ricorrente lamenta la mancata indicazione “degli specifici fatti storici, che l’avrebbero originata”: l’amministrazione sarebbe dunque venuta meno all’obbligo di “esternare le ragioni della propria decisione negativa con coerenza e consequenzialità logica, indicando in modo chiaro la sussistenza e la rilevanza dei presupposti di fatto da cui sono derivate le conclusioni assunte”. La segnalazione di polizia, che “tecnicamente non costituisce né carico pendente né precedente penale iscritto a casellario”, non potrebbe ritenersi circostanza idonea a fondare il rigetto di una domanda di concessione della cittadinanza, vieppiù nel caso specifico nel quale – come riferisce il ricorrente – la vicenda “si concludeva in data 11.12.2015 con una reciproca remissione delle querele e contestuale accettazione ad opera delle parti interessate”.
Quanto poi all’ulteriore motivazione del diniego, incentrata sull’insufficienza reddituale, il ricorrente lamenta “un vizio istruttorio relativo al quantum reddituale”. Si riferisce che il ricorrente, amministratore unico di una società cooperativa, avrebbe percepito un reddito costantemente al di sopra della soglia indicata dall’amministrazione, come sarebbe comprovato dalle relative dichiarazioni fiscali per gli anni d’imposta 2014, 2015 e 2016 (depositate in giudizio). In questa prospettiva, l’amministrazione avrebbe “del tutto trascurato, tanto l’approfondimento dei fatti asseritamente negativi, quanto la valutazione degli elementi positivi posti a sostegno dell’istanza di concessione della cittadinanza, quali l’assenza di illeciti penali a carico del ricorrente e la sussistenza di ricorse economiche sufficienti al sostentamento della propria famiglia e all’adempimento degli obblighi fiscali e di solidarietà”.
2. – Si è costituito in giudizio, con atto di mero stile, il Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato. In data 5 dicembre 2022 la difesa erariale ha depositato in giudizio una relazione sui fatti di causa, predisposta (in data 22 novembre 2022) dal Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero stesso.
Con memoria depositata il 10 febbraio 2023, il ricorrente ha insistito per l’accoglimento del ricorso, aggiungendo in punto di fatto, a “rettifica di quanto rappresentato nel ricorso introduttivo, […] che il procedimento scaturito dalla denuncia a carico del ricorrente datata 30.01.2015 – posta a fondamento del provvedimento di diniego di cittadinanza – si concludeva con l’estinzione del reato non per intervenuta remissione di querela ma per esito positivo della messa alla prova”, con contestuale deposito della sentenza del GUP del Tribunale di Rovigo, del 15 settembre 2021, che ha dichiarato di non doversi procedere.
Alla pubblica udienza del 14 marzo 2023, quindi, la causa è stata trattenuta in decisione.
3. – Il ricorso non è fondato.
Questa Sezione è costante nel ribadire che il provvedimento di concessione della cittadinanza italiana presuppone un’amplissima discrezionalità in capo all’amministrazione, come si ricava dalla norma, attributiva del relativo potere, contenuta nell’art. 9, comma 1, della legge n. 91 del 1992, ai sensi del quale la cittadinanza “ può ” essere concessa ( ex plurimis , di recente, TAR Lazio, Roma, questa sez. V- bis , sentenze n. 2943, n. 2944, n. 2947, n. 3018, n. 3471, n. 5130, n. 13901, n. 13910 e n. 16214 del 2022;da ultimo, anche sentenza n. 4709 del 2023).
La valutazione così rimessa agli uffici si riferisce, in particolare, al definitivo inserimento del richiedente all’interno della comunità nazionale, in quanto al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti – consistenti, sostanzialmente, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consente, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si chiede di entrare a far parte), e nella possibilità di assunzione di cariche pubbliche – ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità, con implicazioni di ordine politico-amministrativo. Si tratta, infatti, come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa, di determinazioni che rappresentano un’esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (cfr. Consiglio di Stato, ad. gen., parere n. 9 del 1999;sez. IV, decisioni n. 798 del 1999, n. 4460 del 2000 e n. 195 del 2005;sez. I, decisione n. 1796 del 2008;sez. VI, sentenza n. 3006 del 2011;Sez. III, sentenze n. 6374 del 2018, n. 1390 del 2019 e n. 4121 del 2021;TAR Lazio, Roma, sez. II- quater , sentenze n. 10588 e n. 10590 del 2012, n. 3920 e n. 4199 del 2013).
L’interesse dell’istante a ottenere la cittadinanza deve quindi necessariamente coniugarsi con l’interesse pubblico a inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale, mirandosi, ad un tempo, a perseguire la tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale e del rispetto dell’identità nazionale: onde la particolare delicatezza della valutazione rimessa al Ministero dell’interno.
In questo quadro, pertanto, l’amministrazione è chiamata a verificare che il soggetto istante sia in possesso delle qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprima integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile (cfr., tra le tante, di recente, TAR Lazio, Roma, questa sez. V- bis , sentenze n. 13911 e n. 15944 del 2022, e n. 4709 del 2023). La concessione della cittadinanza – come questa Sezione non ha mancato di rilevare – rappresenta infatti il suggello, sul piano giuridico, di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di “cittadinanza sostanziale” che giustifica l’attribuzione del nuovo status giuridico (così, da ultimo, TAR Lazio, Roma, questa sez. V- bis , sentenze n. 13901, n. 13910 e n. 16214 del 2022).
In altri termini, l’inserimento dello straniero nella comunità nazionale può avvenire (solo) quando l’Amministrazione ritenga che quest’ultimo possieda ogni requisito atto a dimostrare la sua capacità di inserirsi in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato (cfr., ex multis , di questa Sezione, sentenze n. 2945, n. 13170 e n. 15944 del 2022;cfr., inoltre, anche TAR Lazio, Roma, sez. I- ter , sentenze n. 3227 e n. 12006 del 2021;sez. II- quater , sentenza n. 12568 del 2009;Cons. Stato, sez. III, sentenze n. 4121 del 2021, n. 7036 n. 8233 del 2020, n. 7122, n. 2131 e n. 1930 del 2019, n. 657 del 2017 e n. 2601 del 2015;sez. VI, decisioni n. 3103 del 2006 e n. 798 del 1999).
Tanto chiarito sulla natura discrezionale del potere de quo , ne deriva che il sindacato giurisdizionale sulla valutazione compiuta dall’amministrazione – circa il completo inserimento o meno dello straniero nella comunità nazionale – non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell’esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole. Ciò in quanto la giurisprudenza, dalla quale non vi è motivo per discostarsi, ha costantemente chiarito che, al cospetto dell’esercizio di un potere altamente discrezionale, come quello in esame, il sindacato del giudice amministrativo si esaurisce nel controllo del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, e non può estendersi all’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto su cui fondare il giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cittadino. Il vaglio giurisdizionale non può sconfinare, quindi, nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione ( ex multis , da ultimo, della Sezione, sentenze n. 13901 e n. 13910 del 2022, ed ivi altri precedenti menzionati).
3.1. – Calando le suesposte coordinate giurisprudenziali al caso di specie, il Collegio ritiene infondate le censure formulate con il ricorso, anzitutto quelle riferite alla prima delle due ragioni poste a fondamento dell’impugnato diniego, che si riferisce alla denuncia, in carico al ricorrente, per i reati di lesioni personali, violazione di domicilio e danneggiamento.
L’amministrazione ha infatti valutato, in maniera non manifestamente illogica, la gravità delle condotte imputate all’odierno ricorrente, che ben possono rappresentare un indice sintomatico di inaffidabilità oltre a un fatto indicativo d’indole che ragionevolmente induce alla formulazione di una valutazione negativa sul grado di integrazione dei valori fondamentali del nostro ordinamento (in tal senso, della Sezione, ex plurimis , sentenze n. 9291 e n. 7814 del 2022). Nel caso di specie, al di là degli sviluppi della successiva vicenda processuale, l’amministrazione ha ovviamente valutato il fatto storico, il cui effettivo accadimento trova peraltro adeguate conferme alla luce delle allegazioni della medesima parte ricorrente, che nel presente giudizio ha dato notizia della sentenza di non doversi procedere per esito positivo della messa alla prova dell’imputato: pronunciamento, quest’ultimo, che viene reso ai sensi degli artt. 168- bis e 168- ter c.p. (come introdotti dalla legge n. 67 del 2014), e che si basa “ su di una sia pur incidentale e sommaria «considerazione della responsabilità dell’imputato», almeno allo stato degli atti ” (cfr. Corte cost., sentenza n. 68 del 2019).
La sentenza del GUP riporta, in epigrafe, i fatti che venivano contestati all’odierno ricorrente, i quali si caratterizzano per l’estrema violenza, pericolosità e riprovevolezza della condotta posta in essere. Sono infatti descritte azioni consistenti nell’essersi introdotto all’interno dell’altrui abitazione e nell’aver colpito la persona ivi rinvenuta “ con un candelabro alla testa e alla mano sinistra nonché con calci e pugni al naso ”, cagionando “ lesioni personali gravi (nella specie consistite in frattura delle ossa nasali e del IV dito della mano sinistra) da cui derivava un periodo di malattia nel corpo e nella mente giudicata inizialmente guaribile in 30 gg. e successivamente in 50 gg. ”, oltre alla successiva condotta consistita nel trascinare il malcapitato “ a forza contro la sua volontà ”, costringendolo a uscire dalla propria abitazione.
Orbene, come affermato dalla Corte costituzionale a più riprese, l’istituto della messa alla prova “ costituisce un vero e proprio «trattamento sanzionatorio», ancorché anticipato rispetto all’ordinario accertamento della responsabilità dell’imputato ”, la cui attivazione, su libera scelta dell’interessato, presuppone “ che il giudice, in base all’art. 464- quater , comma 1, cod. proc. pen., deve verificare che non ricorrono le condizioni per “pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell’articolo 129” cod. proc. pen., e anche a tale scopo può esaminare gli atti del fascicolo del pubblico ministero, deve valutare la richiesta dell’imputato, eventualmente disponendone la comparizione (art. 464- quater , comma 2, cod. proc. pen.), e, se lo ritiene necessario, può anche acquisire ulteriori informazioni, in applicazione dell’art. 464- bis , comma 5, cod. proc. pen.» (sentenza n. 91 del 2018) ” (sentenza n. 68 del 2019, punto 3.2.1. del Considerato in diritto ).
Quanto precede conforta circa l’attendibilità della denuncia, utilizzata nel caso di specie dall’amministrazione al fine di isolarne il “fatto storico” rivelatore della personalità del richiedente la cittadinanza italiana. Del tutto legittimamente, pertanto, quella denuncia ha potuto orientare il giudizio dell’amministrazione in punto di giudizio sulla corretta integrazione del richiedente nella comunità nazionale.
In simile contesto – come più volte ribadito da questa Sezione, in relazione a simili fattispecie integranti reato – il comportamento posto in essere dal richiedente, e sostanzialmente (ancorché sommariamente) accertato dalla sentenza di non doversi procedere, denota “una tendenza caratteriale della persona che desta un particolare allarme sociale e disvalore rispetto ai principi di una ordinata convivenza all’interno dello Stato, in quanto mette a rischio la libertà, la dignità e la salute della persona, tanto da essere punito con la pena della reclusione fino a 3 anni dall’art. 582 c.p. (lesione personale) e rientra altresì tra quelli che precludono persino l’acquisto della cittadinanza ‘di diritto’ per matrimonio, ai sensi dell’art. 6 lettera b ) della legge n. 91 del 1992, che trova applicazione, a fortiori , nel caso di richiesta di cittadinanza per naturalizzazione” (così, da ultimo, TAR Lazio, Roma, questa sezione V- bis , sentenza n. 5610 del 2023;analogamente, anche sentenza n. 5539 del 2023).
3.2. – Quanto, poi, alla seconda delle ragioni addotte dall’amministrazione ai fini del diniego di cittadinanza, ossia la rilevata insufficienza reddituale, le censure di cui al ricorso sono parimenti destituite di fondamento.
Come costantemente ribadito dalla Sezione, sulla scorta dei punti di arrivo ormai acquisiti dalla giurisprudenza amministrativa, la dimostrazione della disponibilità di adeguati mezzi economici di sostentamento, nonché del regolare adempimento degli obblighi fiscali, costituisce un requisito necessario per colui che domanda la concessione dello status civitatis , traducendosi nella possibilità di adempiere ai doveri di solidarietà economica e sociale (cfr., da ultimo, TAR Lazio, Roma, questa sez. V- bis , sentenze n. 13170 e n. 15943 del 2022 e n. 1102 del 2023). Ciò, nel quadro del complessivo giudizio prognostico, che l’amministrazione deve rendere, volto ad escludere che il richiedente possa, successivamente alla concessione della cittadinanza, creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza, violare i valori identitari dello Stato e gravare sulla finanza pubblica (cfr., ex multis , TAR Lazio, Roma, questa sez. V- bis , sentenza n. 2945 del 2022;sez. I- ter , sentenza n. 12006 del 2021;sez. II- quater , sentenza n. 12568 del 2009).
L’accertamento di una minima capacità reddituale dell’istante, pertanto, è funzionale ad assicurare che lo straniero possa conseguire l’utile inserimento nella collettività nazionale, con tutti i diritti e i doveri che competono ai suoi membri, cui verrebbe ad essere assoggettato;in particolare, tra gli altri, al dovere di solidarietà sociale di concorrere con i propri mezzi, attraverso il prelievo fiscale, a finanziare la spesa pubblica, funzionale all’erogazione dei servizi pubblici essenziali (cfr. di recente, della Sezione, ex aliis , la sentenza n. 3603 del 2023;in precedenza, cfr. anche TAR Lazio, Roma, sez. I- ter , sentenze n. 13690 del 2021 e n. 1902 del 2018;Cons. Stato, sez. III, sentenza n. 1726 del 2019). La giurisprudenza, in particolare, ha precisato che la valutazione del requisito reddituale va effettuata tenendo conto sia dei redditi già maturati al momento della presentazione della domanda (TAR Lazio, Roma, sez. I- ter , sentenze n. 507 e n. 13690 del 2021), che deve essere corredata dalla dichiarazione dei redditi dell’ultimo triennio, come prescritto dal d.m. 22 novembre 1994 (adottato in attuazione dell’art. 1, comma 4, del d.P.R. n. 362 del 1994), sia dei redditi successivi alla presentazione della domanda, posto che il requisito deve essere mantenuto per tutto il c.d. periodo di osservazione, e cioè fino al momento del giuramento, come prescritto dall’art. 4, comma 7, del d.P.R. n. 572 del 1993 (cfr., da ultimo, TAR Lazio, questa sez. V- bis , sentenza n. 1724 del 2022, ed ivi altri precedenti richiamati;ancor più di recente, sempre di questa Sezione, cfr. le sentenze n. 3562 e n. 3603 del 2023).
La soglia minima reddituale, non precisata dal legislatore, è stata individuata dagli atti generali dell’amministrazione che hanno attinto alla legislazione vigente in materia di esenzione totale dalla partecipazione alla spesa sanitaria in favore del cittadino italiano titolare di pensione di vecchiaia, secondo quanto specificato nella circolare del Ministero dell’interno prot. n.