TAR Catania, sez. I, sentenza 2023-05-12, n. 202301567

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Catania, sez. I, sentenza 2023-05-12, n. 202301567
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Catania
Numero : 202301567
Data del deposito : 12 maggio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 12/05/2023

N. 01567/2023 REG.PROV.COLL.

N. 01206/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1206 del 2012, proposto da
Sandek S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato G S, con domicilio eletto presso il suo studio in Catania, via V. Giuffrida, 37;

contro

Comune di Tremestieri Etneo, in persona del Sindaco, legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati M F, P R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

della determinazione dirigenziale del Comune di Tremestieri Etneo del 26 luglio 2010, prot. 1775, con cui è stato determinato il contributo di costruzione a titolo di oblazione, per l’accertamento di conformità relativo all’intervento edilizio di ristrutturazione con demolizione e ricostruzione dell’immobile sito in via P. Dell’Ova n. 406-408-410-412, prevedendo la corresponsione di un importo a saldo di euro 98.719,56;
nonché, ove occorra, della proposta e della successiva concessione edilizia di accertamento di conformità rilasciata il 6 agosto 2010, nr. 7, limitatamente alla sola parte in cui è richiesto un contributo di costruzione a titolo di oblazione, per un importo a saldo di euro 98.719,56;
nonché per l’accertamento ed il riconoscimento del diritto della società ricorrente all’esenzione del pagamento del soprarichiesto contributo di costruzione di euro 98.719,56, quale oblazione per l’accertamento di conformità, con la conseguente condanna del Comune alla restituzione di tali somme corrisposte, oltre interessi e rivalutazione, ovvero di altra minore somma.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Tremestieri Etneo;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 17 aprile 2023 il dott. Salvatore Gatto Costantino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Nell’odierno giudizio, la società ricorrente agisce contro il Comune di Tremestieri Etneo per l’annullamento degli atti indicati in epigrafe, con i quali l’Amministrazione ha rideterminato l’importo dell’oblazione ed il contributo per il rilascio della concessione in relazione alla concessione in sanatoria n. 7 rilasciata in data 6 agosto 2010, assumendo che sia stata erroneamente considerata dall’Amministrazione stessa la superficie utile (metri quadri 725,45), la superficie non residenziale (metri quadri 920,05), così pervenendo ad un illegittimo ammontare di € 166.238,38, di cui € 107.965,24 a titolo di oneri di urbanizzazione ed € 58.273,14 a titolo di contributo per costo di costruzione.

Precisa che l’istanza di sanatoria si riferiva ad un intervento edilizio di ristrutturazione con demolizione e ricostruzione con struttura in cemento armato - nel rispetto della sagoma e della volumetria originari - dell’immobile sito in via Pietra dell’Ova nn. 406-408-410-412, riportato in catasto al foglio di mappa n. 8, particella n. 206, sub. 3-4-5-6-7-8-9-10-11-12-16-17-18-19-20-21, oltre alla realizzazione di parcheggi di pertinenza nel sottosuolo del lotto su cui insiste il fabbricato.

A fondamento del gravame deduce quanto segue.

a) La realizzazione dell’intervento era stata iniziata dagli originari proprietari, A F e S V su DIA del 1 agosto 2007, pot. 13959 (avente ad oggetto la “realizzazione di un intervento di ristrutturazione”), cui allegavano documentazione tecnica e perizia giurata sullo stato di consistenza;
successivamente alla presentazione della DIA del 1 agosto 2007, chiedevano all’Ufficio Igiene del Comune il rilascio del parere igienico sanitario (che lo rilasciava con atti dell’8 ottobre 2007 e del 27 dicembre 2007, con prescrizioni);
ed al Genio Civile il N.O. di competenza (che pure impartiva prescrizioni).

b) Tenendo conto delle prescrizioni, i proprietari F e V ravvisavano l’opportunità di modificare l’intervento di ristrutturazione prevedendone la previa demolizione e presentavano, quindi, in data 30 novembre 2007 una seconda DIA avente ad oggetto “ ..ristrutturazione edilizia del fabbricato sopra citato con demolizione e ricostruzione con struttura in c.a. nel rispetto della sagoma e volumetria.. ”, indicando quale ditta esecutrice l’Impresa Sandek srl, che, in seguito, acquisiva anche la comproprietà dell’immobile (atto di compravendita 16 gennaio 2008, n. 25599 e racc. 12626). L’impresa autodeterminava gli oneri di urbanizzazione (costo di costruzione euro 19.148,38 e oneri euro 47.968,50);
e di seguito effettuava il pagamento di € 11.680,91 pari a ¼ degli stessi, nonché di € 40.777,81, dei quali € 5.735,06 (per costo di costruzione) ed € 35.072,75 (a saldo degli oneri di urbanizzazione).

c) L’Amministrazione resistente, con nota del 19 giugno 2008, a seguito di verifiche, richiedeva ulteriore versamento integrativo di euro 15.060,10, avendo quantificato in complessivi € 67.518,82 il totale contributo concessorio, di cui € 19.550,29 quale costo di costruzione (per una superficie utile di mq 714,84, una superficie non residenziale di mq 787,31 ed un costo di costruzione di euro 257,30 al mq, con aliquota dello 0,064) ed € 47.968,53 per oneri di urbanizzazione.

d) Gli interessati effettuavano il versamento a saldo dell’importo di € 15.060,10 in data 27 giugno 2008 e, successivamente, la società ricorrente presentava il 27 novembre 2008, con i proprietari originari, una variante alla DIA del 30 novembre 2007 per realizzare opere consistenti in: “ ripristino di una unità immobiliare (già identificata nella I DIA) modifica della copertura per l’installazione di pannelli fotovoltaici e revisione dei grafici per piccole difformità a variazioni non essenziali e piccole modifiche interne ”.

e) Con una seconda DIA in variante del 20 maggio 2009, poi integrata in corso d’opera del 20 luglio 2009, apportavano “ piccole modifiche interne ed esterne..su precisa richiesta dei futuri proprietari ”;
risultava che la superficie utile effettiva era di mq 725,45, anziché di mq 714,83 (con maggiore superficie di soli 10,61 mq, conseguente ad una rimisurazione dei piani secondo e terzo sui confini nord ed ovest);
la SNR era 920,05 mq, invece che 787,31 (maggiore di mq 132,74, derivante dall’ampliamento del piano garage e sovrastante copertura a terrazza di fronte unità D1;
e dalla realizzazione del piano mansarda sull’unità D2 con relativa terrazza, oltre al prolungamento di alcuni balconi).

f) Il Comune di Tremestieri, con nota del 15 dicembre 2009, comunicava l’avvio del procedimento di sospensione dei lavori in quanto, a seguito di un sopralluogo – eseguito l’8 luglio 2009 – si sarebbe riscontrata l’esecuzione di lavori in difformità rispetto alla DIA del 30 novembre 2007.

La società ricorrente, pur riscontrando con nota del 18 dicembre 2009, la sopraddetta comunicazione, facendo presente che il 10 dicembre 2009 erano stati ultimati i lavori, presentava domanda di accertamento di conformità (prot.n. 4474) in data 8 marzo 2010 per sanare le difformità emerse nel sopralluogo dell’8 luglio 2009, precisando che tali difformità sarebbero state comunque già indicate nella variante in corso d’opera del 20 luglio 2009.

Il successivo 9 aprile 2010 gli interessati presentavano un’integrazione all’istanza dell’8 marzo 2010 precisando che le opere difformi riguardavano: “ 1) rotazione del muro di confine tra il box n. 9 e la rampa garage per una lunghezza massima di cm 60;
2) spostamento del muro di ingresso ai box n. 6 e 7 verso la corsia di manovra di circa 20 cm;
3) cambio di destinazione dei locali adibiti a soffitta in vani abitabili del piano superiore dell’unità D2
”. Precisa la ricorrente che la difformità di cui al punto 3 veniva spontaneamente eliminata (nota del 4 agosto 2010).

Con determina prot.n. 1775 del 26 luglio 2010 (prot. gen. 13386) l’Amministrazione rideterminava l’incidenza degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione in relazione all’istanza di accertamento di conformità quantificandoli in complessivi € 166.238,38, di cui € 47.968,53 già corrisposti (oneri di urbanizzazione pari ad euro 107.965,24;
costo di costruzione pari ad euro 58.273,14).

Con nota del 4 agosto 2010, la società ricorrente comunicava il pagamento del saldo di cui € 59.996,71 quanto agli oneri di urbanizzazione ed € 38.722,85 per il costo di costruzione;
ma, ritenendo ingiusto il pagamento ingiunto, ha proposto l’odierno ricorso per ottenere l’annullamento della pretesa ed il recupero delle somme versate in maniera maggiore.

A tal fine la ricorrente deduce quanto segue.

Al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria era stata indicata la consistenza delle opere alle quali la domanda era riferita, mentre l’Amministrazione, nel ricalcolo, non ha operato alcuna distinzione, riferendosi anche alle parti precedentemente autorizzate e conformi al progetto originario (non computabili ai fini degli abusi da sanare);
su questa base l’importo dovuto a titolo di oblazione avrebbe dovuto essere quantificato con esclusivo riguardo alle difformità rispetto al progetto iniziale di cui alla d.i.a. del 30 novembre 2007 (ossia le opere consistenti in: 1) una maggiore superficie utile di metri quadri 10,61;
2) una maggiore superficie non residenziale di metri quadri 132, 74;
3) realizzazione di nove unità abitative (di cui sette fino a metri quadri 95 e due da 110 a 130 metri quadri) in luogo delle dieci unità (di cui otto fino a metri quadri 95 e due da 95 a 110 metri quadri) previste nel progetto originario)

Deriverebbe da quanto sopra l’illegittimità delle somme richieste dal Comune a saldo pari ad € 98.719,56 - già versate dalla società ricorrente -, con conseguente obbligo della stessa Amministrazione di restituire quando indebitamente percepito.

Lamenta poi la violazione degli artt. 36 comma 2 e 37 comma 5 del D.P.R. n. 380/2001, in quanto le opere indicate nell’istanza di accertamento di conformità presentata in data 8 marzo 2010 risulterebbero autorizzate con la d.i.a. in variante presentata in data 20 luglio 2009, con la conseguenza che l’istanza riguarderebbe soltanto le difformità dichiarate dalla società ricorrente in data 9 aprile 2010 (e riguardanti “1) rotazione del muro di confine tra il box n. 9 e la rampa garage per una lunghezza massima di cm 60;
2) spostamento del muro di ingresso ai box n. 6 e 7 verso la corsi di manovra di circa 20 cm”, non incidenti su alcun parametro edilizio (superficie e\o volume) e quindi senza previsione del contributo di costruzione).

In via subordinata, censura la violazione degli artt. 31, 32, 33, 34 e 36 del D.P.R. n. 380/2001, avendo il Comune resistente errato nella qualificazione giuridica dell’abuso alla stregua di “totale difformità” o “variazione essenziale”, posto che l’accertamento di conformità riguarderebbe modeste modifiche non incidenti sui parametri urbanistici;
si tratterebbe al più di un intervento realizzato in parziale difformità, in relazione al quale l’oblazione avrebbe dovuto essere calcolata con riferimento alla sola parte difforme dal permesso e ammonterebbe ad € 4.116,99 in luogo della somma di € 98.719,56 richiesta a saldo dall’amministrazione.

In via ulteriormente subordinata, evidenzia parte ricorrente che, anche laddove l’intervento venga qualificato come realizzato in totale difformità rispetto alla d.i.a., l’art. 33 del D.P.R. n. 380/2001 prescrive l’applicazione di una sanzione pecuniaria, ma il contributo per costo di costruzione è dovuto senza alcuna maggiorazione.

Il Comune di Tremestieri Etneo si è costituito in giudizio con memoria dell’8 aprile 2019, eccependo in via preliminare l’inammissibilità e, nel merito, l’infondatezza del ricorso introduttivo.

Con ordinanza presidenziale n. 1797 del 28 dicembre 2022 sono stati disposti incombenti istruttori che l’Amministrazione resistente ha eseguito, depositando il provvedimento impugnato unitamente alle copie dei relativi atti di procedimento.

Le parti hanno quindi depositato memorie.

In particolare, il Comune ha eccepito l’inammissibilità del ricorso, in quanto l’azione di annullamento è stata proposta avverso il provvedimento comunicato lo stesso giorno, ovvero il 26.07.10, a distanza di quasi due anni (10.05.2012). Né sarebbe prospettabile un’azione di accertamento “atipica”, autonoma rispetto all’azione di annullamento, stante, tra l’altro, il disposto di cui al comma 2 dell'art. 34 del CPA. Nel merito, rileva l’Ente come già con la d.i.a. 28/08 era stata rappresentata una situazione dei luoghi mutata nella sagoma del lotto e nei limiti di confine originariamente rappresentati con il posizionamento del fabbricato già edificato mutato rispetto all’origine, con diversa sagoma e volume;
le opere raffigurate in tale d.i.a. ed in quelle successive non rispettano i contenuti della d.i.a. originaria in quanto relativi ad interventi che non hanno rispettato la sagoma e la volumetria dell’involucro originario;
tutte le varianti presentate dalla ditta non sono mai state qualificate come “varianti in sanatoria”;
nella piena consapevolezza dell’inesistenza di un titolo edilizio legittimamente formatosi, la società ricorrente in data 08.03.2010 ha presentato domanda di accertamento di conformità. Con verbale di accertamento della P.M. del 19.03.2010 s riscontrava una illecita trasformazione della destinazione d’uso di un locale sottotetto ad uso abitativo collegato con l’appartamento sottostante e con la presenza di camere e servizio igienico. Detta illecita trasformazione veniva spontaneamente ripristinata dalla Ditta. Quest’ultima dopo avere in data 09.04.2010 integrato l’istanza di accertamento di conformità con nota del 9.05.2010 ha precisato che la stessa era da qualificarsi ai sensi dell’art. 36 del d.lgv. 301/2002.

Secondo l’Ente, dunque, il primo motivo (con il quale si deduce che l’accertamento di conformità riguarderebbe solo le difformità dichiarate il 09.04.2010 e si tratterebbe di un accertamento non incidente sui parametri edilizi e quindi senza contributo di costruzione) sarebbe infondato in quanto non si comprenderebbe la ragione per la quale in data 08.03.2010 la ricorrente presentava l’istanza di accertamento di conformità, ove la stessa fosse stata convinta della bontà della tesi secondo la quale le opere nella stessa indicate risultavano essere già autorizzate con d.i.a. presentata il 20.07.2009. Peraltro nell’istanza veniva richiesto l’accertamento di conformità dell’immobile nella sua interezza e, solamente dopo avere integrato l’istanza per le ulteriori difformità rilevate dall’ufficio, la stessa ricorrente con nota del 9.05.2010 precisava che il chiesto accertamento era da qualificarsi ai sensi dell’art. 36 del d.lgv. 301/2002 (di tutte le descritte circostanze si dà atto nelle premesse della concessione edilizia n. 7 rilasciata in data 06.08.2010).

Che non si fosse formato alcun valido titolo abilitativo sarebbe agevole concludere, considerato che la ricorrente non ha posto in essere un intervento di ristrutturazione così come denunciato avendo modificato sagoma e volume dell’immobile. Ciò condurrebbe anche a respingere le censure subordinate: la stessa ricorrente ha presentato istanza di accertamento di conformità dell’immobile così come realizzato nella sua interezza;
non potrebbe parlarsi di difformità parziale rispetto ad un titolo che non si è legittimamente formato per avere la società realizzato un intervento di nuova costruzione e non già di ristrutturazione con demolizione e ricostruzione nel rispetto della sagoma e del volume;
non potrebbe fondatamente sostenersi che vi è stata violazione degli artt. 31 e 32 del D.P.R. 380/2001 per avere l’amministrazione classificato l’intervento eseguito in totale difformità ovvero quale variante essenziale alla D.I.A. del 30.11.2007 avendo la ricorrente realizzato un intervento completamente diverso ed in quanto tale soggetto a permesso di costruire e sanabile attraverso la procedura di accertamento di conformità di cui all’art. 36 del citato decreto;
né potrebbe lamentarsi la violazione del secondo comma dell’art. 36 del D.P.R. 380/2001 che prevede il pagamento dell’oblazione con riferimento alla sola parte di opera difforme del permesso, proprio in quanto l’opera realizzata è altro rispetto a quanto oggetto di d.i.a

Nella pubblica udienza straordinaria del 17 aprile 2023, la causa è stata trattenuta in decisione.

Tenuto conto delle argomentazioni difensive del Comune, che il Collegio condivide, nessuna delle doglianze articolate è fondata e ciò consente di prescindere dalla – pur sussistente – tardività del gravame.

Il presupposto di fondo dal quale dipendono le censure di parte ricorrente è che l’istanza di accertamento di conformità presentata l’8 marzo ed il 9 aprile 2010 fosse limitata alle sole difformità riscontrate in fase esecutiva rispetto al manufatto autorizzato con la d.i.a. del 30 novembre 2007 di per sé non riconducibili al novero di variazioni essenziali;
in via subordinata, ritiene che l’accertamento di conformità, avendo riguardo a queste difformità, andrebbe trattato come opera parzialmente difforme dal titolo (e quindi il calcolo andrebbe riferito solo a quest’ultima parte);
in via ulteriormente gradata, riferisce la fattispecie alla previsione dell’art. 33 del DPR 380/2001 che assoggetta la ristrutturazione in totale difformità dal titolo alla sola sanzione ivi meglio precisata e non prevede l’aumento del doppio del calcolo del costo di costruzione.

Tuttavia, come puntualmente argomentato dal Comune, il presupposto dal quale tutte le censure dipendono, non risulta riscontrato o riscontrabile agli atti di causa.

Infatti, l’istanza di accertamento di conformità era riferita a tutto il fabbricato e non a sole modifiche;
e sono irrilevanti le precisazioni postume, che non alterano l’estensione e l’oggetto dell’istanza di accertamento ex art. 36 DPR 380/2001, tanto che il relativo provvedimento di assenso esplicito ha riguardo all’intero manufatto.

In ogni caso, tale argomento non necessita di ulteriori approfondimenti, per le ragioni che seguono.

Nel giudizio avverso il computo degli oneri di urbanizzazione, che ricade nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, una volta determinato dall’Ufficio l’importo richiesto è sulla parte interessata a contestarne l’ammontare che grava l’onere della prova dell’esatto conteggio, in funzione di un accertamento dell’esatto dovuto.

Infatti, secondo il risalente, ma sempre valido, insegnamento della giurisprudenza, a norma dell’art. 2697 c.c., chiunque chiede l’attuazione della volontà della legge in relazione ad un diritto che faccia valere in via di azione o di eccezione deve provare il fatto giuridico da cui fa discendere il preteso diritto, e quindi tutti gli elementi o requisiti per legge necessari alla nascita dello stesso, che costituiscono le condizioni positive della pretesa (incluso l’interesse ad agire), principi pienamente recepiti nel codice del processo amministrativo a norma dell’art. 63 c.p.a. (cfr. per diverse applicazioni in varie fattispecie, TAR Lazio, Roma, II stralcio 15 luglio 2020, nr. 8117;
TAR Lazio, Roma, II ter, 22 gennaio 2018, nr. 788;
8 maggio 2017, nr. 5497;
12 agosto 2014, nr. 8928;
TAR Reggio Calabria 6 giugno 2014, nr. 238).

Nel caso di specie, dal raffronto che è possibile operare tra la tabella di calcolo che l’Ufficio aveva predisposto con nota del 19.6.2008 e quella oggetto di gravame (26.07.2010), si evince che – in maniera coerente con i dati di fatto esposti dalla parte ricorrente nella ricostruzione della successione dei diversi titoli di intervento in corso d’opera – le due tabelle prospettano, rispettivamente, una S.U. inziale di mq 714,84 e di mq. 725,45;
una SNR di mq. 787,31 e di mq. 920,05;
che, apportando le variazioni elencate nei relativi prospetti (art. 5, “incremento per superficie utile abitabile”;
tab. 2 “incremento per superficie utile ed accessori”;
“classe e maggiorazione”) pervengono ad un totale complessivo, rispettivamente (nel 2008) di mq. 1187,23 con un volume di mc. 3614,81;
e (nel 2010) di mq. 1277,48 con un volume di mc. 3469,32. La differenza finale (che la ricorrente contesta), è quindi da imputare a quella stessa maggiore superficie che la ricorrente prospetta ed anche alla circostanza che quest’ultima ha causato uno “scatto” nelle fasce della “classe e maggiorazione” (che nel 2008 era corrispondente alla VII con aliquota del 30% e nel 2010 equivale alla VIII, con aliquota del 35%) con relativa differenza nell’aliquota applicata da 0,064 a 0.065 del “costo di costruzione dell’edificio” (a sua volta determinato, nel 2008 in euro 305.473,25 e, nel 2010, in euro 448.254,96;
tutte circostanze non oggetto di censure alcune).

Ne deriva che non risulta provato in fatto neppure il secondo e più importante presupposto dal quale muove l’azione della odierna ricorrente.

Invero, l’Ufficio – che ha scomputato dal dovuto quanto già corrisposto nel 2008 – risulta dalle tabelle prodotte aver considerato proprio l’edificio (ai fini del calcolo del dovuto) nella differenza planovolumetrica che si è determinata rispetto (non già al titolo, ma) al calcolo operato nella consistenza del 2008 (che è quanto la ricorrente si duole che il Comune non abbia considerato).

In altri termini, il maggior importo – stando agli atti di causa e tenuto conto che in proposito non solo nessuna prova, ma neppure nessuna censura risulta in atti – deriva proprio da quelle (minime) differenze tecniche e costruttive che la stessa impresa ricorrente ha riferito aver apportato nel corso della realizzazione dell’intervento edilizio (ed ha esposto in ricorso).

Appare palese, dunque, l’infondatezza del gravame e la recessività dei relativi argomenti di censura che, in difetto dei presupposti di fatto che si sono illustrati, non sorreggono l’azione.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

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