TAR Cagliari, sez. I, sentenza 2009-06-26, n. 200901040
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N. 01040/2009 REG.SEN.
N. 00075/2000 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 75 del 2000, proposto da M G, rappresentato e difeso dagli avv.ti M C e G M, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Cagliari, via San Saturnino N.101;
contro
l’Università Studi di Cagliari, in persona del Rettore, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, e domiciliata per legge in Cagliari, via Dante N.23;
per l'annullamento
del provvedimento del Rettore dell’Università degli Studi di Cagliari, prot. n. 5963 del 19 ottobre 1999, con il quale si comunica che non può essere accolta la richiesta di applicazione dell’art. 16 della legge n. 808 del 1977.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Università Studi di Cagliari;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13/05/2009 il dott. G M e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
1. – Con il ricorso in epigrafe, il dott. Maddi, già dipendente dell’Università degli Studi di Cagliari, espone di aver notificato a quest’ultima, con atto del 29 luglio 1999, la richiesta di ricostruzione della carriera ai sensi dell’art. 16 della legge 25 ottobre 1977, n. 808 (recante “Norme sul decentramento amministrativo nel settore dell'istruzione universitaria e sul personale non docente, nonché disposizioni relative ad alcuni settori del personale docente delle università.”), con inquadramento nella superiore qualifica di direttore amministrativo. L’Università, con l’impugnata nota del 19 ottobre 1999, comunicava al ricorrente di aver “già provveduto ad applicare l’art. 16 della L. 808/77” con il decreto del Rettore n. 2522 del 25 luglio 1988, “divenuto inoppugnabile”.
2. – Con il ricorso notificato il 10 dicembre 1999 e depositato il 13 gennaio 2000, il ricorrente chiede l’annullamento della nota sopra citata, nonché l’accertamento del diritto all’inquadramento in qualifica superiore, sulla base dei seguenti motivi:
1° Violazione degli artt. 97 e 24 della Costituzione. Violazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241.
2° Violazione degli articoli 59 e 60 del D.P.R. 30 giugno 1972, n. 748. Violazione dell’art. 15 della legge 29 gennaio 1986, n. 23, e dell’art. 25 del D.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29.
3° Violazione della legge 25 ottobre 1977, n. 808.
3. – Con atto depositato il 20 gennaio 2000, parte ricorrente ha presentato “istanza di rimessione in termini” con riguardo al deposito del ricorso in segreteria.
3. – Si è costituita in giudizio l’Università di Cagliari, chiedendo che il ricorso sia respinto.
4. - All’udienza del 13 maggio 2009, la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione
DIRITTO
1. – Si può prescindere dall’esaminare l’istanza di rimessione in termini, proposta del ricorrente, considerato che il ricorso deve essere respinto.
2. - In via preliminare, va precisato che la controversia rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, posto che le questioni prospettate nel ricorso sono relative a fatti verificatisi prima del 30 giugno 1998. L’art. 45, comma 17, del decreto legislativo n. 80 del 1998 dispone, infatti, che “Le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore a tale data restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo”.
In senso contrario non potrebbe argomentarsi dalla circostanza che l’atto impugnato sia stato adottato dall’Università in data successiva al 30 giugno 1998. Tale atto, infatti, deve essere qualificato come atto meramente confermativo del decreto del Rettore adottato il 2522 del 25 luglio 1988, come emerge chiaramente dal contenuto della nota impugnata e dalla documentazione acquisita al giudizio.
1.1. - La conferma propria, ovvero l’atto meramente confermativo, si caratterizza, secondo l’opinione preferibile, per il fatto che esso contiene esclusivamente la decisione di non riesercitare quel potere amministrativo che ha dato luogo al precedente provvedimento. Cioè si qualifica sulla base di un elemento puramente negativo, che più precisamente si potrebbe identificare nella decisione di non dare corso al riesame del provvedimento e, conseguentemente, di non modificare l’assetto degli interessi delineato da quest’ultimo. in presenza di una istanza di riesame del precedente provvedimento, da parte del privato che si ritenga leso, l’amministrazione titolare del potere ha la facoltà – in prima battuta – di rifiutare di procedere al riesame dell’atto. In questo caso, qualora sull’istanza l’amministrazione mantenga un comportamento inerte, il privato non potrebbe nemmeno invocare la tutela giurisdizionale riconosciuta (dall’art. 21 bis della legge n. 1034/1971) nei confronti del silenzio della pubblica amministrazione, per la ragione che la richiesta di riesame non produce l’effetto di far sorgere, in capo alla p.a., un dovere di riesame. Per altro, se la decisione di non esercitare nuovamente il potere si traduce in un nuovo atto, questo non sarebbe impugnabile poiché esso non conterrebbe alcuna nuova determinazione e il rapporto continuerebbe a essere regolato dagli effetti giuridici che discendono dal primo provvedimento.
1.2. - Diversa è la situazione che si verifica quando l’amministrazione proceda al riesame della fattispecie procedimentale. Il problema, in questo caso, diventa quello di stabilire quali siano gli elementi del nuovo provvedimento che rivelano che la sua emanazione è il frutto della decisione di riesame.
1.3. - Nella giurisprudenza formatasi sul punto in questione, è consolidata l’affermazione generale secondo cui è “atto meramente confermativo quello che, senza alcuna nuova valutazione, si limita a richiamare il contenuto di un precedente provvedimento, cioè quello che si limiti a dichiarare l'esistenza del pregresso provvedimento, senza alcuna nuova istruttoria e senza alcun nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto già considerati in precedenza” (Consiglio Stato, sez. IV, 9 novembre 2005, n. 6270;nonché sez. VI, 27 giugno 2005, n. 3369).
1.4. - Applicando al caso di specie i principi enunciati, e richiamato il contenuto della nota adottata dall’amministrazione universitaria in risposta all’istanza della ricorrente, si deve necessariamente giungere alla conclusione che l’atto impugnato non presenta alcun elemento che possa consentire di attribuirgli natura provvedimentale (e quindi considerarlo come atto impugnabile).
1.5. - Sotto il profilo della giurisdizione, la natura di atto meramente confermativo comporta che non può essere utilizzato il criterio del momento in cui sono stati adottati gli atti del datore di lavoro (Cass., Sez. Un., 19 luglio 2000, n. 505), proprio perché il criterio presuppone che tali atti abbiano cagionato la lesione lamentata dal ricorrente e quindi presuppone la loro natura provvedimentale. Ciò che nella fattispecie si deve, per quanto sopra esposto, escludere.
Il criterio da applicare è, dunque, quello costituito dall’epoca in cui si sono verificati i fatti costitutivi della pretesa fatta valere dal ricorrente (cfr. Cass., Sez. Un., 20 novembre 1999, n. 808). Si deve pertanto concludere che relativamente al periodo del rapporto di lavoro coinvolto nella presente controversia, antecedente il 30 giugno 1998, la giurisdizione spetta al giudice amministrativo in sede esclusiva.
2. - Dalla natura meramente confermativa dell’atto impugnato ne deriva come logica conseguenza che debbono essere ritenuti inammissibili i motivi del ricorso con i quali si vuole rimettere in discussione l’inquadramento del ricorrente, operato a suo tempo dall’amministrazione. Come correttamente affermato dall’amministrazione, il decreto del Rettore (n. 2522 del 25 luglio 1988) è, infatti, divenuto inoppugnabile per l’avvenuto decorso del termine decadenziale previsto dall'art. 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034. Come è noto, secondo la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato (da ultimo si veda sez. IV, 13 febbraio 2009, n. 791), dal quale il Collegio non intende discostarsi, gli atti di inquadramento del dipendente pubblico costituiscono esercizio di potere amministrativo unilaterale e nelle relative controversie “non sono configurabili diritti soggettivi, bensì soltanto posizioni di interesse legittimo (per la pacifica giurisprudenza, v. ex multis Cons. di Stato, sez. V, n. 587/2004) di talché l'azione di accertamento in materia non appare ammissibile (v. Cons di Stato, sez. VI, n. 565/1987 e n. 4716/2000)” (così la citata sez. IV, n. 791 del 2009).
3. – Rimane da esaminare il solo primo motivo, con il quale si deduce il difetto di motivazione quale vizio proprio dell’atto impugnato.
Il motivo è infondato, considerato che, trattandosi – come visto – di atto meramente confermativo, l’amministrazione si è limitata a richiamare quanto già stabilito con il precedente decreto del Rettore.
4. – Il ricorso, in conclusione, è in parte inammissibile e in parte infondato. Le spese processuali seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo