TAR Salerno, sez. I, sentenza 2019-11-20, n. 201902040
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Pubblicato il 20/11/2019
N. 02040/2019 REG.PROV.COLL.
N. 00729/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 729 del 2019, proposto da:
D.L.M. Costruzioni S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato A Z, con domicilio eletto presso lo studio Oreste Agosto in Salerno, via Robertelli, 51;
contro
Comune di Frigento, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato A M, con domicilio digitale eletto in Giustizia, Pec Registri;
nei confronti
Impresa "Geometra di T M S.n.c.", in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Gaetano Paolino, con domicilio eletto presso il suo studio in Salerno, piazza S. Agostino n. 29;
per l'annullamento
della Determinazione del Responsabile del servizio del committente Comune di Frigento n. 40/76 del 15/04/2019 comunicata con nota Prot. n. 13336 del 15/04/2019, a mezzo pec, con la quale è stata disposta l’aggiudicazione definitiva dei lavori di “Ricostruzione di edificio strategico con funzioni C.O.C. e di ricovero dei mezzi di protezione civile sito in via Gramsci” in favore della controinteressata GEOM. DI TALIA MARIO S.N.C., nonché dei verbali dal n. 1 al n. 23 con i quali si disponeva l'aggiudicazione provvisoria e di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Frigento e della Impresa "Geometra di T M S.n.c.";
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 novembre 2019 il dott. Fabio Maffei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- L’odierna controversia trae origine dalla procedura aperta, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, indetta dal Comune di Frigento per l’affidamento dei lavori di “ Ricostruzione di edificio strategico con funzioni C.O.C. e di ricovero dei mezzi di protezione civile sito in via Gramsci ”. L'importo posto a base dell’appalto ammontava ad euro 447.441,60 (compresi gli oneri di sicurezza diretti o aziendali) ed euro 12.588,40 riguardanti gli oneri di sicurezza non soggetti a ribasso, per un complessivo importo di euro 460.000,00.
L’odierna ricorrente, avendo offerto un ribasso del 3,71%, si classificava al secondo posto, essendo stata disposta l’aggiudicazione in favore della controinteressata GEOM. DI TALIA MARIO S.N.C.
Avverso tale ultimo provvedimento insorge l’odierna ricorrente articolando le censure di seguito riportate.
1) Carenza del requisito dell’attestazione SOA, violazione della Sezione III.2.3 del Bando di gara, parte I.2.3 del Disciplinare di gara, artt. 61, co. 4, 76, 92 del d.p.r. 207/10 e 84 del D.lgs. 50/2016;
La Sezione III.2.3 del Bando di gara prescriveva espressamente che la partecipazione alla gare era subordinata al possesso da parte delle imprese concorrenti del requisito tecnico-professionale costituito dalla corrispondente attestazione SOA in corso di validità.
O, la Geom. Di T M s.n.c., sebbene al momento della presentazione della domanda di gara fosse in possesso della prescritta attestazione SOA in corso di validità, era risultata esserne priva al momento dell’aggiudicazione (15/04/2019), riportando l’attestazione esibita in fase di qualificazione la data di scadenza del 19/03/2019.
2) Violazione, falsa applicazione, eccesso di potere per travisamento, manifesta illogicità ed irrazionalità nella valutazione del criterio dell'offerta tecnica, A.5, A.4 e A.2 del Bando di Gara – Difetto di istruttoria – Difetto di motivazione- Violazione del principio di ragionevolezza tecnica.
Nonostante il progetto fosse stato predisposto dalla stazione appaltante, erano state evidenziate alcune carenze progettuali impeditive della realizzazione a regole d’arte dell’opera, cui sia l’impresa aggiudicataria che quella ricorrente avevano sopperito mediante l’offerta di migliorie.
Tuttavia, dal confronto delle quantità offerte relativamente alle previste migliorie era agevole evincere la manifesta illogicità in cui era incorsa la commissione giudicatrice, avendo quest’ultima attribuito all’offerta quantitativamente superiore dell’impresa ricorrente un punteggio complessivo nettamente inferiore rispetto a quello conferito all’aggiudicataria
3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 23, co. 16, 95, co. 10, 97, co. 5, del D.Lgs. 50/2016 e dell'art. 2094 c.c.,– Eccesso di potere per travisamento, manifesta illogicità ed irrazionalità – Difetto di istruttoria – Difetto di motivazione - Arbitrarietà del procedimento di verifica dell'anomalia
L’impresa aggiudicataria, avendo con la presentata offerta economica indicato il costo della manodopera nella misura complessiva di euro 104.000,00, di gran lunga inferiore al costo della manodopera predeterminato dal progetto a base di gara pari ad euro 141.157,55, era stata sottoposta, con esito positivo, al giudizio di verifica dell’anomalia dell’offerta.
Tuttavia, le giustificazioni offerte dall’aggiudicataria, ritenute pienamente congruenti dalla stazione appaltante, in realtà, dovevano ritenersi del tutto illogiche ed infondate, oltreché generiche ed indeterminate, così da determinare l’ingiustificata violazione della normativa inerente al costo della manodopera come disciplinata dagli artt. 23, comma 16 e 95, comma 10 del Codice Appalti.
Si costituiva, con memoria depositata in data 10 giugno 2019, il Comune resistente, evidenziando l’infondatezza di tutte le sollevate censure e, dunque, insistendo per l’integrale reiezione del proposto gravame.
Si costituiva anche l’impresa controinteressata che, nell’insistere per l’infondatezza del proposto gravame, rappresentava: a) di aver tempestivamente domandato (in data 12.11.2018) alla società di certificazione il rinnovo della posseduta attestazione, così assicurandosi l’operatività dell’ultravigenza della Soa;b) l’inammissibilità della seconda delle articolate censure, in quanto protesa a sindacare il merito della valutazione tecnico-discrezionale operata dalla commissione esaminatrice in ordine alle proposte migliorative offerte;c) la piena congruità e logicità delle giustificazioni offerte in sede di anomalia dell’offerta, dovendosi al riguardo considerare il diretto coinvolgimento nelle lavorazioni dei componenti la compagine sociale, rivestendo quest’ultimi la qualità di soci d’opera.
All’udienza del 5 novembre 2019, previo scambio delle memorie ex art. 73 c.p.a., la causa è stata trattenuta in decisione,
2.- Il ricorso è infondato.
2.1.- Sicuramente infondato, in quanto contraddetto per tabulas , è il primo motivo di ricorso con cui la ricorrente lamenta la presunta “ carenza del requisito dell’attestazione SOA ” in capo all’aggiudicataria posto che, a suo dire, quest’ultima, sebbene al momento della presentazione della domanda ne fosse munita, successivamente, alla data dell’aggiudicazione provvisoria (25.3.2019) e dell’aggiudicazione definitiva (15.4.2019), sarebbe stata titolare di un’attestazione SOA scaduta.
La ricorrente, dunque, contesta la persistenza dei requisiti speciali in capo alla aggiudicataria per tutta la durata della gara.
È noto, anzitutto, che le qualificazioni richieste dal bando di gara debbono essere possedute dai concorrenti non solo al momento della scadenza del termine per la presentazione delle offerte, ma anche in ogni successiva fase del procedimento di evidenza pubblica e per tutta la durata dell'appalto, senza soluzione di continuità (v. tra le tante e per tutte, Consiglio di Stato sez. VI, 25/09/2017, n. 4470;sez. V, 13/09/2016, n. 3854).
In ordine ai requisiti speciali di partecipazione comprovati con SOA con effetti in scadenza nel periodo di espletazione della gara la giurisprudenza, in particolare, insegna che " è sufficiente che l'impresa abbia presentato, ai sensi dell'art. 76 comma 5, d.P.R. 5 ottobre 2010 n. 207, istanza di rinnovo nel termine normativamente previsto, ovvero 90 giorni precedenti la scadenza del termine di validità dell'attestazione, atteso che la succitata norma è volta ad evitare soluzioni di continuità nella qualificazione delle imprese, in modo che la posizione del concorrente - che, prima della scadenza dell'attestazione anzidetta, si è tempestivamente e diligentemente premurato di richiederne il rinnovo, confidando nella sua tempestiva evasione - non può essere penalizzata con l'esclusione dalle gare pubbliche, in applicazione del principio del favor partecipationis e tenuto conto dell'efficacia retroattiva della verifica positiva, idonea a creare una saldatura con il periodo successivo alla scadenza della precedente attestazione, fino all'esito positivo della domanda di rinnovo, sempre che la stessa sopraggiunga prima della data fissata dal provvedimento di aggiudicazione definitiva per stipula del contratto di appalto;infatti, il rilascio di una nuova attestazione Soa certifica non solo la sussistenza dei requisiti di capacità da una data ad un'altra, ma anche che l'impresa non ha mai perso requisiti in passato già valutati e certificati positivamente, ma li ha mantenuti anche nel periodo intercorrente tra la domanda di rinnovo e quella di rilascio della nuova certificazione, senza alcuna soluzione di continuità " (v. Consiglio di Stato sez. V, 08/03/2017, n. 1091;T.A.R. Bari, sez. I, 09/06/2016, n. 737;T.A.R. Napoli, sez. I, 26/04/2018, n. 2782).
Ebbene, nella fattispecie in esame, dalla disamina della documentazione in atti risulta che
-) la prima attestazione di qualificazione s.o.a. recava come data di scadenza 19 marzo 2019;
- ) che l’impresa “Geom. M d T s.n.c.” stipulava, in data 12 novembre 2018, con la Soa Group di Roma, il contratto volto a conseguire la predetta certificazione;
-) che tale attestazione era regolarmente rilasciata.
Pertanto, la richiesta di rinnovo (12.11.2018) è stata presentata entro il termine previsto dagli artt. 76 e 77 d.P.R. 5 ottobre 2010 n. 207 di 90 giorni precedenti la scadenza del termine di validità dell'attestazione (19.3.2019), sicché può riconoscersi la persistenza dei requisiti durante tutta la procedura di gara.
Alla luce delle argomentazioni sopra esposte la censura in esame deve essere respinta, ribadendo ancora il Collegio la convinta adesione all’orientamento giurisprudenziale secondo cui, nelle gare pubbliche, al fine della verifica della continuità del possesso dei requisiti speciali di partecipazione di cui all'attestazione Soa, è sufficiente che l'impresa abbia presentato, ai sensi dell'art. 76 comma 5, d.P.R. 5 ottobre 2010 n. 207, istanza di rinnovo nel termine normativamente previsto, ovvero 90 giorni precedenti la scadenza del termine di validità dell'attestazione, atteso che la succitata norma è volta ad evitare soluzioni di continuità nella qualificazione delle imprese, in modo che la posizione del concorrente - che, prima della scadenza dell'attestazione anzidetta, si è tempestivamente e diligentemente premurato di richiederne il rinnovo, confidando nella sua tempestiva evasione - non può essere penalizzata con l'esclusione dalle gare pubbliche, in applicazione del principio del "favor partecipationis" e tenuto conto dell'efficacia retroattiva della verifica positiva, idonea a creare una saldatura con il periodo successivo alla scadenza della precedente attestazione, fino all'esito positivo della domanda di rinnovo, sempre che la stessa sopraggiunga prima della data fissata dal provvedimento di aggiudicazione definitiva per stipula del contratto di appalto;infatti, il rilascio di una nuova attestazione Soa certifica non solo la sussistenza dei requisiti di capacità da una data ad un'altra, ma anche che l'impresa non ha mai perso requisiti in passato già valutati e certificati positivamente, ma li ha mantenuti anche nel periodo intercorrente tra la domanda di rinnovo e quella di rilascio della nuova certificazione, senza alcuna soluzione di continuità (cfr. Consiglio di Stato sez. V, 06/07/2018, n.4148).
3.- In un’analoga sorte incorre anche il secondo motivo di gravame con cui la ricorrente ha contestato l’operato della commissione valutatrice per averle attribuito un punteggio inferiore rispetto a quello riconosciuto all’aggiudicataria, nonostante la sua proposta migliorativa prevedesse l’esecuzione di opere quantitativamente maggiori.
Il Collegio osserva come il motivo di doglianza non sfugga alla censura di totale genericità, oltre a rivelarsi del tutto infondato.
Come è noto, nelle gare pubbliche, di norma, è inammissibile una contestazione delle valutazioni operata dalla Commissione di gara volta a sollecitare l'esercizio di un sindacato di merito sull'attribuzione del punteggio alle offerte tecniche, salvo che queste non siano manifestamente illogiche, irrazionali, irragionevoli, arbitrarie, ovvero fondate su di un palese e manifesto travisamento dei fatti (cfr. Consiglio di Stato sez. III 25 novembre 2016 n. 4990;Consiglio di Stato sez. IV 26 agosto 2016 n. 3701;Consiglio di Stato sez. V 22 marzo 2016 n. 1168;Consiglio di Stato sez. V 26 maggio 2015 n. 2615).
In altri termini, il sindacato giurisdizionale sulle valutazioni compiute in sede di attribuzione del punteggio nell'ambito del metodo dell'offerta economicamente più vantaggiosa è circoscritto ai soli casi di manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza, in considerazione della discrezionalità che connota tale attività, cosicchè gli apprezzamenti in ordine all'idoneità tecnica delle offerte, in quanto espressione di un potere di natura tecnico-discrezionale a carattere complesso, non possono essere sostituiti da valutazioni di parte circa la insussistenza delle prescritte qualità, trattandosi di questioni afferenti al merito delle dette valutazioni tecnico-discrezionali.
In ogni caso, incombe sul soggetto che contesta l'aggiudicazione l'onere di individuare e specificare gli elementi da cui il Giudice amministrativo possa evincere che la valutazione tecnico-discrezionale dell'amministrazione sia stata manifestamente irragionevole, ovvero sia basata su fatti erronei o travisati, atteso che il sindacato del giudice rimane limitato ai casi di macroscopiche illegittimità, quali errori di valutazione gravi ed evidenti oppure valutazioni abnormi o inficiate da errori di fatto. Pertanto, non può essere accolta la richiesta del ricorrente di disporre l'esecuzione di una consulenza tecnica d'ufficio o di una verificazione al fine di accertare l'effettiva rispondenza del prodotto offerto in gara alle caratteristiche tecniche previste dal capitolato di gara, qualora le valutazioni di natura tecnico-discrezionale poste a fondamento delle cause di esclusione non appaiono manifestamente irragionevoli o affette da errori di fatto (cfr. Cons. St., sez. V, 25 febbraio 2016 n. 761).
Nel caso in esame, non sono stati dedotti ed allegati, in concreto, reali elementi da cui desumere, anche soltanto sul piano sintomatico, la ricorrenza di palesi profili di irragionevolezza o di manifesta iniquità del giudizio espresso dalla commissione.
La ricorrente, invero, si è limitata ad affidare la censura ad una mera presunzione che, tuttavia, risulta del tutto inconferente.
Nella sua prospettazione, si assume che la sola circostanza di aver offerto migliorie quantitativamente superiori a quelle oggetto dell’offerta formulata dall’aggiudicataria avrebbe dovuto determinare l’attribuzione di un punteggio maggiore.
Al contrario, è ben noto che, nelle gare pubbliche, la preliminare valutazione tecnico-qualitativa ottenuta dalla somma dei coefficienti di valore attribuiti a ciascuna offerta, integra un metodo di selezione volto ad individuare l'offerta migliore in termini strettamente relativi, che si basa sull'attribuzione di punteggi espressione delle preferenze soggettive dei commissari: un punteggio alto testimonia l'elevato gradimento del seggio di gara per le soluzioni proposte da un candidato rispetto a quelle formulate dagli altri, laddove una valutazione bassa è, specularmente, conseguenza della scarsa attrattività tecnico-qualitativa della proposta del concorrente non in sé e per sé, ma rispetto a quelle degli altri partecipanti. È, pertanto, chiara l'ampia discrezionalità sottesa a tali manifestazioni di giudizio dei commissari, che non scrutinano il possesso dei requisiti minimi di partecipazione (presupposto per l'ammissione al confronto), bensì esprimono una valutazione, necessariamente soggettiva e opinabile, circa le diverse soluzioni tecniche offerte. In altre parole, la metodologia in questione non mira ad una ponderazione atomistica ovvero quantitativa di ogni singola offerta rispetto a standard ideali, ma tende ad una graduazione comparativa delle varie proposte dei concorrenti mediante l'attribuzione di coefficienti numerici. Di conseguenza il sindacato giurisdizionale incontra forti limitazioni, non potendo il giudice impingere in valutazioni di merito "ex lege" spettanti all'Amministrazione, salva la ricorrenza di un uso palesemente distorto, logicamente incongruo, macroscopicamente irrazionale del metodo in parola, che è, tuttavia, preciso onere dell'interessato allegare e dimostrare, evidenziando non già la mera (e fisiologica) non condivisibilità del giudizio comparativo, bensì la sua radicale ed intrinseca inattendibilità tecnica o la sua palese insostenibilità logica (cfr. Consiglio di Stato sez. III, 03/02/2017, n.476).
Nell’odierna fattispecie, al di fuori del dato quantitativo, di per sé – come detto – affatto dirimente - la presunta illegittimità del punteggio attribuito è stata affermata dalla ricorrente, omettendo tuttavia indicare in modo specifico elementi da cui desumere la sua radicale inattendibilità tecnica ovvero la sua palese insostenibilità logica ovvero, infine, quale punteggio l’organo di valutazione avrebbe dovuto attribuirle e/o decurtare all’aggiudicataria.
In definitiva, anche la seconda censura non può trovare accoglimento.
3.- Del pari infondato è anche il terzo motivo di ricorso con cui la società ricorrente si duole del costo della manodopera offerta dall’impresa aggiudicataria, ritenendolo eccessivamente basso, in violazione dell’art. 23, comma 16 e art. 95, comma 10 del Codice degli appalti, tanto da legittimare, a suo dire, l’esclusione dell’impresa che, peraltro, non avrebbe fornito chiarimenti adeguati in sede di verifica dell’anomalia dell’offerta.
Sul punto osserva il Collegio che, contrariamente a quanto sostenuto della ricorrente, l’impresa di Talia, nel corso del sub-procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta azionato dalla stazione appaltante, ha ampliamente chiarito, in modo puntuale, logico e coerente, la congruità dell’offerta con riguardo al minor costo della manodopera rispetto a quello indicato dalla stessa stazione appaltante, giustificandolo in ragione della sua organizzazione aziendale, caratterizzata dalla presenza di due soci “d’opera”, impegnati direttamente nello svolgimento delle lavorazioni, la cui remunerazione era pertanto ancorata alla rimuneratività dell’attività sociale.
Come messo in evidenza dalla difesa della controinteressata, la giurisprudenza ha chiarito che le tabelle ministeriali di cui all'art. 23, comma 16, del d.lgs. n. 50/2016, evocate ai fini della giustificazioni da rendere in sede di verifica dell'anomalia dall'art. 97, comma 5, lett. d), del medesimo decreto, esprimono soltanto il costo medio della manodopera quale parametro di riferimento né assoluto, né inderogabile e che, svolgendo una funzione meramente indicativa, suscettibile di scostamento in relazione a valutazioni statistiche ed analisi aziendali evidenzianti una particolare organizzazione in grado di giustificare la sostenibilità dei costi inferiori, è ben possibile discostarsi da tali valori, in sede di giustificazioni dell'anomalia, sulla scorta di una dimostrazione puntuale e rigorosa (ex multis Tar Lazio, Roma, I 30 dicembre 2016, n. 12873;III quater, 19 marzo 2018, n. 3081;Cons. di St., sez. VI, 31 marzo 2017, n. 1495).
L'unico valore non modificabile è costituito invece dai trattamenti salariali minimi inderogabili stabiliti dalla legge o da fonti autorizzate, secondo quanto stabilito dall'art. 97, comma 6, del medesimo d.lgs. n. 50/2016 (Tar Lazio, Roma, I 30 dicembre 2016, n. 12873;III quater, 19 marzo 2018, n. 3081).
La costante giurisprudenza (cfr. da ultimo, Consiglio di Stato, sez. III, 21 luglio 2017, n. 3623) ha inoltre ribadito che un'offerta non può ritenersi anomala ed essere esclusa da una gara per il solo fatto che il costo del lavoro sia stato calcolato secondo valori inferiori a quelli risultanti dalle tabelle ministeriali o dai contratti collettivi, occorrendo, perché possa dubitarsi della sua congruità, che la discordanza sia considerevole e palesemente ingiustificata (cfr. anche Cons. St., III, 9 dicembre 2015, n. 5597;Cons. St., sez. V, 18 giugno 2015, n. 3105).
O, nel caso di specie, le spiegazioni fornite dall'aggiudicataria alla stazione appaltante sono state considerate congrue e la valutazione positiva dell'amministrazione, impingendo prevalentemente sulla riduzione dei costi variabili consentita dall’organizzazione societario-aziendale, non può essere considerata affetta né da irragionevolezza, né da intrinseca illogicità, né, infine, da errore sui presupposti di fatto per le seguenti ragioni.
Inoltre, non assume alcuna rilevanza la circostanza, dedotta dalla ricorrente, della mancata capitalizzazione del conferimento d’opera dei predetti soci nell’atto costitutivo della società.
Come osservato dalla dottrina commercialistica, osta alla possibilità di imputazione a capitale del conferimento d'opera l'incertezza che caratterizza tale conferimento sia sotto il profilo della sua corretta valutazione, sia sotto il profilo della sua effettiva integrale esecuzione, in considerazione del legame con la persona del socio e con le sue vicende. L'incertezza che deriva da simili apporti lo rende incompatibili con l'esigenza di effettiva formazione del capitale sociale, esigenza almeno in parte recepita anche dalla disciplina delle società di persone, a tutela non solo e non tanto dei soci, quanto dei terzi e, specialmente, dei creditori sociali che sarebbero indotti a fare affidamento su un capitale sociale della società, almeno parzialmente, non certo.
In questa prospettiva, la capitalizzazione dei conferimenti d'opera non è necessaria né per garantire la parità di trattamento tra soci di capitale e soci d'opera, né per tutelare l'interesse dei creditori sociali alla conservazione dei mezzi propri dell'impresa.
In effetti una simile conclusione, da un lato, non interferisce con il regolamento dei rapporti interni tra i soci (che sono liberi di determinare, a prescindere dall'indicazione della cifra del capitale sociale, il valore dell'apporto a patrimonio del socio d'opera) e, dall'altro, tutela l'interesse dei terzi a evitare l'imputazione a capitale di valori non effettivi, oltre a scongiurare il rischio di distribuzione di utili soltanto sperati.
Nella conclusione ora esposta trova, peraltro, coerente spiegazione la previsione di cui all'art. 2295, n. 7 c.c., la cui finalità specifica consiste nel dotare le società di persone di una embrionale disciplina a tutela del capitale sociale, scongiurando il rischio che esso sia formato da valori intrinsecamente incerti come l'opera promessa dal socio.
D'altra parte, secondo la disciplina delle società di persone, i soci sono liberi di organizzare il patrimonio destinato all'impresa, anche in ordine al capitale sociale, con il limite della impossibilità di imputare a capitale valori non effettivi. In tale direzione, viene in rilievo la disciplina della misura del capitale sociale: se pure è vero che anche nelle società di persone la regola del capitale sociale è obbligatoria, è altrettanto vero che ciò ha un valore solo formale, rimanendo, in mancanza di un minimo di capitale imposto per legge, i soci liberi di fissare l'entità del medesimo, sia al momento della costituzione della società che in seguito (nel rispetto della procedura imposta dall'art. 2306 c.c. per la riduzione del capitale) e ciò fino al limite di costituire e/o mantenere attiva una società con capitale sociale pari a zero.
D'altra parte, l'adesione all'orientamento secondo cui il conferimento d'opera non deve essere (o non necessariamente deve essere) capitalizzato non contrasta con l'altrettanto essenziale funzione produttivistica (non tanto del capitale, quanto) degli apporti a patrimonio della società, potendo i soci dotare il patrimonio sociale di qualsivoglia utilità - e, dunque, anche dell'opera dei soci - ancorché quest'ultima non sia suscettibile di espropriazione forzata.
Conferma le conclusioni ora raggiunte anche il disposto dell'art. 2282 c.c. che, nel disciplinare la ripartizione dell'attivo in sede di liquidazione societaria, prevede che, dopo l'estinzione dei debiti sociali, l'attivo deve essere destinato alla restituzione dei conferimenti specificando, per quelli diversi dal denaro (tra cui rientrano anche i conferimenti d'opera), che la restituzione è fatta sulla base della valutazione che risulta dal contratto o in mancanza con riferimento al valore che avevano nel momento in cui furono eseguiti. Conseguentemente, se in sede di liquidazione, il legislatore riconosce la necessità di fare riferimento ad una valutazione dell'apporto per procedere alla restituzione del conferimento al socio, ammette indirettamente nel contempo che, durante la vita della società, questi apporti non siano stati imputati (o almeno non lo siano necessariamente) a capitale.
Essendo pertanto plausibile che, nonostante la mancata capitalizzazione dei conferimenti dei soci d’opera, come visto non obbligatoria nell’atto costitutivo, questi ultimi siano fattivamente coinvolti nell’attività lavorativa necessaria per lo svolgimento dell’appalto e ritenendosi pienamente giustificata la riduzione del costo della manodopera operata in virtù di un’organizzazione aziendale, la censura all’uopo sollevata dalla ricorrente deve essere respinta, atteso che non risulta dimostrato che l’operata riduzione offerta comporti il mancato rispetto dei minimi salariali ovvero che la discordanza tra il costo di lavoro calcolato in offerta e quello risultante dalle tabelle ministeriali o dai contratti collettivi sia considerevole e palesemente ingiustificata (cfr. ex multis, Cons. St., III, 9 dicembre 2015, n. 5597;Cons. St., sez. V, 18 giugno 2015, n. 3105), tale da comportare l'anomalia dell'offerta.
Conclusivamente, il ricorso deve essere respinto.
5. Le spesse del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.