TAR Torino, sez. II, sentenza 2015-03-27, n. 201500523
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N. 00523/2015 REG.PROV.COLL.
N. 01470/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1470 del 2008, proposto da:
D R, rappresentato e difeso dall'avv. A C, con domicilio eletto presso A C in Torino, corso Principe Eugenio, 9;
contro
Questura di Torino;Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distr.le Torino, domiciliata in Torino, corso Stati Uniti, 45;
per l'annullamento:
del decreto del Questore di Torino 6/2008 del 9.IX.2008 (notificato il 15.IX.2008) con il quale è stata respinta l'istanza del ricorrente per il rilascio di licenza di porto di fucile per uso caccia;
- degli atti tutti antecedenti, preordinati, consequenziali e comunque connessi;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 febbraio 2015 la dott.ssa R R e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Risulta dagli atti del presente giudizio che il ricorrente ha presentato istanza per il rilascio di licenza di porto di fucile ad uso caccia e che detta istanza è stata rigettata una prima volta con decreto del 10/11/2003.
2. Detto diniego era motivato dalla circostanza che con decreto del G.I.P. presso il Tribunale di Torino del 26/02/2003 il ricorrente era stato condannato al pagamento della pena pecuniaria sostitutiva di Euro 2.850,00 per i reati di cui agli artt. 337, 682, 585, 576 e 651 c.p., commessi in Moncalieri in data 20/10/2000.
3. A fronte di una nuova istanza, la Questura di Torino ha reiterato il diniego di rilascio al ricorrente della licenza di porto di fucile ad uso caccia, e ciò con decreto del 9/09/2008 che è stato impugnato con il ricorso di cui in epigrafe per i seguenti motivi:I) violazione degli artt. 11 e 43 T.U.L.P.S. ed eccesso di potere per difetto assoluto del presupposto normativo: i reati commessi dall’imputato si sono estinti ai sensi dell’art. 460 c.p.p., e quindi non costituivano automatico motivo stativo ai sensi del combinato disposto degli artt. 11 e 43 T.U.L.P.S.;l’Amministrazione, quindi, avrebbe dovuto motivare il provvedimento con riferimento ad una valutazione in concreto del comportamento tenuto dal ricorrente;
II) violazione dell’art. 3 L.241/90 ed eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria e di motivazione, sviamento: la motivazione posta a base del provvedimento impugnato, che invoca l’ampia discrezionalità di cui gode l’Autorità pubblica nella materia di che trattasi, non richiama e non valuta alcun fatto specifico, non effettua alcun giudizio prognostico sul futuro comportamento del ricorrente, e quindi è privo di una idonea motivazione;
III) violazione della L. 241/90, travisamento di fatti ed erronea valutazione dei presupposti normativi, insufficiente motivazione e sviamento: l’impugnato provvedimento attribuisce al ricorrente la commissione di fatti di reato diversi da quelli per i quali è stato effettivamente condannato;
IV) violazione dell’art. 57 comma 2 della L. 689/81 in relazione all’art. 43 T.U.L.P.S., travisamento fatti ed erronea valutazione dei presupposti carente ed insufficiente istruttoria, sviamento: l’art. 43 inibisca il rilascio della licenza di porto d’armi a chi sia stato condannato ad una pena detentiva, mentre il ricorrente è stato condannato ad una pena che deve considerarsi, ad ogni effetto, di natura pecuniaria;
V) violazione ed errata interpretazione dell’art. 654 c.p.p., in relazione all’art. 460 c.p.cp.: il ricorrente è stato condannato in forza di un titolo che non è stato pronunciato a seguito di dibattimento e che, inoltre, non ha rilevanza nei giudizi extrapenali.
Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio per resistere al ricorso, sottolineando che nella materia di che trattasi l’Autorità pubblica dispone di un ampio potere discrezionale in funzione preventiva dei fatti lesivi della incolumità pubblica e che perciò, sia pure in base ad un criterio probabilistico, è sufficiente un esiguo elemento, che possa far supporre un uso improprio delle armi e che quindi non dia affidamento di non abusare delle armi, a fondare il diniego di rilascio della licenza di porto d’armi.
4. Il ricorso è stato chiamato alla pubblica udienza del 25 Febbraio 2015, quando è stato introitato a decisione.
5. Ai fini della decisione è utile premettere, in fatto, che l’episodio per il quale il ricorrente è stato condannato con decreto del G.I.P. presso il Tribunale di Torino del 26/02/03, è stato commesso in Moncalieri il 20/10/2000 e, secondo quanto si legge nei capi di imputazione, sono consistiti nel rifiuto di prestare le proprie generalità;nell’aver reagito con violenza, spintonandoli e morsicandoli, nei confronti dei Carabinieri che chiedevano al R di mostrare i propri documenti;ed infine nell’aver procurato ai predetti Carabinieri, con il descritto comportamento, lesioni volontarie guaribili in 2 e 5 giorni. Secondo quanto riferito nel ricorso introduttivo del giudizio, il R era stato richiesto di mostrare i propri documenti mentre, all’indomani di una esondazione del fiume Po che aveva colpito la Città di Moncalieri, in qualità di volontario era intento a regolare la viabilità in corrispondenza di un incrocio stradale onde consentire delle operazioni di salvataggio: il R, che in quel momento non recava con sé i documenti di identità, chiedeva di poter ultimare l’operazione, ma veniva frainteso da uno dei Carabinieri, che immediatamente lo ammanettava, scatenando la reazione del R descritta nei capi di imputazione. In giudizio, poi, il R ha ammesso la propria responsabilità, ed il G.I.P., concessegli le attenuanti generiche attesa la incensuratezza e la modesta gravità del fatto e riuniti i reati contestati sotto il vincolo della continuazione, lo ha condannato alla pena complessiva di mesi 2 e giorni 15 di reclusione, pena sostituita, ai sensi dell’art. 53 L. 689/81, con la pena pecuniaria di Euro 2.850,00. Il R ha quindi prodotto la documentazione attestante l’avvenuto pagamento di tale pena nei termini prescritti. L’Avvocatura Distrettuale non ha contestato tali fatti e neppure ha dedotto che successivamente a tale episodio il R sia incorso nella commissione di nuovi reati.
6. Ciò premesso si deve affermare che i reati per i quali il R è stato condannato si sono effettivamente estinti ai sensi dell’art. 460 comma 5 c.p.p., il quale prevede, appunto, che se nel termine di cinque anni l’imputato non commette altro reato della stessa specie, si estingue ogni effetto penale e la condanna neppure preclude la concessione di una successiva sospensione condizionale della pena. Va inoltre sottolineato che gli effetti che conseguono alla estinzione del reato ai sensi dell’art. 460 c.p.p. sono stati considerati in giurisprudenza (Tribunale di Sorveglianza di Torino, 28/03/2007) del tutto equivalenti a quelli conseguenti alla sentenza di riabilitazione, tanto da far ritenere insussistente l’interesse ad agire in chi chiede la riabilitazione, ove i precedenti originino da un decreto penale di condanna al quale non abbia fatto seguito la commissione di nuovi reati.
7. In ragione di quanto dianzi precisato è chiaro che al 9/09/2008, data del provvedimento impugnato, i reati commessi dal R si erano ormai estinti ad ogni effetto, e pertanto la Questura di Torino non avrebbe potuto motivare questo nuovo diniego considerando il ricorrente come persona che avesse a proprio carico una condanna per reati commessi con violenza sulle persone (essendo inoltre pacifico che il R non versa in alcuna delle ulteriori circostanze automaticamente ostative indicate agli artt. 11 e 43 T.U.L.P.S.).
8. Oltre a ciò i medesimi fatti neppure avrebbero potuto essere richiamati quale mero indice di inaffidabilità nell’uso delle armi: infatti, nella misura in cui l’estinzione del reato ai sensi dell’art. 460 comma 5 c.p.p. produce effetti equivalenti a quelli di una sentenza di riabilitazione, essa innesta anche la presunzione che il condannato ha cambiato stile di vita e si asterrà in futuro dal commettere altri reati, di guisa che i fatti medesimi non possono essere utilizzati ai fini di ritenere la persona inaffidabile.
9. Che il giudizio di inaffidabilità del R espresso nel provvedimento impugnato si fondi su motivazioni discutibili emerge non solo dal fatto che in effetti non è incorso nella commissione di altri reati, ma anche dalla considerazione che i reati di cui al decreto penale di condanna del 26/02/2003, risultano essere stati determinati – secondo la versione fornita dal R ma non smentita né contestata dalla Amministrazione – da una concomitanza di circostanze abbastanza eccezionale (stanchezza susseguente ad attività di volontariato prestata in occasione di una calamità naturale) e quindi in un contesto del tutto contingente.
10. Il giudizio espresso dalla Amministrazione nell’atto impugnato risulta però tutto ancorato ai fatti di cui al decreto penale di condanna del 26/02/2003. Ivi si afferma, infatti, che le osservazioni prodotte dalla difesa non sono state ritenute sufficienti “ attesa la qualificazione giuridica dei reati di cui alla citata pronuncia giudiziale ”;che “ l’Autorità di P.S., nell’esercizio della funzione preventiva di mantenimento dell’ordine e della sicurezza dei cittadini, è investita normativamente di un ampio potere discrezionale nel valutare l’affidabilità di un soggetto richiedente un porto d’armi ”;che “ il R Domenico, alla luce della condotta antigiuridica assunta, non fornisca sufficienti garanzie di un possesso del titolo esente da abusi ”, ragione per cui “ rimangono valide le motivazioni assunte in occasione del precedente decreto di rigetto ”: come si vede l’Amministrazione resistente ha desunto l’inaffidabilità del R solo ed unicamente da quei fatti, commessi tra l’altro nel lontano anno 2000, senza considerare che essi nel settembre 2008 erano ormai divenuti tamquam non esset e senza inoltre effettuare alcuna indagine sulla condotta attuale del R.
11. Quanto dianzi esposto dà ragione della fondatezza quantomeno dei primi due motivi di ricorso - che hanno peraltro valenza dirimente e determinano la inammissibilità delle ulteriori censure per sopravvenuto difetto di interesse -, essendo evidente che la Questura di Torino non ha effettuato, in occasione della seconda istanza presentata dal R per il rilascio della licenza di porto d’armi, una istruttoria nuova rispetto a quella compiuta in occasione del primo diniego. In conseguenza di ciò la Questura è incorsa in svariati errori: quello di considerare ancora preclusivi o, quantomeno, condizionanti, i fatti del 2000;quello di non compiere alcuna indagine sulla attuale condotta tenuta nella quotidianità dal R;quello di non effettuare un giudizio prognostico ancorato a fatti attuali;e quindi, in definitiva, l’errore consistente nell’esercitare la discrezionalità ad essa assegnata a fini preventivi in maniera arbitraria perché disancorata da fatti oggettivi giuridicamente rilevanti.
12. Il ricorso va conclusivamente accolto, con conseguente annullamento dell’atto impugnato.
13. In esecuzione della presente decisione la Questura di Torino dovrà pertanto riesaminare l’istanza del ricorrente finalizzata al rilascio della licenza per il porto di fucile da caccia, effettuando una nuova istruttoria finalizzata a stabilire l’affidabilità del sig. R tenendo presente che i fatti di cui al decreto penale di condanna del 26/02/2003 non potranno, di per sé soli, essere posti a base di un giudizio di inaffidabilità ove non trovino riscontro in altre e diverse circostanze.
14. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.