TAR Roma, sez. V, sentenza 2023-05-03, n. 202307544

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. V, sentenza 2023-05-03, n. 202307544
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202307544
Data del deposito : 3 maggio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/05/2023

N. 07544/2023 REG.PROV.COLL.

N. 02709/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2709 del 2022, proposto da
P F, rappresentato e difeso dall'avvocato G M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

- FONDAZIONE ENPAM - Ente Nazionale di Previdenza e di Assistenza dei Medici e degli Odontoiatri, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati A P, A L, F D N, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avv. A P in Roma, piazza San Bernardo n.101;
- MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI e MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona dei rispettivi Ministri in carica, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per ripristinare

- il corretto svolgimento della funzione amministrativa riguardante la tutela previdenziale degli iscritti alla gestione previdenziale Fondo Generale ENPAM-Quota B, affidata ex d.lgs- n. 509/1994 alla Fondazione ENPAM sotto la vigilanza del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di concerto con il Ministero dell'Economia e delle Finanze, in maniera conforme agli imprescindibili principi costituzionali di uguaglianza, imparzialità e non discriminazione, riconosciuti come diritti fondamentali da garantire anche in ogni Carta dei servizi, fin dal d.P.C.M. 27 gennaio 1994 "Principi sull'erogazione dei servizi pubblici" , rimuovendo l'inefficienza dimostrata da ENPAM e dai Ministeri vigilanti;

e per la declaratoria

- dell’obbligo dei Ministeri vigilanti di attivarsi per l'esecuzione del giudicato mediante l’esercizio di tutte le prerogative possedute nei riguardi dell'ENPAM (fino eventualmente all’adozione di un atto di commissariamento) e, in mancanza, la nomina, da parte del giudice amministrativo, di un commissario ad acta che le eserciti in via sostituiva, secondo le regole generali;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Fondazione Enpam - Ente Nazionale di Previdenza e di Assistenza dei Medici e degli Odontoiatri, del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e del Ministero dell'Economia e delle Finanze;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 marzo 2023 il dott. S Z e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.1. Con ricorso “per l’efficienza delle pubbliche amministrazioni ex art. 1 del D.Lgs. 20 dicembre 2009, n. 198 , notificato il 20 febbraio 2022 e depositato il 14 marzo successivo, il ricorrente (iscritto all’Ordine dei Medici e degli Odontoiatri della provincia di Lucca, medico odontoiatra libero professionista iscritto al Fondo Generale ENPAM – Quota B):

- ha premesso che con diffida ex art.3, comma 1 del d.lgs. n. 198/2009 datata 22 novembre 2020, indirizzata all’ENPAM e ai Ministeri vigilanti, ha documentato come la riforma complessiva delle gestioni previdenziali ENPAM del 2012 - attuata a seguito delle gravi criticità riscontrate dai Ministeri con la nota 11350 del 27 giugno 2011, e delle successive prescrizioni “straordinarie” del decreto legge Salva-Italia n. 201 del 6 dicembre 2011, convertito con modificazioni dalla legge n. 214 del 22 dicembre 2011 (legge Fornero) - approvata dai Ministeri vigilanti con nota del 9 novembre 2012, avrebbe determinato una grave discriminazione a carico degli iscritti quota B;

- lamenta, in particolare, che la mancanza di equità e imparzialità nelle modifiche regolamentari adottate avrebbero determinato a carico degli iscritti alla quota B ingiusti e non proporzionati aumenti contributivi e diminuzione delle corrispondenti valorizzazioni degli stessi ai fini previdenziali, disancorati dalla situazione economico-finanziaria della rispettiva gestione previdenziale, col fine illegittimo di evitare che iscritti ad altre gestioni previdenziali ENPAM fossero chiamati a contribuire in maniera coerente ed adeguata al necessario risanamento delle loro gestioni;

- si duole pertanto, appunto nella sua qualità di “pensionato della quota B dal 2020, ma ancora contribuente della stessa perché continua la sua attività libero-professionale” di avere in concreto “subito, a seguito del procedimento di approvazione delle modifiche regolamentari adottate dall’ENPAM come conseguenza della riforma previdenziale ENPAM del 2012, una decurtazione della pensione spettante derivante dagli effetti della riforma riguardo ai contributi versati per gli anni dal 2013 al 2020 e all’applicazione della nuova aliquota di rendimento del 1,25%”;

- deduce che i Ministeri vigilanti avrebbero permesso tale discriminazione, approvando le modifiche regolamentari predisposte da ENPAM senza contestare all’ente la mancanza di equità, proporzionalità, ragionevolezza e imparzialità delle stesse, rispetto agli iscritti alla quota B, peraltro senza muovere alcun rilievo anche ai successivi bilanci tecnici presentati dalla Fondazione;

- sostiene che sarebbero stati così violati - oltre alla direttiva d.P.C.M. 27 gennaio 1994 (recante "Principi sull'erogazione dei servizi pubblici" ) e al d.P.C.M. 21 dicembre 1995 (recante “Schema generale di riferimento per la predisposizione delle "Carte dei servizi pubblici del settore previdenziale e assistenziale" ) - anche il Codice Etico e la Carta dei Servizi ENPAM, gli artt. 3, 81 e 97 della Costituzione, l'art.41 della Carta di Nizza, l’art. 1, primo protocollo addizionale alla CEDU assieme all'art.14;
inoltre, riguardo alla specifica normativa di settore, sarebbero stati altresì violati per eccesso di potere: l’art. 2, comma 2 e l'art 3, comma 1 e 2 del d.lgs. n.509 del 1994;
l'art. 59, comma 20 della l. n. 449/1997;
l'art.5, comma 1 del d.m. 29 novembre 2007;
l’art. 3, comma 12°, della l. n. 335 dell’8 agosto 1995.

1.2. Con il ricorso in esame il ricorrente chiede, in sintesi, l’attuazione di modifiche regolamentari tali da riequilibrare i sacrifici richiesti agli iscritti alla quota B a livelli equi e proporzionati rispetto a quanto richiesto agli altri iscritti, tenuto conto della effettiva situazione economica della gestione previdenziale di appartenenza.

1.3. Si sono costituiti in giudizio, con atto di mero stile, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ed il Ministero dell'Economia e delle Finanze;
successivamente la difesa erariale ha depositato documenti e una memoria difensiva con la quale ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso per insussistenza dei presupposti di cui all’art.1 del d.lgs. n. 198/2009;
ed ha in subordine chiesto il rigetto del ricorso in quanto infondato.

1.4. Si è costituita in giudizio anche la Fondazione Enpam la quale ha depositato documenti e una memoria con la quale ha anch’essa preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso per insussistenza dei presupposti di cui all’art.1 del d.lgs. n. 198/2009, instando in subordine per il rigetto del ricorso in quanto infondato.

1.5. In vista dell’udienza pubblica il ricorrente ha depositato una memoria di replica.

1.6. Alla pubblica udienza del 22 marzo 2023 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

2. Preliminarmente deve essere esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dai Ministeri resistenti e dalla Fondazione Enpam sul rilievo della insussistenza, nel caso in esame, dei presupposti di cui all’art.1 del d.lgs. n. 198/2009.

2.1. L’art. 1 del d.lgs. 20 dicembre 2009, n. 198 - in virtù del quale è asseritamente promosso il ricorso - così dispone:

“Al fine di ripristinare il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio, i titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori possono agire in giudizio, con le modalità stabilite nel presente decreto, nei confronti delle amministrazioni pubbliche e dei concessionari di servizi pubblici, se derivi una lesione diretta, concreta ed attuale dei propri interessi, dalla violazione di termini o dalla mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento, dalla violazione degli obblighi contenuti nelle carte di servizi ovvero dalla violazione di standard qualitativi ed economici stabiliti, per i concessionari di servizi pubblici, dalle autorità preposte alla regolazione ed al controllo del settore e, per le pubbliche amministrazioni, definiti dalle stesse in conformità alle disposizioni in materia di performance contenute nel decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali coerentemente con le linee guida definite dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 13 del medesimo decreto e secondo le scadenze temporali definite dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150” .

2.2. Dalla lettura della norma si evince pertanto che l’azione collettiva contro la P.A. o un concessionario di pubblici servizi - previa diffida ai sensi del successivo art. 3 del suddetto decreto legislativo - può essere proposta soltanto a condizione che nei confronti degli interessati derivi una lesione diretta, concreta ed attuale;
e soltanto in caso di mancata o tardiva emanazione di atti amministrativi generali, obbligatori e non aventi contenuto normativo che la P.A. avrebbe dovuto emanare entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento, in caso di violazione degli obblighi contenuti nelle Carte di Servizi e in caso violazione di standard qualitativi ed economici.

Ne consegue pertanto, come evidenziato dalla giurisprudenza amministrativa, che il presupposto di ammissibilità dell’azione in questione presuppone la verifica della sussistenza di uno dei comportamenti tipizzati dalla norma, attesa l’impossibilità di azionare la c.d. class action pubblica al di fuori dei casi ivi espressamente contemplati (cfr. Cons. di Stato, Sez. VI, 9 giugno 2011, n. 3512 che esclude gli atti a contenuto normativo;
Tar Lazio, Roma, Sez. II quater, 6 settembre 2013, n. 8154;
TAR Basilicata, Sez. I, 21 settembre 2011, n. 478;
Tar Lazio, Roma, Sez. III ter, 16 settembre 2013, n. 8288;
Tar Lazio, Roma, Sez. I, 1 ottobre 2012, n. 8231).

2.3. Orbene, nel caso in esame il ricorrente si duole di una presunta “inefficiente attività di vigilanza” dei Ministeri resistenti che avrebbe concorso, o contribuito, al verificarsi delle censurate situazioni di “discriminazione, parzialità e mancanza di equità nei confronti degli iscritti alla quota B” , originate dall’approvazione delle modifiche regolamentari predisposte da ENPAM nel 2012.

Ed ha pertanto chiesto a questo T.A.R. di “ordinare:

- “ai Ministeri vigilanti e all’ENPAM di intervenire, entro un congruo termine, ognuno per il proprio ambito di competenza ponendo in essere tutti i provvedimenti necessari ad eliminare la situazione di discriminazione e grave inefficienza dimostrata a carico degli iscritti ENPAM fondo generale - Quota B, ossia a:

I) rimuovere le rilevanti penalizzazioni contributive e pensionistiche, non giustificabili in quella misura per ottenere, per il loro fondo, la sostenibilità pluriennale richiesta per legge.

II) stabilire per i contribuenti alla Quota B del Fondo Generale: 1) la riduzione del 20 % dell’aliquota contributiva ordinaria portandola dal 19,5% al 15,6% 2) il mantenimento dell’aliquota di rendimento della contribuzione ordinaria al 1,25%. In questo modo si determina così (per i contribuenti ordinari) un aumento del cosiddetto rendimento pensionistico per 100 € versati da 6,41€ a 8,01€. 3) In maniera analoga sono ridotte del 20%, le aliquote contributive degli altri contribuenti al fondo Generale- Quota B (pensionati e contribuenti secondo diverse modalità), con il mantenimento dell’aliquota di rendimento contributiva associata a tali iscritti prevista per il 2020.

III) in alternativa prevedendo per tutti i contribuenti al fondo Generale- Quota B la minor aliquota contributiva necessaria a mantenere a livelli equi il surplus patrimoniale, rispetto a quanto richiesto agli iscritti alle altre gestioni previdenziali ENPAM, riguardo all’obbligo di avere una riserva legale pari (anno per anno) a 5 volte la spesa pensionistica corrente, mantenendo sempre ferma l’aliquota di rendimento della contribuzione ordinaria al 1,25%, in maniera tale che le modifiche siano facilmente controllabili dagli iscritti.

IV) ordinare ai Ministeri vigilanti di attivarsi per l'esecuzione del giudicato mediante l’esercizio di tutte le prerogative possedute nei riguardi dell'ENPAM (fino eventualmente all’adozione di un atto di commissariamento) e, in mancanza, la nomina, da parte del giudice amministrativo, di un commissario ad acta che le eserciti in via sostituiva, secondo le regole generali.

V) ordinare ai Ministeri vigilanti, mediante attivazione delle loro prerogative, di essere i garanti del diritto di tutti gli iscritti ENPAM di avere una reale trasparenza sulle attività previdenziali, come previsto dalla Carta dei Servizi, controllando annualmente la pubblicazione sul sito online ENPAM dei bilanci tecnici e dei rilievi e delle note di argomento previdenziale indirizzate all’ENPAM dai Ministeri vigilanti o da altre amministrazioni.”

2.4. Osserva il Collegio che, con tutta evidenza, la condotta contestata dal ricorrente nei confronti dei Ministeri resistenti non rientra in nessuna delle summenzionate ipotesi previste dalla norma.

Indipendentemente dal merito delle difese spiegate in giudizio dai Ministeri – i quali sostengono invece di aver posto in essere tutti gli adempimenti dovuti, nell’ambito della propria attività di vigilanza, nel modo più efficace ed efficiente ai fini della sostenibilità della gestione dell’Ente vigilato e nell’interesse di tutti gli iscritti – risulta evidente che, anche a ritenere il contrario, l’azione proposta non avrebbe potuto fondarsi sull’omesso controllo o sulla omessa vigilanza, come si rileva dall’orientamento giurisprudenziale secondo cui “la normativa in discorso non contempla le situazioni in cui si siano verificate carenze inerenti l'omessa vigilanza e/o l'omesso controllo e, dunque, non consente agli eventuali interessati di attivarsi - mediante la c.d. class action pubblica - al fine di dolersi di quest'ultime e, contestualmente, sollecitare l'adozione di iniziative da parte delle Amministrazioni pubbliche dirette a sopperire ad ipotesi di inadempimento e/o inefficienza nei predetti termini denunciate” (T.A.R. Calabria, Sez. Reggio Calabria, 25 settembre 2015, n. 906).

L’omessa vigilanza, infatti, non rientra in nessuna delle ipotesi tipizzate dalla norma, non potendosi ritenere che essa (ove anche ritenuta sussistente) integri un ipotesi di “mancata o tardiva emanazione di atti amministrativi generali, obbligatori e non aventi contenuto normativo” che la P.A. avrebbe dovuto emanare entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento, o la “violazione degli obblighi contenuti nelle Carte di Servizi” o la “violazione di standard qualitativi ed economici”; in altre parole “l’azione collettiva - cioè - non attribuisce la possibilità di agire in via generale avverso forme di inefficienza dell’amministrazione” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 26 agosto 2022, n. 7493).

Piuttosto deve rilevarsi come le doglianze del ricorrente si appuntano sul merito delle scelte politico-amministrative della Cassa, da esso non condivise fino al punto da proporre egli stesso un diverso assetto previdenziale rispetto a quello vigente, dettando analiticamente i correttivi da egli ritenuti opportuni e indispensabili da attuarsi per via giudiziaria, spingendosi a chiedere a questo T.A.R. di ordinare ad Enpam ed ai Ministeri vigilanti di porre in essere le condotte dallo stesso descritte e sopra specificate, attraverso, ad esempio: “ 1) la riduzione del 20 % dell’aliquota contributiva ordinaria portandola dal 19,5% al 15,6% 2) il mantenimento dell’aliquota di rendimento della contribuzione ordinaria al 1,25%”.

Così facendo il ricorso si risolve nel disconoscimento e nel superamento, di fatto, delle competenze e delle prerogative delineate da specifiche disposizioni di rango legislativo e statutario e che vedono coinvolti, oltre che l’Assemblea Nazionale, i Comitati Consultivi, il Consiglio di Amministrazione della Fondazione e i Ministeri vigilanti - posto che le domande formulate a questo T.A.R., come sopra riportate, si concretizzano in una “condanna a un "facere" specifico che - per come rappresentato - non risulta sovrapponibile all'adozione di atti generali "da emanarsi obbligatoriamente" - contemplata dall'art. 1 in argomento” (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II bis, 11 marzo 2015, n. 4043).

In realtà - come ha correttamente rilevato il Ministero del Lavoro nella nota del 16 dicembre 2020 prodotta in atti - le pretese del ricorrente relativamente al riordino della normativa previdenziale della Fondazione avrebbero dovuto formare oggetto di proposte da indirizzare agli organi statutari che - in quanto rappresentativi e portatori degli interessi di tutti gli iscritti - sono abilitati ai sensi delle disposizioni di cui al d.lgs. n. 509/1994 ad esprimere, nell’ambito delle procedure delineate dallo Statuto medesimo, le istanze di modifica ordinamentale, che vanno poi sottoposte all’approvazione dei Ministeri vigilanti.

In definitiva, il ricorrente pretende di utilizzare lo strumento giurisdizionale introdotto dal Legislatore per fini ultronei rispetto a quelli perseguiti dalla norma, da un lato nel tentativo di superare ed eludere le competenze degli Organi istituzionali rappresentativi della Fondazione e dei suoi iscritti, ai quali soltanto spetta il compito di promuovere riforme degli assetti pensionistici, e dall’altro, al fine di eludere le decadenze e le preclusioni oramai maturate, non avendo a suo tempo impugnato le delibere dell’Ente e le relative approvazioni da parte dei Ministeri a ciò preposti che, con il ricorso in esame, vengono cesurate per la prima volta a distanza di oltre un decennio dalla loro emanazione.

3. Conclusivamente, per tutti i surriferiti motivi - rilevata l’insussistenza dei presupposti di cui all’art.1 del d.lgs. n. 198/2009 ai fini della proposizione della relativa azione giudiziaria - il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

4. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

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