TAR Brescia, sez. II, sentenza 2015-05-27, n. 201500777

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Brescia, sez. II, sentenza 2015-05-27, n. 201500777
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Brescia
Numero : 201500777
Data del deposito : 27 maggio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00580/2014 REG.RIC.

N. 00777/2015 REG.PROV.COLL.

N. 00580/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 580 del 2014, proposto da:
B Gianpietro, in proprio e quale titolare dell'Azienda Agricola B Giampietro, rappresentato e difeso dagli avv.ti M N, Enzo Barila', con domicilio eletto presso Gianfranco Zanetti in Brescia, Via Solferino, 28;

contro

Autostrade Centro Padane S.p.a., rappresentato e difeso dagli avv.ti M S e D M, con domicilio eletto presso D M in Brescia, borgo Wuhrer, 81;

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e Anas S.p.a., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato e domiciliato in Brescia, Via S. Caterina, 6;

per il risarcimento

del danno conseguente dalla trasformazione di parte del fondo agricolo in autostrada, senza che sia stato emesso decreto di esproprio.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della società Autostrade Centro Padane S.p.a., del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e dell’Anas Spa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 maggio 2015 la dott.ssa M B e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Il ricorrente è proprietario di un ampio compendio agricolo (dell’estensione originaria di dieci ettari), interessato dalla realizzazione, da parte di Autostrade Centro Padane s.p.a. (di seguito ACP), del nuovo raccordo autostradale tra il casello di Ospitaletto (A4) e il nuovo Casello di Poncarale (A21).

Una porzione di esso è stata, dunque, occupata e trasformata mediante la realizzazione dell’autostrada, già aperta al pubblico, senza, però, che l’ente promotore delle espropriazioni provvedesse all’adozione dell’atto traslativo della proprietà entro il termine di decadenza della dichiarazione di pubblica utilità.

Data la confusa situazione venutasi a creare a seguito della decadenza anche della concessione a favore di ACP e del subentro, nelle obbligazioni da tale società assunte, dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, per il mezzo della Struttura di Vigilanza per le concessionarie autostradali istituita con D.M. 1 ottobre 2012 (in forza dell’art. 11, comma 5 del D.L. 216/2011, come modificato, oltre che dalla legge di conversione, dall’art. 12, comma 78, lett. a) del D.L. 6 luglio 2012, n.95, come convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 e dall’art. 34, comma 7, del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179), il ricorrente ha chiesto al suddetto Ministero, oltre che ad ANAS (quale ente concedente e titolare del potere di controllo, fino al suo trasferimento al Ministero) il risarcimento del danno conseguente, in via principale, per equivalente ovvero, in subordine, in forma specifica, tenendo in debito conto che dal terreno (con destinazione agricola) sono state asportate circa 200.000 tonnellate di ghiaia presente nel giacimento sottostante la coltivazione e, dunque, il valore venale dello stesso dovrebbe essere ritenuto di gran lunga superiore a quello meramente agricolo.

Quest’ultimo, commisurato alla coltivazione in essere, principalmente di cereali da riutilizzarsi nell’azienda agricola esercitata dal ricorrente per l’allevamento di suini, è stato quantificato dal ricorrente in euro 13 al metro quadrato.

Tale valore dovrebbe essere moltiplicato per i 27.241 mq effettivamente occupati (a fronte dei 21.076 di cui si prevedeva l’esproprio, 2.961 da occuparsi temporaneamente e 53 da asservire, secondo le previsioni di progetto) o per i 24.280 in concreto trasformati, portando ad un indennizzo pari a 354.133 euro, nel primo caso e 315.640,00 nel secondo.

Con riferimento al valore del sottosuolo, però, parte ricorrente ha evidenziato come il PGT di Castenedolo qualifichi l’area interessata dai lavori come “depositi fluvio glaciali dell’alta pianura bresciana generalmente costituiti da ghiaie e da ghiaie sabbiose”.

E la presenza della ghiaia, nonché l’effettiva utilizzazione della stessa, da cui il ricorrente fa discendere la propria pretesa ad essere debitamente indennizzato sarebbero documentati, secondo quanto riportato nel ricorso e dedotto dalla perizia tecnica allegata, dalle dichiarazioni pubbliche del direttore dei lavori relative al riutilizzo di tale materiale nella realizzazione dell’opera. Dalla proprietà del ricorrente sarebbero stati escavati, dunque, 130.000 mc di ghiaia, corrispondenti a 200.000 tonnellatte circa, il cui prezzo, dedotto dal listino di cavatore in zona per il 2012 (allegato 9 al documento 4 del ricorrente) sarebbe pari a 6,5 Euro/tonnellata per il “mistone naturale”, 7 Euro/tonn per il pietrame fuori griglia e 9,5 Euro/tonn per la terra vegetale (presente in superficie).

Tenendo conto degli oneri di scavo e conteggiando prudenzialmente un valore medio di soli 5 Euro/ton, il valore del materiale sarebbe, dunque, pari a 1.000.000 di euro.

La proprietà del ricorrente, inoltre, avrebbe subito due ulteriori pregiudizi alle porzioni residue:

- la necessità di effettuare un lungo giro per aggirare l’autostrada che separa le due porzioni in cui l’azienda agricola risulta ora divisa, con conseguenti maggiori oneri di coltivazione quantificati in 151,723,99 euro;

- l’impossibilità di irrigare a scorrimento una parte dei terreni rimasti in proprietà per evitare il dilavamento e l’erosione della scarpata a confine con l’autostrada, per un danno, stimato, di 132.283,21 euro.

La somma di tali importi, pari a 284,007,20 euro non sarebbe molto lontana dalla diminuzione di valore di cui alla stima effettuata dal consulente tecnico, pari a complessivi 297.600,00 euro.

Infine, al ricorrente spetterebbe anche l’indennità aggiuntiva dovuta al coltivatore diretto.

Nel formulare le sue conclusioni, peraltro, il ricorrente ha avanzato la richiesta, ulteriormente ribadita anche nel corso della discussione in pubblica udienza, della nomina di un consulente tecnico per la verifica della situazione dei luoghi e per la quantificazione del danno.

In vista della pubblica udienza, peraltro, si sono costituiti in giudizio sia il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, che l’ANAS, nonché la società Autostrade Centro Padane S.p.a..

Quest’ultima ha, sin da subito, richiamato il precedente di questo Tribunale (sentenza n. 23/2014) e ribadito la propria carenza di legittimazione passiva in ordine alla domanda restitutoria e risarcitoria.

Sul punto ha replicato il ricorrente: ACP sarebbe da ritenersi comunque corresponsabile della mancata conclusione nei termini del procedimento. Tale società avrebbe dovuto completare l’esproprio in parallelo con l’opera pubblica, senza che, al proposito, sia necessario per il ricorrente dimostrare una specifica colpa in capo al concessionario, il quale, con il proprio comportamento non ha consentito il rispetto del termine finale delle espropriazioni.

In punto di quantificazione del danno, il ricorrente ha evidenziato, laddove non fosse ritenuta necessaria una CTU, come ANAS non abbia in alcun modo esplicato alcuna difesa e nemmeno ACP abbia in alcun contestato le deduzioni del ricorrente con specifico riferimento, in particolare, al fatto che il valore di giacimento di ghiaia asportata supererebbe quello del terreno agricolo sovrastante (sul punto richiama la sentenza n. 320/2014) e alla circostanza del consistente danno apportato alla parte residua del fondo agricolo, per i maggiori costi di coltivazione e non essendo essa, in parte, più irrigabile a causa della realizzazione dell’autostrada.

L’indennizzo dovuto per l’acquisto della proprietà dovrebbe, dunque, essere parametrato al reale valore di mercato del terreno, il quale può essere ragionevolmente ritenuto pari, come preteso dal ricorrente, al valore del materiale asportato.

In sede di discussione orale, la difesa erariale ha sottolineato la complessità dei rapporti intercorsi tra ANAS e concessionario, i quali sono stati interrotti con il ritorno delle competenze alla mano pubblica solo quindici giorni prima della scadenza della dichiarazione di pubblica utilità: ciò dovrebbe essere sufficiente ad escludere la responsabilità sia di ANAS, che del Ministero e, dunque, ad individuare come unico soggetto tenuto al risarcimento del danno la società ACP.

ACP, invece, ha ribadito la propria estraneità alla richiesta risarcitoria, in quanto la scadenza del termine per l’esproprio sarebbe da imputarsi al Ministero, mentre il ricorrente ha ribadito, come già più sopra precisato, l’opportunità di fare ricorso ad una CTU per la corretta quantificazione del danno.

Sentite tutte le parti, su conforme richiesta delle stesse, la controversia è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il ricorso merita accoglimento per quanto attiene alle pretese sostanziali nello stesso fatto valere, salve le precisazioni che seguiranno in ordine alle singole richieste risarcitorie.

Deve, però, essere preliminarmente rigettata l’istanza di parte ricorrente volta ad ottenere il ricorso ad una consulenza tecnica per la quantificazione del risarcimento del danno, in quanto quest’ultimo risulterebbe essere prematuro.

Il ricorso in esame, infatti, tende (e non potrebbe essere diversamente, considerata la situazione di fatto e di diritto come descritta nella parte in fatto), in prima battuta all’accertamento dell’illegittimità della trasformazione ad uso pubblico della proprietà privata in assenza di un idoneo atto traslativo della proprietà (che avrebbe dovuto essere adottato prima della decadenza del potere ablatorio conferito al concessionario) e, conseguentemente, alla quantificazione del risarcimento del danno dovuto. Questo secondo passaggio non può prescindere dalla remissione all’Amministrazione utilizzatrice del bene della scelta discrezionale se procedere all’acquisizione della proprietà occupata e trasformata (ai sensi dell’art. 42 bis del DPR 327/2001) ovvero alla sua restituzione, previa riduzione in pristino stato.

Tale scelta, infatti, comporta una diversa configurazione del danno e, quindi, un diverso onere risarcitorio, in ragione della eventuale sottrazione della proprietà privata per disporne l’acquisizione al demanio pubblico.

Ciò comporta che, in questa fase, al giudice amministrativo sia attribuita la sola possibilità, accertata l’intervenuta decadenza della dichiarazione di pubblica utilità e la mancata adozione del decreto di esproprio, di fissare i diversi criteri di risarcimento del danno, lasciando all’Amministrazione il compito di procedere alla loro applicazione, in funzione della scelta operata, provvedendo, così, alla formulazione di un’offerta.

Se si procedesse direttamente alla quantificazione del risarcimento dovuto verrebbe privato il Ministero della possibilità di formulare quella proposta di indennizzo che l’art. 42 bis del DPR 327/2001 rimette proprio all’ente utilizzatore dei beni e rispetto al calcolo del quale il giudice non può che procedere alla mera enucleazione dei criteri fissati dalla legge, puntualizzando gli aspetti di applicazione al caso concreto.

Tutto ciò premesso, prima di entrare nel merito della indicazione dei criteri per la quantificazione del danno, deve essere individuato il soggetto responsabile dell’illegittima trasformazione della proprietà privata e tenuto, conseguentemente, al risarcimento del danno, senza dimenticare che lo stesso può anche, in linea di principio, non coincidere con quello tenuto alla scelta se acquisire o restituire il terreno.

Invero, l’incontestata, anche da parte del ricorrente, trasformazione ad uso pubblico di buona parte della proprietà occupata è indubbiamente intervenuta ad opera della ACP, che ha eseguito i lavori senza provvedere, parallelamente, a porre in essere l’attività necessaria all’adozione del decreto d’esproprio. Ciò non può, però, di per sé condurre alla condanna di tale società con specifico riferimento alla domanda restitutoria.

Sul punto questo Tribunale si è già pronunciato affermando, con sentenza n. 320 del 2014 da cui non si ravvisa ragione di discostarsi, che deve essere esclusa la legittimazione passiva di ACP, ferma restando, come meglio si preciserà nel prosieguo, la sua responsabilità solidale rispetto al risarcimento per equivalente del danno causato (e non eliminabile mediante l’eventuale restituzione in forma specifica).

Il suddetto soggetto, già concessionario autostradale, infatti, ha perso - a seguito della scadenza della concessione ed a prescindere dalla sua proroga sino al 30 settembre 2013, limitata all’espletamento di alcuni, specifici compiti gestori (di cui si dirà più ampiamente nel prosieguo)- i propri poteri “comprendenti la responsabilità sulle procedure espropriative, il termine delle quali è inutilmente spirato quando la titolarità era rientrata nella sfera di competenza di ANAS” (così la sentenza di questo Tribunale n. 23/2014). In ragione di ciò e del conseguente subentro, nella sua posizione di ente espropriante, del soggetto (ANAS s.p.a.) delegante, ACP non ha più nemmeno la disponibilità, quale mero detentore, dei terreni in questione. Tale affermazione risulta confortata dall’esame della documentazione versata in atti e dalla quale emerge che la vicenda in esame trae origine dalla Convenzione novativa stipulata tra ANAS e Autostrade Centro Padane s.p.a. il 20 dicembre 1999 e dalla successiva procedura di infrazione avviata dalla Commissione Europea nei confronti dell’Italia per aver proceduto all’affidamento diretto senza gara della costruzione e gestione del raccordo autostradale tra il casello di Ospitaletto e l’aeroporto di Montichiari, alla società Autostrade Centro Padane. Medio tempore , è entrato in vigore il D.L. 262/2006, che ha innovato la disciplina del settore delle concessioni autostradali, sulla quale si è innestata la nuova regolazione economica del settore di cui alla direttiva CIPE del 15 giugno 2007 e l’individuazione, con direttiva del Ministero delle Infrastrutture del 30 luglio 2007, dei “Criteri di autorizzazione alle modificazioni del concessionario autostradale derivanti da concentrazione comunitaria”, il tutto in un’ottica di adeguamento alla disciplina comunitaria che ha condotto alla sottoscrizione della nuova convenzione del 7 novembre 2007. Con tale convenzione, di natura ricognitiva e novativa, ad ACP sono state affidate, in qualità di concessionario, tutte le attività e i compiti necessari per l’esercizio dell’autostrada A21, nonché per l’esecuzione di una pluralità di interventi di adeguamento della viabilità, tra cui risulta anche il “raccordo autostradale tra il casello di Ospitaletto ed il nuovo casello di Poncarale e raccordo con Aeroporto di Montichiari”. A tal fine, l’art. 3 della Convenzione attribuiva al Concessionario ogni potere in ordine alla “progettazione ed esecuzione delle opere” suddette. Il punto 7 del medesimo art. 3, inoltre, prevedeva che “alla scadenza del periodo di concessione, il Concessionario, provvede al trasferimento in proprietà al Concedente delle autostrade assentite in concessione, nonché delle loro pertinenze, a titolo gratuito ed in buono stato di conservazione e libere da pesi e gravami” e il successivo punto 12 sanciva la responsabilità civile e penale del Concessionario per tutte le attività derivanti dalla Convenzione stessa. La durata della concessione era stata fissata al 30 settembre 2011. L’art. 4, prevedeva, però, anche, l’impegno del concessionario, dopo la suddetta scadenza, “ a svolgere le attività di direzione e di gestione dei lavori, necessarie per completare le opere, di cui alle lettere a) e b) dell’art. 2 della Convenzione ” (tra cui il raccordo qui di interesse, n.d.r.), “ connesse alla autostrada assentita in concessione per il tempo strettamente funzionale alla relativa ultimazione, senza alcun diritto o pretesa per detta attività ad eccezione degli oneri strettamente connessi. Il tutto dovrà essere regolato da apposito atto indicante le modalità di esecuzione e la definizione dei rapporti economici ”. Gli ampi poteri del Concedente, così come descritti all’art. 8 della Convenzione evidenziano, inoltre, un ampio potere di controllo di ANAS s.p.a. su cui deve, per ciò stesso, ritenersi fosse gravante un onere di vigilanza “in ordine al rispetto degli obblighi di cui alla presente convenzione”, tra cui senz’altro possono ritenersi rientranti quelli relativi alla conclusione della procedura espropriativa. Ciò risulta, peraltro, confermato dal successivo articolo 24. Nella convenzione, infatti, dopo aver previsto (articolo 22) che le espropriazioni e le occupazioni preordinate alla realizzazione delle opere che il Concessionario si impegnava a realizzare fossero a carico del Concessionario stesso, cui venivano espressamente delegate tutte le funzioni a ciò necessarie ai sensi del DPR 327/2001, è stato sancito un preciso potere di vigilanza del Concedente sulla regolare esecuzione dei lavori che non può non ritenersi ragionevolmente esteso anche alle espropriazioni e alle occupazioni dei terreni necessarie per l’esecuzione dei lavori.

Così delineato il quadro dei rapporti tra ACP e ANAS s.p.a., deve darsi altresì conto del fatto che, nella fattispecie in esame, il termine finale per le espropriazioni, originariamente fissato per il 10 novembre 2010 è stato prorogato sino al 10 novembre 2012.

Ciò sta a significare, secondo il Collegio, che se senza alcun dubbio ACP era legittimata all’adozione del decreto di esproprio sino al 30 settembre 2011, dopo tale data e sino alla scadenza della dichiarazione di pubblica utilità (10 novembre 2012), lo stesso Concessionario avrebbe dovuto comunque adoperarsi per la definizione della situazione proprietaria, ai sensi di quanto espressamente previsto dall’art. 4 della Convenzione in ordine agli obblighi di completamento delle opere. Invero, rispetto a tale obbligo nessuna rilevanza ha l’avvenuta stipula, tra ANAS e ACP, della convenzione del 25 gennaio 2012, la quale, dato conto della previsione per cui la gestione dell’autostrada in questione avrebbe dovuto essere affidata con procedura ad evidenza pubblica a decorrere dall’1 ottobre 2011 e dell’impossibilità oggettiva di rispettare tale termine, nonché di procedere ad una immediata diretta gestione da parte di ANAS s.p.a. (come, invece, sarebbe dovuto avvenire, in ragione di quanto disposto dal terzo comma dell’art. 36 del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, a decorrere dall’1 gennaio 2012) , ha attribuito a ACP il ruolo di gestore provvisorio, per conto di ANAS s.p.a., delle opere realizzate del raccordo autostradale Ospitaletto- Montichiari (lotti III e IV). Detta convenzione riguarda, infatti, esplicitamente ed esclusivamente “la gestione, l’esercizio, la manutenzione ed il pedaggio relativo a tale tratto” e si riferisce, dunque, alla parte di opera realizzata, mentre ivi nulla si dice sul completamento del tratto autostradale rimanente.

A tale ultimo proposito appare, invece, rilevante il successivo atto aggiuntivo della convenzione, stipulato l’1 agosto 2012, nel quale si dà atto che ACP si è rifiutata (impugnando davanti al TAR Lazio la nota ANAS che imponeva la prosecuzione degli investimenti) di proseguire nel completamento degli investimenti dopo il 30 settembre 2011 e le parti si sono accordate per la rinuncia al contenzioso pendente, disciplinando i criteri per il calcolo del valore di subentro e di indennizzo, con conseguente abbandono della prosecuzione e del completamento delle opere da parte del concessionario.

Da tutto ciò possono, dunque, trarsi le seguenti conclusioni:

- ACP avrebbe dovuto completare l’espropriazione delle aree necessarie alla realizzazione dell’opera in parola entro il 30 settembre 2011. Dopo tale data il prosieguo del procedimento non può che ritenersi gravasse in capo al soggetto concedente e cioè ad ANAS;

- ANAS, in forza dei poteri di vigilanza di cui era titolare come concedente, avrebbe dovuto agire, in vigenza della concessione, per garantire il puntuale completamento del procedimento espropriativo nei termini e, comunque, non avrebbe potuto autorizzare una proroga dei termini della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera oltre il termine di scadenza della concessione. A sostegno della corresponsabilità del soggetto delegante basti ricordare quanto affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la decisione n. 6769/2009, le cui complessive argomentazioni sono state integralmente richiamate e fatte proprie dalla sentenza Cons. Stato, 4 dicembre 2012, n. 6181. In tale occasione le Sezioni Unite avevano specificato:

"1) che il mero ricorso allo strumento della concessione traslativa con l'attribuzione al concessionario affidatario dell'opera della titolarità di poteri espropriativi, non può comportare indiscriminatamente l'esclusione di ogni responsabilità al riguardo del concedente. Perché ciò avvenga è infatti necessario in osservanza al principio di legalità dell'azione amministrativa, che l'attribuzione all'affidatario di detti poteri e l'accollo da parte sua degli obblighi indennitari siano previsti da una legge che espressamente li autorizzi: non essendo altrimenti consentito alla p.a. disporne a sua discrezione onde sollevarsi dalle responsabilità che il legislatore le attribuisce;

2) che d'altra parte, ove detta legge non lo preveda o non lo consenta, l'accollo degli obblighi indennitari (e risarcitori) può essere utilmente invocato purché non sia rimasto fatto interno tra espropriante ed affidatario, e quest'ultimo nell'attività che lo abbia portato in contatto con il soggetto passivo dell'esproprio, si sia correttamente manifestato come titolare delle relative obbligazioni, oltre che investito dell'esercizio del potere espropriativo (Cass. 6807/2007;
25544/2006;464/2006;
821/2004);

3) che in ogni altro caso si aggiunge la responsabilità del concedente a quella dell'affidatario quale che sia il contenuto della delega conferita a quest'ultimo, nonché delle pattuizioni tra detti soggetti intercorse.";

- ne deriva, in assenza, nel caso di specie, di una legge che disciplini in modo diverso il riparto degli obblighi tra concedente e concessionario, la corresponsabilità dei due soggetti nel causare il danno derivato dall’occupazione dei terreni di proprietà dei ricorrenti e della loro parziale e temporanea trasformazione ad uso pubblico;

- data la proroga della dichiarazione di pubblica utilità e dell’occupazione, peraltro, deve ritenersi che, alla scadenza della concessione e cioè dal 1 ottobre 2011, il possesso dei terreni occupati si sia automaticamente trasferito in capo ad ANAS s.p.a. quale soggetto concedente, per ciò stesso obbligato alla riassunzione in proprio delle funzioni delegate alla scadenza della delega stessa. Peraltro, anche volendo fare appello, per negare ciò, all’obbligo di prosecuzione di cui all’art. 4 della convenzione, la stipula dell’atto aggiuntivo dell’1 agosto 2012, determina senz’altro il ritrasferimento di tutte le funzioni connesse alla realizzazione dell’opera in questione in capo ad ANAS a decorrere da tale data. Ne deriva che, titolare dei poteri per la conclusione del procedimento espropriativo e della disponibilità dei terreni occupati in ragione della propria qualità di concedente era, infatti, dall’1 ottobre 2011 al 31 dicembre 2011 ANAS s.p.a.: ciò anche per quanto riguarda il periodo successivo, alla luce di quanto disposto dal n.3 del secondo comma dell’art. 36 del d.l. 6 luglio 2011, n. 98 che (fino all’abrogazione disposta dall’ art. 25, comma 7, lett. “a”, n. 3, D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98) prevedeva l’“affidamento diretto ad Anas s.p.a., alla condizione di cui alla lettera a), delle concessioni, in scadenza o revocate, per la gestione di autostrade, ovvero delle concessioni per la costruzione e gestione di nuove autostrade, con convenzione da approvarsi con decreto del Ministro dell'infrastruttura e dei trasporti di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze”.

Inoltre, il terzo comma dello stesso articolo 36 D.L. 98/2011, ha attribuito ad ANAS s.p.a., a decorrere dall’1 gennaio 2012, la competenza a costruire strade ed autostrade (lett. “a”) e a curare l’acquisto, la costruzione, la conservazione, il miglioramento e l’incremento dei beni mobili ed immobili destinati al servizio delle strade ed autostrade statali (lett. “c”).

Ciò, però, solo fino all’entrata in vigore del D.L.69/2013, convertito in legge 98/2013, il quale ha stabilito, sin dalla originaria stesura del d.l. stesso (art. 25, comma 4) che “Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti assume le situazioni debitorie e creditorie relative alle funzioni di cui all'articolo 36, comma 2, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, ed all'articolo 11, comma 5, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, nonché l'eventuale contenzioso, sorti a far data dal 1° ottobre 2012.”. Tale subentro ex lege del Ministero attribuisce al medesimo la legittimazione passiva anche nel contenzioso in esame, che dunque, risulta essere stato correttamente radicato evocando in giudizio anche, e in primo luogo, il Ministero stesso.

A tale conclusione si può giungere, dunque, in forza di tale, lapidaria, disposizione da ultimo entrata in vigore, a prescindere dal fatto che, per effetto delle misure urgenti adottate dal legislatore in materia di infrastrutture e trasporti, sin dal 2011 e, più precisamente, dall’entrata in vigore dell’art. 36 del d.l. 6 luglio 2011, n. 98 (convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), recante “Disposizioni in materia di riordino dell’ANAS S.p.a.”, il compito di “vigilanza e controllo sui concessionari autostradali, inclusa la vigilanza sull'esecuzione dei lavori di costruzione delle opere date in concessione e il controllo della gestione delle autostrade il cui esercizio è dato in concessione” sia stato trasferito in capo all’Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali (punto 2 della lettera “b” del secondo comma del citato art. 36 D.L. 98/2011). Peraltro, già il comma 5 dell’art. 11 del D.L. 29 dicembre 2011, n. 216, convertito in legge 24 febbraio 2012, n. 14, pur avendo prorogato le funzioni di ANAS s.p.a., aveva espressamente previsto la cessazione delle stesse, come concedente, a decorrere dall’1 ottobre 2012. Infatti, la norma così aveva previsto: “Fino alla data di adozione dello statuto dell'Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali, e comunque non oltre il 30 settembre 2012, le funzioni e i compiti ad essa trasferiti ai sensi dell'articolo 36 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e successive modificazioni, continuano ad essere svolti dai competenti uffici delle Amministrazioni dello Stato e dall'Ispettorato di vigilanza sulle concessionarie autostradali e dagli altri uffici di Anas s.p.a. In caso di mancata adozione, entro il predetto termine, dello statuto e del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui all'articolo 36, comma 5, settimo periodo, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, l'Agenzia è soppressa e le attività e i compiti già attribuiti alla medesima sono trasferiti al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a decorrere dal 1° ottobre 2012, che rimane titolare delle risorse previste dall'articolo 36, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e cui sono contestualmente trasferite le risorse finanziarie umane e strumentali relative all'Ispettorato di vigilanza sulle concessionarie autostradali di cui al medesimo comma 5”.

Il quarto comma dell’art. 25 del D.L. 69/2013 non ha fatto che, dunque, suggellare l’avvenuto trasferimento in capo al Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti di tutte le situazioni debitorie e creditorie derivanti, per quanto qui di interesse, dalla vigilanza e il controllo sui concessionari autostradali, inclusa l’esecuzione dei lavori di costruzione delle opere date in concessione, nonché il subentro dello stesso nel contenzioso eventualmente pendente in relazione a tale funzione.

Pertanto, a prescindere dall’individuazione del/i soggetto/i responsabile/i dell’omessa puntuale conclusione dell’iter espropriativo, appare piuttosto chiaro che tutte le opere realizzate e i beni gestiti in qualità di concessionario, le posizioni creditorie e debitorie, nonché l’eventuale contenzioso correlato, scaturito dall’affidamento in concessione della realizzazione e gestione del tratto autostradale oggetto del contenzioso, debbono ritenersi trasferiti al Ministero, che, dunque, assume la qualità di contraddittore necessario.

Ne discende che la domanda volta alla restituzione dei terreni non poteva, così come è stato, che essere rivolta al Ministero, quale soggetto subentrato ad ANAS nell’attività di controllo della gestione delle Autostrade.

Fermo restando, dunque, che la valutazione della sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento ex art. 42 bis del DPR 327/2001 ovvero, in assenza di essi, delle condizioni per disporre la restituzione al proprietario dei terreni occupati, è rimessa al competente Ministero, debbono essere spese alcune parole anche con riferimento al riparto della responsabilità tra i soggetti intimati per il danno cagionato Anche in questo caso il Collegio non ravvisa ragione alcuna di discostarsi dal proprio precedente analogo, di cui alla sentenza n. 320 del 2014, che ha affermato la responsabilità in solido di Autostrade Centro Padane, di ANAS s.p.a. e del Ministero.

Considerato, infatti, che, anche nella controversia in esame, né l’Amministrazione, nè la difesa di ACP, pur articolata, hanno saputo apportare nuovi e convincenti argomenti al fine di escludere totalmente ogni responsabilità in capo, rispettivamente, all’Amministrazione concedente e alla concessionaria, ciò che risulta essere determinante è che, sebbene si sia perfezionato in un momento successivo alla perdita dei poteri di concessionario da parte di ACP s.p.a., il danno è potenzialmente imputabile, almeno in parte, anche al comportamento del concessionario. La scadenza del termine ultimo per il completamento delle espropriazioni è intervenuta, infatti, solo successivamente alla scadenza della concessione e alla conseguente perdita dei relativi poteri ablatori, ma ciò non esclude la corresponsabilità anche del concedente, in specie laddove, come nel caso di specie, la scadenza della concessione sia intervenuta solo poco tempo prima della scadenza del termine finale delle espropriazioni. Tale principio è stato recentemente ribadito dalla Corte di Cassazione, S.U., 17 febbraio 2014, n. 3660, che ha affermato l’inscindibilità della responsabilità tra ente delegato e delegante e cioè di quei soggetti “che, con i loro comportamenti, distinti ma concorrenti nel risultato, hanno concorso a cagionare l’evento lesivo”, mentre per quanto attiene la corresponsabilità dei soggetti succedutisi nel tempo è la Corte dei Conti a fare chiarezza, evidenziando, nelle proprie pronunce, come ogni soggetto che si avvicendi nella conduzione del procedimento espropriativo sia tenuto ad agire con scrupolo e diligenza, affinché il provvedimento finale sia emesso entro il termine finale fissato (tra le tante, Sez. III Centrale Appello, 17 febbraio 2009, n. 62).

Riassuntivamente, dunque:

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