TAR Roma, sez. III, ordinanza collegiale 2016-12-30, n. 201612874

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. III, ordinanza collegiale 2016-12-30, n. 201612874
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201612874
Data del deposito : 30 dicembre 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 30/12/2016

N. 02416/2016 REG.RIC.

N. 12874/2016 REG.PROV.COLL.

N. 02416/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 2416 del 2016, proposto da:


Sindacato Avvocati di Bari in persona del legale rappresentante pro tempore, E F A, T F, R A, A A M, R V, L A M, D N S, D R M, M M, B S T, P A A, C R, L R, P A, Associazione Jus For As (aderente Anf) in persona del legale rappresentante pro tempore, D M G, Sindacato Avvocati di Pescara in persona del legale rappresentante pro tempore, F A, rappresentati e difesi dagli avvocati Emilio Toma C.F. TMOMLE58A18A662V e Loredana Papa C.F. PPALDN67B50L011N, con domicilio eletto presso Studio Legale Placidi in Roma, via Cosseria, 2, come da procure in atti;


contro

Consiglio Nazionale Forense in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Giuseppe Colavitti C.F. CLVGPP70L27B354I, Mario Sanino C.F. SNNMRA38E03H501M e Giuseppe Morbidelli C.F. MRBGPP44S16A390N, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, v.le Parioli, 180, come da procura in atti;
Ministero della Giustizia in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato presso cui è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Fondazione Scuola Superiore dell'Avvocatura - Sezione Scuola Superiore dell'Avvocatura per Cassazionisti in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;

per l'annullamento

del Regolamento del consiglio nazionale forense 20/11/2015 n. 1, relativo ai corsi per l'iscrizione all'Albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori;

- del Bando per l'ammissione al relativo corso propedeutico;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Consiglio Nazionale Forense e di Ministero della Giustizia;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 ottobre 2016 il consigliere Achille Sinatra e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;


1. – Con ricorso notificato il 16 febbraio 2016 e depositato il successivo giorno 26, le Associazioni sindacali forensi e i singoli Avvocati in epigrafe (i quali affermano di non essere iscritti all’Albo speciale per il patrocinio di fronte alle Giurisdizioni superiori) hanno impugnato, chiedendone l’annullamento previa sospensione cautelare, il regolamento del Consiglio Nazionale Forense (CNF) n. 1 del 20 novembre 2015, emesso in attuazione dell’art. 22 della legge n. 247 del 2012, che disciplina i corsi per l’iscrizione all’Albo speciale per il patrocinio davanti alle Giurisdizioni superiori;
hanno impugnato, inoltre, nonché il bando per l’ammissione al corso tenuto dalla Scuola Superiore dell’Avvocatura (SSA) propedeutico all’iscrizione nel detto Albo.

2. – Il ricorso è affidato ai seguenti motivi:

1) Violazione, erronea interpretazione e falsa applicazione di legge (artt. 3, 33, 41 della Costituzione;
artt. 56, 101 e 102 del TFUE), violazione dei principi generali di iniziativa economica, violazione dei principi comunitari di tutela della concorrenza, illegittimità derivata per l’illegittimità costituzionale e violazione delle disposizioni e dei principi comunitari dell’art. 22 della legge n. 247\2012, eccesso di potere per disparità di trattamento, ingiustizia manifesta.

Il motivo ha il dichiarato fine che questo TAR sollevi la questione di legittimità costituzionale o la questione di compatibilità comunitaria ai sensi dell’art. 267 TFUE dell’art. 22 della legge n. 247 del 2012.

Per la prima censura, il Regolamento impugnato, sarebbe lesivo di norme e principi comunitari posti a tutela della concorrenza, ed in particolare dell’art. 101 TFUE, in quanto attribuisce al CNF (che sarebbe da qualificarsi come “associazioni di imprese” alla luce del diritto dell’Unione), in via esclusiva, sia il compito di organizzare i corsi di accesso all’esame propedeutico all’iscrizione nell’Albo dei patrocinanti davanti alle Giurisdizioni superiori, sia il compito di organizzare detto esame di verifica;
e se, forse, potrebbe ammettersi (in tesi) che il CNF organizzi la verifica finale di idoneità, invece violerebbe il libero gioco concorrenziale la previsione del potere esclusivo di organizzazione dei corsi propedeutici presso la Scuola superiore dell'avvocatura.

Per la seconda censura, l’art. 22 della legge n. 274 del 2012 contrasterebbe con le norme costituzionali in rubrica perché recherebbe disparità di trattamento fra gli Avvocati formatisi in Italia e gli Avvocati stabiliti in Italia, che, ai sensi dell’art. 9 del d. lgs. n. 96 del 2001, possono iscriversi ad una specifica sezione dell’Albo dei cassazionisti dopo il semplice decorso di dodici anni di esercizio professionale.

Per la terza censura, l’art. 22 della citata legge professionale contrasterebbe, altresì, con l’art. 33 comma V della Costituzione, che prescrive un esame di Stato per l’abilitazione alla professione forense.

2) Violazione, erronea interpretazione e falsa applicazione di legge (L. n. 247 del 2012, art. 9 d. lgs. n. 96 del 2001, artt. 3, 33, 41 della Costituzione;
artt. 56, 101 e 102 del TFUE, art. 3 L. 241\90), violazione dei principi generali di iniziativa economica, violazione dei principi comunitari di tutela della concorrenza, eccesso di potere per disparità di trattamento, irragionevolezza, contraddittorietà, incongruità, difetto assoluto di motivazione, ingiustizia manifesta, illegittimità propria e derivata.

Con il secondo mezzo, i ricorrenti censurano il Regolamento, invece, per asserito contrasto con il parametro di rango legislativo di riferimento, ossia proprio con l’art. 22 della legge n. 247 del 2012.

Ciò, sotto diversi profili:

- sarebbe innanzitutto illogico e foriero di disparità di trattamento fra Avvocati operanti in diversi settori del diritto, richiedere per l’accesso al corso, in via alternativa, una esperienza minima il patrocinio, negli ultimi quattro anni, in dieci giudizi davanti alle Corti di Appello civili, in venti giudizi davanti alle Corti di Appello penali o in venti giudizi davanti alla giurisdizione amministrativa, contabile e tributaria (art. 4);

- altrettanto illogico sarebbe l’avere previsto, in sede di prova di accesso ai Corsi, domande vertenti sia sul diritto processuale civile, che su quello penale, che su quello amministrativo, che, ancora, in tema di giustizia costituzionale, posto che agli aspiranti è richiesto di specificare la materia sulla quale intende sostenere, alla fine del corso, la prova di idoneità (art. 4);

- la legge prevedrebbe che il CNF sia competente a nominare soltanto la Commissione per la verifica finale di idoneità, e non anche quella per l’esame di accesso ai corsi, la cui nomina sarebbe di esclusiva competenza ministeriale (art. 3 comma III del regolamento art. 3 del bando);

- inoltre, l’attribuzione al CNF di regolamentare il corso per l’accesso all’Albo dei cassazionisti attraverso la SSA non potrebbe spingersi (sotto l’aspetto evidenziato nel punto che precede) fino al potere di controllare, tramite propria Commissione, l’accesso al corso.

3. – Il CNF ed il Ministero della Giustizia si sono costituiti in giudizio, chiedendo il rigetto del ricorso con le rispettive memorie.

In particolare, il CNF ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione al gravame in capo alle Associazioni ed ai singoli ricorrenti e per mancata evocazione in giudizio degli Avvocati iscritti al Corso, nonché la infondatezza dell’impugnazione nel merito.

I ricorrenti hanno replicato con memoria.

In occasione della pubblica udienza del 5 ottobre 2016 il ricorso è stato posto in decisione.

4. – Il Collegio, ritenendola rilevante e non manifestamente infondata, intende sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, comma II, della legge n. 247 del 2012, che recita:

“L'iscrizione può essere richiesta anche da chi, avendo maturato una anzianità di iscrizione all'albo di otto anni, successivamente abbia lodevolmente e proficuamente frequentato la Scuola superiore dell'avvocatura, istituita e disciplinata con regolamento dal CNF. Il regolamento può prevedere specifici criteri e modalità di selezione per l'accesso e per la verifica finale di idoneità. La verifica finale di idoneità è eseguita da una commissione d'esame designata dal CNF e composta da suoi membri, avvocati, professori universitari e magistrati addetti alla Corte di cassazione.”

La questione sarà sollevata nei termini che si chiariranno di seguito.

5. – A proposito della rilevanza della questione nel presente giudizio, il Collegio osserva quanto segue.

5.1 – Innanzitutto, il ricorso in esame è destinato a pervenire ad una decisione di merito, in quanto devono ritenersi infondate le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa del CNF, che deduce, a tale fine: a) difetto di legittimazione di tutti i ricorrenti, in quanto non sarebbe sufficiente ad integrare il presupposto la semplice iscrizione all’Albo forense;
b) difetto di interesse all’impugnazione in capo al Sindacato Avvocati di Bari, del quale non sarebbero noti neppure i fini statutari;
c) difetto di contraddittorio con tutta la classe forense, o, almeno, con tutti quegli Avvocati che stanno già svolgendo il corso per accedere all’abilitazione al patrocinio davanti alle Giurisdizioni Superiori.

5.1.1) Sotto il primo dei profili sollevati occorre evidenziare che ciascuno dei sedici Avvocati ricorrenti, nominati nell’epigrafe del ricorso, ha depositato a corredo dell’impugnazione (doc. n. 6) la copia fotostatica della propria tessera di riconoscimento rilasciata dal Consiglio dell’Ordine di appartenenza, documento di cui il CNF non ha puntualmente contestato la valenza probatoria dello status di Avvocato iscritto all’Albo di ognuno dei detti ricorrenti.

Dai detti documenti di riconoscimento si evince che, tra i ricorrenti, l’iscrizione all’Albo dell’Avvocato di maggiore anzianità risale al 29 settembre 2004, mentre quella dell’Avvocato con la anzianità minore risale al 2015;
ne segue che –come essi affermano- i ricorrenti, al momento della proposizione del gravame (spedito a notifica il 12 febbraio 2016) non potevano avere maturato l’anzianità necessaria a richiedere l’iscrizione all’Albo dei patrocinanti davanti alle Giurisdizioni superiori per anzianità, pari a dodici anni come prescriveva l’art. 4 comma I della legge n. 27 del 1997, e come l’art. 22 comma IV della legge n. 247 del 2012 ancora consente di fare a coloro che abbiano maturato i requisiti entro quattro anni dalla data di entrata in vigore della legge sul nuovo ordinamento forense.

Tale, accertata, qualità radica la legittimazione ad impugnare il Regolamento del CNF che disciplina i corsi per l’iscrizione all’Albo speciale per il patrocinio davanti alle Giurisdizioni Superiori (ed il conseguente bando) emesso ai sensi dell’art. 22 della legge n. 247 del 2012, atteso che conferisce ai detti professionisti una posizione differenziata e qualificata sia verso i non iscritti ad Albi Forensi, che verso gli iscritti che, al momento della proposizione del gravame, avevano già maturato tale anzianità.

Neppure può dubitarsi di tale legittimazione, né, comunque, della ammissibilità del ricorso, in ragione del fatto che alcuni tra i ricorrenti matureranno la detta anzianità di dodici anni entro il 2 febbraio 2017 (scadenza del quarto anno dalla entrata in vigore della legge n. 247 del 2012): è infatti evidente che, se tale evenienza potrebbe riguardare quei ricorrenti la cui iscrizione sia più risalente nel tempo, così non può dirsi per alcuni degli Avvocati in questione, la cui iscrizione all’Albo data oltre il 2 febbraio 2005 (e si tratta della maggior parte dei ricorrenti).

Per quanto appena detto, risalta con evidenza anche l’interesse ad ottenere un annullamento dei detti bando e Regolamento in capo ai medesimi Avvocati, la cui unica possibilità di accesso all’Albo dei cassazionisti è data non più dalla anzianità dodicennale (e, quindi, dal mero decorso del tempo), bensì esclusivamente dalle modalità indicate nell’art. 22 della legge n. 247 del 2012 (ovvero dall’iscrizione da almeno cinque anni e dal superamento dell’esame disciplinato dalla legge 28 maggio 1936, n. 1003, e dal regio decreto 9 luglio 1936, n. 1482), oppure, in alternativa, da quelle prescritte dal secondo coma della norma, ossia dall’avere “lodevolmente e proficuamente frequentato la Scuola superiore dell'avvocatura, istituita e disciplinata con regolamento dal CNF”.

Naturalmente, per giungere a tale esito, è necessario che venga rimossa dall’ordinamento giuridico la norma che questo TAR sospetta di incostituzionalità, ossia l’art. 22, comma II, della legge n. 247 del 2012, che fondano il potere del CNF di emanare il Regolamento ed il bando di cui qui si chiede l’annullamento.

5.1.2) Non sussiste difetto alcuno di contraddittorio con gli Avvocati che, anch’essi privi della detta anzianità dodicennale alla data del 2 febbraio 2017, hanno già intrapreso il percorso disciplinato dall’art. 22 comma II della legge n. 247 del 2012 e dai provvedimenti impugnati.

E’ infatti evidente che tali soggetti non rivestono una posizione sostanziale di controinteresse verso l’annullamento di tali atti, in quanto, innanzitutto, il risultato cui tutti gli Avvocati non attualmente iscritti all’Albo per i cassazionisti tendono è, ovviamente, il medesimo, ovvero l’iscrizione in detto Albo, senza che a tale fine possa rilevare il percorso attraverso il quale tale iscrizione viene ottenuta.

Inoltre, l’eventuale interruzione del percorso intrapreso da quegli Avvocati che debbano ottenere il titolo in questione attraverso la frequenza dei corsi di cui parla l’art. 22 comma II della legge n. 247 del 2012, lungi dall’incidere negativamente la sfera giuridica di questi ultimi, rappresenterebbe anzi, per costoro, un deciso vantaggio, in quanto consentirebbe loro (previa l’eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma primari di riferimento), di ottenere il medesimo titolo con il mero decorso del tempo, come chiedono, in ultima analisi, di fare i ricorrenti.

In definitiva, la posizione dei ricorrenti e quella degli Avvocati che hanno intrapreso i corsi in questione assumono la consistenza del co-interesse.

5.1.3) Da ultimo, ritiene il Collegio che sussista anche la legittimazione ad agire del Sindacato Avvocati di Bari, il cui Statuto (doc. 5 della produzione a corredo del ricorso), all’art. 3, ne prevede l’impegno affinchè “siano tutelati il prestigio e gli interessi morali ed economici degli avvocati nonché dei giovani che intendono avviarsi alla professione”.

E’ evidente che il richiamo a tali interessi risulta sufficiente a radicare il presupposto in capo a tale associazione (cui possono accedere Avvocati e Praticanti avvocati che esercitano effettivamente la professione: art. 5 dello Statuto), poiché la possibilità di accedere con certezza (ossia mediante lo scorrere del tempo, e non tramite la frequenza di un corso cui si accede mediante una prova d’esame, e che si conclude con una verifica finale) all’Albo dei Cassazionisti rappresenta, per gli aspiranti, la certezza di accedere al patrocinio davanti alle Giurisdizioni Superiori, con i conseguenti vantaggi economici (in quanto comporta la possibilità di patrocinare in tutte, e non solo in alcune, delle fasi in cui si articola ogni giudizio);
e rappresenta anche un risparmio di spesa, perché non implica gli oneri economici connessi alla frequenza stessa del corso.

5.2) Tanto premesso, il Collegio ritiene che la questione cui si possa ascrivere la non manifesta infondatezza da parte di questo TAR sia quella che i ricorrenti chiedono di sollevare con la seconda censura, nella quale denunziano, quanto alla possibilità di accedere all’Albo dei Cassazionisti, la disparità di trattamento che la disciplina dell’art. 22 comma II della legge n. 247 del 2012 recherebbe per gli Avvocati formatisi in Italia, rispetto agli Avvocati stabiliti di cui tratta l’art. 9 del decreto legislativo n. 96 del 2001, per i quali l'iscrizione nella relativa sezione speciale dell'albo è (ancora) subordinata alla dimostrazione “di avere esercitato la professione di avvocato per almeno dodici anni in uno o più degli Stati membri, tenuto conto anche dell'attività professionale eventualmente svolta in Italia”.

La rilevanza di tale questione nel presente giudizio è del tutto evidente, ed è palesata dalla stessa costruzione della censura, con cui i ricorrenti denunziano “direttamente” la norma sospettata di incostituzionalità, la quale, per il tramite dei provvedimenti impugnabili davanti al Giudice Amministrativo in questo giudizio, sarebbe, in tesi, foriera di disparità di trattamento rispetto agli Avvocati stabiliti in Italia, per i quali già l’art. 9 del decreto legislativo n. 96 del 2001 prevedeva (ed ancora prevede) la possibilità di iscrizione all’Albo dei patrocinanti davanti alle Giurisdizioni Superiori dopo il mero decorso di dodici anni di professione.

Osserva il Collegio che il motivo di ricorso con cui i ricorrenti denunziano la disparità di trattamento tra Avvocati ed Avvocati stabiliti rispetto all’iscrizione all’Albo dei Patrocinanti davanti alle Giurisdizioni Superiori, alla luce di quanto dispone l’art. 22, comma II, che prevede proprio il percorso conformato dagli atti gravati, dovrebbe essere respinto, dal momento che tale differenza risulta positivamente esistente nell’ordinamento.

Invece, senza la norma sospettata di incostituzionalità, i provvedimenti impugnati risulterebbero privi di base legislativa, e, soprattutto, l’oggettiva differenza fra le due strade che conducono Avvocati ed Avvocati stabiliti all’iscrizione all’Albo in questione non sarebbe giustificata dal diritto positivo;
e dunque il motivo in questione sarebbe suscettibile di accoglimento.

6. – Quanto, poi, alla non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità qui sollevata, il Collegio ritiene che l’art. 22, II comma, della legge n. 247 del 2012 contrasti con l’art. 3, II comma, della Costituzione per avere introdotto, a parità di condizioni, un difforme (e deteriore) trattamento per gli Avvocati abilitatisi in Italia, che non possono più accedere all’Albo per il mero decorso di dodici anni di esercizio professionale (come era sotto la vigenza dell’art. 33 del R.D. n. 1578 del 1933, modificato dall’art. 4 della legge n. 27 del 1997) rispetto agli Avvocati stabiliti, per i quali l’art. 9 del decreto legislativo n. 96 del 2001 conserva tale possibilità.

6.1. – La comparazione delle due norme evidenzia, di per sé, tale disparità.

Ed invero, mentre l’art. 22, comma II, prevede che l’esercizio della professione per otto anni sia soltanto il titolo abilitante per accedere alla prova selettiva che, se superata, dà ingresso ai Corsi organizzati dal CNF tramite la Scuola Superiore dell’Avvocatura (oggetto del Regolamento e del bando impugnati), che si concludono con una verifica finale (il cui esito negativo preclude l’iscrizione), invece l’art. 9, II comma, del decreto legislativo n. 96 del 2001 prevede:

“Per l'iscrizione nella sezione speciale dell'albo indicato al comma 1, l'avvocato stabilito deve farne domanda al Consiglio nazionale forense e dimostrare di avere esercitato la professione di avvocato per almeno dodici anni in uno o più degli Stati membri, tenuto conto anche dell'attività professionale eventualmente svolta in Italia. Alle deliberazioni del Consiglio nazionale forense in materia di iscrizione e cancellazione dalla sezione speciale dell'albo si applica la disposizione di cui all'art. 35 del regio decreto-legge n. 1578 del 1933, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 36 del 1934, e successive modificazioni”.

Al riguardo occorre innanzitutto osservare che (diversamente da quanto sostiene il CNF) la norma da sospettare di incostituzionalità (ma nei giudizi in cui essa ha rilevanza, e dunque non nel presente) non può essere tale art. 9, in quanto esso è stata dettata nell’ambito della “Attuazione della direttiva 98/5/CE volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale”, ed è quindi ispirato alla tutela dei principi comunitari di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi (artt. 49 e 56 TFUE), alla cui osservanza la repubblica è tenuta (anche) dall’art. 117, I comma, della Costituzione.

Dunque, la previsione, per gli Avvocati stabiliti, di un accesso alla professione di Avvocato cassazionista per il mero decorso del tempo nell’esercizio professionale, ovvero senza (altri) ostacoli che il decorso di dodici anni, è stata ritenuta dal legislatore nazionale necessaria e ragionevole misura di attuazione di inderogabili principi comunitari.

Risalta evidente che tale scelta normativa è stata indirizzata dalla circostanza per cui, all’atto di entrata in vigore del decreto legislativo n. 96 del 2001, anche per gli Avvocati abilitati in Italia (oltre che a seguito di esame di Stato) il combinato disposto tra gli articoli 33 del RD n. 1578 del 1933 e l’art. 4 della legge n. 27 del 97 prevedevano la possibile iscrizione all’Albo in questione dopo il semplice decorso di dodici anni di professione.

L’art. 9 in questione, allora, palesandosi a contenuto, per così dire, necessitato (dal divieto di porre ostacoli alla libertà di stabilimento in Italia verso professionisti abilitati in altri Stati membri dell’UE), non può che costituire il necessario metro di comparazione rispetto al trattamento che la norma qui sospettata di incostituzionalità riserva, invece, agli Avvocati formatisi ed abilitatisi in Italia.

E’ allora facile osservare (ad avviso del Collegio remittente) che non risponde a ragionevolezza la differenza con tale (necessitata) disciplina, quella, invero più onerosa, prevista per gli Avvocati non stabiliti, ma formatisi in Italia, per i quali il mero decorso di dodici anni nell’esercizio della professione non costituisce (più) requisito sufficiente all’iscrizione nel citato Albo.

Dopo l’entrata in vigore dell’art. 22 comma II della nuova legge professionale forense, infatti, l’ingresso tra gli Avvocati Cassazionisti, adesso sottratto al semplice fatto storico dell’esercizio professionale per dodici anni (come lo era per l’art. 33 del passato Ordinamento forense), risulta una mera eventualità.

Questa disparità di trattamento risalta con maggiore evidenza ove si pensi che gli appartenenti ad entrambe le categorie di professionisti (Avvocati ed Avvocati stabiliti) possono svolgere la rispettiva attività professionale nel medesimo ambito territoriale, e, dunque, verso la medesima clientela potenziale.

Tuttavia, come ha insegnato a più riprese la Corte Costituzionale (cfr. ad esempio sentenze n. 209\2010 e 397\1994), il principio generale di ragionevolezza comporta il divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento e la coerenza dell’ordinamento giuridico.

6.2 - Il Collegio ritiene inoltre che, proprio perché l’art. 9 del decreto legislativo n. 96 del 2001 deriva dall’attuazione di obblighi comunitari postulata dall’art. 117, I comma, della Costituzione, non sia possibile una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 22 comma II della nuova legge sull’ordinamento forense, che, rispetto al primo, istituisce una notevole e gravosa serie di condizioni per gli Avvocati abilitati in Italia.

In altri termini, se, per alcuni professionisti, l’iscrizione all’Albo dopo dodici anni di professione (e non altro) deve essere ritenuta, per le anzidette ragioni, conforme a Costituzione, allora non è possibile scorgere tale compatibilità nei confronti di una disciplina che comporti, per altri professionisti che operano nel medesimo campo e nel medesimo mercato dei primi, l’incertezza e –comunque- il notevole aggravio legati ad un esame di ammissione al Corso di cui all’art. 22;
alla frequenza del medesimo;
ed infine alla positiva valutazione finale a seguito di esame.

Tanto più, che il mero decorso di dodici anni di esercizio professionale ai fini dell’iscrizione era il medesimo requisito richiesto, sino al 2012, agli Avvocati (non stabiliti).

Inoltre, quanto al diritto vivente nella materia che ci occupa, non può in questa sede essere dato rilievo al fatto che, con la sentenza in forma semplificata n. 12268\14 del 4 dicembre 2014, questa Sezione abbia ritenuto costituzionalmente compatibile la norma oggetto della presente ordinanza, in quanto il quel giudizio non si faceva la questione di disparità di trattamento che, nel presente, è oggetto della censura da cui deriva la rilevanza della questione di costituzionalità.

Ed infatti, la declaratoria di manifesta infondatezza della questione che si chiedeva di sollevare, ha riguardato, in quella occasione, la seconda parte del secondo comma dell’art. 22, per la quale “il regolamento può prevedere specifici criteri e modalità di selezione per l'accesso e per la verifica finale di idoneità”, e dunque le concrete modalità con cui il CNF aveva regolato il test di accesso ai corsi;
ma non aveva dovuto prendere in considerazione la previsione della prima parte del comma, che riguarda la -presupposta- necessità che i corsi siano istituiti e disciplinati dal Regolamento.

Tale prima parte (che recita: “L'iscrizione può essere richiesta anche da chi, avendo maturato una anzianità di iscrizione all'albo di otto anni, successivamente abbia lodevolmente e proficuamente frequentato la Scuola superiore dell'avvocatura, istituita e disciplinata con regolamento dal CNF”), peraltro, costituisce presupposto logico necessario della seconda;
sicchè la rimessione della questione che riguarda la prima parte deve, necessariamente, riguardare anche la seconda parte del comma.

6.3 - Né può affermarsi fondatamente che una differenza tra le due categorie (Avvocati ed Avvocati stabiliti), tale da escludere la disparità di trattamento, possa essere rinvenuta in quanto dispongono l’art. 8 ed il primo comma dell’art. 9 del decreto legislativo n. 96 del 2001, per cui l'Avvocato stabilito deve agire di intesa con un professionista abilitato ad esercitare la professione con il titolo di Avvocato, il quale assicura i rapporti con l'autorità adita o procedente e nei confronti della medesima è responsabile dell'osservanza dei doveri imposti dalle norme vigenti ai difensori.

E’ invero del tutto evidente che, ove non la si voglia ritenere un requisito solo di carattere formale, l’intesa con un professionista abilitato ad esercitare la professione di Avvocato davanti alle Giurisdizioni Superiori si risolve in un rapporto lasciato alla autonomia negoziale ed alla libera contrattazione tra due professionisti, di cui la norma di riferimento non prevede né il contenuto tipico (che, quindi, bene potrebbe tendere all’equilibrio sinallagmatico mediante la previsione di pattuizioni, che compensino l’Avvocato italiano della responsabilità che egli assume), e neppure il naturale carattere oneroso;
e che, quindi, non può di certo essere comparabile con l’aleatorietà insita nel regime posto dall’art. 22 comma II, più volte ricordato.

7. – In conclusione, la norma indicata contrasta, per le ragioni di cui in motivazione, con l’articolo 3, comma secondo, della Costituzione.

Posta la sua rilevanza nel presente giudizio, quest’ultimo deve essere sospeso, e deve essere ordinata la trasmissione dei relativi atti alla Corte costituzionale.

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