TAR Roma, sez. 1T, sentenza breve 2019-03-21, n. 201903796

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1T, sentenza breve 2019-03-21, n. 201903796
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201903796
Data del deposito : 21 marzo 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 21/03/2019

N. 03796/2019 REG.PROV.COLL.

N. 01730/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1730 del 2019, proposto da
Comune di Artena, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati M L e Patrizio Ivo D'Andrea, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, Prefettura-Ufficio Territoriale del Governo di Roma, in persona del Prefetto pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Armando Conti, Fabrizio De Castris, Irene Palone, Marco Imperioli Diamante, Silvia Carocci, Costanzo Pompa, non costituiti in giudizio;

per l'annullamento,

previa sospensione dell’efficacia,

dell'atto del Prefetto di Roma, prot. n. 27790/2019 del 22 gennaio 2019;

della nota della Prefettura di Roma, prot. n. 28885 del 23 gennaio 2019;

dell'atto del Prefetto di Roma, prot. n. 47110/2019 del 5 febbraio 2019;

della nota della Prefettura di Roma, prot. 47598 del 5 febbraio 2019;

di ogni ulteriore atto e provvedimento presupposto, consequenziale e/o comunque connesso, anche, allo stato, sconosciuto al ricorrente;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e della Prefettura-Ufficio Territoriale del Governo di Roma;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 12 marzo 2019 la dott.ssa Francesca Petrucciani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;


Con il ricorso in epigrafe, il Comune di Artena ha impugnato gli atti con cui la Prefettura di Roma ha, dapprima, diffidato il Presidente del Consiglio comunale a provvedere alla convocazione del Consiglio comunale per deliberare, ai sensi dell’art. 52 del T.U.E.L., sulla mozione di sfiducia del Sindaco presentata da sei consiglieri comunali e, poi, alla scadenza del termine fissato nella diffida, provveduto alla convocazione del Consiglio comunale, in sessione straordinaria, in seduta pubblica, in prima convocazione, il giorno 14 febbraio 2019, alle ore 14.30, e in seconda convocazione il giorno 16 febbraio 2019, alle ore 14,30, con il seguente ordine del giorno: “Mozione di sfiducia del Sindaco – art. 52 D.lgs. 267/2000 presentata in data 21.12.2018 dai consiglieri comunali Armando Conti, Costanzo Pompa, Fabrizio De Castris, Irene Palone, Marco Imperioli Diamante e Silvia Carocci a norma dell’art. 17, comma 2 e dell’art. 16, comma 4, del Regolamento del Consiglio comunale”.

Il Comune ricorrente ha esposto che il Consiglio comunale di Artena era composto di 16 consiglieri (17 con il Sindaco), secondo il disposto dell’art. 37 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e che, in data 24 dicembre 2018, 6 consiglieri comunali avevano richiesto la convocazione del Consiglio comunale in seduta urgente “onde procedere alla votazione per appello nominale” di una “mozione di sfiducia ex art. 52 del d.lgs. n. 267/2000”.

Il Presidente del Consiglio comunale, con nota del 21 gennaio 2019, aveva comunicato agli istanti che la mozione così presentata era inammissibile, poiché il numero necessario per la presentazione di una mozione di sfiducia ai sensi dell’art. 52 del d.lgs. n. 267/2000, in un consiglio comunale formato da n. 16 consiglieri, era pari a sette e non già a sei consiglieri, atteso che “il numero di sei consiglieri non rispetterebbe sotto alcun profilo il quorum dei due quinti dei consiglieri assegnati (senza computare a tal fine il sindaco) di cui al succitato art. 52”, non potendosi in tal caso utilizzare il criterio dell’arrotondamento per difetto ma per eccesso.

A seguito di istanza dei proponenti la mozione il Prefetto aveva quindi provveduto, con gli atti impugnati, a diffidare il Presidente del Consiglio comunale alla convocazione dell’organo consiliare e, decorso infruttuosamente il termine a tal fine concesso, a convocare l’adunanza per la discussione e votazione sulla mozione di sfiducia.

A sostegno del ricorso sono state formulate le censure di:

1.- Violazione dell’art. 52 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL), che prevedeva per la presentazione della mozione di sfiducia il quorum di 2/5 dei consiglieri, pari a 6,4/16, non raggiunto nel caso di specie essendo stata la mozione presentata da 6 consiglieri;
nel caso di specie non avrebbe potuto essere applicato il criterio di arrotondamento per difetto, in quanto l’art. 52, comma 2, citato richiedeva che la mozione fosse proposta dalla soglia minima di almeno due quinti dei consiglieri;

2.- Eccesso di potere per contraddittorietà. Nullità del provvedimento per incertezza nei suoi elementi fondamentali ex art. 21-octies della l. n. 241 del 1990. Violazione degli artt. 3 e 10 della l. n. 241 del 1990, giacché il provvedimento di convocazione del consiglio comunale prevedeva che l’organo dovesse riunirsi nelle date del 14 e 16 febbraio rispettivamente in prima e seconda convocazione, mentre la nota di trasmissione indicava le diverse date dell’11 e 13 febbraio, con conseguente incertezza assoluta sul dispositivo di carattere provvedimentale;
peraltro, nessuno degli atti pervenuti al Comune di Artena recava l’indicazione “del termine e dell’autorità a cui ricorrere” per la tutela degli interessi legittimi del destinatario.

Con decreto n. 1066 del 13 febbraio 2019 è stata respinta l’istanza di misura cautelare monocratica, ritenendo non sussistenti le ragioni di estrema gravità ed urgenza richiesti dall’art 56 del c.p.a. per la concessione della stessa, anche avuto riguardo all’interesse pubblico tutelato con il provvedimento impugnato, ed è stata fissata per l’esame collegiale dell’istanza cautelare la camera di consiglio del 12 marzo 2019.

Con decreto cautelare monocratico del 14 febbraio 2019, n. 695, il Consiglio di Stato, a seguito di appello proposto dalla parte ricorrente avverso il decreto presidenziale che ha respinto l’istanza di misura cautelare monocratica in primo grado, ha sospeso l’efficacia degli atti impugnati, rinviando l’esame dell’istanza cautelare alla camera di consiglio collegiale già fissata innanzi a questo Tribunale.

Si è costituita l’Amministrazione resistente chiedendo il rigetto del ricorso.

All’esito della camera consiglio del 12 marzo 2019 il ricorso è stato trattenuto in decisione, previo rituale avviso alle parti della possibilità di decisione con sentenza in forma semplificata.

Deve rilevarsi, preliminarmente, che l’adunanza del Consiglio comunale, nella data fissata dal provvedimento impugnato, non si è tenuta, per effetto del decreto cautelare monocratico emesso dal Consiglio di Stato in data 14 febbraio 2019, n. 695, sull’appello proposto dalla parte ricorrente avverso il decreto presidenziale che ha respinto l’istanza di misura cautelare monocratica in primo grado.

Tale circostanza, tuttavia, non consente di ritenere venuto meno l’interesse alla pronuncia, in quanto lo stesso Consiglio di Stato ha sospeso l’efficacia dei provvedimenti gravati sino alla camera di consiglio già fissata innanzi a questa Sezione per la data del 12 marzo 2019, ritenendo che competesse “al Collegio di prime cure anzitutto stabilire se vi siano i presupposti per la concessione della tutela cautelare”.

La misura cautelare monocratica presidenziale prevista dall’art. 56 c.p.a. è infatti espressamente definita, al comma 2 della disposizione, non impugnabile, avendo funzione strettamente interinale fino alla «trattazione della domanda cautelare da parte del collegio, in caso di estrema gravità ed urgenza, tale da non consentire neppure la dilazione fino alla data della camera di consiglio» e il relativo «decreto» è per legge «efficace sino a detta camera di consiglio», che costituisce la giusta sede per l’esame della domanda cautelare (Cons. Stato, decreto n. 3015 del 19 luglio 2017);
ciò in considerazione del vulnus che la misura inaudita altera parte apporta al principio del contraddittorio processuale, potendo incidere in modo irrimediabile sulla posizione dei controinteressati.

Peraltro, l’Amministrazione resistente nel corso della camera di consiglio ha evidenziato che il provvedimento sarebbe stato reiterato all’esito della decisione del Tribunale, di tal che anche sotto tale profilo sussiste l’interesse della parte ricorrente alla pronuncia.

Nel merito il ricorso deve essere respinto, in quanto infondato.

Oggetto di controversia sono le modalità di applicazione dell’art. 52 del T.U.E.L., nel caso in cui la soglia di almeno 2/5 dei consiglieri comunali prevista per la proposizione della mozione di sfiducia coincida, per effetto del numero dei consiglieri componenti il Consiglio comunale, con un numero non intero ma decimale.

Secondo la prospettazione del Comune ricorrente, la dizione della norma, secondo cui “La mozione di sfiducia deve essere motivata e sottoscritta da almeno due quinti dei consiglieri assegnati, senza computare a tal fine il sindaco e il presidente della provincia”, contenendo l’avverbio “almeno”, implicherebbe che, a fronte di un risultato decimale (nella fattispecie 6,4), non possa essere applicato il criterio dell’arrotondamento aritmetico (nella fattispecie con individuazione del coefficiente, per difetto essendo il decimale inferiore allo 0,5, nel numero di 6), dovendo essere raggiunta e superata la soglia di 6,4 prevista dalla legge, risultando pertanto necessaria la sottoscrizione della mozione da parte di almeno 7 consiglieri.

Al riguardo deve osservarsi che, come evidenziato dall’Amministrazione resistente, la norma citata riguarda organi che possono avere una composizione numerica variabile, potendo oscillare da 12 a 60 componenti a seconda del numero degli abitanti del Comune.

Di conseguenza, l’ipotesi che la soglia potesse coincidere con un numero decimale ben avrebbe potuto essere prefigurata dal legislatore che, tuttavia, non ha previsto un apposito criterio per stabilire, in tali casi, l’esatta soglia cui fare riferimento, postulando, evidentemente, che anche in questo caso il numero esatto potesse essere agevolmente individuato secondo il criterio dell’arrotondamento aritmetico per difetto o per eccesso, idoneo ad essere utilizzato, come principio generale, in tutti i casi in cui il coefficiente legislativamente indicato non coincida con un numero intero.

Inoltre, con riguardo alla ratio della norma, deve evidenziarsi che, benché la disposizione sia preposta ad individuare una soglia minima per la discussione e la votazione della mozione di sfiducia, volta ad evitare che la tenuta dell’organo consiliare sia pregiudicata da iniziative non sostenute da un adeguata consistenza numerica, tuttavia la determinazione della soglia mira, altresì, ad individuare un punto di necessario bilanciamento con l’esigenza democratica di consentire la discussione sulle mozioni proposte dalle minoranze, che eventualmente in caso di maggioranza salda potranno essere discusse e respinte.

Nell’interpretare la norma non può quindi non tenersi in considerazione che la stessa opera un delicato contemperamento tra gli interessi della maggioranza e dell’opposizione, stabilendo un quorum che consenta di garantire la stabilità del governo dell’ente tutelando, nel contempo, le posizioni della minoranze consiliari.

In tal senso deve osservarsi che il quoziente dei 2/5 di per sé corrisponde al 40% del Consiglio comunale, come tale pari ad una consistente componente dei consiglieri;
ritenere, nel caso di specie, non sufficiente il numero di 6 consiglieri per la proposizione della mozione, sul presupposto del non raggiungimento in tal caso della soglia dei 2/5, pari al numero di 6,4, comporterebbe che il numero minimo per la presentazione della stessa andrebbe a coincidere con il numero di 7 consiglieri su 16, pari circa al 44% dei componenti dell’organo, notevolmente superiore rispetto al quorum previsto dalla legge, coincidente come detto con il 40%.

Di conseguenza, a parere di questo Collegio, l’interpretazione della norma suggerita dalla parte ricorrente, pur se ancorata ad un dato testuale esistente, comporterebbe, con l’appesantimento che ne conseguirebbe del quorum richiesto, a ben vedere un notevole scostamento dal dato testuale previsto e una eccessiva compressione dei diritti della minoranza, compromettendo il delicato bilanciamento tra le esigenze contrapposte che la disposizione mira a tutelare.

L’applicazione del criterio dell’arrotondamento aritmetico consente, di contro, di assicurare una maggiore vicinanza del quorum previsto rispetto alla soglia minima richiesta dalla legge (conducendo, a fronte di una soglia di 6,4, alla individuazione del numero esatto di 6 consiglieri anziché 7), ed è, altresì, in linea con i pareri espressi sull’interpretazione della norma dal Ministero dell’Interno, citati dallo stesso provvedimento impugnato, peraltro non fatti oggetto di gravame.

Alla luce di tali considerazioni la determinazione prefettizia risulta aver dato coerente attuazione alla norma citata e si palesa esente da vizi di illogicità ed irragionevolezza.

Quanto al secondo motivo, l’erronea individuazione della data dell’adunanza nella relativa comunicazione deve ritenersi frutto di un mero errore materiale, comunque allo stato superato dal decorso delle date fissate, mentre l’omessa indicazione del termine e dell’autorità a cui ricorrere avverso il provvedimento costituisce, per giurisprudenza costante, una mera irregolarità (Consiglio di Stato, sez. V, 28 luglio 2015, n. 3710;
T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 14 marzo 2018, n. 2909).

Il ricorso va quindi respinto.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

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