TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-09-19, n. 202313889

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-09-19, n. 202313889
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202313889
Data del deposito : 19 settembre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 19/09/2023

N. 13889/2023 REG.PROV.COLL.

N. 14159/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 14159 del 2019, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato I C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento del provvedimento emesso dal Ministero dell’Interno, datato 04.07.2019 e notificato il 26.08.2019, con cui è stata rigettata la domanda di cittadinanza italiana presentata presso la Prefettura di Milano, avanzata il 04.02.2014, prot. -OMISSIS-.


Visti il ricorso e i relativi allegati.

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno.

Visti tutti gli atti della causa.

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 7 luglio 2023 la dott.ssa Ida Tascone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale.

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con ricorso notificato in data 20 ottobre 2019 e depositato il 18 novembre 2019 il ricorrente, cittadino marocchino, ha impugnato il decreto n. -OMISSIS- del 4 luglio 2019, notificato in data 26 agosto 2019, con il quale il Ministero dell’Interno ha respinto l’istanza presentata in data 4 febbraio 2014, volta alla concessione della cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 9 comma 1 lett. f) della L. n. 91 del 01 ottobre 2014.

Per quanto di interesse, il Ministero ha denegato il richiesto provvedimento concessorio a causa dell’assenza del prescritto requisito reddituale, rivelatosi inferiore al generale parametro di riferimento di € 8.263,31 (incrementato fino a € 11.362,05 di reddito complessivo in presenza di coniuge a carico ed in ragione di ulteriori € 516,00 pero ogni figlio a carico) così come desunto dalla documentazione contabile e fiscale periodicamente trasmessa all’agenzia delle entrate per l’assolvimento dei connessi oneri fiscali e tributari.

Sulla base di tali presupposti - previo rituale espletamento del sub-procedimento disciplinato dall’art. 10 bis della l. n. 241/1990 - il Ministero ha denegato il richiesto provvedimento concessorio, in ragione della non coincidenza tra l’interesse del richiedente e quello pubblico all’allargamento della platea della comunità nazionale.

Il decreto è stato quindi gravato - unitamente agli atti ad esso presupposti - con un unico mezzo di gravame, nell’ambito del quale il ricorrente lamenta l’eccesso di potere per travisamento, erronea valutazione dei fatti e illogicità della motivazione, sostenendo di essere dotato nei necessari mezzi di sostentamento per la permanenza nel territorio nazionale a nulla rilevando eventuali pregresse situazioni di evasione fiscale e/o contributiva peraltro dipendenti, secondo la ricostruzione offerta, da omissioni poste in essere dal proprio datore di lavoro.

Si è costituito in giudizio il Ministero chiedendo la reiezione del gravame.

Con ordinanza del 13 febbraio 20202 n. -OMISSIS- questo Tribunale ha respinto la proposta istanza cautelare sotto l’esclusivo profilo del periculum .

In vista della celebrazione dell’udienza pubblica di discussione il Ministero ha comprovato la “ una percezione dei redditi insufficiente: annualità del 2017 (euro 2.882,63), 2015 (euro 5.111,41), 2014 (5.810,83), 2013 (3.921,49) e 2012 (euro 5.366,82 )” mentre il ricorrente ha prodotto documenti riferiti al periodo di imposta 2019 – 2020 – 2021 comprovanti invece il raggiungimento del requisito quantomeno a partire da siffatto intervallo temporale.

All’udienza del 7 luglio 2023 la causa è stata introitata per la decisione rimanendo, peraltro, non contestati i documenti e le allegazioni prodotti dall’avvocatura erariale.

Il ricorso è infondato.

L’assenza del prescritto requisito reddituale è comprovata in atti e tra le parti ed è sufficiente a fondare il diniego del richiesto provvedimento concessorio.

In proposito il Collegio rammenta che – in assenza di una determinazione di una “soglia minima” di reddito mediante una norma di rango primario – il Ministero degli interni ha da tempo ritenuto di fissare ex ante dei parametri minimi indefettibili di reddito - in ragione di una valutazione a monte circa la congruità degli stessi a garantire l’autosufficienza economica del richiedente - facendo riferimento a quelli che, ai sensi dell'art. 3 del D.L. 25.11.89 n. 382, consentono di ritenere esentati dalla partecipazione alla spesa sanitaria i titolari di pensione di vecchiaia con reddito imponibile fino a € 8.263,31, incrementato fino a € 11.362,05 di reddito complessivo in presenza del coniuge a carico e in ragione di ulteriori € 516,00 per ogni figlio a carico.

Tale soglia - espressamente richiamata nell’ambito del procedimento al centro del presente giudizio – è stata ritenuta congrua dalla giurisprudenza in materia proprio in quanto indicatore di un livello di adeguatezza reddituale che consente al richiedente di mantenere in modo idoneo e continuativo sé e la famiglia, senza gravare negativamente sulla comunità nazionale (Cons. Stato, sez. IV, 17 luglio 2000, n. 3958).

Il parametro appena riportato costituisce quindi un requisito minimo indefettibile, per cui l'insufficienza del reddito dichiarato può costituire - ex se - causa idonea a giustificare il diniego di cittadinanza, anche nei confronti di un soggetto che risulti sotto ogni altro profilo bene integrato nella collettività, con una regolare situazione di vita familiare e di lavoro (la persistenza di tale situazione è comunque assicurata dal permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo UE).

La legittimità della suddetta valutazione è stata affermata anche dalla giurisprudenza costante in materia, condivisa anche da questa Sezione (Tar Lazio, sez. V bis, n. 1590/22;
1698/22;
1724/22;
sez. I ter, 31 dicembre 2021, n. 13690;
6 settembre 2019, n. 10791;
Tar Lazio, sez. II quater, 2 febbraio 2015, n. 1833;
13 maggio 2014, n. 4959;
3 marzo 2014, n. 2450;
18 febbraio 2014, n. 1956, 10 dicembre 2013, n. 10647;
Cons. Stato sez. I, parere n. 240/2021;
parere n. 2152/2020;
Cons. Stato, sez. III, 18 marzo 2019, n. 1726).

Nella fattispecie in esame, il Ministero ha comprovato l’assenza del requisito reddituale riferita al periodo 2012 – 2017 (ovvero per l’intero triennio antecedente la presentazione dell’istanza e pure durante il periodo di istruzione della stessa) senza peraltro ricevere contestazioni e/o smentite dal ricorrente il quale, viceversa, si è limitato sostenere il raggiungimento del requisito nel triennio 2019/2021 ovvero nelle more della definizione del presente giudizio.

Siffatta sopravvenienza rispetto agli atti impugnati non può inficiarne ex post la validità, con conseguente infondatezza del ricorso il quale pertanto va respinta.

E ciò ferma sempre restando la possibilità per il ricorrente di presentare una nuova domanda di naturalizzazione ove potrà senz’altro valorizzare la conseguita posizione di stabilità economica unitamente agli altri elementi che concorrono ai fini del rilascio dell’auspicato provvedimento concessorio.

Le spese di giudizio possono essere compensate in virtù della peculiarità delle questioni trattate.

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