TAR Napoli, sez. VI, sentenza breve 2022-02-25, n. 202201289

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. VI, sentenza breve 2022-02-25, n. 202201289
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 202201289
Data del deposito : 25 febbraio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 25/02/2022

N. 01289/2022 REG.PROV.COLL.

N. 00473/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 473 del 2022, proposto da
B N, rappresentato e difeso dall'avvocato Ivana Nicolo', con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Aversa, piazza P. Amedeo 24;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliataria ex lege in Napoli, via Diaz 11;

per l'annullamento,

previa sospensione dell’efficacia

del Decreto di rigetto della domanda di emersione del lavoratore irregolare presentata ai sensi del Decreto 19 Maggio 2020 n. 34, art. 103 comma 1, prot. n. P-NA/L/N/2020/120636 EM-SUB_2020 del 23.11.2021, notificato in data 03.12.2021, emesso dallo Sportello Unico per l'Immigrazione di Napoli.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 febbraio 2022 R V e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;


Con il ricorso all’esame si impugna il provvedimento indicato in epigrafe con il quale il Dirigente dello Sportello unico per l’immigrazione di Napoli ha respinto una istanza di “emersione” presentata a beneficio di parte ricorrente da Russolillo Lucia, nella qualitas di legale rappresentante della Quadrifoglio soc. coop., in base all’articolo 103, comma 1, decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77;
il diniego si basa sulla inesistenza in capo alla società datrice di lavoro di redditi sufficienti e quindi sulla previsione del combinato disposto del comma 6 dell’articolo 103 citato e dell’articolo 9 D.M. 27 maggio 2020 (regolamento recante “ Modalità di presentazione dell'istanza di emersione di rapporti di lavoro ”).

Il ricorrente denuncia che il provvedimento è illegittimo per la pretermissione delle guarentigie procedimentali spettanti al ricorrente –non essendo stato il preavviso rigetto notificato anche ad essa parte ricorrente-, nonché avuto riguardo al fatto che l’amministrazione non avrebbe valutato – non essendosi la procedura potuta concludere per fatto non imputabile al lavoratore – la possibilità di rilasciare un permesso di soggiorno per attesa occupazione, tenuto conto che tale possibilità sarebbe ammessa dalle circolari emanate dal ministero dell’interno per l’attuazione della normativa dell’articolo 103.

L’amministrazione si è costituita solo formalmente.

Il ricorso non è fondato.

Il primo mezzo di gravame afferente alla pretesa carenza della comunicazione del cd. “preavviso di rigetto”, palesa financo profili di inammissibilità, prima ancora che di infondatezza, non essendo stata rappresentata alcuna lesione di natura sostanziale alle prerogative della ricorrente riveniente dalla asserita omissione procedimentale “addebitata” alla Amministrazione resistente.

Non è stato rappresentato nel gravame alcun plausibile argomento la cui “introduzione” nel procedimento sarebbe stata in grado di diversamente orientarne il risultato, siccome si avrà modo di chiarire infra, in sede di scrutinio delle doglianze afferenti al “merito” del gravato provvedimento.

Non è, in altre parole, indicata la rilevanza che avrebbe in concreto assunto la asserita carenza di contraddittorio procedimentale e, dunque, la valenza incidente di detta interlocuzione sul contenuto sostanziale dei fatti fondanti il gravato diniego.

Ne discende la inammissibilità per genericità della censura, ove si abbia riguardo al di per sé risolutivo rilievo che non risulta allegato un concreto pregiudizio al diritto di difesa e di partecipazione procedimentale, mancando parte ricorrente di indicare in qual modo e in che misura il lamentato vizio –ove in ipotesi sussistente- abbia in concreto precluso la introduzione di deduzioni in grado di sostanzialmente incidere sulle determinazioni della Amministrazione, ovvero abbia potuto in qualche modo ledere il diritto della ricorrente all’ottenimento di una decisione “equa” (TAR Lombardia, I, 22 dicembre 2018, n. 2833).

La certazione giudiziale della legittimità della azione provvedimentale quivi censurata rende irrilevante la (asserita) pretermissione procedimentale, attesa la inidoneità di un qualsiasi apporto collaborativo a determinare una differente conclusione della vicenda.

La ricaduta patologica di tale lamentata violazione “formale e/o procedimentale” è quindi sterilizzata dall’applicazione dell’art. 21- octies , comma 2 primo periodo, della legge 241/90, norma che ben si attaglia anche alla omessa comunicazione del cd. “preavviso di rigetto” della istanza che ne occupa, stante (in fattispecie analoga, TAR Campania, VI, 7 ottobre 2021, n. 6331):

- la natura vincolata dell’accertamento effettuato dalla Amministrazione (relativo alla inesistenza di adeguati flussi reddituali in capo al datore di lavoro);

- la irriducibilità della fattispecie provvedimentale de qua agitur alla diversa previsione di cui al secondo periodo del ridetto art. 21- octies ;

- la correlata inapplicabilità della novella di cui al d.l. 76/20 (siccome convertito) a mente della quale è la sola previsione del secondo periodo del comma 2 del citato art. 21- octies (allorquando si è in presenza dell’esercizio di discrezionalità amministrativa, ovvero in mancanza di atti vincolati) a non applicarsi “ al provvedimento adottato in violazione dell'articolo 10 bis ”.

Anche il secondo mezzo, siccome sopra prospettato, è parimenti infondato.

La tesi di parte ricorrente secondo cui – ove il reddito del datore di lavoro sia inferiore al minimo previsto (ovvero non risulti congruo in relazione al numero di richieste presentate) - non perfezionandosi la procedura per fatto del datore di lavoro cui è estranea la volontà del lavoratore quest’ultimo avrebbe titolo al rilascio di un permesso per attesa occupazione non è persuasiva.

In particolare va anzitutto negato che alla fattispecie possa applicarsi la normativa del comma 11- bis dell’articolo 5 del d.lg. n. 109 del 2012 (norma che stabilisce, con riferimento alla sanatoria degli stranieri irregolari da essa prevista, che “ nei casi in cui la dichiarazione di emersione sia rigettata per cause imputabili esclusivamente al datore di lavoro, previa verifica da parte dello sportello unico per l'immigrazione della sussistenza del rapporto di lavoro, dimostrata dal pagamento delle somme di cui al comma 5, e del requisito della presenza al 31 dicembre 2011 di cui al comma 1, al lavoratore viene rilasciato un permesso di soggiorno per attesa occupazione ”).

La previsione in questione ha infatti carattere eccezionale e per regola generale le norme eccezionali – quali quelle disciplinanti sanatorie e/o condoni – non si applicano oltre casi e tempi da esse considerati. D’altro lato la mancanza nell’articolo 103 di una previsione analoga a quella della norma citata e la previsione nel comma 4 dell’articolo 103 della possibilità di concessione del permesso per attesa occupazione solo nel caso di interruzione del rapporto di lavoro trova la sua presumibile giustificazione – oltre che nella circostanza che la “emersione” 2020 trova applicazione anche nel caso di datore di lavoro che intenda sottoscrivere un contratto di lavoro con uno straniero (che potrebbe oltretutto essere regolarmente presente nel territorio nazionale e titolare di un permesso di soggiorno che permetta lo svolgimento di attività lavorativa e che non sia convertibile in permesso di soggiorno per lavoro dipendente) - nella volontà del legislatore del 2020 di prevenire facili abusi dello strumento in esame;
del resto la giurisprudenza formatasi sul significato del comma 11- bis citato non era univoca dato che - a fronte di precedenti che avevano ricompreso il reddito insufficiente tra le “ inadempienze imputabili esclusivamente al datore di lavoro ” in presenza delle quali sarebbe stato consentito il rilascio del permesso per attesa occupazione alla sola condizione che fosse stata interamente pagata ogni somma dovuta a titolo contributivo, retributivo e fiscale (il pagamento infatti era configurato come prova sufficiente della effettività del rapporto di lavoro;
cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. III, 27 luglio 2017, n. 3935) - si ritrovano anche precedenti, invero più rigorosi, secondo i quali per “ cause esclusivamente imputabili al datore di lavoro che non consentono la regolarizzazione debbono intendersi solo i comportamenti del datore di lavoro, o le circostanze al medesimo riferibili, diversi da quelli già considerati dal legislatore quale condizione ostativa (...), che si siano verificati in epoca posteriore alla presentazione della domanda di regolarizzazione, in un momento, cioè, in cui il lavoratore aveva virtualmente già maturato il diritto alla regolarizzazione sussistendone le condizioni ” (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. III, 28 maggio 2018, n. 3183, T.A.R. Emilia-Romagna, Parma, 15 giugno 2020, n. 116, T.A.R. Piemonte, sez. I, 4 luglio 2018, n. 815).

Va poi rilevato che dalla normativa e dalle circolari che sono state emanate per disciplinare la sanatoria del 2020 non si traggono elementi a sostegno della tesi del ricorrente.

Premesso infatti che, ad avviso del collegio, la titolarità in capo al datore di lavoro di reddito nella misura indicata dall’articolo 9 del d.m. 27 maggio 2020 costituisce un presupposto indefettibile per la definizione in senso positivo della procedura dato che la titolarità di tali redditi ha la funzione di dimostrare l’effettività e/o sostenibilità del rapporto di lavoro da parte di colui che si afferma datore di lavoro ovvero si propone come tale va rilevato che: a) la possibilità di rilasciare il permesso per attesa occupazione nel caso di interruzione del rapporto di lavoro prevista dal comma 4 dell’articolo 103 e dalle circolari (che è comunque fattispecie diversa da quella all’esame di datore di lavoro privo di redditi sufficienti) ha comunque come presupposto una istanza di emersione presentata da un datore di lavoro in possesso dei requisiti richiesti;
b) la circolare del 24 luglio 2020 nel disciplinare gli effetti della cessazione del rapporto di lavoro “per causa di forza maggiore” identifica la forza maggiore con la morte dell’assistito o del datore di lavoro (per i settori dell’assistenza ai disabili e del lavoro domestico) e con la cessazione o fallimento dell’azienda (per i settori indicati nella lettera a) del comma 3 dell’articolo 103, cioè agricoltura, allevamento e zootecnia, pesca e acquacoltura e attività connesse) e prevede la possibilità di subentro di altro datore, espressamente subordinandola alla condizione che “ … sussistano gli altri requisiti previsti dalla norma ” (tra cui evidentemente il reddito);
solo nel caso in cui il subentro non sia possibile per fatto non dipendente dalla volontà del lavoratore, tale circolare prevede la possibilità di richiedere il permesso per attesa occupazione;
c) la circolare 17 novembre 2020 conferma la indefettibilità del requisito reddituale ai fini anche del rilascio del permesso per attesa occupazione;
essa infatti prevede quale condizione per il rilascio del permesso per attesa occupazione “ una valutazione da parte degli Sportelli Unici volta ad escludere che la domanda di emersione sia stata inoltrata strumentalmente, proprio per far ottenere al cittadino straniero il permesso di soggiorno ”;
il presupposto reddituale si colloca in questo ordine di idee avendo il chiaro scopo di impedire la regolarizzazione in presenza di rapporti di lavoro non sostenibili economicamente (e quindi presuntivamente dichiarati strumentalmente al fine di permettere la regolarizzazione in assenza di effettività del rapporto di lavoro);
d) la circolare del 11 maggio 2021 ribadisce che la possibilità di rilascio del permesso per attesa occupazione nel caso di mancato subentro di altro datore di lavoro è subordinata agli “ opportuni accertamenti ai fini di una valutazione volta ad escludere che la domanda di emersione sia stata inoltrata strumentalmente e che il rapporto di lavoro si sia instaurato in modo fittizio ” e prescrive che in ogni caso sia “ necessario procedere alla convocazione presso lo Sportello sia del datore di lavoro che aveva avanzato istanza di emersione che del lavoratore per il perfezionamento della procedura di sottoscrizione del contratto relativo al rapporto di lavoro cessato ”, il che implica che il datore di lavoro fosse in possesso dei requisiti anche reddituali richiesti per il buon esito della procedura.

Come si vede dunque né dalla normativa di legge né dalle circolari si trae alcuna indicazione a sostegno della tesi della possibilità di rilascio del permesso per attesa occupazione nel caso di datore di lavoro privo del reddito richiesto.

Va infine rilevato che, ove si ritenesse che in caso di insufficienza del reddito del datore di lavoro sia possibile e doveroso il rilascio di permesso di lavoro per attesa occupazione, si priverebbe di ogni rilevanza la previsione di un reddito minimo del datore di lavoro (previsione – si è detto – contenuta nel comma 6 dell’articolo 103 che ha la evidente funzione di prevenire elusioni e di garantire – fissando una sorta di presunzione – la sostenibilità del costo del lavoratore da parte del datore di lavoro) e si porrebbe quale unica condizione per ottenere la emersione la presentazione della istanza da parte di un soggetto che asserisca di impiegare o voler impiegare il lavoratore straniero in uno dei settori indicati nel comma 3 dell’articolo 103 e l’assenza di precedenti penali ostativi in capo al datore e al lavoratore, il tutto in contrasto con il carattere eccezionale della norma di sanatoria;
in definitiva, la possibilità di rilascio nel caso in cui la procedura di emersione non possa concludersi favorevolmente di un permesso per attesa occupazione presuppone che il mancato perfezionamento non dipenda dall’originario difetto di presupposti previsti dalla legge (tra cui il reddito minimo del datore di lavoro) ma da fatti successivi relativi al datore di lavoro e totalmente da lui dipendenti quali possono essere la forza maggiore (cfr. circolare del 24 luglio 2020) e la cessazione del rapporto di lavoro (cfr. circolare del 17 novembre 2020).

Va infine rilevato che anche la giurisprudenza si va orientando nel senso sopra indicato;
in particolare è stato affermato che la disciplina della emersione dettata nel 2020 - a differenza di quella di cui all’art. 5, comma 11- bis , d.lg. 16 luglio 2012 n. 109 – “ limita l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 22, comma 11, d.lvo n. 286/1998 al solo caso di cessazione del rapporto di lavoro (cfr. art. 103, comma 4, d.l. n. 34/2020) e non contempla la possibilità di rilasciare il permesso in esame nel diverso caso in cui la dichiarazione di emersione sia rigettata per cause imputabili esclusivamente al datore di lavoro: ebbene, il carattere eccezionale della disciplina de qua, derogatoria di quella ordinaria, ne impone un’applicazione restrittiva, nel rispetto dei casi e dei tempi in essa contemplati ” (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 17 dicembre 2021 n. 8422, T.A.R. Toscana, sez. II, 14 gennaio 2022, n. 15, id, 22 dicembre 2021, n. 1686, T.A.R. Calabria, Catanzaro, 17 gennaio 2022, n. 41, T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 4 novembre 2021, n. 2424) ed è sintomatico che i precedenti citati si riferiscano a fattispecie del tutto analoghe a quella in esame di insufficienza del reddito del datore di lavoro.

Per quanto precede il ricorso va respinto.

La novità della questione giustifica l’integrale compensazione delle spese di giudizio.

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