TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2015-03-25, n. 201501726

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2015-03-25, n. 201501726
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201501726
Data del deposito : 25 marzo 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02914/2008 REG.RIC.

N. 01726/2015 REG.PROV.COLL.

N. 02914/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2914 del 2008, proposto da:
Del Duca V, rappresentato e difeso dall'avv. F O, con domicilio eletto presso l’avv. F O in Napoli, Via F. Cilea, 183;

contro

Ministero dell’Interno - Questura di Napoli, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso per legge dall' Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, presso la quale è domiciliato in Napoli, Via Diaz, 11;

per l'annullamento:

dei decreti n. 2.13/2084 e n. 2.13/2085 del 20.11.2007 di concessione di 59 giorni di astensione dal lavoro per assistenza al figlio ai sensi dell’art. 3, comma 2 della legge 53/2000;

del provvedimento prot. 4464 del 24 giugno 2008 della Questura di Napoli- Area Stipendi – Trattamento economico impugnato con atto di motivi aggiunti depositato in data 6 novembre 2008.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 marzo 2015 la dott.ssa A C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Espone il ricorrente che tra il mese di luglio 2001 e il mese di aprile 2005 ha fruito di 59 giorni di congedo parentale ex legge 53/2000 e che, a fronte dei periodi di congedo richiesti, l’Amministrazione solo con i provvedimenti in questa sede avversati, recanti i numeri 2.13/2084 e 2.13/2085 del 20 novembre 2007, adottati dal Questore di Napoli, ha provveduto a concedere formalmente i detti congedi.

Nei citati provvedimenti l’Amministrazione ha anche evidenziato che per i permessi fruiti dopo il terzo anno di vita del bambino compete la retribuzione pari al 30 per cento dello stipendio “ solo nell’ipotesi in cui il reddito individuale dell’interessato sia inferiore di 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria, altrimenti non andrà corrisposto alcun assegno”.

Avverso i due decreti è proposto il presente ricorso a sostegno del quale si deduce che:

- i provvedimenti impugnati sono stati adottati dopo un lungo lasso di tempo rispetto alle istanze presentate con l’intento di recuperare le differenze stipendiali, senza tenere conto che il ricorrente le ha percepite in buona fede e che ha fatto affidamento sulla giustezza dello stipendio percepito;

- l’amministrazione non ha evidenziato le ragioni di interesse pubblico che giustificano la eventuale decurtazione dello stipendio dopo un così lungo lasso di tempo;

- i provvedimenti sarebbero affetti da una inadeguata istruttoria e da una motivazione insufficiente;

- i provvedimenti non sono stati preceduti dalla comunicazione dell’avvio del procedimento.

Con provvedimento n. 4464 del 24 giugno 2008, sebbene rubricato come comunicazione di avvio del procedimento, l’amministrazione ha comunicato al ricorrente che l’ammontare dovuto in ragione dei permessi goduti è di 3.031,00 euro disponendo il relativo recupero in 15 rate a partire dalla mensilità di agosto 2008.

Con atto di motivi aggiunti depositato in data 6 novembre 2008 il ricorrente ha impugnato anche quest’ultimo provvedimento riproponendo le censure già illustrate in ricorso.

Risulta costituita in giudizio l’amministrazione intimata con mera memoria di stile.

Alla pubblica udienza dell’11 marzo 2015 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Il ricorso è infondato e va pertanto respinto.

Appare necessario, prima ancora di esaminare le censure prospettate in ricorso, illustrare il quadro normativo di riferimento.

Con l’articolo 3, comma 2, della legge 53/2000, ratione temporis applicabile, è stato riscritto l’articolo 7 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 recante “Tutela delle lavoratrici madri”, prevedendo che “1. Nei primi otto anni di vita del bambino ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro secondo le modalità stabilite dal presente articolo. Le astensioni dal lavoro dei genitori non possono complessivamente eccedere il limite di dieci mesi, fatto salvo il disposto del comma 2 del presente articolo. Nell'ambito del predetto limite, il diritto di astenersi dal lavoro compete:

a) alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di astensione obbligatoria di cui all'articolo 4, primo comma, lettera c), della presente legge, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi;

b) al padre lavoratore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi” .

In tema di trattamento economico riferito ai periodi di astensione facoltativa dal lavoro, l’articolo 15 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, per come riscritto dalla richiamata legge 53 ha previsto che “ ai lavoratori e alle lavoratrici è dovuta: a) fino al terzo anno di vita del bambino, un'indennità pari al 30 per cento della retribuzione, per un periodo massimo complessivo tra i genitori di sei mesi;
il relativo periodo, entro il limite predetto, è coperto da contribuzione figurativa
;

b) fuori dei casi di cui alla lettera a), fino al compimento dell'ottavo anno di vita del bambino, e comunque per il restante periodo di astensione facoltativa, un'indennità pari al 30 per cento della retribuzione, nell'ipotesi in cui il reddito individuale dell'interessato sia inferiore a 2,5 volte l'importo del trattamento minimo di pensione a carico dell'assicurazione generale obbligatoria ”.

Dal detto quadro normativo di riferimento appare chiaro che i provvedimenti dell’amministrazione, anche se effettivamente adottati con ritardo rispetto al periodo di fruizione dei congedi parentali, devono ritenersi legittimamente adottati in quanto non spettanti le somme indebitamente percepite in sede stipendiale con riguardo ai periodi di congedo fruiti dopo il terzo anno di vita del bambino. Né, peraltro, il ricorrente ha adeguatamente contestato, nel merito, la corretta applicazione della richiamata disciplina di settore.

Tanto premesso, il Collegio non intende discostarsi dai principi affermati da questo Tribunale sia per quanto concerne la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento sia in merito all’eventuale affidamento ingenerato nel ricorrente per il ritardo con cui sono state recuperate le somme percepite.

Deve, infatti, ritenersi infondato il motivo di censura concernente la violazione dell’obbligo di comunicare l'avvio del procedimento ai sensi dell'art. 7 L. 241 del 1990 in quanto l'emissione dell'atto, vincolato e non autoritativo, di recupero di somme erroneamente corrisposte dall'amministrazione, non costituisce causa di illegittimità dell'atto stesso, ferma restando la possibilità per l'interessato di contestare errori di conteggio e la sussistenza dell'indebito, nonché di chiedere, nel termine di prescrizione, la restituzione di quanto trattenuto. Ciò rende superfluo accertare l'espletamento del suddetto obbligo di comunicazione, la cui mancanza non influisce sulla debenza o meno delle somme né sulla possibilità di difesa del destinatario, che nell'ambito del rapporto obbligatorio di reciproco dare-avere paritetico, può infatti fare valere le sue eccezioni contrarie alla esistenza del credito nell'ordinario termine di prescrizione (in tal senso, cfr. T.A.R. Campania – Napoli, sez. I, n. 3987 del 25 luglio 2011, Consiglio di Stato, VI, 24 giugno 2006, n.4053;
VI, 9 giugno 2006, n.3444).

Né vale il richiamo allo stato soggettivo di buona fede del percipiente a mutare la doverosità del comportamento dell'amministrazione nel recupero dell'indebito. Il recupero delle somme indebitamente erogate dalla p.a. costituisce un comportamento doveroso, in quanto discende direttamente dalla disposizione dell'art. 2033, c.c., e l'eventuale buona fede del soggetto percipiente non costituisce ostacolo alla ripetizione dell'emolumento erroneamente corrisposto (in tal senso, ex p1urimis, Cons. Stato, V, 23 marzo 2004, n.1535). Nel caso di indebita erogazione di denaro ad un pubblico dipendente deve escludersi che la buona fede del percipiente, il suo affidamento nell'operato della p.a., il carattere non chiaramente provvisorio della attribuzione, siano di ostacolo all'esercizio, da parte della p.a., del diritto-dovere di ripetere le relative somme ai sensi dell'art. 2033 c.c., essendo il recupero un atto dovuto (salve le modalità, che non devono essere eccessivamente onerose), privo di valenza provvedimentale.

Il recupero di somme indebitamente erogate dalla Pubblica Amministrazione ai propri dipendenti ha carattere di doverosità, non rinunziabile, in quanto correlato al conseguimento di quelle finalità di pubblico interesse cui sono istituzionalmente destinate le somme indebitamente erogate (giurisprudenza consolidata: cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 16.6.2009 n. 3881;
TAR Lazio - Roma, I, 8.6.2009 n. 5466). Tale recupero non necessita di specifica motivazione, essendo la stessa insita nell'acclaramento della non spettanza degli emolumenti percepiti dal dipendente né occorre alcuna comparazione tra gli interessi coinvolti, non vertendosi in ipotesi di interessi sacrificati, se non sotto il limitato aspetto delle esigenze di vita del debitore (Cons. Stato, sez.V, 16.6.2009 n. 3881 cit;
IV, 8.6.2009 n. 3516).

Infine, come chiarito ancora dalla giurisprudenza amministrativa, l'eventuale affidamento ingenerato nel percipiente circa la regolarità dei pagamenti di somme successivamente ritenute indebitamente corrisposte importa soltanto il diritto di non corrispondere interessi sulle somme oggetto di recupero e implica per l'Amministrazione l'onere di operare il recupero con modalità che non devono essere eccessivamente onerose per il dipendente (cfr. T.A.R. Veneto, sez. I, n. 166/2010, Cons. Stato sez. VI, 17.6.2009 n. 3950).

Alla luce delle svolte considerazioni, e in ragione delle censure formulate dal ricorrente, vanno quindi, respinti sia il ricorso introduttivo che i motivi aggiunti.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo nel minor importo stabilito in ragione della circostanza che non risultano depositate memorie da parte dell’amministrazione costituita.

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