TAR Palermo, sez. II, sentenza 2010-08-06, n. 201009210
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N. 09210/2010 REG.SEN.
N. 00060/1999 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 60 del 1999, proposto da:
C A e C S, in prosecuzione e n.q. di eredi dell’originario ricorrente C G, rappresentati e difesi dall'avv. D C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv.D C sito in Palermo, via Notarbartolo, 5;
contro
-il Comune di Palermo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. C B, con domicilio eletto presso Ufficio Legale Del Comune sito in Palermo, piazza Marina N.39;
-il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (già Ministero dei Lavori Pubblici), della Presidenza della Regione Siciliana – Dip. della Programmazione – Serv. Interventi Infrastrutturali (subentrato alla Cassa Depositi e Prestiti), in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, presso i cui uffici siti in via Alcide De Gasperi n.81 sono ope legis domiciliati;
nei confronti di
Farsura Costruzioni S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Vito Candia, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv.Vito Candia sito in Palermo, via Luigi Pirandello 2;
Cassina Luciano, non costituito in giudizio;
per il risarcimento del danno
derivante dalla irreversibile trasformazione del fondo in proprietà del ricorrente, oggetto di occupazione d’urgenza ed esecuzione di lavori per la realizzazione di un’opera pubblica, cui non ha fatto seguito l’emanazione nei termini di alcun provvedimento di espropriazione definitiva.
Visto il ricorso con i relativi allegati, notificato il 5/01/1999 e depositato il 12/01/99;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Palermo e le relative eccezioni e difese;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato per le altre Amministrazioni intimate;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del legale rappresentante della Farsura Costruzioni S.P.A. e le relative memorie e difese;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dei signori C A e C S n.q di eredi dell’originario ricorrente C G, giusto atto di prosecuzione notificato il 15/9/2009 e depositato il 25/9/2009;
Vista la memoria dei ricorrenti del 25/5/2010;
Vista la memoria del Comune di Palermo del 29 maggio 2010;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 giugno 2010 il dott. R V e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso notificato il 5/1/99 e depositato, con la relativa documentazione, il successivo 12/01/1999, il ricorrente C G premette di essere proprietario di un appezzamento di terreno in agro Comune di Palermo, località Tommaso Natale, identificato in catasto al foglio n.2 part. N.538 dell’estensione di mq.1.110. Parte del terreno in parola è stato interessato da apposizione di vincolo preordinato all’esproprio per la realizzazione di un’opera pubblica consistente nel raccordo tra la circonvallazione di Palermo e la strada di grande comunicazione Palermo- Punta Raisi. Il relativo progetto, finanziato dall’Agenzia per la Promozione dello Sviluppo del Mezzogiorno (delibera 27/8/1987), è stato approvato con delibera della Giunta Municipale n.2384 del 27/7/1987 e la relativa realizzazione è stata affidata all’impresa Farsura Costruzioni S.p.A. giusto contratto del 29/2/1988. Alla stessa impresa è stato altresì attribuito il compito di porre in essere i singoli atti della procedura ablativa. La materiale immissione in possesso dei beni interessati dalle realizzande opere è avvenuta in data 21/3/1989, considerato che con ordinanza del 20/1/9189 il Sindaco del Comune di Palermo aveva disposto l’occupazione temporanea e d’urgenza dei luoghi, per la durata di cinque anni.
A seguito della rescissione del contratto disposta con delibera G.M. n.2952 del 2/11/1990, la Farsura riconsegnava al Comune di Palermo in data 5/3/1991 gli immobili già interessati dalla procedura ablativa. I lavori dell’opera pubblica, giusto nuovo contratto stipulato solo in data 20/1/1997, sono stati poi proseguiti dalla S.E.A.S. S.p.A. nel mese di gennaio 1998, quando ormai erano scaduti i termini di occupazione legittima.
Ciò posto rappresenta che, malgrado la successiva ultimazione dei lavori che hanno comportato l’irreversibile trasformazione di una parte consistente del lotto (mq.790 sui m.1.110 in proprietà), la procedura ablativa non è stata portata a termine, non essendo mai stato emesso il definitivo decreto di esproprio.
Ha quindi agito in questa sede per ottenere il risarcimento del danno subito in ragione della avvenuta estinzione in parte qua del diritto dominicale sul bene di che trattasi, pari al valore che il bene aveva al momento in cui si è verificata l’irreversibile trasformazione del fondo ovvero al momento della scadenza della occupazione legittima. Alla responsabilità risarcitoria azionata contro il Comune di Palermo, ha chiesto il ricorrente di aggiungere quella della Farsura Costruzioni S.p.A., nonché quella solidale del Ministero dei Lavori Pubblici e della Cassa Depositi e Prestiti subentrati ex lege alla soppressa agenzia per la Promozione delle Sviluppo nel Mezzogiorno. In via istruttoria ha chiesto disporsi CTU per l’esatta quantificazione del danno risarcibile. Ha chiesto altresì parte ricorrente il risarcimento del danno per il deprezzamento subito dalla porzioni residue del fondo medesimo, nonché il pagamento dell’indennità dell’occupazione legittima, oltre accessori, come per legge.
Resiste la controinteressata Farsura Costruzioni eccependo preliminarmente l’inammissibilità del giudizio per difetto di giurisdizione del giudice adito, contestando nel merito la fondatezza della pretesa risarcitoria azionata dal ricorrente nei confronti della Farsura, considerato che a seguito della rescissione del contratto da parte del Comune, al momento della restituzione dei beni (e quindi fino al periodo di imputabilità degli atti alla stessa Impresa) non si era ancora in presenza di una occupazione illegittima: conseguentemente la stessa Farsura deve essere considerata carente di legittimazione processuale passiva ed estromessa dal giudizio.
Resistono il Comune di Palermo e l’Avvocatura Distrettuale dello Stato per le altre Amministrazioni intimate.
Con atto di prosecuzione del giudizio, notificato e depositato come in narrativa, si sono costituiti n.q. di eredi legittimi dell’originario ricorrente i signori C A e C S, insistendo per l’accoglimento della domanda risarcitoria.
In prossimità della pubblica udienza di trattazione, il Comune di Palermo, con memoria del 29/5/2010, ha eccepito l’inammissibilità del giudizio per prescrizione del diritto al risarcimento del danno. Sotto altro profilo, ha eccepito l’inammissibilità della domanda per pregiudizialità amministrativa, non essendo stati impugnati i provvedimenti della procedura ablatoria, nonché la mancanza di legittimazione passiva dello stesso Comune. In via gradata, in caso di accoglimento della domanda, ha chiesto l’applicazione dei criteri riduttivi di cui all’art.5bis. L.359/92 nonché il rigetto della domanda di interessi e di rivalutazione monetaria in quanto non dovuti ed il rigetto della richiesta di C.T.U. in quanto in conducente, stante l’avvenuta prescrizione.
Con memoria del 13/05/2010, l’Avvocatura distrettuale dello Stato eccependo preliminarmente il difetto di legittimazione passiva del Ministero dei Lavori Pubblici (oggi Ministero delle Infrastrutture e Trasposti) subentrato alla Casmez, nonché della Cassa Depositi e Prestiti per le convenzioni della ex Agensud, cui è subentrata la Regione Siciliana ex art.94 lett.f) D.Lgs.112/1998. Ha altresì eccepito il difetto di giurisdizione del G.A. in ordine alle questioni indennitarie devolute alla cognizione del G.O. anche il relazione ad eventuali comportamenti illeciti.
Alla pubblica udienza del 11 giugno 2010, designato relatore il Primo Referendario Dr. R V ed uditi i procuratori delle parti, come da verbale, il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
DIRITTO
Si controverte sulla pretesa risarcitoria azionata dall’originario ricorrente C G, e quindi proseguita dagli eredi legittimi Sig.ri C A e C S, in relazione alla irreversibile trasformazione del fondo in proprietà interessato, in assenza di un definitivo decreto di esproprio, dalla realizzazione di un’opera pubblica consistente nel collegamento stabile tra la circonvallazione di Palermo e l’autostrada Palermo Punta Raisi.
I lavori, il cui progetto è stato regolarmente approvato, sono stati infatti iniziati in ragione di un contratto di appalto stipulato dal Comune di Palermo con l’impresa Farsura Costruzioni, cui era demandato anche il compimento degli ulteriori atti della procedura ablativa. L’immissione in possesso dei beni di che trattasi, di proprietà del ricorrente originario, è avvenuta in esecuzione dell’ordinanza del 20/01/1989 di occupazione temporanea ad urgente disposta dal Sindaco di Palermo pro tempore.
Va disattesa in primo luogo l’eccezione di inammissibilità del ricorso per asserito difetto di giurisdizione del giudice adito.
Risulta infatti incontestato che il procedimento espropriativo di che trattasi è stato invero correttamente iniziato dall’Amministrazione e che le opere sono state realizzate: a tale attività amministrativa, chiara espressione di un ius publicum, non ha fatto seguito l’emanazione del decreto di esproprio. Il ricorso è quindi ammissibile in questa sede alla luce del pacifico orientamento giurisprudenziale formatosi dopo la nota pronuncia della Corte di Cassazione (Sezioni unite n. 13659/2006) che riconosce al giudice amministrativo la giurisdizione in ordine alla richiesta di risarcimento connesso ad occupazione divenuta senza titolo (cfr. ancora di recente Cons.giust.amm. Sicilia, sez. giurisd., 26 maggio 2010, n. 741). A seguito delle note pronunce della Corte Costituzionale nn. 204/2004 e 191/2006, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno ripetutamente stabilito che la materia delle espropriazioni rientra nella giurisdizione del giudice ordinario soltanto per quel che riguarda il pagamento delle indennità di occupazione od espropriazione ovvero il risarcimento dei danni cagionati da comportamenti non riconducibili, neppure in via mediata e indiretta, all'esercizio di un potere (C. cass. 2008/2030, 2007/26737 e 2007/24632).
Con lo stesso mezzo, parte ricorrente ha chiesto altresì il risarcimento del danno per il deprezzamento subito dalla porzioni residue del medesimo fondo non interessate dall’opera pubblica, nonché il pagamento dell’indennità di occupazione legittima.
Sotto il primo profilo, ed in diparte la genericità della domanda spiegata, il Collegio ritiene di poter aderire al recente arresto giurisprudenziale del C.G.A. secondo cui “Il risarcimento del danno conseguente alla irreversibile occupazione senza titolo rientra pienamente nella giurisdizione del giudice amministrativo, con riferimento specifico ai beni occupati e non anche alle aree residue” (Cons.giust.amm. Sicilia , sez. giurisd., 26 maggio 2010, n. 741). La relativa domanda deve quindi essere dichiarata in parte qua inammissibile.
Quanto alla domanda di pagamento dell’indennità di occupazione, va dichiarato in parte qua il difetto di giurisdizione del giudice adito, come puntualmente eccepito dall’Avvocatura erariale, ed in conformità all’indirizzo della giurisprudenza della Corte di Cassazione sopra richiamata. Anche di recente la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che “Nel caso di azione proposta a seguito dell’irreversibile trasformazione di un fondo occupato dalla P.A. nell’ambito di una procedura espropriativa, per il quale, tuttavia, non è stato emesso decreto di espropriazione definitiva nei termini, mentre sussiste la giurisdizione amministrativa per la domanda di restituzione ovvero di risarcimento a seguito dell’irreversibile trasformazione, non sussiste detta giurisdizione per la domanda connessa al pagamento delle indennità da occupazione legittima, sussistendo al riguardo la giurisdizione del giudice ordinario ai sensi dell’art. 7, L. n. 205/2000” (T.A.R. Lazio - Roma, Sez..I bis , 15 gennaio 2009 n. 220).
Ancora in limine litis , va adesso verificata la legittimazione passiva delle parti evocate in giudizio.
Secondo quanto prospettato in fatto dallo stesso ricorrente, si evince che il periodo di occupazione legittima, anche considerate le proroghe ex lege previsti dall’art.22 L.159/91, sarebbe scaduta il 19/01/1996, in periodo di gran lunga successivo al quello nel quale il Comune di Palermo ha agito in danno della stessa Farsura Costruzioni disponendo la rescissione del relativo contratto, con conseguente restituzione dei beni in favore dell’Ente comunale espropriante (avvenuta il 15/3/1991). Ne consegue che alla Farsura Costruzioni non è imputabile alcuna responsabilità per l’omessa emanazione, nei tempi previsti dalla legge, del decreto di esproprio definitivo. La stessa manca quindi di legittimazione passiva rispetto all’azione risarcitoria qui azionata e conseguentemente deve esserne decretata l’estromissione dal giudizio.
Analoghe considerazioni valgono invero anche nei confronti della ulteriori amministrazioni statali evocate in giudizio, patrocinate dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, cui non è imputabile alcuna responsabilità in ordine alla mancata emanazione –nei termini di legge- del provvedimento definitivo di espropriazione a conclusione del procedimento ablativo. Le stesse devono quindi del pari essere estromesse dalla causa. Di talché, disattesa –siccome infondata- l’eccezione all’uopo sollevata dal Comune resistente, la legittimazione passiva va ricondotta unicamente nei confronti del Comune di Palermo ritualmente intimato e costituito in giudizio.
Così delimitato il thema decidendum, devono essere adesso scrutinate le eccezioni sollevate dall’Amministrazione Comunale riguardo l’asserita prescrizione quinquennale della pretesa azionata dal ricorrente ai sensi dell’art.2947 co.1 cod. Civ. e alla ritenuta inammissibilità del ricorso per pregiudizialità amministrativa.
Entrambe le eccezione effettuate dal Comune resistente sono da disattendere, con relativa fondatezza della domanda di risarcimento dei danni da occupazione illegittima avanzata da parte ricorrente, per le argomentazioni che di seguito vengono esposte.
Sotto il primo profilo, in punto di diritto, occorre evidenziare infatti che la scadenza dei termini di occupazione legittima dell’area in interesse, unitamente alla sua irreversibile trasformazione, senza che sia stato mai adottato il decreto di espropriazione, ha determinato il venir meno del titolo di legittimo possesso dei beni occupati, con relativo obbligo per l’Amministrazione di porre rimedio alla descritta situazione non conforme al diritto.
Invero, anche se l’Amministrazione Comunale ha ancor oggi la piena disponibilità dell’area occupata, la stessa non è giuridicamente entrata a far parte del patrimonio dell’Ente (malgrado la realizzazione dell’opera pubblica) proprio in mancanza di un idoneo titolo ablativo. Occorre infatti evidenziare il mutato contesto giurisprudenziale attraverso il quale dare soluzione alla questione controversa: mentre in passato la giurisprudenza si era infatti orientata, attraverso l’applicazione dell’istituto dell’accessione invertita, nel senso di considerare, in casi come quello in esame, il bene giuridicamente acquisito al patrimonio dell’ente espropriante - residuando in capo al privato solo il diritto al risarcimento del danno causato dall’illegittima procedura ablatoria - più di recente il Giudice Amministrativo ha ritenuto il predetto istituto di creazione pretoria definitivamente espunto dall’ordinamento giuridico, allineandosi alla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo (cfr. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 29 aprile 2005, n. 2;Sez. IV, 30 novembre 2007, n. 6124;21 maggio 2007, n. 2582).
Il consesso di Palazzo Spada, in particolare, richiamandosi alla giurisprudenza della Corte Europea, ha affermato il principio di diritto, secondo cui l’irreversibile trasformazione del fondo non costituisce più un ostacolo alla restituzione del bene al privato, rilevando solo come mero fatto, dal quale non può scaturire l’effetto giuridico del trasferimento della proprietà in capo alla P.A.. La stessa Amministrazione, autrice di un illecito di natura permanente consistente nella perdurante utilizzazione di un fondo altrui, resta quindi obbligata alla restituzione dell’area, a meno che non adotti un formale e legittimo provvedimento di acquisizione ai sensi del nuovo istituto introdotto dall’art.43 del D. Lgs. n. 327/2001 (Consiglio di Stato, IV, 30 novembre 2007, n. 6124;27 giugno 2007, n. 3752;21 maggio 2007, n. 2582;30 gennaio 2006, n.290;Adunanza Generale, parere 29 marzo 2001, n. 4/2001). Ne deriva quindi, in punto di diritto, che condizione imprescindibile per l’acquisto della proprietà in capo all’Ente procedente è che venga adottato il predetto provvedimento di acquisizione sanante, ai sensi del menzionato art.43 del T.U. Espropriazioni (D.P.R. n. 327/2001);e con l’ulteriore inevitabile corollario della non decorrenza della prescrizione, stante il carattere permanente dell’illecito aquiliano posto in essere dalla P.A.. Non pertinenti risultano quindi i differenti orientamenti giurisprudenziali evocati dal Comune resistente, siccome relativi ad un contesto normativo e giurisprudenziale ormai superato.
Secondo l’orientamento giurisprudenziale qui condiviso (cfr. Consiglio di Stato, IV, 21 maggio 2007, n.2582), i principi desumibili dal citato art.43 si riferiscono a tutti i casi di occupazioni sine titulo , ivi comprese quelle già sussistenti alla data di entrata in vigore del testo unico, non rientrando l’atto di acquisizione sanante nell’ambito di operatività della normativa transitoria contenuta nell’art.57 del medesimo testo unico. Ancora sul punto in esame, la giurisprudenza amministrativa ha ormai chiarito, infatti, che non può più trovare cittadinanza nel nostro ordinamento l’istituto della occupazione acquisitiva: “L'ordinamento italiano non consente che un'Amministrazione, mediante un proprio illecito e in assenza di un atto ablatorio, acquisti a titolo originario la proprietà di un'area altrui, sulla quale sia stata realizzata un'opera pubblica o di interesse pubblico (anche se prevista in una dichiarazione della pubblica utilità). Anche se l'opera pubblica o di interesse pubblico è ultimata, non comincia a decorrere alcun termine di prescrizione per il risarcimento del danno” (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 02 ottobre 2009, n. 9557). Né potrebbe rinvenire in specie alcuna usucapione del bene di che trattasi, considerato che il dies a quo a partire dal quale inizia a decorrere il ventennio previsto dalla legge, “in conformità al principio generale ex art. 2935 c.c. (secondo cui il termine decorre dalla "possibilità di far valere il diritto"), va individuato nella data di entrata in vigore del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (T.U. espropriazione per p.u.), da intendersi come la data nella quale è stato introdotto l’istituto dell’acquisizione sanante ed è stato superato l’istituto dell’occupazione appropriativa: in tal modo rendendosi oggettivamente possibile, per gli interessati, la tutela restitutoria del diritto di proprietà sul bene” (T.A.R. Lazio – Roma - n.9557/09 cit.).
Sotto il secondo profilo, non si comprende invero sotto quale profilo possa in specie rilevare l’asserita pregiudizialità amministrativa, atteso che si fa questione proprio della mancata conclusione del procedimento ablativo per l’omessa emanazione del decreto di esproprio.
Il Comune di Palermo è, pertanto, tenuto a risarcire il danno cagionato alla parte ricorrente, trovando la pretesa attorea riscontro e conforto, sul piano normativo, proprio nel richiamato art.43 del T.U Espropriazioni, il quale stabilisce, al primo comma, che “Valutati gli interessi in conflitto, l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso vada acquisito al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario vadano risarciti i danni”.
Non risulta infatti di ostacolo all’accoglimento del ricorso, nei sensi che seguono, il rilevare che l’azione promossa sia essenzialmente risarcitoria e non petitoria.
Sul punto può condividersi l’orientamento del giudice di Appello che, nel richiamare i principi sottesi alla tutela risarcitoria anche alla stregua di quanto previsto dall’art.2058 cod. civ., ha evidenziato come il senso dell’articolo 43, comma 3, del d.p.r. n. 327 del 2001 non è certamente quello di comprimere la facoltà di scelta del privato, ma di attribuire all’Amministrazione, quando ne ricorrano le condizioni di interesse pubblico, il potere di paralizzare la domanda di reintegrazione in forma specifica e di convertire la domanda nella forma del risarcimento per equivalente: in altri termini, “Se la scelta –tra restituzione del bene ovvero risarcimento del danno- è ammessa per la pubblica amministrazione, non si vede perché non possa esserlo anche per il privato” (Consiglio di Stato, Sez.V, 7 aprile 2009 n.2144).
Secondo il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, Sez. Giurisdizionale, 29 maggio 2009 n.486, “ La disciplina specifica contenuta nell’articolo 43 del testo unico delle espropriazioni non prevede, in materia di risarcimento del danno subito dal proprietario, regole contrastanti con i principi generali espressi dal codice civile e dallo stesso articolo 35 del decreto legislativo n. 80/1998. La specialità della normativa si innesta nel quadro sistematico della tutela risarcitoria, dettando alcune significative deroghe, le quali, tuttavia, non intaccano la persistente cogenza del principio di alterna-tività tra la tutela risarcitoria e la reintegrazione in forma specifica. (…). È pacifico, del resto, che sul piano processuale, il risarcimento per equivalente costituisca un minus rispetto alla reintegra-zione in forma specifica e ne rappresenti il sostitutivo legale sussidiario mediante prestazione dell' eadem res debita , per cui la relativa domanda è contenuta in quella della reintegrazione in forma specifica (ex plurimis Cass. 25.11.1983, n. 7080)”.
Nella prospettiva civilistica delle modalità di attuazione della tutela risarcitoria, quindi, secondo la giurisprudenza più recente della Cassazione, richiamata dallo stesso C.G.A. cit., “non emergono ostacoli di sorta in ordine alla possibilità, per il privato danneggiato, di chiedere il risarcimento per equivalente, anziché la restituzione del bene”.
Ciò posto, occorre verificare la sussistenza degli elementi normativamente previsti dall’ordinamento per il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno (art. 2043 c.c.).
Quanto all’elemento oggettivo dell’illiceità della condotta, viene in rilievo il fatto materiale dello stesso spossessamento subito dall’originario ricorrente, causalmente riconducibile alla pur legittima attività provvedimentale di occupazione e di trasformazione dei beni, quantunque poi non sfociata in un tempestivo atto traslativo della relativa proprietà.
Sono invero circostanze di fatto non contestate sia la irreversibile trasformazione del fondo, sia la perdurante utilizzazione, da parte del Comune di Palermo, del bene di proprietà del ricorrente ancorché in assenza di valido decreto di espropriazione.
Sotto il profilo dell’elemento soggettivo, viene certamente in rilievo la colpa della P.A. procedente, intesa come colpa dell’apparato, concretantesi, in punto di fatto, nella negligenza nella gestione di una procedura ablatoria non portata a termine malgrado la materiale apprensione, trasformazione ed utilizzo del bene, che ha inciso sul diritto dominicale del ricorrente. Nè sul piano probatorio, l’Amministrazione Comunale resistente ha fornito in questa sede alcun elemento utile a dimostrare la riconduzione dell’illiceità del proprio comportamento ad un mero errore scusabile, non rilevando in tal senso le questioni connesse alla già evidenziata risoluzione del contratto con la Farsura Costruzioni.
Per la definitiva soluzione della presente controversia, può farsi richiamo ai criteri già utilizzati da Tribunale con la condivisibile sentenza della Sez.III del 13/01/2009 n.39.
Il Comune di Palermo resistente è dunque obbligato a risarcire il danno cagionato all’odierno ricorrente, sia che il bene resti nella sfera giuridica del proprietario, sia che, a seguito del provvedimento di acquisizione sanante (ad oggi non ancora adottato), lo stesso bene sia trasferito al patrimonio dell’Ente locale: con la differenza che, nel primo caso, previa restituzione del bene, l’Ente dovrà corrispondere il risarcimento del danno esclusivamente per il mancato godimento, da parte del privato proprietario, del fondo dal momento dell’occupazione sino alla effettiva restituzione;nel secondo caso, il Comune, contestualmente all’acquisizione del bene, formalizzata per mezzo del provvedimento ex art.43 citato, sarà tenuto a corrispondere il risarcimento del danno commisurato al valore venale del bene.
In ordine poi alla quantificazione del danno, è necessario precisare che, allo stato attuale, non è possibile stabilire l’esatto ammontare del danno risarcibile, per due ordini di considerazioni (cfr. sempre T.A.R. Palermo, Sez. III, n.39/2009):
- come già accennato, l’Amministrazione Comunale, pur avendo la materiale disponibilità dei beni immobili del ricorrente, tuttavia non è proprietaria degli stessi, nella considerazione, già espressa, che l’istituto dell’accessione invertita è stato definitivamente espunto dall’ordinamento;detto indispensabile presupposto deve, pertanto, ancora realizzarsi;
- non è acclarato, in punto di fatto, se la P.A. procedente intenda acquisire la proprietà dell’area ai sensi dell’art.43 del T.U. Espropriazioni, o se, invece, intenda restituirla al proprietario, fermo restando il diritto di quest’ultimo al risarcimento dei danni per il periodo di mancata utilizzazione del fondo: nella considerazione che si tratta di valutazioni e scelte rimesse esclusivamente all’Ente locale interessato, il Comune di Palermo dovrà, pertanto, preliminarmente effettuare tale tipo di valutazioni, fermo restando che gli odierni ricorrenti (n.q. spiegata e che hanno proseguito il giudizio promosso dall’originario proprietario), in quanto ancora titolari del diritto di proprietà sul bene immobile in interesse, potranno, dal canto loro, richiedere o la restituzione del bene e relativo risarcimento, o – nel caso in cui la P.A. opti per l’acquisizione – solo il risarcimento del danno commisurato al valore venale del bene.
In ordine alla determinazione del valore del bene alla data dello spirare del termine di occupazione legittima (19/01/1996), si dispone che il quantum sia determinato dal Comune, “tenendo conto dell’impossibilità di applicare l’art.