TAR Roma, sez. II, sentenza 2022-02-01, n. 202201186

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. II, sentenza 2022-02-01, n. 202201186
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202201186
Data del deposito : 1 febbraio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 01/02/2022

N. 01186/2022 REG.PROV.COLL.

N. 03254/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3254 del 2020, proposto da Turistica S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato M S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Agenzia del Demanio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato F L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

della comunicazione del Comune di Roma Capitale, Municipio X, Prot. n. CO201901513311 del 10.10.2019, trasmessa a mezzo PEC in data 15.10.2019 recante all’oggetto: “Canone demaniale marittimo per l’anno 2019 – Stabilimento Balneare denominato La Rotonda, sito in Roma, Piazzale C. Colombo n. 25, cap. 00122. Concessione Demaniale Marittima per Atto Formale n. 6 del 23.12.2003” e di ogni altro atto e/o provvedimento conseguenziale e successivo ad esso strettamente connesso.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Agenzia del Demanio e di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 gennaio 2022 il dott. Luca Iera e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

La Turistica s.r.l. è titolare della concessione demaniale marittima n. 6 del 23 dicembre 2003 (e successiva licenza di sub-ingresso n. 62 del 21 febbraio 2007) in virtù della quale è autorizzata all’occupazione per la durata di anni 20 (venti), a decorrere dalla data di registrazione, una zona demaniale marittima sita in Ostia Lido (Roma), Piazzale Cristoforo Colombo n. 25, di mq. 9.537,00 allo scopo di mantenervi uno stabilimento balneare denominato “La Rotonda”.

La società con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica notificato in data 6 febbraio 2020 ai sensi dell’art. 8 d.p.r.n. 1199/1971 ha impugnato la comunicazione del Comune di Roma Capitale, Municipio X, prot. n. 1513311 del 10.10.2019, relativa alla richiesta del canone per concessione demaniale per l’anno 2019.

La ricorrente ha formulato tre motivi di ricorso con i quali contesta sostanzialmente la richiesta di pagamento del canone concessorio poiché, a seguito di rilevanti fenomeni erosivi che hanno visto ridurre l’arenile, non si sarebbe tenuto conto della riduzione del canone nella misura del 50% prevista dall’articolo 1, comma 251, lett. c), n. 1) della legge 296/06.

Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 1, comma 251, lett. c), n. 1, della legge n. 269/2006, in quanto il Comune non ha applicato la riduzione del canone nella misura del 50% come sarebbe necessario dal momento che l’arenile occupato è interessato da anni da consistenti fenomeni erosivi che impedisce di fatto la piena utilizzazione del demanio pubblico oggetto di concessione. Di conseguenza, risulterebbe violato il principio di corrispettività nella determinazione del canone concessorio non commisurato alla misura dell’area demaniale utilizzata.

Con il secondo motivo evidenzia la violazione dell’art. 3 Cost. (principio di uguaglianza formale) poiché il versamento da parte del concessionario di un canone demaniale non proporzionato all’effettiva consistenza fisica dei beni oggetto della concessione e, conseguentemente, ai vantaggi economici che lo stesso può trarre dagli stessi, avrebbe determinato una disparità di trattamento rispetto agli altri concessionari del medesimo Comune assoggettati al pagamento di un canone determinato in egual misura, ma non interessati dalle stesse limitazioni che hanno caratterizzato l’attività dell’odierno ricorrente.

Con il terzo motivo lamenta la violazione del principio del “legittimo affidamento economico” in quanto l’impossibilità di conseguire il massimo rendimento e vantaggio dalla utilizzazione dei beni oggetto della concessione demaniale, dovuto alla diminuzione della loro consistenza fisica, avrebbe determinato una riduzione del loro potenziale economico, rendendolo non più proporzionato all’entità del canone concessorio. In questo modo, sarebbe stato violato il legittimo affidamento sulle possibilità di utilizzazione, impiego e sfruttamento dei beni oggetto di concessione, così come prospettati al momento del rilascio della stessa, la cui tutela imporrebbe che alla riduzione di tale capacità fosse accompagnata da una corrispondente diminuzione del canone demaniale da versare.

Il Comune di Roma Capitale con atto di opposizione notificato in data 24 aprile 2020 ai sensi dell’art. 10 d.p.r. n. 1199/1971 ha richiesto la trasposizione del ricorso straordinario in sede giurisdizionale.

Seguiva quindi l’atto di costituzione in giudizio della ricorrente, con trasposizione del ricorso straordinario, depositato in data 8 maggio 2020 con cui è stato integralmente riprodotto il ricorso straordinario.

Nel costituirsi in giudizio, la difesa del Comune di Roma Capitale ha eccepito, in via preliminare, la tardività del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica poiché la ricorrente avrebbe notificato il ricorso straordinario in data 24 febbraio 2020, ossia oltre il termine di 120 giorni previsto dall’art. 9 del d.p.r. n. 1199/1971 dalla comunicazione del provvedimento impugnato avvenuta in data 15 ottobre 2019;
nel merito ha replicato alle censure sollevate.

All’udienza del 26 gennaio 2022, il Collegio ha rilevato la possibile inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione, oltre che per l’irrituale opposizione e trasposizione del giudizio in sede giurisdizionale, dandone atto a verbale ai sensi dell’art. 73, comma 3, c.p.a.. Il ricorso è stato quindi trattenuto in decisione.

Secondo la tassonomia dell’ordine di esame delle questioni processuali occorre affrontare in via preliminare, ai sensi del combinato disposto degli artt. 76, comma 4, c.p.a. e 276, comma 2, c.p.c., l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo che deve precedere ogni altra questione di rito, oltre che, ovviamente, di merito.

L’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata d’ufficio è fondata.

Il Collegio ritiene, a seguito dell’esame approfondito della questione, che la specifica controversia introdotta in giudizio non rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo, superando così il proprio precedente avviso.

In base all'art. 133, comma 1, lettera b), c.p.a., “sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici ad eccezione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi ...”.

Sebbene la controversia concernente i “canoni” relativi ai beni pubblici in concessione non rientra espressamente nella giurisdizione esclusiva del giudice ammnistrativo, essa può tuttavia rientrare nella giurisdizione generale di legittimità in base dell’ordinario criterio di riparto della giurisdizione fondato sulla dicotomia delle posizioni giuridiche azionate.

In tal caso è indispensabile verificare se in giudizio sia stata chiesta tutela ad una posizione di diritto soggettivo o di interesse legittimo, conoscibile quest’ultima dal giudice amministrativo.

Il criterio di riparto della giurisdizione viene comunemente individuato nel c.d. petitum sostanziale secondo cui, per valutare la ricorrenza di un diritto soggetto o di un interesse legittimo, non rileva tanto la prospettazione della situazione giuridica soggettiva fatta dalla parte che agisce in giudizio, quanto, soprattutto, l’effettiva natura di siffatta situazione soggettiva ossia la sua reale consistenza, quale emerge dai fatti allegati che danno conto del rapporto giuridico dedotto in giudizio.

La Corte di cassazione, Sezioni Unite, 17 dicembre 2020, n. 28973 (nello stesso senso, cfr. la sentenza delle Sezioni Unite, 18 giugno 2020, n. 11867), hanno ribadito che “sono riservate alle giurisdizione del giudice ordinario le controversie con un contenuto meramente patrimoniale, senza che assuma rilievo un potere di intervento della pubblica amministrazione a tutela di interessi generali, mentre quando, invece, la controversia coinvolga la verifica dell'azione autoritativa della pubblica amministrazione sul rapporto concessorio sottostante, o quando investa l'esercizio di poteri discrezionali-valutativi nella determinazione del canone, e non semplicemente di accertamento tecnico dei presupposti fattuali economico-aziendali (sia sull'an che sul quantum), la stessa è attratta nell'ambito della giurisdizione del giudice amministrativo”.

Nella stessa pronuncia la Cassazione ha rilevato come sia “di tutta evidenza, in generale, che l'individuazione dei beni oggetto di concessione a quella data, come pure la successiva verifica se le aree siano occupate da impianti di facile o difficile rimozione, non involge alcuna valutazione discrezionale da parte dell'amministrazione, valutazione discrezionale che si sostanzia nell'apprezzamento e ponderazione degli interessi pubblici coinvolti, e, come si diceva, neppure di discrezionalità tecnica, risolvendosi, al contrario, nell'oggettivo accertamento della consistenza dei beni riguardo ai quali va operata la determinazione del canone sulla base dei vincolati parametri previsti dalla norma richiamata”.

Applicando questi principi generali alla fattispecie concreta qui in esame, e correlandoli al petitum sostanziale concretamente desumibile dalla domanda proposta dalla ricorrente, nel caso di specie il Comune di Roma Capitale non ha adottato un provvedimento autoritativo costituente esercizio di un potere pubblico di natura discrezionale, ma si è limitato a disporre il ricalcolo del canone annuale per la concessione demaniale marittima in applicazione dell’aggiornamento quantitativo previsto dall'art. 1, comma 251, del d.l. n. 296/2006.

La ricorrente, infatti, non contesta l'esercizio di poteri discrezionali-valutativi nella determinazione del canone demaniale, ma semplicemente il potere di accertamento tecnico dei presupposti fattuali economico-aziendali (in ordine all'an e al quantum) previsti dalla legge per la determinazione del canone in relazione al compendio di beni oggetto di concessione al momento e nel corso del rapporto concessorio.

Le censure sull’esatta individuazione dei beni oggetto di concessione (estensione dell’arenile a seguito dei fenomeni erosivi) non coinvolgono infatti l’esercizio di poteri discrezionali incidenti sul rapporto concessorio.

Nel caso di specie, l’amministrazione ha esercitato pur sempre un potere tecnico-ricognitivo, procedendo ad un accertamento tecnico delle condizioni e dei presupposti fattuali per l'incremento già stabiliti dalla legge, il cui esito è vincolato (aggiornamento quantitativo della misura del canone).

In conclusione, il ricorso è inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in quanto con l’atto impugnato l'amministrazione concedente si è limitata ad una quantificazione delle somme che presuppongono un previo accertamento tecnico della natura e della consistenza del compendio oggetto di concessione, con la conseguenza che la controversia appartiene alla giurisdizione ordinaria, avendo ad oggetto diritti soggettivi a contenuto patrimoniale, fermo restando che gli atti amministrativi presupposti, ove illegittimi, potranno pur sempre essere disapplicati dal giudice ordinario al ricorrere dei presupposti di legge.

Di conseguenza, va declinata la giurisdizione del giudice amministrativo e va dichiarata quella del giudice ordinario, precisandosi che, ai sensi dell’art. 11 c.p.a., ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, “sono fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda se il processo è riproposto innanzi al giudice indicato nella pronuncia che declina la giurisdizione, entro il termine perentorio di tre mesi dal suo passaggio in giudicato”.

La peculiarità dell’oggetto della controversia, con particolare riguardo ai profili di ammissibilità del ricorso, giustifica infine la compensazione delle spese di giudizio.

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