TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2023-04-13, n. 202306355

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2023-04-13, n. 202306355
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202306355
Data del deposito : 13 aprile 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/04/2023

N. 06355/2023 REG.PROV.COLL.

N. 04146/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4146 del 2022, proposto da
F M C e C D R, rappresentati e difesi dall'avvocato C A, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato G P A, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

della determinazione dirigenziale n. 3119 del 21.12.2021, prot.207484, notificata in data 19 gennaio 2022;

della precedente determina dirigenziale prot.n.106155 del 21/06/2021;

nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguente ai provvedimenti impugnati che possa interpretarsi ostativo ai diritti degli odierni ricorrenti.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 febbraio 2023 il dott. Giuseppe Licheri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con ricorso notificato e depositato nei termini di rito, i ricorrenti impugnavano la determinazione dirigenziale – meglio specificata in premessa – con la quale il competente ufficio municipale di Roma Capitale, acclarata l’effettuazione di interventi edilizi in asserita assenza di titolo abilitativo e di autorizzazione della competente Soprintendenza statale, irrogava la sanzione ripristinatoria prevista dall’art. 16 della L.R. Lazio n. 15/2008 ingiungendo la rimozione, entro 30 giorni dalla notifica, delle opere eseguite sull’immobile sito in Roma alla via di Monte Testaccio n. 52/A.

Premettevano i ricorrenti di aver acquistato il bene di cui trattasi in data 26.6.2019, il quale consiste in un locale magazzino posto al piano terra e confinante su due lati con un terrapieno identificato in catasto fabbricato il foglio 517, part. 68, sub. 520;
sul terzo lato, il locale magazzino in questione confina con un’unità collabente, sempre di proprietà dei ricorrenti, identificata al foglio 517, part. 68, sub. 521.

Ai due locali – adesso contraddistinti da due subalterni diversi (520 e 521) ma, originariamente, ricompresi in un unico subalterno (14) – risulta anteposto un avancorpo, che costituisce l’oggetto delle contestazioni mosse dall’autorità municipale la quale, con il provvedimento impugnato, intimava la rimozione delle opere ivi realizzate in asserita assenza di titolo e consistenti in un “ ampliamento dell’avancorpo (originariamente costituito da un vano ed attualmente costituito da due vani) che ha superficie complessiva maggiore di quanto riportato in atti, mediante accorpamento di una porzione di fabbricato proveniente da frazionamento di altra u.i. ”, il tutto previa verifica della sussistenza di vincoli archeologici, cimiteriali e paesaggistici sull’area sulla quale insiste l’immobile, nonché dell’afferenza del medesimo alla zona omogenea “A” di cui al D.M. n. 1444/1968 e, infine, dell’assenza dell’autorizzazione all’esecuzione delle opere da parte della Soprintendenza statale.

Contro il provvedimento così sinteticamente descritto, proponevano ricorso i proprietari deducendo, per un verso, l’eccesso di potere per illogicità, errore sui presupposti, vizi di istruttoria e sviamento e, per l’altro, la contraddittorietà delle motivazioni e la violazione dell’art. 37 del d.P.R. n. 380/2001.

A parere dei ricorrenti, l’avancorpo in questione non avrebbe subito alcun ampliamento e, in particolare, non sarebbe stato interessato dall’annessione di alcuna porzione di fabbricato proveniente dal frazionamento di un’altra unità immobiliare.

Infatti, come dovrebbe evincersi dall’esame delle planimetrie catastali di primo impianto del 1939 e dalla relazione del tecnico di fiducia dei ricorrenti, allegata in ricorso, la parte di avancorpo oggetto degli interventi contestati solo per errore dell’originario compilatore sarebbe stata inclusa nel confinante subalterno 15 ma, in realtà, esso avrebbe da sempre costituito un locale comune ai due subalterni 14 e 15 non accatastabile trattandosi, nella sostanza di un corridoio che, originariamente, serviva più porzioni immobiliari e che avrebbe dato accesso alle grotte sottostanti, oggi non più fruibili, al pari di un lungo androne condominiale che dà accesso a distinte porzioni immobiliari.

In definitiva quindi, ad avviso dei ricorrenti, l’amministrazione sarebbe incorsa nell’errore di considerare avvenuto un frazionamento di un’unità immobiliare contigua in realtà mai posto in essere – giacché il locale avancorpo sarebbe da considerarsi parte comune non censibile catastalmente – di talché l’unica irregolarità edilizia – alla quale, peraltro, i ricorrenti professavano la propria estraneità – sarebbe consistita nella rimozione del tramezzo con apertura che, in origine, delimitava il locale comune in questione, opera alla sanatoria della quale si sarebbe potuto addivenire mediante presentazione di una SCIA in conformità ai sensi dell’art. 37 del d.P.R. n. 380/2001 e che, di certo, non avrebbe giustificato l’irrogazione di una sanzione ripristinatoria quale quella impartita nel caso di specie.

Infine, i ricorrenti rilevavano la contraddittorietà della motivazione del provvedimento impugnato con le risultanze della determinazione dirigenziale recante l’ordine di sospensione dei lavori (dalla quale si sarebbe desunta, invece, la sanabilità dell’opera previa segnalazione ex art. 37 d.P.R. n. 380/2001) e l’insufficienza, nonché illogicità, della motivazione del medesimo sotto il profilo della non adeguata descrizione delle opere da rimuovere o demolire.

Si concludeva il ricorso con l’istanza di sospensione cautelare del provvedimento impugnato.

Si costituiva in giudizio Roma Capitale sostenendo l’infondatezza del ricorso e l’insussistenza delle esigenze cautelari dedotte.

Alla camera di consiglio del 12.5.2022 la Sezione, con ordinanza n. 3014/2022, disponeva la sospensione del provvedimento impugnato, onerava l’amministrazione di provvedere a depositare in giudizio, entro 60 giorni dalla comunicazione dell’ordinanza, documentati chiarimenti in ordine alla completezza della planimetria catastale di primo impianto e, infine, fissava al 28.2.2023 l’udienza per la discussione nel merito del ricorso.

In data 24.6.2022, Roma Capitale provvedeva al deposito dell’integrazione documentale richiesta.

In prossimità dell’udienza pubblica, parte ricorrente depositava memoria conclusionale con la quale ripercorreva le argomentazioni già spese nel ricorso introduttivo ed insisteva per le conclusioni ivi rassegnate.

Entrambe le parti depositavano istanze di passaggio in decisione allo stato degli atti e infine, all’udienza del 28.2.2023, il ricorso veniva trattenuto in decisione.

Il ricorso non è fondato.

Con il provvedimento in esame Roma Capitale, sulla scorta del sopralluogo compiuto il 2.12.2020, ha ritenuto integrato un intervento edilizio effettuato in assenza di titolo abilitativo consistente nell’ampliamento di un vano antistante alle unità immobiliari principali di cui si compone la proprietà dei ricorrenti, prospiciente la strada e definito ‘avancorpo’.

Tale locale, a giudizio dell’amministrazione resistente, originariamente composto da un unico vano, di dimensioni pari a circa 7 mq. ed accessibile da uno spazio attiguo non meglio identificato, sarebbe stato affiancato da un altro vano, di dimensioni pari a 18 mq., avente accesso diretto alla strada.

In tal modo, il suddetto ‘avancorpo’ sarebbe stato ampliato in assenza del necessario titolo abilitativo e in difformità tanto dalla planimetria catastale originaria del 1939, quanto dall’ultima planimetria disponibile in atti e risalente al 2018.

Infatti, sempre ad avviso dei tecnici comunali, nella prima, l’avancorpo in questione risultava essere composto di un solo vano con accesso non diretto sulla strada, mentre attualmente il suddetto ‘avancorpo’ risulterebbe formato da due vani, di cui uno con ingresso su strada ed avente dimensione maggiore persino di quella riportata nella planimetria del 2018, tale da lasciar supporre, secondo l’amministrazione, l’avvenuto ampliamento dell’avancorpo per mezzo di frazionamento dell’unità immobiliare attigua e accorpamento di una porzione di quest’ultima.

Giacché l’edificio in questione è situato in zona sottoposta a vincoli archeologici, cimiteriali e paesaggistici – nonché ricompreso in zona omogenea “A” – esso non sarebbe stato eseguibile sulla scorta di una semplice segnalazione del privato per cui, richiesto – ma non pervenuto – il parere della competente Soprintendenza ai sensi dell’art. 37, comma 3, d.P.R. n. 380/2001, l’autorità comunale si determinava ad irrogare la sanzione ripristinatoria oggetto dell’odierno ricorso.

Ad avviso di parte ricorrente, invece, la cennata difformità dello stato attuale dei luoghi rispetto all’originaria conformazione della planimetria catastale sarebbe spiegabile semplicemente con l’errata rappresentazione fornita dal compilatore della scheda di primo impianto del 1939.

Egli infatti, errando, avrebbe descritto il margine destro dell’unità immobiliare di cui all’originario subalterno 14 (corrispondente all’odierna proprietà dei ricorrenti) come confinante con un terrapieno.

In realtà, il subalterno 14 sarebbe proseguito con un’altra unità immobiliare – recante il numero di subalterno 15 – per cui l’avancorpo descritto dai tecnici comunali altro non sarebbe che un locale comune avente la funzione di permettere l’accesso ai locali di proprietà individuale posti in posizione arretrata rispetto all’ingresso stradale, con destinazione assimilabile, quindi, a quella di un androne o delle scale condominiali e, pertanto, non graficizzabile in sede di rilevazioni catastali.

Sarebbe questo quindi, nella prospettazione dei ricorrenti, il locale di cui Roma Capitale avrebbe contestato il frazionamento e l’accorpamento senza titolo;
un locale, in definitiva, già presente nella planimetria del 1939 e non costituente proprietà esclusiva di nessuna delle unità immobiliari principali.

Quanto, poi, all’ampliamento di uno dei vani prospicienti la strada, ad avviso dei ricorrenti esso consisterebbe nella mera rimozione di un tramezzo dotato di porta (ben visibile già nella planimetria di primo impianto), costituente intervento sanabile con una SCIA in conformità ai sensi dell’art. 37, comma 4, TUE.

Tale prospettazione non solamente non convince ma si risolve, in definitiva, in una conferma delle risultanze cui è pervenuta l’amministrazione resistente.

Infatti, parte ricorrente non nega essere intervenuto un ampliamento dell’avancorpo prospiciente la strada il quale, dalla sua consistenza originaria di un vano con accesso non diretto su strada, ha assunto l’attuale conformazione sviluppantesi su due vani, uno dei quali con ingresso su strada e dimensioni maggiori persino di quelle stimabili dall’esame della più recente planimetria catastale raffigurante i luoghi e risalente al 2018.

Come detto, parte ricorrente non nega essere avvenuto tutto ciò, ma riconduce quanto sopra, nella sostanza, al frazionamento ed accorpamento non dell’unità immobiliare di proprietà esclusiva di cui all’adiacente subalterno 15, bensì di un locale avente funzione di corridoio comune a tutte le proprietà individuali, mentre riconduce l’ampliamento del secondo vano all’abbattimento di un tramezzo, anche in questo caso confermando le conclusioni cui sono pervenuti i tecnici comunali.

Per costante indirizzo giurisprudenziale, a cui il Collegio presta convinta adesione, “ In materia di abusi edilizi non è prospettabile una valutazione atomistica degli interventi allorché gli stessi facciano parte di un disegno sostanzialmente unitario di realizzazione di una determinata complessiva opera, risultante priva di titolo, derivandone che i singoli abusi eseguiti vanno riguardati nella loro interezza e, proprio perché visti nel loro insieme, possono determinare quella complessiva alterazione dello stato dei luoghi che legittima la sanzione applicata e persuade della sua appropriatezza e proporzionalità rispetto a quanto realizzato ” (così, tra le molte, T.A.R. Campania - Napoli, sez. IV, n. 67 del 3.1.2023).

Orbene, applicando l’insegnamento pretorio al caso di specie, non vi è dubbio che un intervento diretto, da un lato, ad apprendere una porzione immobiliare avente destinazione comune e ad assoggettarla al servizio di un’unità immobiliare di proprietà esclusiva e, dall’altro, ad abbattere una tramezzatura al fine di ampliare il vano risultante dall’anzidetta apprensione di uno spazio comune costituiscano interventi recanti, nella loro complessità, un ampliamento della superficie dell’unità immobiliare originaria in assenza di titolo abilitativo, indispensabile ove, come nel caso di specie, l’opera di manutenzione straordinaria in questione abbia ad oggetto un immobile ricadente in zona omogenea “A” di cui al D.M. n. 1444/1968 e sottoposto a vincoli archeologici, cimiteriali e paesaggistici, la cui incidenza non è stata peraltro neppure contestata dai ricorrenti.

Pertanto, il provvedimento sanzionatorio edilizio irrogato appare legittimo e immune dai vizi dedotti, essendo l’unica conseguenza possibile dell’effettuazione di interventi che, riguardati da una visuale comune, costituiscono un ampliamento senza titolo del preesistente (in proposito, vedasi, T.A.R. Campania – Napoli, Sez. VI, n. 675 del 30.1.2023, secondo cui “ A prescindere dalla natura delle opere realizzate se per le stesse non risulta richiesta o rilasciata alcuna SCIA, e comunque per le opere edilizie realizzate in area vincolata, quand'anche si ritenessero assentibili con una D.I.A., trova applicazione la sanzione demolitoria, ove non sia stata ottenuta alcuna previa autorizzazione paesistica ”).

Inoltre, anche volendo accedere alla ricostruzione prospettata dai ricorrenti, comunque si disvelerebbe il carattere illecito dell’intervento, dal momento che, trattandosi di locali aventi funzione servente alle singole proprietà immobiliari, essi costituirebbero cose comuni di cui ciascun comproprietario, ai sensi dell’art. 1102 c.c., può servirsi ma non al punto di appropriarsene escludendo gli altri dalla fruizione rendendosi necessaria in quest’ultimo caso, al fine di escludere l’illegittimità edilizia dell’intervento, anche l’autorizzazione degli altri partecipanti alla cosa comune (cfr. Cons. St., sez. VI, n. 362 del 20.1.2022: “ La giurisprudenza amministrativa ha, altresì, indicato come occorra il consenso del condominio quando uno dei condomini intenda realizzare o sanare opere che modifichino la facciata dell'edificio (Cons. Stato Sez. V, 21/10/2003, n. 6529;
T.A.R. Campania Napoli Sez. VI, 16/11/2020, n. 5253). Questo principio ha una portata generale e si applica anche quando l'interessato ritenga che le innovazioni sulle parti comuni non avrebbero alcuna rilevanza estetica, non essendo rimesso allo stesso considerare irrilevanti le innovazioni sotto il profilo estetico, qualora sia verificata la loro incidenza sostanziale sulla facciata dell'edificio condominiale. Il "decoro architettonico" delle facciate costituisce, infatti, bene comune dell'edificio e pertanto ogni lavoro che su di esso sensibilmente incide, necessita dell'assenso dell'assemblea dei condomini, a prescindere dal giudizio sul risultato estetico dei lavori progettati (Cons. Stato, Sez. IV, 26 giugno 2012, n. 3772;
Cass. II, 30/8/2004, n. 17398)
”, autorizzazione che, nel caso di specie, non pare essere stata rilasciata.

Ancora, non può essere favorevolmente accolta l’obiezione secondo cui, con riguardo all’abbattimento del tramezzo che avrebbe permesso l’ampliamento del secondo vano annesso all’avancorpo preesistente, si tratterebbe di opera sanabile con SCIA in conformità ex art. 37 d.P.R. n. 380/2001, per la semplice ragione che, come sopra osservato, ciò richiederebbe una valutazione atomistica delle opere oggetto degli interventi contestati le quali, viceversa, non sono scorporabili in singoli interventi, ma vanno riguardate unitariamente onde verificarne la portata trasformativa dell’organismo edilizio precedente.

Nel caso di specie, operata l’anzidetta verifica unitaria, non sfugge come l’abbattimento del tramezzo non possa essere sanato prescindendo dal più ampio intervento di frazionamento, accorpamento ed ampliamento che è stato effettuato, rappresentando solo un aspetto di tale, complessivo, abuso.

Nessun pregio presentano, poi, le contestazioni che si appuntano su presunte contraddittorietà tra il provvedimento impugnato e l’ordinanza intimante la sospensione dei lavori impartita il 21.6.2021, giacché la medesima non reca traccia in nessuna parte della possibilità, asseritamente sostenuta da parte ricorrente, di far luogo alla procedura di conformità descritta dall’art. 37, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001 per ovviare alla mancanza del necessario titolo abilitativo, contenendo la medesima solo un generico invito a far pervenire agli uffici, ove esistente, documentazione comprovante la proposizione di precedenti istanze di condono ai sensi della legge n. 326/2003 per le medesime opere di cui veniva contestata la legittimità.

Da rigettare è, infine, l’argomentazione secondo la quale il provvedimento impugnato, contenendo l’ordine di “demolire” le opere abusivamente realizzate, non indicherebbe con chiarezza gli interventi necessari a ricondurre a legalità le medesime, apparendo lo stesso a dir poco formalistico, giacché e chiaro che l’unica attività possibile a fronte dell’addebito di aver operato un frazionamento e, poi, un accorpamento senza titolo sia quella di ripristinare lo stato legittimo dei luoghi senza demolire ma, anzi, ricostruendo ciò che era stato illegittimamente abbattuto.

In definitiva, quindi, il ricorso proposto non può trovare accoglimento e va, conseguentemente, respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate, in favore di Roma Capitale, nella misura determinata in dispositivo.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi