TAR Genova, sez. I, sentenza 2015-03-26, n. 201500345
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N. 00345/2015 REG.PROV.COLL.
N. 01184/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1184 del 2013, proposto da:
P S, rappresentata e difesa dall'avv. L P, presso il quale è elettivamente domiciliata nel suo studio in Genova, corso Saffi, 7/2;
contro
Comune di Andora, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avv. P G, presso il quale è elettivamente domiciliato nel suo studio in Genova, via Roma, 3/9;
Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro
pro tempore
, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria
ex lege
in Genova, viale Brigate Partigiane, 2;
per l'annullamento
della nota prot. n. 24311 del 25/7/2013, notificata il 29/7/2013, avente ad oggetto “Diniego definitivo. Intervento di sanatoria per chiusura porticato fabbricato in Via del Lampin”;
della nota prot. n. 3337/257204 del 26/8/2013, notificata il 3/9/2013, avente ad oggetto “Provvedimento definitivo ai sensi del comma 1 dell’art. 2 della legge 241/90. Diniego. Intervento in sanatoria per chiusura portico in fabbricato in Via del Lampin”;
della nota della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici della Liguria prot. n. 0033767 del 12/11/2012, resa nell’ambito del medesimo procedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica;
di ogni atto presupposto, conseguente o connesso, compresa la comunicazione ex art. 10 bis della legge n. 241/1990 prot. n. 3260/3337 del 23/1/2013.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Andora e del Ministero per i beni e le attività culturali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 febbraio 2015 il dott. R G e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La ricorrente è proprietaria di un edificio residenziale ubicato nel territorio del Comune di Andora, in zona soggetta a vincolo paesaggistico, realizzato in forza di licenza edilizia rilasciata nel 1970 e oggetto di un procedimento di condono edilizio favorevolmente conclusosi nel 1996.
Con istanza presentata al Comune di Andora il 1° febbraio 2011, l’interessata aveva chiesto il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria relativamente alle seguenti opere, eseguite in assenza di titolo abilitativo presso l’immobile suddetto: realizzazione di un piccolo locale w.c. (2,5 mq) a servizio della camera matrimoniale e di una struttura in laterizio e legno (una tettoia) sul prospetto frontale dell’edificio, avente la dichiarata funzione di proteggere dagli agenti atmosferici l’ingresso dell’abitazione e un’unità di condizionamento ivi installata.
Acquisiti i pareri favorevoli della Commissione edilizia comunale e della Commissione locale per il paesaggio, l’istanza era trasmessa alla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici della Liguria per la formulazione del parere previsto dall’art. 167, comma 5, del d.lgs. n. 42/2004, in ordine alla compatibilità paesaggistica degli interventi.
Con nota del 12 novembre 2012, la Soprintendenza comunicava di non poter esprimere il parere di competenza in quanto le opere abusivamente realizzate avevano determinato la creazione di nuove superfici utili o volumi.
In ragione di tale diniego, il Comune di Andora, previa interlocuzione procedimentale con la richiedente, respingeva le istanze di autorizzazione paesaggistica e di sanatoria edilizia, rispettivamente con provvedimenti del 25 luglio 2013 e del 26 agosto 2013.
Con ricorso giurisdizionale notificato il 7 novembre 2013 e depositato il successivo 18 novembre, l’interessata ha impugnato gli atti sopra indicati, denunciando i vizi di legittimità di cui si riferirà in parte motiva.
Si costituivano formalmente in giudizio il Ministero per i beni e le attività culturali e il Comune di Andora.
In prossimità della pubblica udienza, le amministrazioni resistenti hanno depositato memorie intese a dimostrare l’infondatezza del ricorso;anche la ricorrente ha depositato una memoria difensiva.
I difensori del Comune di Andora e della ricorrente si sono avvalsi della facoltà di depositare memorie di replica.
Il ricorso, infine, è stato chiamato alla pubblica udienza del 12 febbraio 2015 e, previa trattazione orale, è stato ritenuto in decisione.
DIRITTO
1) E’ contestata la legittimità degli atti con cui il Comune di Andora ha respinto le istanze proposte dalla ricorrente per l’accertamento della compatibilità paesaggistica e la sanatoria edilizia delle opere abusivamente realizzate presso l’immobile residenziale di proprietà (costruzione di un piccolo servizio igienico, mediante tamponamento del portico preesistente, e di una tettoia sul prospetto frontale dell’edificio).
Il diniego di compatibilità paesaggistica è motivato con riferimento al parere negativo, anch’esso coinvolto nell’impugnazione, formulato dalla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici della Liguria ( recte : all’atto con cui la Soprintendenza aveva dichiarato l’insussistenza dei presupposti per la formulazione del parere di competenza), motivato con riferimento alla creazione di nuove superfici o volumi.
Il diniego di sanatoria edilizia prende atto dell’insussistenza del presupposto inerente all’accertamento di compatibilità paesaggistica.
2) Con il primo motivo di ricorso, l’esponente denuncia l’omissione, nell’ambito del procedimento volto all’accertamento di compatibilità paesaggistica, del preavviso di rigetto previsto dall’art. 10 bis della legge n. 241/1990 e la compromissione delle proprie prerogative partecipative.
Va precisato che il Comune di Andora, ricevuto il parere negativo della Soprintendenza, aveva effettivamente comunicato il preavviso di rigetto alla richiedente la quale ha poi presentato le proprie osservazioni, disattese nel provvedimento finale.
Sostiene la ricorrente, però, che il Comune avrebbe dovuto trasmettere le osservazioni predette alla Soprintendenza, onde sollecitare una nuova valutazione della fattispecie da parte dell’organo statale, anziché procedere come se il parere di quest’ultimo fosse stato immodificabile.
In altre parole: se la legge impone una reale fase partecipativa, essa non può risultare circoscritta all’amministrazione investita della titolarità formale del procedimento, ma deve necessariamente coinvolgere la diversa amministrazione che, essendo chiamata a formulare un parere vincolante, detiene l’effettivo potere decisionale.
La prospettazione di parte ricorrente fa proprie le conclusioni cui la Sezione è recentemente pervenuta con la sentenza n. 1014 del 25 giugno 2014, nella quale si è precisato che la natura sostanzialmente decisoria del parere vincolante della Soprintendenza ex art. 167, comma 5, del d.lgs. n. 42/2004, assume connotati tali da imporre l’analisi, in capo allo stesso organo chiamato a dare l’indicazione da cui non ci si può discostare, di tutti gli elementi rilevanti nella specie, compresa la valutazione delle osservazioni formulate dal privato istante a seguito della comunicazione dei motivi ostativi ai sensi dell’art. 10 bis legge 241 del 1990.
Nel caso in esame, l’applicazione di tali condivisibili principi non comporta, però, l’annullabilità dell’atto della Soprintendenza, poiché l’accertata creazione di nuovi volumi e superfici utili costituiva circostanza assolutamente ostativa al richiesto accertamento di compatibilità paesaggistica e vincolava la Soprintendenza a denegare il rilascio del parere previsto dal citato art. 167, comma 5.
In applicazione del principio sancito dall’art. 21 octies della legge n. 241/1990, deve ritenersi ininfluente, pertanto, il vizio inerente al mancato coinvolgimento procedimentale dell’interessata.
Ne consegue la reiezione del primo motivo di ricorso.
3) Ancora con riguardo al diniego paesistico, la ricorrente denuncia, con il secondo motivo di gravame, il vizio di incompetenza, poiché il provvedimento in questione è stato adottato dall’ing. Paolo Ferrari, in qualità di responsabile del procedimento, nonostante figurasse nell’organico del Comune di Andora una specifica figura dirigenziale cui era attribuita la responsabilità dell’Ufficio Tecnico.
Il funzionario in questione, però, era stato individuato quale titolare di posizione organizzativa con provvedimento dirigenziale n. 107 del 28 settembre 2012, in atti, e l’incarico conferitogli comprendeva espressamente l’adozione dei provvedimenti amministrativi rientranti negli affari di competenza degli uffici affidati alla sua responsabilità (ossia gli uffici del Settore patrimonio, demanio, protezione civile, servizi tecnologici e ambiente).
La censura di incompetenza, pertanto, è destituita di giuridico fondamento, poiché l’adozione del provvedimento impugnato era certamente riconducibile al novero delle incombenze promananti dalla posizione organizzativa all’epoca rivestita dall’ing. Ferrari nell’ambito della struttura comunale.
4) Il terzo motivo di ricorso contiene autonome censure di legittimità.
4.1) In primo luogo, l’esponente sostiene che avrebbe dovuto trovare applicazione nella fattispecie la più favorevole disciplina prevista dalla normativa vigente al momento di realizzazione degli abusi, anziché quella successivamente introdotta dall’art. 27 del d.lgs. n. 157/2006 che ha limitato in misura significativa le possibilità di assentimento postumo dell’autorizzazione paesaggistica.
Tale tesi contrasta, però, con il principio generale tempus regit actum che, come riconosciuto da un consolidato orientamento giurisprudenziale, impone di applicare il regime sanzionatorio vigente all’epoca di richiesta della sanatoria e non quello in vigore al tempo della realizzazione degli abusi (cfr., fra le ultime, Cons. Stato, sez. IV, 16 aprile 2014, n. 1906).
Anche questo Tribunale ha recentemente precisato, con la sentenza della seconda Sezione n. 27 del 8 gennaio 2015, che in sede di repressione degli abusi edilizi occorre applicare il regime sanzionatorio vigente al momento in cui l’amministrazione provvede ad applicare la misura ripristinatoria.
4.2) La seconda censura di legittimità concerne la consistenza e la qualificazione degli abusi realizzati nella fattispecie.
Afferma la ricorrente che la tettoia realizzata sul prospetto principale dell’edificio, assolvendo la funzione di offrire riparo ad un accessorio tecnico dell’abitazione (il condizionatore), costituirebbe un semplice volume tecnico, come tale privo di rilevanza urbanistica, vale a dire non idoneo a determinare nuovi volumi in senso proprio o alcuna superficie abitabile
Anche l’intervento volto alla realizzazione di un nuovo servizio igienico non avrebbe determinato alcun volume o superficie utile, poiché il portico preesistente, non essendo aperto su tre lati, costituiva già volume prima di essere tamponato.
Neppure tali rilievi possono essere condivisi.
Per quanto concerne la tettoia (che, come si evince dalla documentazione fotografica in atti, ha non trascurabile consistenza dimensionale e altera in modo evidente la sagoma dell’edificio), non è rilevante la sua asserita qualificazione come “volume tecnico”, poiché il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio dall’art. 167, comma 4, del d.lgs. n. 42/2004, preclude qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico e altro tipo di volume (Cons. Stato, sez. VI, 5 agosto 2013, n. 4079 e 20 giugno 2012, n. 3578).
Non è dubitabile, del resto, che la tettoia in esame, proprio in quanto destinata a proteggere un’apparecchiatura fissa dell’abitazione, non costituisca semplice elemento ornamentale, ma ne abbia concretamente ampliato gli spazi, determinando perlomeno l’aumento della superficie utile del fabbricato.
Ancor più evidente appare l’impossibilità di ritenere sanabile il secondo intervento, poiché la chiusura del preesistente porticato, ossia di uno spazio aperto, per realizzarvi un nuovo locale w.c., ha comportato un sicuro, seppur contenuto, ampliamento volumetrico del fabbricato.
4.3) Infine, la ricorrente contesta il parere della Soprintendenza sotto il profilo dell’adeguatezza della motivazione: esso si risolverebbe, infatti, nell’utilizzo di una formula stereotipata, neppure idonea a chiarire se nella fattispecie siano state create nuove superfici utili oppure nuovi volumi, e non vi sono esplicitate le ragioni che hanno imposto valutazioni antitetiche a quelle già rese dalla Commissione locale del paesaggio.
Per quanto concerne il primo profilo, si osserva che l’obiettiva natura vincolata dell’atto in contestazione consentiva di prescindere dall’onere di una motivazione diffusa, essendo invece sufficiente, ai fini dell’esauriente esternazione delle ragioni che lo giustificano, l’indicazione dell’insussistenza dei presupposti previsti dalla legge per l’accertamento di compatibilità paesaggistica.
In secondo luogo, la mancata valutazione del parere favorevole reso dalla Commissione locale del paesaggio, normalmente doverosa (cfr. T.A.R. Liguria, n. 1014/2014 cit.), appare ininfluente nel caso di specie in quanto, in difetto dei presupposti previsti dall’art. 167, comma 4, del d.lgs. n. 42/2004, non si sarebbe potuto determinare, in ogni caso, un diverso esito procedimentale.
4.4) Anche il terzo motivo di ricorso, per tali ragioni, è infondato e deve essere respinto.
5) Con il quarto motivo, viene denunciata la violazione dei termini per la formulazione del parere della Soprintendenza e per la conclusione del procedimento (rispettivamente di 90 e di 180 giorni) che l’art. 167, comma 5, del d.lgs. n. 42/2004, definisce espressamente “perentori”.
L’incontestato superamento dei termini predetti non ha provocato, tuttavia, l’illegittimità degli atti tardivamente adottati in quanto, come precisato dal prevalente e condivisibile orientamento giurisprudenziale, tale circostanza non determina la consumazione dei poteri esercitati dall’amministrazione né consente che l’atto conclusivo del procedimento si discosti dal parere vincolante della Soprintendenza, sia pure emesso dopo il superamento del termine finale (cfr., ex multis , Cons. Stato, sez. VI, 18 settembre 2013, n. 4656).
6) La firma congiunta apposta al parere della Soprintendenza, da parte del responsabile del procedimento e del Soprintendente, inficerebbe l’atto in questione, non essendo possibile individuare il soggetto al quale deve essere ricondotta la volontà che vi è stata espressa.
La censura, formulata con il quinto motivo di ricorso, appare frutto di formalismo e non vale a rivelare l’esistenza del dedotto vizio di incompetenza, poiché la paternità dell'atto è chiaramente attribuibile al Soprintendente, che lo ha sottoscritto in qualità di responsabile del provvedimento, mentre il responsabile del procedimento che lo ha firmato congiuntamente è un soggetto che opera nello stesso ufficio amministrativo e non è privo di competenza specifica in relazione all’oggetto (cfr. T.A.R. Liguria, sez. I, 9 gennaio 2012, n. 18).
7) Le doglianze contenute nei motivi di ricorso successivi al quinto riguardano direttamente il diniego di sanatoria edilizia.
Va ovviamente disattesa, alla luce della reiezione dei precedenti motivi di ricorso, la censura di illegittimità derivata dall’illegittimità del diniego di compatibilità paesaggistica, dedotta con il sesto motivo.
8) Con il settimo motivo di ricorso, viene denunciata l’omissione del preavviso di rigetto nell’ambito del procedimento di sanatoria edilizia, atteso che la comunicazione dei motivi ostativi effettuata nel procedimento paesistico non varrebbe, data l’autonomia dei due procedimenti, a colmare detta carenza.
Anche questa censura appare formalistica e priva di giuridico fondamento, ove si consideri che il preavviso citato faceva riferimento proprio all’istanza di sanatoria edilizia e che l’interessata ha avuto, comunque, ampie possibilità di interloquire con l’amministrazione, anche attraverso la presentazione di due memorie sottoscritte da un tecnico di fiducia.
9) Rimane da scrutinare l’ottavo e ultimo motivo di ricorso, con cui viene denunciato il vizio di incompetenza in quanto l’impugnato diniego di sanatoria è stato adottato dal geom. M D F, in qualità di responsabile del Settore edilizia privata, nonostante la presenza nell’organico dell’Ente di una specifica figura dirigenziale preposta all’Area Tecnica.
La censura riecheggia quella dedotta con il secondo motivo e va disattesa per le ragioni già evidenziate in precedenza, alla luce della determinazione dirigenziale n. 108 del 27 settembre 2012, prodotta dalla difesa comunale, con cui il Dirigente della Direzione Tecnica del Comune di Andora aveva attribuito alla geom. D F l’incarico di titolare della posizione organizzativa per il Settore edilizia privata.
10) Il ricorso, in conclusione, è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
Avendo riguardo alle peculiarità della vicenda controversa, le spese del grado di giudizio devono essere integralmente compensate fra le parti costituite;va dichiarata, altresì, l’irripetibilità del contributo unificato.