TAR Milano, sez. III, sentenza breve 2024-06-14, n. 202401806
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Testo completo
Pubblicato il 14/06/2024
N. 01806/2024 REG.PROV.COLL.
N. 01135/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOE DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1135 del 2024, proposto da
-OISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati B T, P D S, con domicilio eletto presso lo studio P D S in Milano, via Cavallotti, 13;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliataria ex lege in Milano, via Freguglia, 1;
per l'annullamento
previa sospensione interinale dell'efficacia o l'emissione delle misure cautelari più idonee nel caso di specie ad assicurare gli effetti dell'emananda pronuncia:
- del provvedimento di inammissibilità del 15.04.2024 e notificato in pari data con il quale la Questura di Milano ha decretato inammissibile l'istanza di conversione del permesso di soggiorno da protezione speciale a lavoro subordinato presentata dal Ricorrente;
- di ogni altro atto e/o provvedimento del procedimento ad esso successivo, presupposto o preparatorio, anteriore o conseguente, conosciuto e non, ivi inclusa la circolare del Ministero dell'Interno - Dipartimento di P.S. n. 400/B/2023/1 del 01.06.2023 e le successive indicazioni operative.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 13 giugno 2024 il dott. Marco Bignami e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Parte ricorrente, di cittadinanza extracomunitaria, impugna il provvedimento con il quale ne è stata rigettata la domanda di conversione del permesso di soggiorno per protezione speciale in permesso di soggiorno per lavoro subordinato.
All’esito della fase cautelare, sussistono i presupposti per definire la causa con sentenza in forma semplificata ex art. 60 cpa.
É pacifico in causa che parte ricorrente è titolare di un permesso di soggiorno per protezione speciale rilasciato dal Questore ai sensi dell’art. 32, comma 3, del d.lgs. n. 25 del 2008.
Tale ultima disposizione prevede che, per le ipotesi di diniego della domanda di protezione internazionale, si proceda al rilascio del titolo, in presenza dei requisiti indicati dall’art. 19, comma 1.1, del d.lgs. n. 286 del 1998.
Siffatta previsione accomunava due ipotesi nelle quali non si poteva procedere ad espulsione dello straniero, vale a dire a) il rischio che quest’ultimo fosse sottoposto a tortura o trattamenti inumani o degradanti, o che l’espulsione comportasse la violazione di obblighi internazionali della Repubblica e b) la lesione del diritto al rispetto della privata e familiare che sarebbe conseguita all’allontanamento dal territorio nazionale.
L’art. 7 del d.l. n. 20 del 2023 ha abrogato il terzo periodo dell’art. 19, comma 1.1 appena citato, nella parte in cui stabiliva quest’ultima porzione del divieto di espulsione;in disparte la questione concernente il perdurante obbligo della Repubblica di osservare l’art. 8 della CEDU, la figura del permesso di protezione speciale al fine di assicurare la permanenza dello straniero in Italia è comunque venuta meno, quando sussiste un’esigenza di tutela concernente il solo svolgimento della vita privata.
Ciò premesso, va osservato che il comma 2 dell’art. 7 garantisce la ultrattività della previgente disciplina quanto alle domande di rilascio dei permessi di soggiorno per protezione speciale per tali casi, se già presentate alla data di entrata in vigore del decreto legge, che si colloca al 6 maggio 2023.
Si tratta, vale a dire, di una previsione legislativa concernente il procedimento di rilascio del titolo, che permette la conclusione dei procedimenti avviati in forza della disciplina abrogata.
Altra funzione riveste invece il successivo comma 3, che reca la disciplina applicabile ai permessi di soggiorno per protezione speciale già attribuiti, sulla base della normativa pregressa, nella sussistenza delle condizioni di cui all’art. 19, comma 1.1.
Tale comma 3, a sua volta, contiene due distinte ipotesi per le quali il legislatore ha ritenuto opportuno intervenire.
Con la prima, si è preso le mosse dall’intervenuta abrogazione dei permessi collegati alle condizioni di cui al terzo periodo dell’art. 19, comma 1,1, per disciplinarne la sorte, prevedendone il rinnovo per una sola volta.
Con la seconda, si è aggiunto che “resta ferma la facoltà di conversione del titolo di soggiorno”.
Tale ultima norma si ricollega alla abrogazione dell’art. 6, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 296 del 1998 da parte dello stesso d.l. n. 20 del 2023, vale a dire della disposizione che ammetteva a conversione, senza alcuna ulteriore distinzione, tutti i permessi per protezione speciale rilasciati ai sensi dell’art. 32, comma 3, del d.lgs. n. 25 del 2008, e quindi aventi base nell’art. 19, comma 1.1, del d.lgs. n. 286 del 1998.
Come la portata abrogativa dell’art. 6, comma 1, lett. a), disposta dallo stesso art. 7, comma 1, del d.l n. 20 del 2023, ha travolto integralmente a regime la convertibilità dei permessi per protezione speciale, così la norma di salvezza, quanto ai permessi già rilasciati per qualsivoglia dei presupposti specificati dall’art. 19, comma 1.1, ne ha salvaguardato la facoltà di conversione in ogni caso.
Non è certamente irragionevole che il legislatore abbia deciso di non frustare l’affidamento già riposto dallo straniero, titolare di un permesso di soggiorno per protezione speciale, nella evoluzione di esso in un titolo idoneo a rafforzarne il radicamento nella comunità nazionale.
E, una volta optato per tale via, sarebbe stato incongruo distinguere, ai fini della conversione, a seconda delle ragioni che avevano determinato il rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale, giacché per tutte le ipotesi di cui al comma 1.1 dell’art. 19, testo originario, risponde alla medesima finalità di politica legislativa, in presenza di un divieto di espulsione, la scelta di ancorare la presenza dello straniero sul territorio nazionale ad un legittimo titolo di permanenza di carattere ordinario, che superi il regime eccezionale di protezione speciale.
Del resto, non si può pensare che il legislatore abbia voluto assicurare un regime più favorevole (la convertibilità) proprio alla tipologia di permessi per protezione speciale che contestualmente sono abrogati, rispetto alle altre tipologie, che invece persistono nell’ordinamento.
L’art. 7, comma 3, ultimo periodo del d.l. n. 20 del 2023 è dunque la disposizione che rileva in causa, posto che parte ricorrente ha sollecitato la conversione del permesso di soggiorno per protezione speciale (ottenuto prima dell’entrata in vigore del dl n. 20 del 2023) in permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, sulla base di tale disciplina di favore.
Né ha alcun rilievo, ai presenti fini, la varietà di permessi per protezione speciale previsti dall’ordinamento, ovvero la tipologia di procedimento osservato per attribuirli, a condizione che essi siano stati rilasciati in ragione dei motivi indicati dall’art. 19, comma 1.1 citato.
L’amministrazione, con il provvedimento impugnato, non ha preso in considerazione l’art. 7, comma 3 citato, incorrendo nel denunciato vizio di violazione di legge, che ha carattere assorbente, e che la Sezione ha già avuto modo di rilevare in termini pressoché analoghi (da ultimo, sentenza n. 793 del 2024), in accordo con l’orientamento invalso nella giurisprudenza dei Tar sul punto controverso.
L’atto impugnato va perciò annullato.
La relativa novità della questione trattata giustifica la compensazione delle spese.