TAR Roma, sez. I, sentenza 2019-12-18, n. 201914538
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Pubblicato il 18/12/2019
N. 14538/2019 REG.PROV.COLL.
N. 10446/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10446 del 2017, proposto da
T S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato V M, presso il cui studio in Roma, via Emilio de' Cavalieri 7, è elettivamente domiciliata;
contro
Autorità garante della concorrenza e del mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale domicilia in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale domicilia in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
- della decisione n. 26678 del 5 luglio 2017, assunta all'esito del procedimento PS10695 e notificata in data 18/7/2017, con cui l'Autorità ha condannato TIM al pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria complessiva di € 2.000.000,00 (euro duemilioni/00) per la presunta violazione degli artt. 49 lett. l), 51 c. 8, 50 c. 3, 57 c. 3 e c. 4 lett. a) del Codice del Consumo (D. Lgs. 206/2005, anche “Codice”);
- nonché di ogni altro atto connesso, consequenziale e/o presupposto ed in particolare del provvedimento del 7/4/2017, comunicato con pec prot. 0032501, con il quale ai sensi dell'art. 27 c. 7 del Codice e dell'art. 9 del “ Regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pubblicità ingannevole e comparativa, pratiche commerciali scorrette, violazione dei diritti dei consumatori nei contratti, violazione del divieto di discriminazioni e clausole vessatorie ”, adottato dall'Autorità con delibera del 1° aprile 2015 (“ Regolamento ”) è stata rigettata la proposta di impegni presentata da TIM nel corso del procedimento.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato e dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 novembre 2019 la dott.ssa Roberta Cicchese e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato (di seguito, “Agcm” o anche “Autorità”) comunicava in data 22 dicembre 2016 l’avvio di un procedimento istruttorio avente ad oggetto la possibile violazione da parte della società TIM S.p.A. (in avanti, “T”) degli artt. 49, lettera l), 51, comma 8, 57, comma 3 e comma 4, lettera a), del Codice del Consumo, come modificato dal Decreto Legislativo 21/2014 di recepimento della direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori nei contratti.
2. Poiché le condotte oggetto del provvedimento erano state diffuse attraverso mezzi di telecomunicazione (in particolare, tramite telefono e internet), in data 26 maggio 2017 veniva richiesto il parere all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (in seguito, “Agcom”), ai sensi dell’articolo 27, comma 6, del Codice del Consumo;l’Agcom rilasciava il proprio parere il 26 giugno 2017.
3. All’esito del procedimento istruttorio e tenuto conto del parere di Agcom, veniva adottato il provvedimento impugnato, con il quale l’Autorità riteneva la sussistenza di tre condotte illecite, per violazione degli artt. 49 e ss. del Codice del consumo.
Irrogava, quindi, a T tre sanzioni pecuniarie, rispettivamente pari a: 650.000 euro per la condotta sub a), 800.000 euro per la condotta sub b) e 550.000 euro per la condotta sub c).
4. Il provvedimento è stato impugnato da T, che ne ha sostenuto l’illegittimità per i seguenti motivi:
I. Violazione dei principî di imparzialità, buon andamento, buona amministrazione, proporzionalità e leale cooperazione (artt. 97 Cost. e 1 l. 241 del 1990;artt. 6, § 1 TUE e 41 della Carta dei Diritti Fondamentali Unione Europea;art. 5 TUE). Lesione del diritto di difesa, del giusto procedimento e del contraddittorio procedimentale (artt. 2 e ss. l. n. 241 del 1990;artt. 117, comma 1 Cost. e 6 Cedu). Violazione e/o falsa applicazione degli art. 4 e 5, c. 1, lett. d) del Regolamento nonché degli artt. 27, c. 7 del Codice e 9 del Regolamento. Eccesso di potere per sviamento, sproporzionalità, illogicità e travisamento del fatto. Difetto di motivazione.
Il provvedimento impugnato sarebbe viziato dal mancato esperimento, nella fase istruttoria, della procedura di moral suasion, disciplinata dagli artt. 4 e 5 del Regolamento.
Del pari illegittimo sarebbe il rigetto degli impegni presentati dal professionista in corso di procedimento.
II. Incompetenza assoluta. Sconfinamento di potere per esercizio di potere regolatorio. Violazione e/o falsa applicazione del principio di legalità e del principio di specialità di cui all’art. 46, comma 2 del Codice. Mancata e falsa applicazione dell’art. 3, commi 2 e 3 del Protocollo d’intesa AGCM - AGCOM, 23 dicembre 2016, in una con gli artt. 70 e 80 Codice delle comunicazioni elettroniche e della regolazione settoriale di attuazione e specificazione. Eccesso di potere per arbitrarietà.
Il provvedimento sarebbe viziato da incompetenza assoluta dell’AGCM, atteso che la competenza in materia, in virtù del principio di specialità, apparterrebbe all’Autorità di settore (Agcom).
III. Insussistenza dell’elemento soggettivo dei tre illeciti accertati. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 l. n. 689/1981. Difetto di motivazione.
La ricorrenza dell’illecito sarebbe stata ritenuta dall’AGCM sebbene difettasse, in capo al professionista, l’elemento soggettivo.
IV. Sul primo illecito accertato. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento del fatto. Irragionevolezza. Difetto di motivazione.
L’Autorità avrebbe ritenuto la ricorrenza dell’illecito sub a) – consistente, in sostanza, in omissioni informative - senza considerare che, dagli stessi elementi istruttori raccolti, risultava la messa a disposizione del consumatore delle informazioni in materia di diritto di recesso.
La pretesa omissione, inoltre, non avrebbe recato alcun danno ai consumatori.
V. Sul secondo illecito accertato. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 51 c. 8 e 50 c. 3 del Codice. Eccesso di potere per travisamento del fatto e difetto di istruttoria. Violazione della libertà di iniziativa economia privata, tutelata dall’art. 41 Costituzione e dagli artt. 119 TFUE, 6, § 1 TUE e 16 della Carta dei Diritti Fondamentali Unione Europea. Eccesso di potere per arbitrarietà. Incompetenza;esercizio di potere regolatorio sotto altro profilo. Violazione dell’art. 4 direttiva n. 2011/UE/83. Violazione dell’art. 46, c. 2 del Codice. Violazione del principio di irretroattività della norma giuridica (art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale) e del principio di legalità della sanzione amministrativa (art. 1 l. n. 689/1981).
La ritenuta sussistenza dell’illecito sub b) - riguardante l’attivazione del servizio durante il periodo di recesso in assenza di consapevole richiesta del consumatore - sarebbe in contrasto con la produzione documentale versata in atti dal professionista in corso di procedimento e sarebbe frutto di un’interpretazione additiva delle norme delle quali è stata fatta applicazione.
Così operando, l’Autorità si sarebbe autoattribuita un potere regolatorio di cui è priva.
VI. Sul terzo illecito accertato: Illegittimità derivata per insussistenza dell’illecito presupposto. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 66 c. 2 del Codice e 57 c. 3 e c. 4 lett. a), punti 1 e/o 2 del Codice. In subordine: identità strutturale dell’illecito a) e dell’illecito c), per come accertati dall’AGCM. Bis in idem. Eccesso di potere per grave difetto di istruttoria, travisamento del fatto, irragionevolezza e disparità di trattamento. Illogicità. Difetto di motivazione.
La ritenuta sussistenza dell’illecito sub c) - concernente l’addebito di costi in caso di recesso - sarebbe affetta, per invalidità derivata, dagli stessi vizi già spiegati con riferimento alla parte di provvedimento che ha ritenuto la ricorrenza della pratica sub b).
Inoltre l’Autorità non avrebbe tenuto conto del fatto che la “policy” aziendale prevedeva che il consumatore, che esercitasse il diritto di ripensamento, fosse tenuto indenne da qualsiasi costo.
VII. Sul quantum sanzionatorio: Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 66, c. 2, 27, c. 13 Codice e 11 l. n. 689/1981, nonché dell’art. 46, c. 2 Codice. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento del fatto, disparità di trattamento, irragionevolezza, sproporzionalità, ingiustizia e illogicità manifeste. Motivazione apparente.
La sanzione irrogata a T, peraltro fonte di grave danno mediatico per il professionista, sarebbe ingiusta e contraria ai principi di proporzionalità e adeguatezza.
5. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato e l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni si sono costituite per resistere al ricorso.
6. All’udienza del 20 novembre 2019, uditi per le parti i difensori presenti come da verbale, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Il provvedimento sanzionatorio impugnato ha ad oggetto tre condotte poste in essere da T, ritenute in contrasto con talune disposizioni contenute negli articoli 49 e ss. del Codice del consumo, le quali hanno recepito disposizioni della disciplina dettata dalla direttiva 2011/83/Ue in tema di diritti dei consumatori nei contratti.
2. Con il primo motivo di doglianza T lamenta la mancata attivazione, da parte dell’Autorità, dell’istituto della “ moral suasion” , il ricorso alla quale avrebbe consentito la definizione del procedimento in tempi più brevi e con miglior contemperamento degli interessi coinvolti.
Con il medesimo motivo il professionista censura la decisione di rigetto degli impegni da esso offerti, tali, a suo giudizio, da implementare la tutela del consumatore e comunque relativi a condotte non connotate da manifesta illiceità o gravità.
3. Il motivo non è fondato.
Deve infatti rilevarsi come, per consolidato orientamento giurisprudenziale, anche della Sezione, il ricorso all’istituto della “ moral suasion ”, ai sensi del Regolamento concernente le procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette, è espressamente subordinato alla valutazione discrezionale, rimessa all’Autorità procedente, della qualificabilità della pratica commerciale sospetta di ingannevolezza come non particolarmente grave (cfr., da ultimo, Tar Lazio, Roma, sez. I, 4 luglio 2019, n. 8747 e 3 giugno 2019, n. 7123).
Analoga valutazione discrezionale è sottesa alla valutazione degli impegni presentati dal professionista in corso di procedimento e volti a porre fine all’infrazione, anche questa esclusa, ai sensi dell’art. 27, comma 7, del Codice del Consumo, in presenza di “ casi di manifesta scorrettezza e gravità ” della pratica.
In proposito la giurisprudenza ha infatti rilevato che l’Autorità “ gode di ampia discrezionalità nell'accogliere o nel respingere le offerte di impegno a cessare dal comportamento scorretto da parte dei soggetti che risultano destinatari dell'apertura di una procedura di infrazione. Tale lata discrezionalità si estrinseca, più nel dettaglio, in una duplice direzione: anzitutto nell'accertare se il caso, per la sua gravità intrinseca e per la natura manifesta della scorrettezza accertata, merita in ogni caso la finalizzazione del procedimento sanzionatorio, che resterebbe altrimenti inibita dall'accettazione della dichiarazione di impegno;in secondo luogo, nella valutazione dei contenuti specifici della dichiarazione espressiva dello ius poenitendi ” (cfr., ex multis : Tar Lazio, sez. I, 9 aprile 2019 n. 4621).
La ricorrente, in ogni caso, non individua, all’interno del motivo in esame o in quelli ulteriori spiegati, vizi logici puntuali della valutazione posta in essere dall’Autorità in ordine all’inerenza delle fattispecie indagate a pratiche commerciali “ manifestamente scorrette e gravi ”, avendo sul punto argomentato in maniera assertiva.
4. Con il secondo motivo di doglianza, T contesta la competenza di AGCM a valutare le condotte sanzionate, astrattamente riconducibili alla competenza dell’Agcom, nella sua qualità di autorità regolatrice del settore delle comunicazioni elettroniche.
A tanto condurrebbero sia l’applicazione di un principio di specialità “ per ordinamenti ” sia un principio di specialità “ per fattispecie ”.
5. Anche tale doglianza è infondata.
E infatti le sanzioni applicate a T con il provvedimento oggi impugnato, sono state irrogate dall’Autorità non per l’asserito compimento di pratiche commerciali scorrette, in violazione degli articoli 18 e ss. del Codice del Consumo (di recepimento della direttiva 2005/29), ma in relazione al mancato rispetto degli obblighi di protezione del consumatore di cui alla direttiva 2011/83/Ue, recepiti dai successivi articoli 49 e ss. del Codice.
In materia la Sezione - con riferimento a un ricorso proposto da altro operatore telefonico avverso un provvedimento sanzionatorio per violazione degli art. 49 e ss. del codice del consumo, che aveva pure formulato una richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’art. 27, comma 1 bis, del Codice del Consumo - ha infatti recentemente chiarito che “ La diversa natura delle fonti normative a fondamento delle sanzioni porta ad escludere che possa sorgere un problema di potenziale sovrapposizione di competenze tra diverse autorità di settore, mancando in radice il presupposto della questione oggetto di rinvio pregiudiziale, vale a dire la riconducibilità di una medesima fattispecie tanto a una normativa generale (quella sulle pratiche commerciali scorrette) che a una disciplina settoriale (nell’ipotesi qui in rilievo, quella a tutela delle comunicazioni elettroniche)” , rilevando come, quando si faccia applicazione degli articoli 49 e ss. del Codice del consumo. “ La fattispecie oggetto di esame da parte dell’Agcm riguarda […] la diversa ipotesi di presunta violazione di diritti a tutela dei consumatori (cd. “consumer rights”) e, in particolare, nell’ambito dei contratti a distanza e negoziati fuori dai locali commerciali, le informazioni da rendere nella fase precontrattuale, nonché la previsione di specifici requisiti di forma e di tutele particolari nel caso dell’esercizio del diritto di recesso” (così, Tar Lazio, Roma, sez. I, 1 giugno 2018, n. 6104)
La Sezione ha infatti rilevato che le fattispecie riguardanti la trasposizione della direttiva 2011/83/Ue sono regolate unicamente dal Codice del consumo e non possono ritenersi sovrapponibili o comunque assorbite dalle tutele previste nel Codice delle comunicazioni elettroniche.
Lo stesso art. 66 del Codice del consumo, che prevede la competenza della sola AGCM ad accertare e sanzionare le condotte poste in violazione di tali previsioni, stabilisce che rispetto alle disposizioni sui diritti dei consumatori trovano applicazione unicamente i commi da 2 a 15 dell’articolo 27 del medesimo Codice, escludendo il comma 1 bis. Non viene, quindi, neppure contemplata nel caso in esame la norma che attribuisce la prevalenza della competenza di AGCM in caso di sovrapposizione con fattispecie regolate da altre discipline settoriali e richiamata nei quesiti già sottoposti alla CGUE.
Ne consegue che, poiché gli obblighi posti a tutela degli utenti introdotti con il recepimento della direttiva 2011/83/Ue di cui al Codice del consumo risultano aggiuntivi e complementari rispetto a quelli previsti dal Codice delle comunicazioni elettroniche, non sussiste alcuna sovrapposizione tra fattispecie regolate sia da una normativa generale che una speciale, ciò che esclude, già a livello in astratto, la questione della delimitazione delle competenze tra le due Autorità chiamate ad accertare e sanzionare eventuali violazioni delle condotte imposte da entrambe le normative.
6. Con il terzo motivo di doglianza T sostiene l’illegittimità del provvedimento sanzionatorio impugnato per difetto dell’elemento soggettivo.
In particolare, la ricorrente rappresenta di aver posto in essere condotte che essa riteneva pienamente legittime in quanto rispettose della regolazione di settore, oltre che conformi a misure richieste da AGCM in precedenti provvedimenti a suo carico conclusi senza irrogazione di sanzione.
7. Il motivo è infondato.
Con riferimento alla pretesa conformità alla normativa di settore è, infatti, sufficiente rinviare quanto sopra osservato in ordine alla non coincidenza delle discipline richiamate, così che il mero rispetto dalla prescrizioni Agcom in punto di recesso non esonerava il professionista dal rispetto delle diverse prescrizioni poste dal Codice del consumo in materia consumers rights .
Con riferimento al preteso affidamento in ordine alla legittimità delle condotte, ingenerato nel professionista dall’esito favorevole di tre precedenti provvedimenti “antitrust”, deve poi osservarsi come la ricorrente non abbia efficacemente smentito, né a mezzo di argomentazioni né a mezzo di allegazioni documentali, quanto affermato nel provvedimento impugnato in ordine alla palese differenza di oggetto tra i procedimenti già definiti e le nuove contestazioni.
In particolare, come già affermato nel provvedimento, nei paragrafi 74 e 75, deve rilevarsi come:
a) la moral suasion e gli interventi migliorativi adottati dall’operatore nell’ambito del procedimento PS/10014 riguardavano il processo di vendita “on line” di beni (telefoni, “tablet”, ecc.), così da risultare completamente estranei alla fattispecie oggi in esame, relativa alla prestazione di servizi (cfr., sul punto, allegato 9 della produzione di parte ricorrente, ove è chiaro che il procedimento PS/10014 si riferiva all’ “ acquisto ” di “ prodotti per uso personale ”, menzionandosi poi possibili “ difetti del prodotto ” o sua inidoneità all’uso o all’assenza di caratteristiche promesse, o, ancora a difetti derivanti da normale uso, uso anomalo o impropri e eventi accidentali e così via, tutti predicabili solo con riferimento alla vendita di beni, dato ulteriormente confermato dalla presenza, nel medesimo allegato, di stampe tratte dal sito della ricorrente e contenenti immagini di “tablet” e dal fatto che le informazioni contenute nel documento depositato fanno espressamente riferimento a fornitura di beni);
b) la moral suasion che ha definito il procedimento PS10392 riguardava unicamente le modalità di presentazione, nell’ambito del sito “web”, dell’informazione sul diritto di ripensamento e non anche i suoi contenuti, i quali costituiscono, invece l’oggetto del provvedimento in esame (cfr. documento 10, depositato da parte ricorrente, che fa riferimento alla contestata violazione dell’art. 49, comma 1, lettera c) del Codice del consumo – e non lettera l) - come emerge, in particolare, dall’ultimo capoverso di pag. 2 e dal secondo e dal quarto capoverso di pag. 3);
c) il procedimento PS9982, concluso con provvedimento 25757 del 2 dicembre 2015, riguardava le sole procedure di conclusione di contratto al telefono (“teleselling”) e aveva ad oggetto la contestazione della violazione dell’art. 51, commi 6 e 7, mentre il provvedimento oggi in esame riguarda la violazione dell’art. 51, comma 8, del Codice del consumo, che concernete tutti i contratti a distanza (cfr. doc. 14 allegato dal parte ricorrente, ove è chiaro il riferimento del procedimento PS9982 alla sola procedure di “teleselling” – sia nella parte A sia nella parte B degli impegni - mentre non è dato riscontrare, ciò che avrebbe specifico costituito onere probatorio della parte che ha contestato sul punto il provvedimento dell’Autorità, l’identità di contestazione negata dal provvedimento al richiamato punto 75).
8. Con il quarto motivo di ricorso T sostiene l’insussistenza in fatto dell’illecito sub a) – mancato assolvimento dell’obbligo informativo di cui all’art. 49, lett. l), del codice – a suo giudizio accertata dall’Autorità a seguito di un’istruttoria lacunosa e senza valutare adeguatamente l’apporto partecipativo del professionista.
9. La prospettazione non può essere condivisa.
L’illecito ritenuto sussistente dall’Autorità è consistito, come si legge al paragrafo 2 del provvedimento, “ nell’aver omesso di fornire, in maniera chiara e comprensibile e prima ce il consumatore fosse vincolato da un contratto a distanza (online mediante il sito internet www.tim.it e/o per telefono) e/o negoziato fuori dei locali commerciali o da una corrispondente offerta rivolta al professionista (c.d. inversione dei ruoli), le informazioni richieste dall’art. 49, comma 1, lett. l), del Codice del Consumo e, in particolare, ;i) l’informazione in merito alla circostanza che, nel caso di esercizio del diritto di recesso dopo aver presentato una richiesta esplicita, rispettivamente, ai sensi dell’art. 51, comma 8, o dell’art. 50, comma 3, del codice del consumo, il consumatore è responsabile del pagamento al professionista dei costi indicati nell’art. 57, comma 3, del Codice del Consumo;ii) l’informazione, anche nelle condizioni generali di contratto, che gli stessi sono dovuti “sino al momento in cui il consumatore ha informato il professionista dell’esercizio del diritto di recesso;iii) l’informazione nell’ambito dell’informativa sui tempi di attivazione di cui all’art. 49, comma 1, lettera g) del Codice del Consumo che gli stessi devono tenere conto dell’eventuale periodo di recesso nel caso in cui il consumatore non intenda chiedere la suddetta anticipazione ”.
In via preliminare occorre ricordare come il citato art. 49, alla lettera l, dispone che “ 1. Prima che il consumatore sia vincolato da un contratto a distanza o negoziato fuori dei locali commerciali o da una corrispondente offerta, il professionista fornisce al consumatore le informazioni seguenti, in maniera chiara e comprensibile: ... l) che, se il consumatore esercita il diritto di recesso dopo aver presentato una richiesta ai sensi dell'articolo 50, comma 3, o dell'articolo 51, comma 8, egli è responsabile del pagamento al professionista di costi ragionevoli, ai sensi dell'articolo 57, comma 3”.
Il provvedimento impugnato, come inequivocabilmente espresso nei paragrafi da 16 a 29, nonché 84 e 85, ha chiaramente sanzionato l’incompletezza dell’informativa con specifico riferimento alla mancata menzione del fatto che gli “ eventuali costi correlati al servizio fruito ”, sono dovuti “ sino al momento in cui il consumatore ha informato il professionista dell’esercizio del diritto di recesso ”, come disposto dall’art. 57, comma 3, spiegando in maniera assolutamente chiara le ragioni per le quali l’informativa è dovuta anche qualora il professionista ritenga di non addebitare alcun costo.
Ciò posto risulta assolutamente irrilevante il fatto che il provvedimento riconosca che altre informazioni, pure necessarie ai sensi dell’art. 49, erano reperibili nel sito “web” dell’operatore.
Quanto ai vocal order diffusi da gennaio 2015 ad aprile 2016, poi, è rimasto incontestato quanto affermato dall’Autorità in ordine al fatto che gli stessi non menzionassero la circostanza che l’anticipazione doveva essere richiesta dal consumatore, essendosi sul punto T limitata a rappresentare che gli operatori menzionavano solo la possibilità del recesso e l’entità dei rimborsi.
Quanto infine al canale agent , le affermazioni di cui al paragrafo 86 del provvedimento vanno correlate alle risultanze istruttorie di cui ai paragrafi 28 e 29, dalle quali è emerso che anche tale modalità di vendita prevedeva la contestata carenza informativa.
10. Con il quinto motivo di ricorso T ha contestato la ritenuta ricorrenza dell’illecito sub b).
In particolare, a giudizio della ricorrente, non esisterebbe, nel Codice del consumo, una norma che imponga al professionista di garantire al consumatore la facoltà, in ogni canale commerciale astrattamente utilizzabile, di richiedere o meno l’esecuzione anticipata del contratto, così che la violazione ad essa contestata avrebbe avuto ad oggetto una prescrizione inesistente, creata dall’Autorità in assenza di poteri regolatori.
11. Anche tale doglianza va respinta.
La pratica sub b è stata ravvisata dal provvedimento “ Nella conclusione di contratti a distanza (online, mediante il sito internet www.tim.it e/o per telefono) e/o negoziati fuori dai locali commerciali ovvero nell’acquisizione di una corrispondente proposta rivolta al consumatore da Telecom, dando principio di esecuzione al contratto ovvero procedendo al processo di attivazione della linea e/o di migrazione da altro operatore durante il periodo di recesso, senza esigere la relativa autonoma richiesta esplicita da parte del consumatore prevista rispettivamente dall’art. 51, comma 8, e dall’art. 50, comma 3, del Codice del Consumo, e, in ogni caso senza mettere il consumatore nella condizione di poter liberamente scegliere tale opzione e di poter concludere il contratto a distanza e/o negoziato fuori dai locali commerciali anche in assenza di tale volontà ”.
Al fine di valutare si vi sia o meno un obbligo positivizzato di porre il consumatore in condizione di scegliere sempre se chiedere o meno l’attivazione della linea o la migrazione durante il periodo di recesso è utile riportare il contenuto delle norme che l’Autorità ha ritenuto violate.
L’art. 51, comma 8, prevede che “ Per quanto riguarda i contratti a distanza il professionista fornisce o mette a disposizione del consumatore le informazioni di cui all'articolo 49, comma 1, in modo appropriato al mezzo di comunicazione a distanza impiegato in un linguaggio semplice e comprensibile. Nella misura in cui dette informazioni sono presentate su un supporto durevole, esse devono essere leggibili ”;l’art. 50, comma 3, poi, stabilisce che “ Se un consumatore vuole che la prestazione dei servizi ovvero la fornitura di acqua, gas o elettricità, quando non sono messi in vendita in un volume limitato o in quantità determinata, o di teleriscaldamento inizi durante il periodo di recesso previsto all'articolo 52, comma 2, il professionista esige che il consumatore ne faccia esplicita richiesta su un supporto durevole ”.
L’utilizzo della congiunzione “ se ”, nella seconda disposizione, evidenzia chiaramente come l’opzione di chiedere o meno l’attivazione anticipata debba essere sempre proposta al consumatore, mentre, ai sensi della prima disposizione, la possibile alternativa tra le diverse modalità – chiedere o meno l’attivazione anticipata - deve essere comunicata al consumatore a mezzo di un linguaggio semplice e comprensibile.
La regola è dunque contenuta nelle norme, così che l’Autorità si è limitata a rilevare la violazione della stessa da parte di T, senza che ciò abbia comportato l’esercizio di alcuna potestà regolatoria “contra legem” da parte dell’AGCM (sul principio per cui “ le procedure di migrazione presuppongono sempre il consenso espresso del consumatore all’esecuzione del contratto a partire dal periodo di recesso, sicché il rispetto delle modalità e delle tempistiche di migrazione stabilite da Agcom comunque non può prescindere dall’acquisizione di tale consenso ”, cfr. Tar Lazio, Roma, sez. I, 1 giugno 2018, n. 6104), che ha pure rilevato come “ Trattandosi, inoltre, di un obbligo imposto da una direttiva di massima armonizzazione, esso prevale comunque rispetto ad eventuali norme interne di contenuto asseritamente confliggente ”)
12. Con il sesto motivo di ricorso T censurato la ritenuta sussistenza dell’illecito sub c), l’accertamento della quale sarebbe affetto sia da invalidità, derivata discendente dall’accertamento della pratica sub b), sia da vizi propri.
La pratica sub c) è stata ravvisata dal provvedimento nel fatto che “ in assenza dell’informativa di cui all’art. 49, comma 1, lettera l) del Codice del Consumo e, comunque, in assenza della richiesta esplicita di cui all’art. 51, comma 8, e/o all’art. 50, comma 3, del Codice del Consumo, nella richiesta e/o nell’addebito al consumatore che eserciti il diritto di ripensamento da un contratto a distanza (online e/o per telefono) e/o negoziato fuori dei locali commerciali dei costi relativi a “ un importo correlato al servizio acquisito e fruito fino al momento dell’invio della comunicazione” .
La ricorrente sostiene in proposito che la policy aziendale, applicata al momento dei fatti, prevedeva di tenere indenne il consumatore che esercitasse il diritto di ripensamento da qualsiasi costo, anche a fronte di servizi effettivamente fruiti.
L’unico caso in cui era previsto un costo era quello in cui il diritto di ripensamento fosse stato esercitato a procedura di portabilità divenuta tecnicamente irreversibile;tale ipotesi tuttavia, sarebbe stata statisticamente irrilevante.
La ricorrente ha pure osservato che l’Autorità avrebbe illegittimamente costruito la fattispecie come illecito di pericolo, anziché di danno e che, la mancata considerazione dell’assenza di danno ai consumatori, dipendente dalla detta ricostruzione teorica, avrebbe provocato una duplicazione sanzionatoria del medesimo fatto materiale (sub pratica b) e sub pratica c), con conseguente violazione del “ne bis in idem”.
13 Anche tale doglianza è infondata.
L’illecito sanzionato consiste nella richiesta o nell’addebito di una certa somma.
Nessuna delle due condotte è riconducibile alla pratica sub b), con la quale è stata sanzionata la mancata proposizione della corretta possibilità di scelta al consumatore.
Ne consegue che non è ravvisabile alcuna duplicazione sanzionatoria o violazione del “ne bis in idem”.
Il fatto poi che siano state individuate, come condotte rilevanti nell’ambito della terza pratica, due modalità alternative - richiesta di somma o addebito – rende irrilevante la circostanza che l’addebito abbia avuto luogo nei soli rari casi in cui il procedimento risultava tecnicamente irreversibile.
L’Autorità infine non ha affatto trasformato un illecito di danno in un illecito di pericolo atteso che le disposizioni di cui è stata fatta applicazione descrivono chiaramente degli illeciti formali.
14. Con l’ultimo motivo di impugnazione, T contesta l’attività di quantificazione della sanzione, a suo giudizio ingiusta, irragionevole e non proporzionale ai fatti accertati e alle conseguenze degli stessi.
15. La censura può essere condivisa solo in parte.
In primo luogo va rilevata l’infondatezza delle argomentazioni con le quali la ricorrente ha richiamato il presunto affidamento ingenerato dalla favorevole conclusione di tre precedenti provvedimenti (già analizzata nell’esame del terzo motivo di ricorso), l’assenza di segnalazioni (che non costituiscono presupposto di validità dell’adozione di provvedimenti sanzionatori, potendo l’Autorità agire d’ufficio ai sensi dell’art. 66, comma 2, del Codice del consumo), la pretesa natura additiva dell’interpretazione che l’Autorità ha fornito delle disposizioni del Codice del consumo di cui ha fatto applicazione (insussistente ai sensi di quanto osservato nell’esame del quarto e del quinto motivo di ricorso) e la spontanea implementazione degli impegni nonostante il rigetto dei medesimi (la cui valenza parzialmente esimente è stata comunque valutata dall’Autorità nella quantificazione della sanzione).
Del pari corretto appare il riferimento del provvedimento impugnato al fatturato di T e alla circostanza che le tre fattispecie sanzionate abbiano avuto ad oggetto vendite a distanza o fuori dai locali commerciali (per la legittimità del riferimento al fatturato al fine di garantire l'effettiva efficacia deterrente della sanzione pecuniaria, oltre che in dipendenza del fatto che tale dato concorre a delineare la gravità della condotta, cfr. da ultimo, Tar, Lazio, Roma, sez. I, 4 gennaio 2019, n.61).
La doglianza è invece fondata laddove la ricorrente lamenta l’omessa considerazione degli effetti pratici della pratica.
E infatti, seppure non possa essere condivisa l’asserita minor gravità delle violazione di cui agli art. 49 s.s. del Codice del consumo (relativa alle informazioni precontrattuali per il consumatore e diritto di recesso nei contratti a distanza e nei contratti negoziati fuori dei locali commerciali) rispetto alle pratiche commerciali scorrette di cui agli art. 18 s.s del medesimo Codice, va comunque considerato che gli effetti della pratica concorrono a definirne la gravità, parametro sicuramente rilevante in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio.
Altra circostanza alla quale l’Autorità non ha attribuito il giusto rilievo, pure questa incidente sulla gravità dei fatti, va ravvisata nelle incertezze interpretative derivanti dalla relativa novità della normativa, entrata in vigore nel 2014.
16. Va pertanto accolta la domanda subordinata di riduzione della sanzione.
Ne deriva che, poiché all'apprezzamento dei considerati fattori appare congruo assegnare alla una incidenza stimabile nel 25%, la sanzione deve essere rideterminata nella complessiva somma di euro 1.500.000,00 (unmilionecinquecentomila).
Per tutto quanto precede, il ricorso deve essere accolto in parte, quanto alla misura della sanzione irrogata alla ricorrente, annullando per l'effetto l'impugnata determinazione e rideterminando la sanzione stessa nell'importo pari ad euro 1.500.000,00 (unmilionecinquecentomila).
17. Il parziale accoglimento del ricorso e la novità delle questioni giustificano la compensazione tra le parti delle spese di lite.