TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2022-03-17, n. 202203080

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2022-03-17, n. 202203080
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202203080
Data del deposito : 17 marzo 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/03/2022

N. 03080/2022 REG.PROV.COLL.

N. 10847/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10847 del 2021, integrato da motivi aggiunti, proposto da
G D C, M G R, F L, G M, E L E, L L, S B, L L, G L, F R A, P C, F D C, L D C, D C, C M, M I D, S F, C P, S V, I P, D D C, G L, M M, G C, G V, M V, S C, G S, A A, A B, R P, G B, T P, E P, D T, rappresentati e difesi dagli avvocati R B, Carlo Contaldi La Grotteria, Paolo Pittori, Federico Mazzella, Michela Urbani, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Paolo Pittori in Roma, Lungotevere dei Mellini 24;

contro

Comune di Artena, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato Angelo Clarizia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

L T, non costituito in giudizio;

per l'annullamento,

previa concessione delle opportune misure cautelari collegiali,

- Per quanto riguarda il ricorso introduttivo:

della Delibera del Consiglio Comunale di Artena n. 22 del 19.9.2021, pubblicata all'albo pretorio in data 1.10.2021, avente ad oggetto la “ Approvazione rendiconto della gestione per l'esercizio 2020 ai sensi dell'art. 22 del D.Lgs. 267/2000 ”;

di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale, ivi compresi, per quanto occorrer possa, lo Statuto del Comune di Artena ed il Regolamento sul funzionamento del Consiglio Comunale, entrambi in parte qua , nonché la Delibera del Consiglio Comunale di Artena relativa alla seduta consiliare del 6.9.2021 (allo stato non pubblicata);

. Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da De Castris Giulia il 22/11/2021:

annullamento, previa concessione delle opportune misure cautelari collegiali, della Delibera del Consiglio Comunale di Artena n. 22 del 6.9.2021, pubblicata all'albo pretorio in data 26.10.2021, e della Delibera del Consiglio Comunale di Artena n. 23 (*) del 19.9.2021, pubblicata all'albo pretorio in data 27.10.2021, entrambe aventi ad oggetto la “ Approvazione rendiconto della gestione per l'esercizio 2020 ai sensi dell'art. 22 del D.Lgs. 267/2000 ”, ed entrambe già impugnate con il ricorso introduttivo del presente giudizio proposto.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Artena;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 febbraio 2022 il dott. G L e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con ricorso notificato il 26 ottobre 2021 all’amministrazione resistente e al controinteressato, sig. L T – ricorso successivamente depositato in giudizio il 5 novembre 2021 – gli odierni ricorrenti, cittadini elettori e consiglieri di minoranza del comune di Artena (RM) hanno proposto azione di annullamento della delibera C.C. n. 22 del 19/9/2021 – pubblicata all’albo pretorio dell’ente il 1° ottobre seguente – e, per quanto occorrer possa, dello Statuto comunale, del Regolamento sul funzionamento del Consiglio Comunale e della delibera C.C. relativa alla seduta del 6/9/2021 non ancora pubblicata al momento della proposizione del ricorso.

1.2. Premesso che la popolazione del comune di Artena non è superiore ai 15.000 abitanti, espongono i ricorrenti che, a seguito di sospensione dalla carica di sindaco disposta dal Prefetto di Roma nel novembre ’20 in applicazione della disciplina contenuta nell’art. 11, comma 2, del d.lgs. n. 235/2012, le funzioni sindacali sono state svolte dal vicesindaco p.t. , sig. L T il quale, pur essendo stato eletto alla carica di consigliere in occasione del turno elettorale tenutosi nel 2019, una volta assunta la carica vicariale ha rassegnato le proprie dimissioni dall’assemblea consiliare venendo surrogato dal primo dei non eletti.

Inoltre, il consiglio dell’ente – ordinariamente formato da 16 consiglieri – a seguito della sospensione dalla carica del sindaco e di un consigliere e delle successive dimissioni di altri due componenti dell’organo, i quali non venivano surrogati nella carica, si riduceva ad un numero di consiglieri pari a 14.

Espongono ancora i ricorrenti che il 12 agosto 2021 il Prefetto di Roma intimava al consiglio comunale di Artena di provvedere all’approvazione del bilancio di previsione per gli anni 2021 – 2023 e del rendiconto della gestione per l’anno 2020 entro venti giorni dalla notifica (avvenuta in pari data) della diffida.

Pertanto, al fine di approvare gli atti sopra menzionati, il Consiglio si riuniva il 6 settembre 2021 approvando i relativi documenti contabili con il voto favorevole di 8 consiglieri, ivi incluso il vicesindaco non consigliere, e la mancata partecipazione al voto degli altri 7 componenti del Consiglio.

Ritenendo la deliberazione in questione affetta da taluni profili di illegittimità attinenti, tra l’altro, al voto determinante di un soggetto (il vicesindaco, per l’appunto) non appartenente all’organo consiliare, il Prefetto di Roma, con note del 13 e 16 settembre successivi, invitava l’ente “ a rimuovere con la massima urgenza, e comunque non oltre 7 giorni dalla notifica della presente, le violazioni riscontrate, se del caso riconvocando il Consiglio per l’adozione di una nuova delibera a norma di legge ”.

Nella seduta del 19 settembre 2021 si giungeva, così, all’approvazione del rendiconto per l’anno 2020 con uno scrutinio che riproduceva nuovamente l’esito della votazione del 6 settembre precedente, ossia con una maggioranza di 8 voti contro 7 computando, a tal fine, il voto determinante del vicesindaco non consigliere.

1.3. Contro la deliberazione così assunta, i ricorrenti muovono due censure:

- Violazione degli artt. 76, 114 e 118 Cost., degli artt. 38, 42. 43, 44, 47, comma 4 e 53, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000, degli artt. 22, 24 e 25, dello Statuto comunale e dell’art. 34 del Regolamento per il funzionamento del consiglio comunale .

A parere dei ricorrenti, l’approvazione del rendiconto a cui abbia concorso il voto determinante di un soggetto non appartenente all’organo consiliare – pur se investito della funzione di reggente la carica di sindaco – è illegittima in quanto contrastante con le disposizioni che disciplinano la sostituzione del sindaco, i poteri del vicesindaco e la partecipazione di costui alle sedute di consiglio.

Secondo i ricorrenti, infatti, il vigente testo unico sull’ordinamento degli enti locali (agli artt. 47, comma 4 e 64, comma 3), a differenza di quanto avviene nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti non prevede, per gli enti in fascia demografica inferiore, un’incompatibilità tra la carica di consigliere e di assessore, rimettendo sul punto all’autonomia statutaria degli enti.

Al riguardo il comune di Artena ha optato (art. 25 dello Statuto) per ampliare la facoltà di far parte della giunta anche ad assessori estranei al consiglio comunale avendo cura, tuttavia, di precisare che “ gli assessori non consiglieri partecipano alle sedute del Consiglio comunale senza diritto di voto ” (art. 25, ultimo periodo).

Inoltre, il Regolamento per il funzionamento del consiglio comunale di Artena reca una disposizione che disciplina la partecipazione dell’assessore non consigliere ai lavori dell’organo assembleare, precisando che ad esso va notificata la convocazione del consiglio, affinché egli possa parteciparvi “ con funzioni di relatore con diritto d’intervento, ma senza diritto di voto ” e con l’avvertenza che “ la sua partecipazione alle adunanze del consiglio comunale non è computata ai fini della determinazione delle presenze necessarie per la legalità della seduta ” (art. 34).

Secondo i ricorrenti, il quadro normativo vigente – incluso quello derivante dall’esercizio dell’autonomia statutaria e regolamentare dell’ente – impedirebbe al vicesindaco non consigliere di partecipare all’assunzione di deliberazioni esprimendo il proprio voto, e ciò anche nell’ipotesi in cui costui, lungi dall’agire esclusivamente in veste di assessore non consigliere, intervenga ai lavori del consiglio in ragione della sostituzione del sindaco sospeso dall’esercizio delle sue funzioni.

In tal modo, sempre secondo i ricorrenti, la deliberazione C.C. n. 22 del 16/9/2021 sarebbe illegittima in quanto assunta:

a ) all’esito di una seduta alla cui valida costituzione ha partecipato un soggetto – il vicesindaco non consigliere, sig. Talone – la cui presenza non avrebbe dovuto essere a tali fini computata;

b ) con il voto determinante di un soggetto – sempre il sig. Talone – il quale non avrebbe avuto titolo per esprimere il proprio suffragio in quel consesso.

A nulla varrebbe rilevare, secondo i ricorrenti, che l’art. 53, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000 – il cui contenuto trova conferma nel testo dell’art. 22 dello Statuto comunale – preveda che il vicesindaco sostituisca il sindaco in caso di assenza o di impedimento temporaneo, nonché nel caso di sospensione dall’esercizio della funzione, posto che tale sostituzione dovrebbe intendersi operante esclusivamente in relazione alle funzioni di amministratore e non anche estesa a quelle di consigliere.

Diversamente opinando, sarebbero lese le prerogative dell’assemblea elettiva e, in definitiva, alterato il funzionamento democratico dell’organo consiliare, consentendosi ad un soggetto privo di legittimazione di partecipare ai lavori del consiglio, veder computata la propria presenza ai fini della valida costituzione della seduta e, infine, votare finanche attribuendo al suo suffragio un peso determinante, tanto più nell’assunzione di una delibera – quale quella di approvazione del rendiconto – cui l’ordinamento riconnette conseguenze fondamentali sulla vita stessa dell’ente.

Infatti, con il voto decisivo di un soggetto non legittimato si sarebbe, secondo i ricorrenti, approvato il rendiconto impedendo l’attivazione della procedura di scioglimento dell’ente prevista dagli artt. 227, comma 2-bis e 141, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000.

Il tutto con grave lesione, tra l’altro, del principio di non delegabilità delle funzioni dell’organo elettivo al di fuori dei casi previsti dalla legge (il cui fondamento, a parere dei ricorrenti, è da rinvenire direttamente nell’art. 76 Cost.), principio che sarebbe stato ribadito anche dal Consiglio di Stato in sede consultiva con i pareri nn. 94/1996 e 501/2001, secondo i quali “ nel nostro ordinamento vige un principio di inammissibilità della delega o sostituzione nelle funzioni di componente delle assemblee elettive”, per cui “Non è configurabile, pertanto, alcun soggetto che sia legittimato ad esercitare in luogo del sindaco le specifiche funzioni di componente di diritto del consiglio comunale ”.

- Violazione e falsa applicazione degli artt. 141 e 227 del d.lgs. n. 267/2000. Eccesso di potere per sviamento .

All’approvazione del rendiconto con il voto determinante di un soggetto non legittimato i ricorrenti riconnettono, oltre alla già illustrata violazione degli artt. 227 e 141 del d.lgs. n. 267/2000, anche il vizio di eccesso di potere per sviamento.

Infatti, a loro detta, la deliberazione C.C. n. 22/2021 sarebbe stata assunta, violando la legge, soprattutto al fine di evitare lo scioglimento del consiglio comunale, la nomina del commissario straordinario e la fine dell’esperienza amministrativa conseguita alle elezioni del 2019, nel “ tentativo di una maggioranza consiliare ormai sfaldata di rimanere in sella ”.

2. Si è costituito in giudizio il comune di Artena che, con memoria del 19 novembre 2021, ha preso posizione in ordine alle censure mosse dai ricorrenti.

2.1. In primo luogo, l’ente ha contestato l’ammissibilità stessa del ricorso introduttivo, escludendo la legittimazione ad agire sia in capo ai cittadini elettori che in capo ai consiglieri di minoranza.

Quanto ai primi, essi non potrebbero agire per l’annullamento di una delibera consiliare in quanto, in assenza di una norma di legge che ammetta, in questa materia, l’azione popolare, si applicano anche all’impugnazione degli atti dei consigli comunali i principi consueti che impongono, in capo a chi intenda agire in giudizio, la sussistenza di tutte le condizioni dell’azione, a partire dalla legittimazione e dall’interesse ad agire.

Ora, premessa l’eccezionalità delle ipotesi di azioni popolari previste dalla legge, i singoli cittadini non avrebbero alcuna legittimazione a proporre un ricorso contro una deliberazione consiliare motivato esclusivamente dalla volontà di ripristinare la legalità asseritamente violata ed in assenza dell’attivazione di una posizione giuridica differenziata e qualificata nonché dell’interesse a rimuovere un pregiudizio attuale e specificamente inerente alla personalità del ricorrente.

Diversamente opinando, a giudizio dell’amministrazione resistente, “ l’impugnativa verrebbe degradata al rango di azione popolare a tutela dell’oggettiva legittimità dell’azione amministrativa, con conseguente ampliamento della legittimazione attiva al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, in insanabile contrasto con il carattere di giurisdizione soggettiva che la normativa legislativa e quella costituzionale hanno attribuito al vigente sistema di giustizia amministrativa ” (così T.A.R. Lazio, sez. II bis, n. 7322/2020).

Quanto, poi, ai consiglieri di minoranza, il ricorso sarebbe parimenti inammissibile considerato che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza in materia, la legittimazione di costoro a ricorrere contro deliberazioni assunte dall’organo collegiale di cui pure fanno parte sussisterebbe in ipotesi del tutto eccezionali, ossia, in particolare, ogniqualvolta vengano in rilievo atti incidenti, in via diretta, sul diritto all’ufficio del consigliere ricorrente, come avviene, ad esempio, nell’ipotesi di violazione delle norme che attengono alle modalità di convocazione dell’organo consiliare, all’ordine del giorno, al termine per il deposito della documentazione necessaria per poter liberamente e consapevolmente deliberare e, più in generale, alla preclusione in tutto o in parte dell’esercizio delle funzioni relative all’incarico rivestito.

Nel caso di specie, quindi, non venendo in rilievo erronee modalità di convocazione dell’organo consiliare, violazioni dell’ordine del giorno o inosservanze rispetto all’obbligo di deposito della documentazione necessaria per poter liberamente e consapevolmente deliberare, a giudizio del comune i ricorrenti consiglieri comunali hanno potuto liberamente e consapevolmente esprimere il loro voto, esercitando appieno il munus publicum di cui sono titolari, di talché l’impugnazione proposta avverso la delibera di approvazione del rendiconto sarebbe inammissibile.

2.2. Nel merito, ritiene il comune resistente che il ricorso sia infondato.

Infatti, sia l’art. 53 del d.lgs. n. 267/2000, sia l’art. 22 dello Statuto comunale non prevedrebbero limitazioni all’ampiezza delle funzioni vicariali esercitate dal vicesindaco tanto più allorché, come nel caso di specie, la supplenza del sindaco sia disposta per far fronte non ad un impedimento temporaneo o ad un’assenza momentanea, bensì al fine di sostituire un organo monocratico sospeso dalla carica ai sensi dell’art. 11, comma 5, del d.lgs. n. 235/2012, ossia in occasione di una causa di interdizione assoluta dall’esercizio delle funzioni sindacali.

In altre parole, secondo il ricorrente, l’ordinamento manifesterebbe la precisa intenzione di assegnare temporaneamente tutti i poteri e le funzioni al Vicesindaco, nessuno escluso, con il chiaro scopo di garantire la continuità dell’azione amministrativa dell’ente.

Tale lettura, a parere del comune di Artena, sarebbe confortata, e non smentita, dalla lettura del parere n. 501/2001 del Consiglio di Stato, secondo il quale “ nessuna norma positiva identifica atti riservati al titolare della carica e vietati a chi lo sostituisce. Tale considerazione di ordine, per così dire, testuale risulta corroborata da riflessioni di carattere sistematico, dovendosi al riguardo innanzi tutto ricordare che, secondo i principi, la preposizione di un sostituto all’ufficio o carica in cui si è realizzata la vacanza implica di norma l’attribuzione di tutti i poteri spettanti al titolare, con la sola limitazione temporale connessa alla vacanza stessa ”.

Allora, se la sostituzione del sindaco non conosce limitazioni in ordine a specifici atti, sostiene l’ente resistente, essa non potrebbe che estendersi anche alla partecipazione di questi ai lavori del consiglio, una partecipazione piena e non circoscritta alla semplice funzione di relatore, posto che l’art. 37 del d.lgs. n. 267/2000 prevede che il sindaco sia componente pleno jure del consiglio, computato ad ogni fine tra i componenti del consiglio stesso e con diritto di voto per tutte le delibere consiliari (così Corte Cost. n. 44/97 e, da ultimo, Cons. St., sez. I, parere n. 129/2021).

Inoltre, secondo l’ente resistente, non sarebbe corretto applicare alla fattispecie in esame l’indirizzo interpretativo di cui costituirebbe espressione il parere n. 94/96 del Consiglio di Stato citato dai ricorrenti.

Innanzitutto, il citato parere, dando per esistente nell’ordinamento un principio di insostituibilità nelle funzioni di componente delle assemblee elettive, si porrebbe in contrasto col quadro normativo attualmente vigente nel quale, come noto, sussistono due norme (gli artt. 38, comma 8, e 45, del d.lgs. n. 267/2000) che espressamente prevedono, in caso di dimissioni, vacanza del seggio o sospensione, la surroga o, nell’ultimo caso, la supplenza del consigliere comunale da parte del primo dei non eletti, per cui sarebbe contraddittorio che l’ordinamento, da un lato, ammetta la sostituzione – anche temporanea – del consigliere, anche sospeso, e, dall’altro, neghi la sostituibilità di un componente di diritto del consiglio quale è il sindaco.

Inoltre, il suddetto parere si riferirebbe ai comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti nei quali, come noto, vige il principio dell’incompatibilità tra la carica di assessore e quella di consigliere, in quel caso non potendosi ammettere che il sindaco – componente di diritto del consiglio – possa essere sostituito da un soggetto che, in quanto componente della giunta, sia per legge incompatibile con la partecipazione all’organo assembleare.

Tuttavia nei comuni, come quello resistente, in cui detta incompatibilità non sussiste, non si comprenderebbe perché il vicesindaco reggente la carica di un sindaco sospeso non possa sostituire quest’ultimo anche nel munus di componente nel consiglio.

3. Con ricorso per motivi aggiunti del 22 novembre 2021, i ricorrenti hanno impugnato anche la deliberazione C.C. del 6 settembre 2021 – pubblicata all’albo pretorio dell’ente il 26 ottobre 2021 con il numero progressivo “22” – e la deliberazione C.C. del 19 settembre 2021 – pubblicata nuovamente all’albo pretorio, questa volta con numero progressivo “23”, il 27 ottobre 2021 – entrambe aventi ad oggetto l’approvazione del rendiconto della gestione per l’esercizio 2020.

Dopo aver premesso che, all’indomani della notificazione del ricorso introduttivo, il comune resistente ha provveduto a pubblicare all’albo pretorio, in data 26/10/2021, la delibera relativa alla seduta del 6 settembre 2021 – assegnando ad essa il numero “22” – e, conseguentemente, a pubblicare nuovamente – con il numero “23” – la delibera del 19/9/2021, già oggetto del ricorso introduttivo, i ricorrenti hanno rappresentato come, in tal modo, l’amministrazione comunale abbia inteso dare traccia dell’attività svolta dal Consiglio il 6 settembre 2021 pubblicando una delibera che però, a loro dire, sarebbe priva di validità ed efficacia in quanto implicitamente abrogata dalla deliberazione approvata il successivo 19 settembre.

In buona sostanza, essi ritengono che la delibera anteriormente assunta – e pubblicata solo in seguito alla presentazione del ricorso – sarebbe stata “assorbita” (o implicitamente revocata) dalla successiva decisione assunta il 19 settembre, divenendo la prima tamquam non esset e che, solo a fini prudenziali, hanno ritenuto di dover estendere anche a tale primo atto le doglianze già mosse nei confronti della delibera fatta oggetto di gravame con il ricorso introduttivo del presente giudizio ma insieme ad esse, con i motivi aggiunti, i ricorrenti hanno inteso muovere altre ragioni di censura, sia avverso la delibera del 6 settembre, sia nei confronti della delibera del 19 settembre.

- Vizi nuovi e propri della delibera del 6/9/2021

A parere dei ricorrenti, la delibera C.C. del 6 settembre 2021 sarebbe affetta, oltre che dai medesimi vizi già riscontrati con l’atto introduttivo del giudizio di cui trattasi, anche di una serie di vizi propri, consistenti in:

i) violazione degli artt. 13 e ss. dello Statuto comunale, nonché degli artt. 16 e ss. del Regolamento per il funzionamento del consiglio comunale. Eccesso di potere per perplessità, illogicità ed oscurità dell’azione amministrativa.

La delibera in questione sarebbe radicalmente nulla in quanto affetta da vizi tali da aver reso necessaria la nuova convocazione del consiglio il 19 settembre successivo allo scopo di adottare una nuova deliberazione avente il medesimo oggetto di quella impugnata ma emendata dai vizi che affliggevano la prima, vizi rilevati anche dal Prefetto di Roma con note del 13 e 16 settembre 2021.

Inoltre, l’approvazione della delibera del 19 settembre seguente avrebbe determinato la revoca implicita – o, comunque, l’abrogazione – della delibera impugnata;

ii) violazione degli artt. 12, 13 e 14 dello Statuto comunale, nonché degli artt. 17 e 19 del Regolamento per il funzionamento del Consiglio Comunale.

La delibera C.C. del 6 settembre 2021 sarebbe viziata anche per il mancato rispetto dei termini minimi di convocazione dell’assemblea previsti dallo Statuto e dal Regolamento sul funzionamento del consiglio.

A tal proposito, fanno rilevare i ricorrenti che l’art. 14, comma 2, dello Statuto prevede che “ Ai fini della convocazione, sono considerate ordinarie le sedute nelle quali vengono iscritte le proposte di deliberazione inerenti all’approvazione delle linee programmatiche del mandato, del bilancio di previsione e del rendiconto della gestione ” (norma sostanzialmente riprodotta dall’art. 17 del Regolamento) mentre, per quanto riguarda le modalità di convocazione, l’art. 19 del Regolamento del consiglio prevede che l’avviso di convocazione debba pervenire, per le convocazioni ordinarie, almeno “ cinque giorni interi e liberi prima di quello stabilito per la riunione ”.

Orbene, come allegato in atti dai ricorrenti, le convocazioni per la seduta del 6 settembre sono state emesse solo il 4 settembre, con conseguente violazione delle prerogative istituzionali dei componenti del Consiglio i quali non sarebbero stati messi in condizione di esaminare compiutamente gli atti posti all’ordine del giorno, violazione tanto più grave sol che si pensi al fatto che oggetto della seduta era l’approvazione del rendiconto per di più a seguito di diffida impartita dal Prefetto;

iii) violazione delle norme concernenti il funzionamento del consiglio (con particolare riguardo l’art. 17).

Lamentano i ricorrenti che il testo della delibera C.C. del 6 settembre 2021 da atto della presenza di 14 consiglieri più il vicesindaco, mentre l’esito della votazione viene così registrato: “ Presenti n. 15. Voti favorevoli n. 8 (7 consiglieri + vicesindaco f.f.) Non votanti n. 7 (Carocci Silvia, Fiorellini Sofia, Imperio Diamante Marco, Latini Erminio, Pompa Costanzo, Angelini Augusto, Scacchi Gloria) ”.

Tale circostanza, a giudizio dei ricorrenti, non apparirebbe conforme al vero in quanto la verbalizzazione della seduta non avrebbe tenuto conto del fatto che, al momento della votazione, i 7 consiglieri di minoranza non solo non avrebbero partecipato alla votazione, ma avrebbero disertato la seduta abbandonando l’aula.

Ebbene, secondo i ricorrenti, tale precisazione non sarebbe priva di conseguenze posto che, ove fosse corretta la ricostruzione dei fatti recata dalla delibera impugnata, i consiglieri di minoranza dovrebbero considerarsi astenuti e pertanto, in applicazione dell’art. 45 del Regolamento che recita “ si intende adottato il provvedimento che ha ottenuto la maggioranza assoluta dei voti, ossia un numero di voti favorevoli pari almeno alla metà più uno dei votanti ”, la deliberazione sarebbe stata assunta col voto determinante di un soggetto – il vicesindaco – che, per i motivi esposti nel ricorso introduttivo, secondo i ricorrenti non avrebbe dovuto partecipare il voto.

Laddove, invece, si dovesse accedere alla ricostruzione dei fatti propugnata dai ricorrenti – i quali affermano, contrariamente a quanto risulta dalla delibera, di avere abbandonato l’aula – la conseguenza sarebbe l’illegittimità dell’atto per essere stato assunto senza il rispetto del quorum costitutivo previsto dall’art. 17, comma 4, del Regolamento per il funzionamento del Consiglio, a mente del quale “ Nelle sedute di prima convocazione il consiglio può deliberare se interviene almeno la metà più uno dei consiglieri assegnati ” per cui, essendo i componenti assegnati al consiglio comunale di Artena in numero pari a 16 più il sindaco, il quorum costitutivo non sarebbe inferiore a 8, quorum raggiunto, nella seduta del 6 settembre 2021, solo grazie alla partecipazione all’adunanza del vicesindaco non consigliere, partecipazione che però, per i motivi illustrati nel ricorso introduttivo, non avrebbe dovuto essere computata ai fini del raggiungimento del predetto quorum .

- Vizi nuovi e propri della delibera assunta il 19 settembre 2021

A giudizio dei ricorrenti, anche la delibera C.C. del 19/9/2021 sarebbe viziata per violazione dell’art. 19 del Regolamento per il funzionamento del consiglio, tenuto conto che, anche in questo caso, la convocazione è stata emessa solamente il 17 settembre, a fronte di una prima convocazione dell’assemblea indetta per il 18 settembre.

E, sempre secondo i ricorrenti, non varrebbe a giustificare il mancato rispetto del termine di cui all’art. 19 del Regolamento l’urgenza dettata dalla necessità di rispettare la diffida del Prefetto, tenuto conto che la nota del 13 settembre con cui il consiglio veniva invitato a rimuovere le irregolarità che affliggevano la delibera del 6 settembre assegnava all’organo assembleare sette giorni di tempo per provvedere, di talché vi sarebbe stata la possibilità di convocare tempestivamente i consiglieri nel rispetto del termine previsto dal suddetto Regolamento.

4. Ai motivi aggiunti replicava il comune di Artena con memoria del 14 dicembre ribadendo nuovamente, in rito, l’inammissibilità anche del nuovo gravame in quanto proposto da soggetti carenti di legittimazione ad agire e, nel merito, contestando la fondatezza di quanto dedotto.

In particolare, con riguardo alla censura relativa al mancato rispetto dei termini minimi per la convocazione del consiglio, l’amministrazione comunale rileva che la disciplina statutaria e regolamentare asseritamente violata reca, in realtà, una clausola di salvaguardia in ragione della quale “ In casi di particolare urgenza, la convocazione può avvenire con un anticipo di almeno ventiquattro ore ”.

A parere del comune, tale norma sarebbe pienamente applicabile tenuto conto che, nella fattispecie, le particolari ragioni d’urgenza sarebbero rinvenibili nella necessità di approvare il rendiconto di gestione entro i termini impartiti dal Prefetto con la propria diffida onde evitare il procedimento di scioglimento del consiglio comunale ai sensi dell’art. 141, comma 2, del d.lgs n. 267/2000.

Quanto sopra dedotto, prosegue il comune, sarebbe vero sia per la convocazione del 6 settembre 2021 – disposta per la prima data utile successiva all’apposizione del visto al progetto di rendiconto da parte del competente dirigente avvenuta solo il 3 settembre – sia per la seduta del 19 settembre, tenuto conto dello stringente termine (appena 7 giorni) assegnato dal Prefetto con la nota del 10 settembre 2021, acquisita dall’ente solo il successivo 13 settembre.

Ad ogni modo, sostiene il comune che il lamentato vulnus al diritto dei consiglieri di conoscere tutti gli atti sui quali sono chiamati ad esercitare, consapevolmente e liberamente, il proprio voto non sussisterebbe, atteso che già all’indomani della diffida impartita dal Prefetto ad approvare il bilancio di previsione 2021 – 2023 ed il rendiconto 2020, ossia il 16 agosto 2021, il segretario comunale provvedeva a notificare a tutti i consiglieri il testo della suddetta diffida.

Senza considerare inoltre, prosegue il comune, che lo schema di rendiconto sarebbe già stato messo a disposizione dei consiglieri sin dal 6 agosto 2021, di talché attese le comunicazioni formali trasmesse a tutti i consiglieri comunali sarebbe pacifico che i ricorrenti abbiano avuto piena conoscenza dell’oggetto della seduta nonché dell’imminente convocazione della seduta medesima, precedentemente alla convocazione formale del 4 settembre 2021 per cui, in ossequio al principio del raggiungimento dello scopo, la doglianza relativa alla presunta mancata regolare convocazione sarebbe infondata.

A maggior ragione, la convocazione della seduta del 19 settembre con un anticipo di sole ventiquattr’ore non avrebbe potuto ledere alcun diritto dei consiglieri, tenuto conto che la stessa aveva ad oggetto la nuova approvazione del medesimo atto già esaminato e conosciuto dai consiglieri in occasione della seduta del precedente 6 settembre.

Anche la censura relativa all’asseritamente non corretta verbalizzazione del comportamento tenuto dai consiglieri di minoranza in occasione della seduta del 6/9/2021, a parere del comune non sarebbe fondata in quanto smentita dalle risultanze della fonoregistrazione riprodotta nel verbale stenografico dell’assise dalle quali, viceversa, risulterebbero affermazioni compiute da alcuni degli odierni ricorrenti attestanti il mancato abbandono dell’aula da parte loro.

5. In prossimità dell’udienza del 7 febbraio 2022, le parti hanno approfondito l’esame delle questioni sottese al presente giudizio scambiando memorie ai sensi dell’art. 73 c.p.a.

5.1. Parte ricorrente ha insistito sulle proprie tesi, evidenziando come le illegittimità da cui risulterebbero affette le delibere impugnate sarebbero state oggetto di appositi rilievi da parte della Prefettura di Roma, ed aggiungendo, ad ulteriore dimostrazione che la sostituzione del vicesindaco non si estende anche alle funzioni di componente del consiglio, che la Città Metropolitana di Roma Capitale, nell’attribuire al comune di Artena un voto ponderato per l’elezione delle cariche elettive di quell’ente, ha fissato in 14 il numero di consiglieri comunali attualmente in carica senza computare, a tal fine, il vicesindaco.

5.2. Dal canto proprio, l’amministrazione comunale ha ribadito l’asserita inammissibilità ed infondatezza tanto del ricorso introduttivo quanto dei motivi aggiunti, soffermandosi, in particolare, sul contenuto del verbale della seduta del 6/9/2021 del quale viene ribadita l’efficacia fidefacente.

6. All’udienza del 7 marzo 2022, dopo ampia discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

7. Preliminarmente, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti dispiegati dai cittadini-elettori del comune di Artena.

In proposito, coglie nel segno l’eccezione sollevata dal comune resistente in ordine al difetto di legittimazione attiva dei cittadini in relazione all’impugnazione delle delibere adottate dal consiglio comunale posto che, in relazione a quelle, essi non rivestono alcuna posizione differenziata e qualificata che li legittimi a reagire ad eventuali illegittimità.

Né tantomeno è ipotizzabile una sorta di “ azione popolare ” – configurabile, in capo ai cittadini, sol perché iscritti nelle liste elettorali del comune – che li legittimerebbe ad impugnare ogni delibera comunale in ipotesi affetta da vizi, posto che una tale azione, inevitabilmente finalizzata a conseguire il ripristino della legalità violata a prescindere dalla soddisfazione di un qualche interesse personale e differenziato, è ammissibile solo nei casi espressamente previsti dalla legge, diversamente configurandosi un’eccezione al sistema vigente di tutela giurisdizionale contro gli atti della p.a., sistema che, come noto, è imperniato su una giurisdizione di tipo soggettivo orientata, anche in ossequio a precisi referenti costituzionali (art. 113 Cost.), alla giustiziabilità di diritti e interessi legittimi (sul punto, valga per tutte fare riferimento al precedente di questa Sezione costituito da T.A.R. Lazio – Roma, sez. II bis , n. 7322/2020).

E a nulla vale, come pure sostengono i ricorrenti, riconoscere una legittimazione ad impugnare in capo ai singoli cittadini in ragione delle asserite gravi violazioni che affliggerebbero gli atti oggetto dell’odierno gravame posto che, come condivisibilmente messo in luce dall’amministrazione resistente, l’ordinamento non prevede una legittimazione ad agire “ a geometria variabile ” in considerazione della “gravità” del vizio lamentato.

In definitiva, quindi, il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti proposti sono inammissibili i n parte qua , ossia in relazione all’impugnazione proposta da parte dei cittadini-elettori del comune di Artena.

8. Per quanto attiene al ricorso per motivi aggiunti proposto il 22 novembre 2021 e riferito alla delibera approvata dal consiglio comunale il 6 settembre 2021, il ricorso è inammissibile in quanto rivolto avverso un atto – recante l’approvazione del rendiconto di gestione per l’anno 2020 – dal contenuto in tutto e per tutto analogo a quello approvato dal consiglio comunale il successivo 19 settembre e fatto oggetto del ricorso principale proposto dai medesimi ricorrenti.

In altre parole, la delibera del 19/9/2021 con cui il consiglio comunale, in forza di alcuni rilievi mossi dal Prefetto con le note del 13 e del 16 settembre 2021, ha nuovamente approvato il rendiconto per l’anno 2020, non ha alcuna valenza novativa rispetto all’atto approvato il precedente 6 settembre, trattandosi di due delibere aventi lo stesso, identico, contenuto, ed in ordine alle quali non riveste alcuna utilità pratica indagare approfonditamente la natura del rapporto che le legherebbe (ossia, se trattasi, nel caso concreto, di convalida, di conferma oppure di abrogazione implicita seguita da nuova deliberazione).

Non vi è dubbio, infatti, che la decisione del consiglio comunale di procedere ad una nuova approvazione del medesimo atto già adottato pochi giorni orsono è indice inequivocabile della volontà di quell’assise di sostituire la nuova delibera alla precedente, con conseguente inefficacia sopravvenuta della prima e, conseguente, inammissibilità del gravame proposto, contro di essa, dai ricorrenti, impugnazione che, come pure ammesso nel ricorso per motivi aggiunti, da altro non è stata dettata se non da finalità prudenziali e meri scrupoli defensionali, essendo indubitabile che la ripubblicazione della medesima, avvenuta solo il 26 ottobre 2021, non renda necessaria un’autonoma e distinta impugnazione anche della stessa.

Né, tantomeno, nel caso di specie si pongono questioni afferenti la tempestività dell’atto di impugnazione, tenuto conto che, quand’anche si volesse attribuire alla delibera del 19 settembre 2021 il significato di conferma della delibera del 6 settembre 2021, il ricorso contro di essa è stato proposto tempestivamente e, pertanto, nessun ostacolo si pone ad esaminare le censure contro la stessa rivolte.

9. Per ragioni di economia processuale, si passa adesso ad esaminare i motivi di doglianza contenuti nell’impugnativa incidentale proposta avverso la delibera consiliare del 19 settembre 2021, in ordine alla quale non sussiste dubbio alcuno sulla legittimazione a ricorrere dei consiglieri di minoranza che, con tale gravame, lamentano la lesione del proprio ius ad officium .

Il motivo è infondato.

Come correttamente fatto rilevare dall’amministrazione resistente, l’analisi in fatto della tempistica che ha condotto all’adozione della delibera di consiglio del 19 settembre 2021 fa ragione della censura mossa dai ricorrenti.

Infatti, se è vero che la convocazione in prima seduta dell’assemblea – prevista per il 18 settembre – è stata inoltrata ai consiglieri solo il giorno prima e che ciò potrebbe integrare, quantomeno in astratto, la violazione dell’art. 14 dello Statuto e dell’art. 19 del Regolamento per il funzionamento del consiglio (a mente del quale gli avvisi di convocazione delle sedute ordinarie del consiglio comunale di Artena devono essere inoltrati o consegnati ai consiglieri cinque giorni prima di quello stabilito per la riunione, nel caso di convocazioni ordinarie), in concreto tale violazione non sussiste poiché le stesse disposizione invocate recano una “clausola di salvaguardia” che consente, in casi di particolare urgenza, di limitare a ventiquattr’ore l’anticipo della convocazione.

Ora, è indubitabile che la pressante esigenza di convocare il consiglio per il 19 settembre 2021 sia stata determinata dal timore di far decorrere invano il termine di sette giorni assegnato dal Prefetto, con nota acquisita al protocollo dell’Ente il 13 settembre 2021, per deliberare nuovamente il rendiconto di gestione.

E tanto sarebbe più che sufficiente ad attestare la sussistenza di oggettive ragioni d’urgenza tali da giustificare il ricorso alla convocazione ad horas del consiglio, anche in considerazione delle gravi ripercussioni per la vita dell’Ente derivanti dal decorso, in assenza di riscontro positivo, del termine impartito dal Prefetto, con il conseguente avvio della procedura delineata dall’art. 141, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000 che, attraverso il susseguirsi di tappe differenti, avrebbe potuto condurre allo scioglimento del consiglio.

Ma, al fine di escludere la fondatezza dei motivi aggiunti in questione, ancor più significative sono le circostanze in fatto rese note dall’amministrazione resistente le quali consentono di escludere i vulnera lamentati dai ricorrenti.

Infatti, è documentalmente acquisita la prova che sin dal 4 settembre 2021 – ossia, sin dalla data di inoltro dell’avviso di convocazione dell’assemblea del 6 settembre 2021 – tutti i componenti del consiglio abbiano avuto contezza degli argomenti posti all’ordine del giorno della seduta del 19 settembre 2021.

Ancora, sin dal 16 agosto 2021 i consiglieri erano stati messi a parte delle diffide prefettizie all’approvazione dei documenti contabili impartite il 12 agosto precedente, sicché anche la situazione di urgenza sottesa ad eventuali convocazioni entro ventiquattr’ore del consiglio era ad essi nota da tempo.

Infine, e costituisce la circostanza di gran lunga più significativa al fine di escludere eventuali lesioni del ius ad officium , lo schema di rendiconto di gestione il cui esame costituiva l’oggetto della seduta convocata per il 19 settembre 2021 era stato messo a disposizione dei consiglieri, comprensivo dei relativi allegati, sin dal precedente 6 agosto ossia all’indomani dell’approvazione del medesimo nella seduta di giunta del 31 luglio.

Quanto sopra è sufficiente, a parere di questo Collegio, per escludere la lamentata violazione del diritto dei consiglieri a poter conoscere ed esaminare con congruo anticipo gli atti oggetto della seduta consiliare del 19 settembre 2021.

10. Può passarsi, adesso, all’esame delle censure avverso la delibera di approvazione del rendiconto di gestione contenute nel ricorso introduttivo.

10.1. Al riguardo, deve però premettersi quanto segue.

Il Collegio è ben consapevole del consolidato orientamento giurisprudenziale che restringe la legittimazione a ricorrere dei consiglieri ai soli casi in cui la delibera impugnata leda un loro interesse personale e diretto o laddove venga menomato il ius ad officium del singolo consigliere, ossia con riguardo a profili che attengono all’esercizio della carica di consigliere comunale, impeditivi o lesivi delle funzioni in tale veste, condizione questa che ricorre allorché i vizi dedotti interessino: a) erronee modalità di convocazione dell'organo consiliare;
b) violazione dell'ordine del giorno;
c) inosservanza del deposito della documentazione necessaria per poter liberamente e consapevolmente deliberare;
d) più in generale, preclusione in tutto o in parte dell'esercizio delle funzioni relative all'incarico rivestito.

In altre parole, non appare lesivo del diritto di agire in giudizio dei consiglieri comunali l’insegnamento pretorio secondo il quale “ il giudizio amministrativo non è volto a risolvere controversie tra organi dello stesso ente o a maggior ragione fra un componente dell'organo nei confronti di altro organo del medesimo ente, ma a risolvere conflitti intersoggettivi: conseguentemente il consigliere dell'ente locale, in linea generale, non è legittimato ad impugnare le deliberazioni collegiali in ragione della sola qualità di componente che non abbia condiviso le determinazioni della maggioranza, ma è legittimato, al pari di tutti gli altri soggetti dell'ordinamento, ad impugnare le deliberazioni emanate dal consiglio solo quando esse ledano un suo interesse personale diretto, sicché il consigliere dell'ente locale non può impugnare le deliberazioni con le quali è semplicemente in disaccordo, perché ciò significherebbe trasporre e continuare nelle sedi di giustizia la competizione che lo ha visto in minoranza, gravando le sedi medesime di decisioni che competono all'organo collegiale elettivo (così, da ultimo, Cons. St., sez. IV, sent. n. 3034/2021).

Tuttavia, il Collegio ritiene che la fattispecie oggetto di esame con l’odierno ricorso, con il quale viene censurato il voto illegittimamente espresso da un soggetto – il vicesindaco non consigliere – che, a parere dei ricorrenti, non avrebbe potuto e dovuto partecipare all’assunzione della delibera impugnata, riguardi un tema – qual è quello dell’ampiezza delle funzioni esercitabili dal vicesindaco impegnato nella sostituzione del sindaco sospeso dalla carica e, in particolare della sua legittimazione a partecipare, con diritto di voto, alle sedute del consiglio comunale quand’anche egli non sia componente di tale assemblea – che merita di essere indagato più approfonditamente allo scopo di eliminare ogni possibile equivoco in proposito, anche al non secondario fine di contribuire a dissipare i dubbi che avvolgono tale questione, in tal modo fornendo all’amministrazione indicazioni univoche con cui affrontare ipotesi analoghe.

A tanto si appresta il Collegio confortato anche dalla circostanza che eventuali obiezioni all’ammissibilità dell’esame del presente motivo di ricorso possono essere fugate stante l’infondatezza del medesimo.

10.2. Con il ricorso introduttivo i ricorrenti censurano la delibera consiliare del 19 settembre 2021 di approvazione del rendiconto della gestione per l’anno 2020 per essere stata assunta con la partecipazione ed il voto determinante di un soggetto, il vicesindaco del comune di Artena, non appartenente al consiglio comunale e, in quanto tale, non legittimato a prendere parte alle sedute di consiglio se non in forza di un generico “diritto di tribuna” spettante a tutti i componenti della giunta che non siano anche consiglieri.

L’assunto non è fondato, essendo piuttosto vero il contrario ossia che, nei comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, allorché il vicesindaco sostituisca il primo cittadino in caso di sospensione di quest’ultimo dall’esercizio della funzione disposta ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. n. 235/2012, i poteri vicariali da egli esercitati non incontrano, nel vigente sistema normativo, alcuna esclusione o limitazione a particolari categorie di atti, estendendosi anche alle funzioni, spettanti al sindaco, di componente, con diritto di voto, del consiglio comunale, e ciò anche nell’ipotesi in cui il vicesindaco non faccia parte del cennato organo elettivo tanto perché, sin dall’inizio, non ha mai rivestito la carica di consigliere quanto perché, come nel caso di specie, abbia successivamente rassegnato le dimissioni per divenire esclusivamente componente della giunta.

E’ noto come l’art. 64 del d.lgs. n. 267/2000 abbia previsto, per i comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, una netta incompatibilità tra le funzioni di componente della giunta comunale e la carica di consigliere comunale prevedendo, allorquando un consigliere assuma l’incarico di componente della giunta, l’automatica decadenza di quest’ultimo dall’organo consiliare ed il subentro del primo dei non eletti.

E’ altrettanto vero, però, che il legislatore, nell’ambito della discrezionalità che gli è propria, ha circoscritto la regola dell’incompatibilità tra le cariche di consigliere e membro della giunta ai soli comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti mentre, per i comuni appartenenti alla fascia demografica inferiore, l’art. 47, comma 4, del d.lgs. n. 267/2000 parrebbe non aver escluso l’ipotesi che alcuni componenti della giunta possano non appartenere al consiglio comunale limitandosi, in tal caso, a richiedere una previsione in tal senso nello statuto dell’ente.

Assodato quindi che il dato normativo configura quale ipotesi ordinariamente verificabile, nei comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, che il vicesindaco, in quanto componente della giunta, possa non appartenere al consiglio comunale, occorre porsi il quesito se, laddove il vicesindaco sostituisca il primo cittadino colpito da una sospensione ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. n. 235/2012, la circostanza che il predetto non appartenga al consiglio determini una limitazione ai suoi poteri vicariali tale da non consentirgli di partecipare, con pienezza di funzioni, ai lavori dell’organo assembleare.

Ad avviso del Collegio, la risposta al quesito posto dal ricorso si rinviene nel testo dell’art. 53, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000, a mente del quale “ il vicesindaco ed il vicepresidente sostituiscono il sindaco e il presidente della provincia in caso di assenza o di impedimento temporaneo, nonché nel caso di sospensione dall’esercizio della funzione ai sensi dell’articolo 59 ”, con la precisazione che, per effetto dell’abrogazione della disposizione da ultimo richiamata in conseguenza dell’entrata in vigore dell’art. 17 del d.lgs. n. 235/2012, il rinvio contenuto nell’art. 53 del d.lgs. n. 267/2000 è ora da intendersi come operato all’art. 11 del d.lgs. n. 235/2012.

La norma sopra citata, nell’individuare il vicesindaco come sostituto del sindaco ove quest’ultimo venga attinto dalla misura della sospensione dalla carica, comporta che il primo sia investito ex lege di tutti i compiti e di tutte le funzioni ordinariamente spettanti al secondo, senza che sia possibile, alla luce di essa o di altre norme, ricavare una limitazione ai poteri vicariali esercitabili dal vicesindaco.

Limitazione che non è ipotizzabile possa derivare dalla circostanza che quest’ultimo non sia componente del consiglio comunale.

Infatti, non appaiono pertinenti al riguardo le disposizioni dello statuto comunale (art. 25) e del regolamento per il funzionamento del consiglio (art. 34) invocate dai ricorrenti che riconoscono agli assessori non consiglieri la possibilità di partecipare ai lavori del consiglio senza diritto di voto.

Le suddette disposizioni si limitano a disciplinare l’ipotesi in cui assessori “esterni” al consiglio partecipino alle sedute dell’organo consiliare, ma non possono certo introdurre deroghe ad una disposizione legislativa precisa ed inequivocabile quale quella recata nell’art. 53, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000.

In definitiva, va riconosciuta la perdurante attualità dei principi enunciati dal Consiglio di Stato in sede consultiva con il parere n. 501 del 4 giugno 2001 secondo cui “ deve dirsi che il quadro normativo esibisce risultanze sufficientemente univoche, confermando che nell’ipotesi della vicarietà (…) nessuna norma positiva identifica atti riservati al titolare della carica e vietati a chi lo sostituisce. Tale considerazione di ordine, per così dire, testuale risulta corroborata da riflessioni di carattere sistematico, dovendosi al riguardo innanzi tutto ricordare che, secondo i principi, la preposizione di un sostituto all’ufficio o carica in cui si è realizzata la vacanza implica di norma l’attribuzione di tutti i poteri spettanti al titolare, con la sola limitazione temporale connessa alla vacanza stessa (…). In caso contrario, (…), ad essere dimidiato nella propria operatività sarebbe non già il vicesindaco ma l’ente nel suo insieme, laddove la legge ha manifestamente voluto evitare che l’impedimento del sindaco si risolvesse in una moratoria nell’attività di governo dell’ente. Tale deminutio si evita con la traslazione dei poteri sindacali in capo al vicesindaco, nell’ipotesi di circostanze impedienti di carattere oggettivo, e con il commissariamento dell’ente nell’ipotesi di volontarie dimissioni dell’eletto: a ben vedere, proprio il fatto che il legislatore ha ritenuto di dover disciplinare con disposizioni derogatorie la sola fattispecie delle dimissioni, conferma implicitamente che nell’altro caso (impedimento oggettivo) il meccanismo della automatica investitura del vicesindaco è stato ritenuto idoneo ad assicurare la piena funzionalità dell’ente, il che depone ulteriormente in favore di una configurazione non restrittiva dei poteri affidati al sostituto ”.

10.3. Il contrasto che parte ricorrente ravvisa tra la ricostruzione del quadro giuridico di riferimento sin qui operato – che conduce ad attribuire carattere pieno e non limitato a particolari categorie di affari alla sostituzione del vicesindaco – e la posizione assunta dal Consiglio di Stato in sede consultiva con il parere n. 94 del 1996 è più apparente che reale.

Infatti è vero che, con il suddetto parere, l’organo di consulenza giuridico-amministrativa ha ritenuto non configurabile un esercizio vicario delle funzioni del sindaco quale componente di diritto del consiglio comunale e quale presidente del consiglio stesso, apparendo “ difficilmente concepibile che esse vengano esercitare di volta in volta dal sindaco o da chi ne fa occasionalmente le veci, in pratica da un delegato. Nel nostro ordinamento, infatti, non è ammessa delega o sostituzione nelle funzioni di componente delle assemblee elettive ” e che, con riferimento alle funzioni di presidente del consiglio comunale, laddove il vicesindaco non sia anche consigliere, le stesse non potrebbero essere svolte dal sostituto, non ritenendosi possibile che “ possa fungere da presidente di un collegio un soggetto che non ne fa parte ”.

Ma non è possibile negare che, con il parere in questione, il Consiglio di Stato abbia enunciato con forza il principio – poi ribadito in occasione del successivo parere n. 501/2001 – per cui, nell’ipotesi di sostituzione del sindaco sospeso dalle funzioni ai sensi dell’art. 15, comma 4- bis della legge n. 55/1990 (cause di sospensione queste che, adesso, si trovano enunciate nell’art. 11 del d.lgs. n. 235/2012), “ trattandosi di situazione destinata a protrarsi per un tempo più o meno lungo e comunque indeterminato (…) è inevitabile riconoscere al vicario pienezza di poteri, (…). In caso contrario, ad essere dimidiato nella propria operatività sarebbe non solo e non tanto il vicesindaco quanto l’ente locale nel suo insieme ”.

D’altronde il rischio, adombrato nel parere n. 94/1996, che le funzioni di componente di un’assemblea elettiva possano essere svolte, di volta in volta, dal sindaco o da chi ne fa occasionalmente le veci è smentito proprio dalla tipologia della situazione legittimante la sostituzione cui allude l’avverbio “occasionalmente” utilizzato dal Consiglio di Stato nel parere in discorso.

In altre parole laddove, come nel caso di specie, il vicesindaco sostituisca il titolare della carica non in ragione di un’assenza o di un mero ed occasionale impedimento di fatto, bensì in conseguenza di uno stato di interdizione giuridica di durata indefinibile e dagli esiti non predeterminabili, quale quello ricollegabile alla sospensione ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. n. 235/2012, è difficile ritenere che la funzione di componente dell’assemblea possa essere svolta ora dal sindaco ora dall’occasionale supplente configurandosi, piuttosto, una stabile sostituzione ex lege anche nel ruolo di consigliere comunale.

Diversamente opinando, la sospensione del sindaco si risolverebbe proprio in quel pregiudizio alla funzionalità complessiva dell’amministrazione che la legge intende scongiurare ricorrendo alla sostituzione del vicesindaco.

Nel caso di specie, poi, non si potrebbe neppure obiettare che, consentendo al vicesindaco non consigliere di partecipare, in vece del sindaco, ai lavori consiliari nella pienezza dei poteri connessi alla carica di componente di diritto dell’assemblea, si consentirebbe ad un soggetto estraneo all’organo consiliare di presiederlo.

A scongiurare tale rischio si pone proprio lo statuto del comune di Artena che, all’art. 10, assegna la presidenza del consiglio ad un componente dell’organo stesso, avvalendosi così della facoltà che la legge riconosce, nei comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, di non concentrare in capo al sindaco le funzioni di presidente del consiglio comunale.

10.4. In conclusione, ad avviso del Collegio, sussistono plurimi indici normativi che depongono nel senso che il meccanismo surrogatorio previsto dall’art. 53, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000 operi senza limitazione alcuna a particolari categorie di atti o di funzioni e a prescindere dalla circostanza che il vicesindaco non abbia mai occupato la carica di consigliere o abbia successivamente cessato di rivestirla , e ciò è tanto più vero laddove la situazione di fatto legittimante la sostituzione si rinvenga nell’essere stato il sindaco raggiunto dalla sospensione delle funzioni prevista dall’art. 11 del d.lgs. n. 235/2012.

In questa ipotesi, la durata preventivamente non determinabile della situazione di interdizione che ha colpito il primo cittadino, in uno con l’incertezza in ordine agli esiti che detta sospensione potrà conoscere, impone di salvaguardare la continuità dell’esercizio delle funzioni sindacali evitando che le vicissitudini personali del sindaco si trasformino in una deminutio capitis dell’ente.

Né a conclusioni dissimili potrebbe pervenirsi invocando eventuali disposizioni statutarie o regolamentari che escludono la possibilità, per gli assessori non consiglieri, di esprimere il proprio voto all’interno del consiglio comunale, disposizioni che, ove presenti, si limitano a disciplinare il c.d. “diritto di tribuna” spettante agli assessori “esterni” ma che, di certo, non giustificano deroghe ad una disposizione legislativa precisa ed inequivocabile quale quella recata nell’art. 53, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000.

Infine, proprio la natura tendenzialmente non occasionale assunta dalla sostituzione vicariale nell’ipotesi di sospensione dalla carica del sindaco e la circostanza che lo statuto dell’ente abbia, nell’esercizio di una facoltà di scelta riconosciuta dalla legge, affidato la presidenza dell’assemblea ad un consigliere anziché al sindaco, sono da ritenere elementi sufficienti a scongiurare il rischio di una delega o sostituzione nelle funzioni di componente dell’assemblea elettiva.

In considerazione di quanto sopra, pertanto, il ricorso avverso la delibera del consiglio comunale di Artena di approvazione del rendiconto della gestione per l’anno 2020, adottata nella seduta del 19 settembre 2021, è da respingere siccome infondato.

11. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, anche in ragione dell’impegno difensionale profuso dalle parti.

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