TAR Roma, sez. III, sentenza 2019-07-01, n. 201908492

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. III, sentenza 2019-07-01, n. 201908492
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201908492
Data del deposito : 1 luglio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 01/07/2019

N. 08492/2019 REG.PROV.COLL.

N. 13048/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 13048 del 2017, proposto da
Comune di Melendugno, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato P C, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Giovanni Pacini 23, come da procura in atti;

contro

Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero dello Sviluppo Economico in persona del Ministro pro tempore, Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Commissione Tecnica di Verifica dell'Impatto Ambientale via e Vas non costituito in giudizio;

nei confronti

Trans Adriatic Pipeline Ag, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fabio Cintioli, Giuseppe Lo Pinto, Matteo Allena, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fabio Cintioli in Roma, via Vittoria Colonna, 32, come da procura in atti;
Regione Puglia in persona del Presidente pro tempore, non costituita in giudizio;

per l'annullamento

(previa adozione di misure cautelari)

- del Decreto del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare – Direzione Generale per le Valutazioni e le Autorizzazioni Ambientali del 18 settembre 2017, n. 262,

- degli altri atti indicati e specificati nella narrativa del ricorso;

- di ogni altro atto presupposto, inerente e consequenziale, conosciuto o non conosciuto;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, del Ministero dello Sviluppo Economico, della Presidenza del Consiglio dei Ministri e di Trans Adriatic Pipeline Ag;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 marzo 2019 il consigliere Achille Sinatra e uditi per le parti i difensori per la parte ricorrente l'Avv. P. Colasante, per Trans Adriatic Pipeline Ag gli Avv.ti F. Cintioli e M. Allena e per le Amministrazioni resistenti l'Avvocato dello Stato Alessandro Jacoangeli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

1. – Con ricorso notificato il 3 novembre 2017 e proposto davanti al TAR della Puglia – sezione staccata di Lecce, il Comune di Melendugno ha impugnato il Decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare – Direzione Generale per le Valutazioni e le Autorizzazioni Ambientali del 18 settembre 2017, n. 262, che, presupponendo il D.M. n. 223 dell’11 settembre 2014 (con il quale è stata valutata positivamente la compatibilità ambientale del progetto del tratto italiano del gasdotto marino e terrestre denominato “Trans Adriatic Pipeline”, proposto dalla società Trans Adriatic Pipeline – AG Italia, con l’indicazione di specifiche prescrizioni) dispone che, con riferimento alle prescrizioni n. A18) parte 1, A18) parte 2;
A.23), A.31), A.32), A.41), A.24);
A.28) parte 2;
A.44) parte 2;
A.45) parte 2;
A.40);
per gli Enti Vigilanti indicati all’art. 2) del D.M. 223 dell’11 settembre 2014, termini l’avvalimento da parte del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, per i compiti loro assegnati dal medesimo D.M. ai fini delle verifiche di ottemperanza alle prescrizioni summenzionate, e che con successivi atti si procederà a stabilire le modalità istruttorie delle medesime verifiche.

2. – Il provvedimento in questione si inscrive nell’ambito dell’attività amministrativa legata alla realizzazione da parte della società Trans Adriatic Pipeline (TAP) del gasdotto DN 900 per il trasporto di gas naturale transfrontaliero verso la Puglia e l’Europa occidentale.

3. – Tale attività amministrativa ha visto i suoi momenti salienti, oltre che nell’emissione del su citato decreto n.223 dell’11 settembre 2014 del MATTM, anche nel successivo decreto prot. n.11179 del 21 maggio 2015 del MISE, con cui è stato approvato il progetto definitivo del gasdotto TAP, è stata rilasciata l’autorizzazione unica con prescrizioni ed è stata dichiarata la pubblica utilità dell’opera con apposizione del vincolo preordinato all’esproprio.

4. – Il Comune ricorrente premette che il 21 luglio 2017 è entrato in vigore il D.Lgs. n. 104 del 2017 (recante “Attuazione della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE, concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114”), che ha modificato numerosi articoli del c.d. Codice dell’Ambiente (D.Lgs. n. 152 del 2006)

In particolare, l’art. 17 del D.Lgs. n. 104 del 2017) ha sostituito integralmente l’art. 28 del Codice dell’ambiente, i cui primi quattro commi ora recitano: “1. Il proponente è tenuto a ottemperare alle condizioni ambientali contenute nel provvedimento di verifica di assoggettabilità a VIA o nel provvedimento di VIA.

2. L'autorità competente, in collaborazione con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per i profili di competenza, verifica l'ottemperanza delle condizioni ambientali di cui al comma 1 al fine di identificare tempestivamente gli impatti ambientali significativi e negativi imprevisti e di adottare le opportune misure correttive. Per tali attività, l'autorità competente può avvalersi, tramite appositi protocolli d'intesa, del Sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente di cui alla legge 28 giugno 2016, n. 132, dell'Istituto superiore di sanità per i profili concernenti la sanità pubblica, ovvero di altri soggetti pubblici, i quali informano tempestivamente la stessa autorità competente degli esiti della verifica. Per il supporto alle medesime attività, nel caso di progetti di competenza statale particolarmente rilevanti per natura, complessità, ubicazione e dimensioni delle opere o degli interventi, l'autorità competente può istituire, d'intesa con il proponente e con oneri a carico di quest'ultimo, appositi osservatori ambientali finalizzati a garantire la trasparenza e la diffusione delle informazioni concernenti le verifiche di ottemperanza. All'esito positivo della verifica l'autorità competente attesta l'avvenuta ottemperanza pubblicando sul proprio sito web la relativa documentazione, entro quindici giorni dal ricevimento dell'esito della verifica.

3. Per la verifica dell'ottemperanza delle condizioni ambientali, il proponente, nel rispetto dei tempi e delle specifiche modalità di attuazione stabilite nel provvedimento di verifica di assoggettabilità a VIA o nel provvedimento di VIA, trasmette in formato elettronico all'autorità competente, o al soggetto eventualmente individuato per la verifica, la documentazione contenente gli elementi necessari alla verifica dell'ottemperanza. L'attività di verifica si conclude entro il termine di trenta giorni dal ricevimento della documentazione trasmessa dal proponente.

4. Qualora i soggetti individuati per la verifica di ottemperanza ai sensi del comma 2 non provvedano entro il termine stabilito dal comma 3, le attività di verifica sono svolte direttamente dall'autorità competente”.

Tali disposizioni, ai sensi dell’art. 23, comma 3, del D.Lgs. n. 104 del 2017, si applicano anche ai provvedimenti di VIA adottati secondo la normativa previgente.

5. – Il ricorrente, quindi, con i tre motivi di cui consta il ricorso, chiede che sia sollevata la questione di legittimità costituzionale delle su riportate disposizioni sotto i seguenti profili:

1) Sull’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 104 del 2017 nella sua interezza.

Il ricorrente premette che contro le norme in parola pendono, al momento della proposizione del presente giudizio, numerosi giudizi di costituzionalità, ed espone che, laddove fosse dichiarata l’illegittimità costituzionale di tali disposizioni, il Decreto direttoriale n. 262 del 2017 risulterebbe viziato di eccesso di potere, per essere stato emanato in assenza di una base giuridica legislativa.

Inoltre, i provvedimenti amministrativi gravati incorrerebbero nel vizio di incompetenza, perché, con un atto dirigenziale sarebbe stato modificato il Decreto ministeriale n. 223 del 2014, in quanto sarebbe evidente che, in presenza del novellato art. 28, commi 3 e 4, “la cessazione di avvalimento avrebbe natura di atto dovuto non discrezionale e, come tale, rimesso alla valutazione del Dirigente competente. Si tratterebbe in sostanza di un atto di alta amministrazione. In assenza della medesima disposizione (o in caso di sua dichiarazione di illegittimità costituzionale), lo spostamento della competenza sulla verifica di ottemperanza sarebbe un atto rimesso alla esclusiva competenza del Ministro”.

Peraltro, risulterebbe scaduto il termine della data di esercizio della delega legislativa da parte dello Stato, in quanto il termine per il recepimento della su citata direttiva avrebbe dovuto essere il 16 gennaio 2017, mentre il decreto legislativo n. 104\2017 è stato emanato, dal Presidente della Repubblica il 16 giugno 2017 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 156, del 6 luglio 2017, mentre la relativa deliberazione del Consiglio dei Ministri è intervenuta il 9 giugno 2017.

2) Sull’illegittimità costituzionale dell’art. 28, commi 3 e 4, del D.Lgs. n. 104 del 2017.

Nel merito il decreto legislativo n. 104 del 2017 incorrerebbe nella violazione dei principi e criteri direttivi per l’esercizio della delega legislativa e, perciò, nella violazione dell’art. 76 Cost., in quanto –con riferimento ai commi 3 e 4- nella legge delega non sarebbe contemplata la avocazione repentina dei poteri di vigilanza in capo al MATTM.

3) Sull’illegittimità costituzionale dell’art. 28, comma 3, del D.Lgs. n. 104 del 2017.

Inoltre, sarebbe contrastante con il principio di ragionevolezza l’efficacia retroattiva conferita all’art. 28, commi 3 e 4, del D.Lgs. n. 104 del 2017, specie in assenza di un regime transitorio <<per consentire lo “smaltimento dell’arretrato” da parte degli Enti vigilanti sulle prescrizioni>>.

6. – Con ordinanza n. 1492 del 2017 il TAR della Puglia – Sezione staccata di Lecce ha declinato la propria competenza in favore di quella del TAR del Lazio.

7. – Il ricorrente ha riassunto il giudizio davanti a questo TAR mediante atto notificato e depositato l 21 dicembre 2017.

8. – Si sono costituiti in giudizio il MATTM, e le altre Amministrazioni statali intimate e la società Trans Adriatic Pipeline, che hanno resistito al ricorso.

9. – Dopo lo scambio delle memorie di rito ex art. 73 c.p.a., in occasione della pubblica udienza del 20 marzo 2019 il ricorso è stato posto in decisione.

DIRITTO

1. – Il ricorso è infondato, e deve essere respinto.

I motivi si imperniano sulla richiesta a questo TAR di sollevare alcune questioni di legittimità costituzionale del decreto legislativo n. 104 del 2017, che, peraltro –come prospettato dallo stesso Comune ricorrente- già pendevano al momento della proposizione del ricorso, perché incardinate in via diretta da numerose Regioni davanti alla Corte Costituzionale.

Quest’ultima si è pronunziata su tali impugnazioni, riunite, con la sentenza n. 191 del 2018, che ha respinto le questioni che formano oggetto delle richieste di rimessione formulate dal Comune nel ricorso in esame, che, dunque, deve essere a sua volta respinto.

2. – Al riguardo, per comodità espositiva, il Collegio evidenzia che le censure proposte dal Comune nel primo e nel secondo motivo possono essere inscritte a due categorie, che attraversano –per così dire- trasversalmente i due mezzi: quelle che riguardano il decreto legislativo posto a base dei provvedimenti impugnati nel suo complesso, in quanto esso sarebbe affetto da violazione dell’art. 76 della Costituzione ed eccesso di delega sotto più profili;
e quelle che riguardano la questione dell’avocazione al MATTM (e dunque allo Stato) di svariati poteri –esercitati anche nel caso di specie- in materia di VIA.

Tutti tali aspetti sono stati compiutamente affrontati dal Giudice delle Leggi nella sentenza n. 191\2018.

3. –Quest’ultima ha affermato la perfetta consonanza del decreto legislativo n. 104 del 2017 nel suo complesso con i limiti posti dalla delega legislativa e con i principi di cui all’art. 76 Cost.

3.1.- Sul punto, per quanto qui interessa in relazione alle doglianze proposte in ricorso, la Corte ha innanzitutto ricordato che –ben lungi dall’essere privo di base legislativa- il decreto legislativo n. 104 del 2017 trova la sua genesi nella direttiva 2014/52/UE, “incentrata, anzitutto, sull’obiettivo di migliorare la qualità della procedura di valutazione dell’impatto ambientale, allineandola ai principi della regolamentazione intelligente, e cioè della regolazione diretta a semplificare le procedure e a ridurre gli oneri amministrativi implicati nella realizzazione dell’opera”, promuovendo l’integrazione delle valutazioni dell’impatto ambientale nelle procedure nazionali e realizzando procedure coordinate e/o comuni nel caso in cui la valutazione risulti contemporaneamente dalla direttiva in oggetto e da altre direttive europee in materia ambientale, potenziando l’accesso del pubblico alle informazioni ambientali, prevedendo l’eventuale esonero dalle procedure per progetti, o parti di progetti, destinati a scopo di difesa nazionale oppure aventi quale unica finalità la risposta alle emergenze che riguardano la protezione civile, garantendo pubblicità degli atti e che il processo decisionale si svolga entro un lasso di tempo ragionevole.

Ad esecuzione della citata Direttiva, la legge delega n. 114 del 2015 ha stabilito, all’art. 14, che il Governo avrebbe dovuto realizzare la «semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle procedure di valutazione di impatto ambientale anche in relazione al coordinamento e all’integrazione con altre procedure volte al rilascio di pareri e autorizzazioni a carattere ambientale»;
rafforzare la «qualità della procedura di valutazione di impatto ambientale, allineando tale procedura ai princìpi della regolamentazione intelligente (smart regulation) e della coerenza e delle sinergie con altre normative e politiche europee e nazionali», e revisionare il sistema sanzionatorio «al fine di definire sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive e di consentire una maggiore efficacia nella prevenzione delle violazioni.

E in attuazione della legge delega n. 114 del 2015 è stato emanato il d.lgs. n. 104 del 2017, che “ha riallocato in capo allo Stato alcuni procedimenti in materia di VIA in precedenza assegnati alle Regioni e ha disciplinato nuovamente, nella sua interezza, la procedura di verifica di assoggettabilità a VIA e la VIA, introducendo altresì significative innovazioni, quali il provvedimento unico in materia ambientale (facoltativo per i procedimenti di competenza statale, obbligatorio per le Regioni)”.

3.2- Quanto al profilo di doglianza per cui il decreto legislativo n. 104 del 2017 sarebbe stato emanato in violazione del termine di recepimento della Direttiva, la Corte Costituzionale ne ha escluso la fondatezza, osservando che l’art. 1, comma 2, della legge n. 114 del 2015 ha individuato il termine per l’esercizio della delega mediante rinvio all’art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012, che, nel testo vigente al momento dell’entrata in vigore della legge di delega, prevedeva che i decreti legislativi per l’attuazione delle direttive europee dovessero essere adottati entro i due mesi antecedenti il termine di recepimento della direttiva da attuare.

La Corte ha quindi affermato che “Come si è già visto, infatti, il termine per l’esercizio della delega sarebbe scaduto il 16 marzo 2017. In tale stessa data, il Governo ha trasmesso lo schema di decreto legislativo alle Camere, perché, secondo quanto prescritto dall’art. 1, comma 3, della legge delega, venisse espresso il parere dei competenti organi parlamentari: parere, questo, che doveva essere reso entro quaranta giorni dalla trasmissione (art. 31, comma 3, della legge n. 234 del 2012). A opinione del Governo, si sarebbe in tal modo determinata la condizione prevista dal medesimo art. 31, comma 3, per la proroga di tre mesi (id est: dal 16 marzo 2017 al 16 giugno 2017) del termine per l’esercizio della delega: ai sensi del citato art. 31, comma 3, infatti, se il termine per rendere il parere parlamentare cade entro i trenta giorni antecedenti la scadenza dei termini di delega o, come nel caso di specie, successivamente a tale scadenza, quest’ultima è, per l’appunto, prorogata di tre mesi. In ragione di tale slittamento del termine, pertanto, la delega sarebbe stata esercitata tempestivamente, dal momento che il d.lgs n. 104 del 2017 è stato emanato il 16 giugno 2017 (ed è alla data di emanazione che, ai sensi dell’art. 14, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, recante «Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri», deve farsi riferimento per verificare il rispetto del requisito del «tempo limitato»)”.

La Corte ha quindi ritenuto di accedere alla su riportata prospettazione governativa circa l’intervenuta proroga del termine di recepimento, dichiarando infondata la questione: di tanto questo TAR deve prendere doverosamente atto, respingendo le censure correlate alla questione stessa.

4. – Eguale sorte seguono le doglianze legate, nei motivi di gravame, alla pretesa “invasione” dello Stato dei poteri regionali in materia di VIA mediante l’avocazione di poteri operata dal MATTM mediante il decreto ministeriale n. 262 del 2017.

4.1- Al riguardo è per il Collegio doveroso osservare che nella sentenza n. 191\2018 la Corte Costituzionale ha diffusamente spiegato le ragioni su cui si basa tale avocazione, che risiedono, oltre che nei principi contenuti nella Direttiva comunitaria attuata con il decreto legislativo n. 104 del 2017, nelle seguenti considerazioni:

“…emerge ictu oculi come la materia su cui insiste il decreto legislativo impugnato sia riconducibile, in via prevalente, alla competenza esclusiva dello Stato in tema di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.). Questa Corte ha in più occasioni affermato che «[l]’obbligo di sottoporre il progetto alla procedura di VIA o, nei casi previsti, alla preliminare verifica di assoggettabilità a VIA, rientra nella materia della “tutela ambientale”» altresì precisando che esso rappresenta «nella disciplina statale, anche in attuazione degli obblighi comunitari, un livello di protezione uniforme che si impone sull’intero territorio nazionale, pur nella concorrenza di altre materie di competenza regionale» (sentenze n. 232 del 2017 e n. 215 del 2015;
nello stesso senso, le sentenze n. 234 e n. 225 del 2009).

(…) La VIA, dunque, rappresenta lo strumento necessario a garantire una tutela unitaria e non frazionata del bene ambiente. Per costante giurisprudenza di questa Corte, la tutela dell’ambiente non è configurabile «come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché, al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze». L’ambiente è un valore «costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia “trasversale”, in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando [però] allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale» (sentenza n. 407 del 2002;
nello stesso senso, più recentemente, le sentenze n. 66 del 2018, n. 218 e n. 212 del 2017, n. 210 del 2016). In tal caso, la disciplina statale nella materia della tutela dell’ambiente «“viene a funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza”, salva la facoltà di queste ultime di adottare norme di tutela ambientale più elevata nell’esercizio di competenze, previste dalla Costituzione, che concorrano con quella dell’ambiente» (sentenza n. 199 del 2014;
nello stesso senso, le sentenze n. 246 e n. 145 del 2013, n. 67 del 2010, n. 104 del 2008 e n. 378 del 2007). La trasversalità della tutela ambientale implica una connaturale intersezione delle competenze regionali, attraversate, per così dire, dalle finalità di salvaguardia insite nella materia-obiettivo.”

Inoltre, “la strategia adottata si giustifica con l’esigenza di rendere omogenea su tutto il territorio nazionale l’applicazione delle nuove regole, in modo da recepire fedelmente la direttiva, che reca una disciplina piuttosto dettagliata, superando la pregressa situazione di frammentazione e contraddittorietà della regolamentazione, dovuta alle diversificate discipline regionali: frammentazione cui erano imputabili le criticità riscontrate nella gestione delle procedure, generatrice anche di una preoccupante dilatazione dei loro tempi di definizione. Vero è che la “centralizzazione” delle competenze non era specificamente imposta né dalla legge delega né dalla direttiva – la quale si riferisce genericamente all’«autorità competente» in materia di VIA, prendendo atto delle diverse possibilità che gli Stati membri hanno per la sua attuazione – ma la soluzione prescelta dal legislatore delegato è frutto legittimo dell’esercizio di quel margine di discrezionalità riconosciuto al Governo per raggiungere gli obiettivi posti dalla direttiva e dalla legge delega”.

4.2. - Se è dunque coerente con la disciplina comunitaria e nazionale di riferimento l’esercizio di potestà legislativa statale in materia, deve dirsi altrettanto coerente con essa il concreto esercizio di poteri amministrativi esercitati in forza di detta normativa da parte dello Stato (e quindi del MATTM) nella medesima materia, ove si abbia riguardo alla natura di opera strategica per l’interesse nazionale rivestita dalla TAP.

Sul punto, già prima della pronunzia della Corte Costituzionale su citata, la Sezione aveva osservato, a proposito di altra impugnazione relativa alla medesima opera strategica, che “non è revocabile in dubbio, in primo luogo, che la verifica finale di ottemperanza alle prescrizioni contenute nel DM n. 223/2014 (che ha definito positivamente la valutazione di impatto ambientale - VIA - relativa al c.d. progetto TAP) sia di competenza del Ministero resistente, trattandosi di opera dichiarata infrastruttura strategica, di preminente interesse per lo Stato, contemplata nell’allegato II, punto 9. del d.lgs n. 152 del 2006” (Tar Lazio, sez. III, sent. n. 4760/2017).

4.3. – Peraltro, le censure adesso esaminate sono smentite anche sotto il profilo strettamente fattuale dalla peculiare circostanza –puntualmente evidenziata dalle resistenti- per cui il provvedimento che ha disposto l’avocazione al MATTM dei compiti di verifica di ottemperanza alle prescrizioni del decreto di VIA n. 223\2014 ha trovato occasione nella nota della Regione Puglia prot. 4570 del 21 luglio 2017, recante la richiesta al Ministero “di avocarsi i procedimenti inerenti alla verifica di ottemperanza delle prescrizioni, procedendo conseguentemente, ad una ulteriore modifica del D.M. n. 223/2014 come già modificato dal D.M. n. 72/2015”.

5. – Infine, va respinto, per la sua genericità, il terzo motivo, che si appella a non meglio precisate necessità di consentire agli Enti vigilanti uno “smaltimento dell’arretrato” che contrasterebbe con la portata retroattiva dell’art. 28 del decreto legislativo n. 104 del 2017.

L’infondatezza deriva già solo a causa della mancata indicazione di ciò in cui consisterebbe tale “arretrato”.

D’altra parte, non si vede per quale ragione un eventuale già accumulato ritardo relativo a diversi e più risalenti procedimenti, imputabile agli Enti diversi dallo Stato, dovrebbe impedire l’attuazione di una normativa di derivazione comunitaria volta –al contrario- ad accelerare i procedimenti di VIA, spesso legati (come nella specie) ad opere di interesse strategico nazionale.

6. – In conclusione il ricorso è infondato, e va respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

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