TAR Roma, sez. 1S, sentenza 2022-04-27, n. 202205115

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1S, sentenza 2022-04-27, n. 202205115
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202205115
Data del deposito : 27 aprile 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/04/2022

N. 05115/2022 REG.PROV.COLL.

N. 08193/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Stralcio)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8193 del 2014, proposto da
FRANCESCA ROMANA ALVINO, NATALINO BENEDETTI, ROSALIA ERMELINDA CAMERINI, FRANCESCO SILVIO CAMPOLO, PAOLO CANAPARO, CINZIA CARRIERI, RENATA CASTRUCCI, CRISTINA CICIRIELLO, MARIAGRAZIA COLOSIMO, CARMEN COSENTINO, FRANCESCA D'ALESSANDRO, MARIACRISTINA DI LELLO, LUCIA FALCOMATÀ, LORELLA GALLONE, FABIO GIOMBINI, GIOVANNA HENRICO DI CASSANO, MICHELE LASTELLA, FRANCESCO FABIO MARZANO, MASSIMO MAURO, SERGIO MAZZIA, ELVIRA NUZZOLO, ANTONIO ORIOLO, LUCIA RAFFAELLA PALMA, CLAUDIA PASTORINO, ANNA PAVONE, MAURA NICOLINA PERROTTA, CRISTINA PETTI, FILOMENA PICCARRETA, PAOLA MARIA BIANCA SCHETTINI, BRUNO STRATI, RAFFAELLA VANO e LEONARDO BIANCO con domicilio digitale presso gli indirizzi di posta elettronica certificata, come risultanti dai registri di giustizia, degli avv.ti Romano Vaccarella e Chiara Petrillo che li rappresentano e difendono nel presente giudizio

contro

MINISTERO DELL'INTERNO, in persona del Ministro p.t., con domicilio digitale presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, come risultante dai registri di giustizia, dell’Avvocatura Generale dello Stato che ex lege lo rappresenta e difende nel presente giudizio

per l'annullamento

dei seguenti atti:

- decreti del 12/02/14 con cui il Ministero dell’interno ha attribuito ai viceprefetti sopra indicati la retribuzione di posizione e di risultato correlate all’incarico rivestito nella misura e con la decorrenza ivi menzionate;

- parere del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato prot. n. 68772 del 07/08/12,

per l’accertamento del diritto alla percezione della retribuzione spettante ai ricorrenti a norma del d.p.r. n. 105/11

e per la condanna del Ministero dell’interno al pagamento delle somme in esame;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore il dott. M F nell'udienza di smaltimento dell’arretrato del giorno 25 marzo 2022 tenutasi in modalità da remoto come previsto dall’art. 87 comma 4 bis c.p.a.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso notificato il 27/05/14 e depositato il 20/06/14 Francesca Romana Alvino, Natalino Benedetti, Rosalia Ermelinda Camerini, Francesco Silvio Campolo, Paolo Canaparo, Cinzia Carrieri, Renata Castrucci, Cristina Ciciriello, Mariagrazia Colosimo, Carmen Cosentino, Francesca D'Alessandro, Mariacristina Di Lello, Lucia Falcomatà, Lorella Gallone, Fabio Giombini, Giovanna Henrico Di Cassano, Michele Lastella, Francesco Fabio Marzano, Massimo Mauro, Sergio Mazzia, Elvira Nuzzolo, Antonio Oriolo, Lucia Raffaella Palma, Claudia Pastorino, Anna Pavone, Maura Nicolina Perrotta, Cristina Petti, Filomena Piccarreta, Paola Maria Bianca Schettini, Bruno Strati, Raffaella Vano e Leonardo Bianco hanno impugnato i decreti del 12/02/14, con cui il Ministero dell’interno ha attribuito loro la retribuzione di posizione e di risultato correlate all’incarico rivestito nella misura e con la decorrenza ivi indicate, e il parere del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato prot. n. 68772 del 07/08/12, ed hanno chiesto l’accertamento del diritto alla percezione della retribuzione spettante a norma del d.p.r. n. 105/11 e la condanna del Ministero dell’interno al pagamento delle somme in esame.

Il Ministero dell’interno, costituitosi in giudizio con comparsa depositata il 22/09/14, ha chiesto il rigetto del ricorso.

All’udienza di smaltimento dell’arretrato del 25/03/22, tenutasi in modalità da remoto come previsto dall’art. 87 comma 4 bis c.p.a, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

I ricorrenti, al momento della proposizione del gravame dipendenti del Ministero dell’interno con la qualifica di viceprefetti, impugnano i decreti del 12/02/14, con cui il Ministero dell’interno ha attribuito loro la retribuzione di posizione e di risultato correlate all’incarico rivestito nella misura e con la decorrenza ivi indicate, e il parere del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato prot. n. 68772 del 07/08/12, e chiedono l’accertamento del diritto alla percezione della retribuzione spettante a norma del d.p.r. n. 105/11 e la condanna del Ministero dell’interno al pagamento delle somme in esame.

Gli esponenti, in sostanza, lamentano che l’amministrazione abbia illegittimamente loro imposto un blocco triennale della componente tabellare del trattamento economico ed, inoltre, abbia fatto decorrere le componenti stipendiali “di posizione” e “di risultato” dalla data del decreto di conferimento dell’incarico anziché dalla data di conseguimento della qualifica superiore.

Con le prime tre censure, che possono essere esaminate congiuntamente in quanto connesse, i ricorrenti prospettano:

- la violazione e falsa applicazione degli artt. 9 d.l. n. 78/10 e 7 d. lgs. n. 139/00 nonché carenza di motivazione ed ingiustificata disparità di trattamento in quanto il mancato adeguamento della componente di base dello stipendio sarebbe violativo dell’art. 9 commi 1 e 21 d.l. n. 78/10 che non si applicherebbe alla fattispecie in cui mancherebbe l’automatismo della promozione a viceprefetto, costituente, invece, l’esito di una pregnante valutazione di merito. Inoltre, nella fattispecie sussisterebbe un’ingiustificata disparità di trattamento con la disciplina applicata ai Prefetti i quali, dopo la nomina, percepirebbero l’integrale trattamento economico corrispondente alla loro funzione;
a ciò si aggiunga che il d.p.r. n. 105/11, che disciplina il rapporto di lavoro dei viceprefetti, benché successivo, non prevederebbe il blocco stipendiale prescritto dall’art. 9 comma 21 d.l. n. 78/10 mentre per l’anno 2014 il blocco sarebbe prescritto dal d.p.r. n. 122/13 che, in quanto norma generale, dovrebbe ritenersi derogato dalla disciplina speciale contenuta nel d.p.r. n. 105/11 (prima doglianza);

- la violazione degli artt. 76 Cost., 3 d.l. n. 139/00, 16 d.l. n. 98/11 e del d.p.r. n. 122/13 e carenza di potere in quanto, per le stesse ragioni, sarebbe illegittimo il blocco stipendiale applicato anche per il 2014 e ciò anche perché il blocco sarebbe stabilito da una norma secondaria emanata in attuazione della delega di cui all’art. 16 d.l. n. 98/11 da ritenersi illegittima perché generica (seconda doglianza);

- la violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 36 e 38 Cost. nonché 7 e ss. d. lgs. n. 139/00 in quanto la disciplina del blocco stipendiale sarebbe costituzionalmente illegittima. Per altro, nelle decisioni fin qui assunte la Corte Costituzionale non avrebbe mai esaminato la questione delle ricadute permanenti derivanti dal blocco per il trattamento di fine rapporto e di quiescenza vieppiù incisive in un regime previdenziale quale quello contributivo, oggi vigente. In quest’ottica, il blocco stipendiale produrrebbe un’ingiustificata discriminazione tra soggetti che esercitano le medesime funzioni e, comunque, sarebbe violativo degli artt. 36 e 38 Cost..

I motivi sono infondati.

Come già evidenziato in più occasioni da questo Tribunale (in questo senso TAR Lazio – Roma n. 272/19, n. 550/17, n. 517/17, n. 479/17, da intendersi in questa sede richiamate ex art. 88 comma 2 lettera d c.p.a.) la disciplina dell’art. 9 comma 21 d.l. n. 78/10 è applicabile al personale della carriera prefettizia in quanto:

- il d. lgs. n. 139/00, avente ad oggetto la disciplina del “rapporto di impiego del personale della carriera prefettizia, a norma dell’articolo 10 della legge 28 luglio 1999, n. 266”, prevede che la carriera prefettizia, in sé unitaria, si articola in tre diverse qualifiche – “prefetto, vice prefetto e viceprefetto aggiunto” – a cui corrisponde l’esercizio di differenti funzioni, espressamente indicate nella tabella B (art. 2) e che il passaggio dalla qualifica di Viceprefetto Aggiunto a quella di Viceprefetto avviene mediante una “valutazione comparativa”, utile per l’ammissione ad un corso di formazione con un esame finale e la redazione di una graduatoria, all’esito della quale vi è una vera e propria “promozione” (art. 7, comma 4, e art. 8, comma 4) costituente, quindi, un vero e proprio sviluppo di carriera;

- l’ampia portata dell’art. 9 comma 21 d.l. n. 78/10, secondo cui “per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165 e successive modificazioni [tra cui figura il personale della carriera prefettizia] le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici” induce il Tribunale a ritenere applicabile la disposizione in esame anche al passaggio da Viceprefetto aggiunto a Viceprefetto che costituisce una vera e propria “progressione in carriera” così espressamente qualificata dall’art. 7 d. lgs. n. 139/00;

- contrariamente a quanto evidenziato nel gravame, il d.p.r. n. 105/11 non costituisce idoneo parametro di legittimità della fattispecie in quanto il testo normativo in esame si limita a recepire un accordo sindacale relativo al periodo 2008-2009 e, quindi, precedente a quello cui si riferiscono i fatti oggetto di causa;

- l’applicabilità dell’art. 9 comma 21 d.l. n. 78/10 alla progressione da Viceprefetto aggiunto a Viceprefetto è stata, poi, espressamente affermata dalla Corte Costituzionale la quale con la sentenza n. 96/2016 proprio sulla base di questo presupposto ha ritenuto rilevante la questione di legittimità costituzionale sottoposta al suo esame dal TAR Lazio evidenziando che la disposizione in questione “trova applicazione «in tutti i rapporti di impiego con le pubbliche amministrazioni, quale sia la loro struttura e la fonte che li disciplina» (sentenza n. 304 del 2013)” e non è derogata dalla speciale disciplina di cui al d. lgs. n. 139/00;

- in quest’ottica, la prospettata denunziata disparità di trattamento rispetto alla nomina da Viceprefetto a Prefetto non ha rilevanza, poiché l’eventuale illegittimità di una situazione giuridica non può costituire il parametro per vagliare la disparità di trattamento;
peraltro, occorre anche rilevare che la questione ha ad oggetto spettanze retributive, le quali si configurano quali diritti soggettivi rispetto ai quali non è predicabile il vizio di eccesso di potere (TAR Lazio n. 479/17).

Quanto fin qui evidenziato comprova l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 9 comma 21 d.l. n. 78/10 e, di conseguenza, anche dell’art. 16 comma 1 lettera a) d.l. n. 98/11 secondo cui “su proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione e dell'economia e delle finanze, può essere disposta:…b) la proroga fino al 31 dicembre 2014 delle vigenti disposizioni che limitano la crescita dei trattamenti economici anche accessori del personale delle pubbliche amministrazioni previste dalle disposizioni medesime”, proroga in concreto deliberata con il d.p.r. n. 122/13 che ha esteso a tutte le categorie di dipendenti pubblici il blocco stipendiale.

Manifestamente infondata, poi, è la questione di legittimità costituzionale dell’art. 16 d.l. n. 98/11 in quanto prospettata sulla base di un presupposto non condivisibile quale l’impossibilità per un d.p.r. di disciplinare un aspetto fondamentale del rapporto di lavoro quale è quello retributivo;
in realtà, non sussiste una riserva di legge in punto di determinazione della retribuzione (l’art. 36 Cost. la prevede solo in riferimento alla “durata massima della giornata lavorativa”) e, in ogni caso, nella fattispecie è stata la norma di rango primario ad attribuire al d.p.r. la facoltà di estendere la proroga del blocco stipendiale, proroga disposta dalla fonte secondaria in modo omogeneo nei confronti dei medesimi destinatari della disposizione prorogata.

Per altro, in riferimento allo stretto nesso esistente tra l’art. 16 d.l. n. 98/11 ed il d.p.r. n. 122/13, con la sentenza n. 200/18 la Corte Costituzionale ha ritenuto che “è la disposizione regolamentare (subprimaria) che riempie di contenuto la disposizione di legge (primaria). La regola della limitazione degli incrementi retributivi nel corso del 2014 è recata dal loro stretto combinato disposto, sicché la disposizione avente forza di legge attrae al livello primario la disposizione regolamentare, quantunque di rango subprimario” e, su questo presupposto, ha ritenuto di potere sindacare anche la legittimità del d.p.r. n. 122/13.

Il Tribunale, poi, ritiene che le questioni di legittimità costituzionale articolate nella terza censura siano, in parte, irrilevanti e, per il resto, manifestamente infondate.

Con riferimento alla manifesta infondatezza delle questioni prospettate in riferimento agli artt. 3, 36 e 97 Cost. il Tribunale richiama, in questa sede, le considerazioni esplicitate dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 96/16 su analoghe questioni sollevate dal TAR Lazio proprio in relazione al personale della carriera prefettizia.

In riferimento, poi, alla violazione degli artt. 3, 36 e 38 Cost. prospettata dai ricorrenti in relazione agli effetti permanenti del blocco stipendiale sui trattamenti pensionistico e di fine rapporto, il Tribunale ritiene che la questione di legittimità sia irrilevante in quanto il presente giudizio non ha ad oggetto il riconoscimento del diritto alla pensione o al trattamento di fine rapporto dal momento che gli odierni ricorrenti, al momento della proposizione del gravame, risultavano in servizio.

In ogni caso, la questione è manifestamente infondata alla luce delle considerazioni svolte dalla Corte Costituzionale la quale con la sentenza n. 200/18, emessa in riferimento a questioni sollevate dalla Corte dei Conti nell’ambito di un giudizio avente ad oggetto la determinazione della pensione, ha evidenziato che:

- “come la tenuta della prevista limitazione degli incrementi retributivi deve essere parametrata soprattutto al canone costituzionale della retribuzione proporzionata e sufficiente (art. 36 Cost.) - e in passato varie questioni in tal senso sono state sollevate, e da questa Corte dichiarate non fondate (per tutte, sentenza n. 310 del 2013) - così la ricaduta di tale limitazione sui trattamenti pensionistici ha come parametro di riferimento essenzialmente l'art. 38 Cost., unitamente allo stesso art. 36 Cost. Il trattamento pensionistico risultante dalla ricaduta, sul piano del rapporto previdenziale, della regola limitativa degli incrementi retributivi deve comunque, se complessivamente considerato, essere proporzionale alla contribuzione previdenziale, nonché sufficiente ad assicurare al pensionato una vita dignitosa”;

- “il "fluire del tempo" differenzia il regime pensionistico prima e dopo la scadenza del quadriennio e giustifica il fatto che per i dipendenti collocati in quiescenza nel quadriennio la retribuzione pensionabile - calcolata vuoi con il sistema contributivo, vuoi ancora residualmente con il sistema retributivo - debba tener conto della retribuzione "spettante" secondo la disciplina applicabile ratione temporis, mentre per i dipendenti collocati dopo la scadenza del quadriennio il parametro di riferimento è la retribuzione spettante fino alla data del loro pensionamento”;

- “una volta posta la regola dell'invarianza della retribuzione dei pubblici dipendenti in caso di progressione di carriera - senza che si dubiti della legittimità costituzionale di tale regola di iniziale immodificabilità in melius della retribuzione, vuoi perché non ne dubita la Corte dei conti rimettente, vuoi perché questa Corte ha già ritenuto non fondate questioni di costituzionalità riguardanti la retribuzione e non già la pensione (per tutte, sentenza n. 310 del 2013) - la ricaduta sul piano del rapporto previdenziale è generalizzata e non consente di porre utilmente a raffronto il trattamento pensionistico, spettante ai dipendenti collocati in quiescenza nel corso del quadriennio in questione, con quello riconosciuto ai dipendenti collocati in quiescenza dopo la scadenza di tale periodo. Così come, con riferimento al blocco della contrattazione collettiva, non potrebbero esser posti in comparazione i trattamenti pensionistici liquidati prima e dopo un incremento retributivo previsto dalla contrattazione collettiva, una volta cessato il periodo di sospensione”;

- “l’illegittimità degli effetti a tempo indeterminato sulla pensione e sul t.f.r. derivanti dal blocco degli scatti retributivi sarebbe plausibile “solo se la regola posta dalla disposizione censurata fosse quella di un prelievo straordinario sulle retribuzioni in caso di progressione di carriera: cessata l'operatività del prelievo, la retribuzione si riespande a un livello superiore e si potrebbe dubitare della legittimità costituzionale di un prelievo che per una parte del pubblico impiego in servizio nel quadriennio sarebbe ad tempus e per altra parte - i pubblici dipendenti collocati in quiescenza nel corso del quadriennio - sarebbe sofferta indefinitivamente senza limitazione di tempo” ma la Corte in più occasioni (sentenze n. 154 del 2014 e n. 304 del 2013) ha escluso che l’art. 9 comma 21 d.l. n. 78/10 costituisca un prelievo di natura tributaria”;

- “una volta che non si dubita dell'adeguatezza della retribuzione spettante al pubblico dipendente "promosso", la stessa varrà anche sul piano (contributivo e) previdenziale, al fine di quantificare il trattamento pensionistico al quale il dipendente stesso ha diritto, quale che sia il sistema di calcolo, se contributivo o ancora residualmente retributivo”;

- “la circostanza che, superato il quadriennio, al dipendente "promosso" sia attribuita una retribuzione superiore, rilevante anche sul piano (contributivo e) previdenziale e del trattamento pensionistico, si giustifica - senza che perciò sia leso il principio di eguaglianza - per l'incidenza del "fluire del tempo" che costituisce sufficiente elemento idoneo a differenziare situazioni non comparabili e a rendere applicabile alle stesse una disciplina diversa (ex plurimis, sentenze n. 104 del 2018, n. 53 del 2017, n. 254 del 2014)”.

Con la quarta censura i ricorrenti prospettano la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e ss. d. lgs. n. 139/00, carenza di motivazione e inadempimento contrattuale dell’amministrazione in quanto il Ministero dell’interno avrebbe illegittimamente individuato la decorrenza delle retribuzioni di posizione e di risultato in riferimento alla data di conferimento dei singoli incarichi dirigenziali anziché, a seconda dei casi, dal 1 gennaio 2011 e dal 1 gennaio 2012 come previsto dal combinato disposto degli artt. 7 comma 4 d. lgs. n. 139/00 e 5 comma 3 d.p.r n. 105/11.

Il motivo è infondato.

La disciplina del trattamento economico spettante al personale della carriera prefettizia è contenuta nelle disposizioni di cui agli artt. 19, 20, 21 del D.lgs. n. 139/2000.

L’art. 19 prevede che:

1. Il trattamento economico omnicomprensivo si articola, per tutto il personale della carriera prefettizia, in una componente stipendiale di base, nonché in altre due componenti correlate, la prima alle posizioni funzionali ricoperte, agli incarichi ed alle responsabilità esercitate, la seconda ai risultati conseguiti rispetto agli obiettivi assegnati.

2. Il trattamento economico di cui al comma 1 remunera tutte le funzioni riconducibili ai compiti e ai doveri d'ufficio, attribuite al funzionario prefettizio in relazione alla qualifica di appartenenza

L’art. 20, poi, è espressamente dedicato alla “retribuzione di posizione”, che viene definita come “ la componente del trattamento economico, correlata alle posizioni funzionali ricoperte ed agli incarichi ed alle responsabilità esercitati ”, e per la quale esso prevede che “con decreto del Ministro dell'interno si provvede alla graduazione delle posizioni funzionali ricoperte, sulla base dei livelli di responsabilità e di rilevanza degli incarichi assegnati ”.

Infine, il successivo art. 21 prende in considerazione la “retribuzione di risultato”, disponendo al riguardo che essa, “ correlata ai risultati conseguiti con le risorse umane ed i mezzi disponibili rispetto agli obiettivi assegnati, è attribuita secondo i parametri definiti dal procedimento negoziale, tenendo conto della efficacia, della tempestività e dell'efficienza del lavoro svolto. La valutazione dei risultati conseguiti dai singoli funzionari, al fine della determinazione della relativa retribuzione, è effettuata annualmente con le modalità definite con decreto del Ministro dell'interno ”.

Dal quadro normativo in esame emerge che, da una parte, la componente stipendiale di base (oggetto, tuttavia, nel caso di specie, del “blocco” ex art. 9 comma 21 d.l. n. 78/10) spetta ai dipendenti della carriera prefettizia solo ed esclusivamente in ragione del possesso di ciascuna qualifica e, dall’altra, che le componenti retributive accessorie, di posizione e di risultato, sono inscindibilmente collegate all’incarico effettivamente conferito al singolo fra quelli implicanti lo svolgimento delle funzioni considerate proprie di ciascuna qualifica e, di conseguenza, possono variare da un caso all’altro.

Infatti, a seconda dell’incarico, possono essere diverse le posizioni funzionali rivestite e le responsabilità ad esse correlate (art. 20), come diversi possono essere, ovviamente, i risultati da ciascuno raggiunti rispetto agli obiettivi affidati, oggetto di specifica valutazione necessariamente ex post (art. 21).

E’ evidente, dunque, come entrambe le componenti retributive accessorie in discorso presuppongano necessariamente il previo conferimento effettivo di un incarico: nel primo caso, in quanto si tratta di indennità volta a remunerare l’attività che in concreto il singolo è chiamato a svolgere in rapporto alla specifica posizione funzionale rivestita;
nel secondo caso, perché trattasi di emolumento strettamente correlato al raggiungimento o meno di risultati, intesi come vantaggi o benefici che l’amministrazione si riproponeva di ricavare dal compiuto svolgimento dell’incarico attribuito al singolo.

Pertanto, correttamente l’amministrazione ha fatto decorrere la spettanza di tali componenti retributive, correlate alla qualifica di Viceprefetto, dalla data in cui ciascuno dei funzionari, che aveva conseguito detta qualifica, si era visto attribuire effettivamente il nuovo incarico, iniziando così a svolgere le funzioni proprie della stessa (in questo senso TAR Lazio – Roma n. 550/17, n. 517/17, n. 479/17).

Con la quinta censura i ricorrenti deducono l’inadempimento contrattuale dell’amministrazione resistente la quale avrebbe attribuito, ad alcuni degli esponenti, funzioni di Viceprefetto già in un momento precedente al decreto di formale conferimento dell’incarico, ma avrebbe fatto decorrere la retribuzione di posizione e di risultato solo dalla data di adozione del decreto stesso e non, come sarebbe stato necessario, dalla data di effettivo svolgimento delle funzioni.

La doglianza è infondata.

Come già evidenziato, l’art. 19 d. lgs. n. 139/00 stabilisce che “ 1. Il trattamento economico omnicomprensivo si articola, per tutto il personale della carriera prefettizia, in una componente stipendiale di base, nonché in altre due componenti correlate, la prima alle posizioni funzionali ricoperte, agli incarichi ed alle responsabilità esercitate, la seconda ai risultati conseguiti rispetto agli obiettivi assegnati.

2. Il trattamento economico di cui al comma 1 remunera tutte le funzioni riconducibili ai compiti e ai doveri d'ufficio, attribuite al funzionario prefettizio in relazione alla qualifica di appartenenza ”.

Secondo quanto emerge dal comma 2 della disposizione le componenti del trattamento economico sono univocamente connesse alle funzioni e alla qualifica di appartenenza;
ne consegue che la retribuzione di posizione e di risultato prevista per i Viceprefetti non avrebbe potuto mai essere corrisposta prima dell’attribuzione della relativa qualifica oltre che del pertinente incarico.

A ciò si aggiunga che, come dedotto dagli stessi ricorrenti, la questione è stata oggetto di contrattazione collettiva che ha riconosciuto agli interessati l’equivalente del 18% della differenza tra le retribuzioni di posizione e di risultato riferibili alla funzione attribuita in titolarità e quella di reggenza.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi