TAR Firenze, sez. I, sentenza 2013-02-28, n. 201300344

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Firenze, sez. I, sentenza 2013-02-28, n. 201300344
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Firenze
Numero : 201300344
Data del deposito : 28 febbraio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01448/2009 REG.RIC.

N. 00344/2013 REG.PROV.COLL.

N. 01448/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1448 del 2009, proposto dal sig. S M, rappresentato e difeso dall'avv. D I, con domicilio eletto presso il suo studio in Firenze, via dei Rondinelli 2;

contro

Universita' degli studi di Firenze, in persona del Rettore p.t. e Ministero dell'istruzione dell'universita' e della ricerca, in persona del Ministro p.t., rappresentati e difesi dall'Avvocatura distr.le dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Firenze, via degli Arazzieri 4;

per il risarcimento del danno

conseguente alla esecuzione del D.M. 27.03.1993 di approvazione degli atti di concorso per la copertura di n. 1 posto di ricercatore universitario per il gruppo di disciplina n. 60 della facoltà di medicina e chirurgia dell'Università degli studi di Firenze, nonché del D.R. n. 993 del 27.03.1993 di nomina del dott. Modesti quale vincitore del concorso, entrambi dichiarati illegittimi e annullati con sentenza del TAR Toscana, Sez. Prima, 21 settembre 2000, n. 1945.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Universita' degli studi di Firenze e del Ministero dell'istruzione dell'universita' e della ricerca;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 gennaio 2013 il dott. C T e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1) Con sentenza n. 1945 del 21 settembre 2000 questo Tribunale ha accolto il ricorso proposto dal dott. S M contro il D.M. 27/3/1993 di approvazione degli atti del concorso per la copertura di n. 1 posto di ricercatore universitario per il gruppo di disciplina n. 60 della facoltà di medicina e chirurgia dell'Università degli studi di Firenze, nonché il D.R. n. 993 del 27/3/1993 di nomina del dott. Pietro Amedeo Modesti quale vincitore del concorso. In particolare il TAR, accogliendo alcuni dei motivi proposti nel ricorso, ha riconosciuto che ciò avrebbe portato il ricorrente a collocarsi al primo posto della graduatoria e ha rimesso alla commissione esaminatrice il riesame degli atti di concorso, per i conseguenti adempimenti.

Con decreto n. 73 del 6/3/2003 il Rettore dell'Università di Firenze ha approvato gli atti del concorso in questione, per la parte in cui la predetta commissione ha rivalutato i titoli del dott. M, che con D.R. n. 156 del 27/5/2003 è stato infine nominato ricercatore universitario per il settore scientifico-disciplinare MED/09 (Medicina interna) nella facoltà di medicina e chirurgia dell'Ateneo fiorentino a decorrere agli effetti giuridici dal 21/4/1993 ed economici dall'1/7/2003, data di effettiva assunzione in servizio.

Con nota datata 1/7/2003 il dott. M ha comunicato all'Università di Firenze di ritenere inaccettabile il decreto di nomina (in quanto non contemplava la ricostruzione di carriera sotto il profilo economico e il risarcimento per equivalente monetario) e di rinunciare quindi alla nomina stessa, preannunciando azione legale per il risarcimento dei danni subiti.

Conseguentemente con D.R. n. 355 del 27/10/2003 il predetto è stato dichiarato decaduto dalla nomina a ricercatore universitario per mancata assunzione del servizio nel termine prefissato.

Con atto di diffida notificato all'Università di Firenze il 21/9/2005 e al Ministero dell'istruzione, università e ricerca in data 21-26/9/2005 il dott. M ha chiesto il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subìti a causa dell'illegittima condotta delle predette Amministrazioni, quantificati in € 1.500.000,00 oltre a interessi e rivalutazione monetaria.

In mancanza di riscontri positivi ha quindi agito davanti a questo Tribunale con il ricorso in epigrafe, notificato il 31/7/2009.

2) Per resistere al ricorso si sono costituiti in giudizio l’Università degli studi di Firenze e il Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca, depositando scritti difensivi e documentazione.

Le parti hanno prodotto memorie in vista dell'udienza del 23 gennaio 2013, in cui la causa è passata in decisione.

DIRITTO

1) Il ricorrente ha formulato un’articolata domanda risarcitoria, con riferimento ai danni asseritamente subiti dal 1993 in poi, quantificando le proprie pretese in € 1.500.000,00 per il danno patrimoniale e in € 900.000,00 per il danno non patrimoniale.

Le Amministrazioni resistenti si sono difese innanzitutto eccependo la prescrizione delle pretese avanzate nel ricorso per il periodo di tempo dal 21/4/1993 (data di assunzione in servizio del concorrente illegittimamente dichiarato vincitore del concorso in luogo del dott. M) al 21/9/2000, in relazione alla circostanza che il primo atto interruttivo sarebbe costituito dalla diffida notificata il 21/9/2005;
sarebbe irrilevante la circostanza che l'interessato abbia precedentemente agito davanti al TAR per l'annullamento degli atti concorsuali, che non costituisce condizione di ammissibilità dell'azione risarcitoria.

L'eccezione è infondata per le ragioni già illustrate da questo Tribunale nella sentenza della II^ Sezione 25 gennaio 2012 n. 149, le cui conclusioni sono pienamente condivisibili. In quella decisione il TAR ha esaminato il tema della "pregiudiziale" amministrativa in relazione alla tutela risarcitoria di un interesse oppositivo, pregiudicato da un provvedimento che era stato impugnato " in epoca anteriore alla generale attribuzione al giudice amministrativo, ad opera dell'art. 35 D.Lgs. n. 80/98, come modificato dall'art. 7 della legge n. 205/00, dello strumento di tutela ulteriore costituito dal risarcimento del danno ";
e a quel tempo la giurisprudenza " si era consolidata nel senso di ritenere che il dies a quo per la decorrenza del termine di prescrizione quinquennale della domanda risarcitoria andasse identificato nella data del passaggio in giudicato della pronunzia di annullamento del giudice amministrativo, quello essendo, ai sensi dell'art. 2935 c.c., il momento a partire dal quale il diritto poteva esser fatto valere ". Per cui in quel caso la scelta di agire in primo luogo davanti al giudice amministrativo per ottenere l'annullamento del provvedimento lesivo, riservandosi di proporre successivamente la domanda risarcitoria, era " del tutto coerente con il contesto normativo e pretorio " dell'epoca;
basti pensare che ancora con decisione 26 marzo 2003 n. 4 l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato affermava l'inammissibilità dell'azione risarcitoria " esclusivamente ed autonomamente intrapresa ";
e che le incertezze sul tema della "pregiudiziale" amministrativa possono ritenersi definitivamente risolte solo con l'entrata in vigore del codice del processo amministrativo (art. 30) e con la decisione dell'Adunanza plenaria 23 marzo 2011 n.

3. Su tali basi il TAR ha affermato, nella sentenza citata: " Dunque, solo oggi può dirsi che il superamento della pregiudiziale di annullamento costituisca un'acquisizione consolidata da parte dei giudici amministrativi, che, in materia di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, hanno continuato a riaffermare la regola del decorso a far data dal passaggio in giudicato della sentenza demolitoria del provvedimento illegittimo e causativo di danno (tra le molte, cfr. Cons. Stato, sez. V, 31 ottobre 2008, n. 5453). È evidente, peraltro, che il venir meno della pregiudiziale implica l'abbandono di tale impostazione e la generale applicazione del principio per cui la decorrenza della prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento del danno coincide con la data del provvedimento lesivo, e non più con quella del passaggio in giudicato della sentenza che lo ha annullato… ". Ciò avrebbe dovuto portare, a stretto rigore, a riconoscere la fondatezza dell'eccezione di prescrizione sollevata in quel giudizio dall'Amministrazione resistente (posto che in quel caso il provvedimento lesivo risaliva al 1998 e la prima richiesta stragiudiziale di danni era del marzo 2007). Tale conclusione, tuttavia, è stata ritenuta " inaccettabile sul piano della giustizia sostanziale, giacché come autorevolmente e condivisibilmente affermato, "la svolta giurisprudenziale che ha reso possibile la riparazione del danno da attività provvedimentale illegittima, senza la preventiva impugnazione dell'atto amministrativo, non può, paradossalmente, aver pregiudicato nella sostanza, anziché migliorarla, la posizione del privato che lamenta un danno quale conseguenza di quell'atto";
la "falsa convinzione" della pregiudizialità dell'annullamento… non può pertanto "impedire di ritenere che ove sia stata proposta domanda di annullamento dell'atto amministrativo, quale (male-inteso) prodromo alla condanna al risarcimento per la lesione del diritto di proprietà (domande attribuite, all'epoca dei fatti, a giurisdizioni diverse), essa sia stata comunque idonea a interrompere la prescrizione dell'azione di risarcimento, e che il decorso sia rimasto sospeso per tutta la durata di quel giudizio" (così si esprime Cass., SS.UU., 8 aprile 2008, n. 9040)
". Conseguentemente il TAR ha concluso che la pretesa risarcitoria era da ritenersi azionata fin dal momento in cui il ricorrente ha adito il Tribunale per la rimozione dell'atto lesivo.

L'iter logico seguito dal TAR nella sentenza citata può essere senz'altro ripercorso anche nel presente giudizio, in cui il provvedimento originariamente lesivo risale al 1993, è stato tempestivamente impugnato ed è stato annullato in sede giurisdizionale nel 2000 per effetto di una decisione alla quale l'Università di Firenze ha ritenuto poi di adeguarsi con un provvedimento del maggio 2003. La diffida del ricorrente volta ad ottenere il risarcimento dei danni subiti è stata notificata nel settembre 2005;
tenuto conto delle considerazioni precedentemente svolte si deve ritenere che per tutta la durata del giudizio concluso con la sentenza n. 1945 del 21/9/2000 non abbia avuto corso la prescrizione e che la stessa abbia cominciato a decorrere dal passaggio in giudicato (e non dalla mera pubblicazione) della sentenza medesima;
con la conseguenza che la diffida di cui sopra è stata notificata in tempo utile per interrompere la prescrizione nei confronti di entrambe le Amministrazioni resistenti e che l'azione risarcitoria è stata poi a sua volta tempestivamente introdotta con il ricorso notificato il 31/7/2009.

2) Per quanto riguarda il danno patrimoniale nel ricorso si formulano richieste relative sia al periodo 1993-2003 intercorrente fra gli originari, illegittimi provvedimenti di conclusione del concorso e la nomina del ricorrente a ricercatore universitario, sia al periodo successivo, fino alla data dell'ipotetico pensionamento del predetto nel 2025. Lo spartiacque tra i due periodi è costituito dalla decisione del dott. M di rinunciare alla nomina, cui ha fatto seguito il provvedimento di decadenza dalla stessa per mancata assunzione in servizio in data 1/7/2003.

Tale circostanza è ad avviso del Collegio decisiva per escludere la fondatezza delle pretese relative al periodo successivo a quest'ultima data, posto che esse presuppongono lo svolgimento proprio di quel servizio che il ricorrente si è rifiutato di assumere, mentre ben avrebbe potuto accettare la nomina e agire comunque per il risarcimento dei danni asseritamente subìti. Dunque vanno respinte le richieste risarcitorie relative agli emolumenti non percepiti dall'1/7/2003 in poi, nonché al trattamento di fine rapporto o di buonuscita e al trattamento pensionistico calcolati su un servizio prestato dal 1993 al 2025.

3) Al ricorrente spetta invece il risarcimento per i danni subìti dal 21/4/1993 al 30/6/2003 a causa della mancata assunzione (illegittima) quale ricercatore universitario. Tali danni vanno ricondotti alla condotta negligente e dunque colposa di entrambe le Amministrazioni resistenti: l'Università di Firenze, che ha gestito la procedura concorsuale, caratterizzata dalle illegittimità rilevate dal TAR nella sentenza n. 1945/2000;
il M.I.U.R., che ha adottato l’illegittimo decreto di approvazione degli atti concorsuali nel 1993 e che avrebbe, quantomeno, potuto agire in autotutela dopo che il dott. M aveva proposto l'originario ricorso. Le scelte operate dalle predette Amministrazioni hanno impedito per 10 anni al ricorrente di ottenere il giusto riconoscimento per quanto riguarda l'esito del concorso per ricercatore universitario e la conseguente nomina;
ciò si è tradotto nella mancata corresponsione degli emolumenti che il predetto avrebbe percepito se (come gli spettava) fosse stato assunto con decorrenza 21/4/1993 e nel mancato pagamento degli oneri contributivi e previdenziali.

4) Sempre in tema di danno patrimoniale il ricorrente reclama il risarcimento per:

a) la perdita di chance di accedere alle superiori qualifiche di professore associato e di professore ordinario;

b) il mancato percepimento delle indennità previste per il personale universitario che svolga attività assistenziale;

c) i mancati introiti derivanti dall'attività libero-professionale intramoenia o extramoenia che il predetto avrebbe potuto svolgere.

Nessuna di tali pretese può trovare accoglimento, essendo riferite a situazioni indimostrate e indimostrabili in quanto del tutto ipotetiche ed eventuali, per cui è inapprezzabile il grado di probabilità che dette situazioni si sarebbero effettivamente verificate nel caso in cui l'interessato avesse conseguito la nomina a ricercatore universitario nel 1993 (né basta per soddisfare l'onere probatorio il riferimento alla vicenda personale del concorrente illegittimamente nominato al posto del dott. M).

5) In conclusione, dunque, per quanto riguarda il danno patrimoniale spetta al ricorrente il risarcimento nei limiti di quanto indicato al punto 3);
le Amministrazioni resistenti vanno conseguentemente condannate, in solido, al pagamento di quanto dovuto, con le seguenti precisazioni:

- le somme dovute al ricorrente a titolo di risarcimento per gli emolumenti non percepiti (dal 21/4/1993 al 30/6/2003) vanno calcolate per ciascun rateo in relazione al trattamento economico complessivo all'epoca spettante per il posto di ricercatore universitario di cui si controverte (considerando anche l’ordinaria progressione correlata al decorso del tempo);

- da ciascun rateo va detratto quanto l'interessato abbia percepito per le attività lavorative svolte nel periodo corrispondente (calcolato in base alle risultanze delle dichiarazioni dei redditi e ad ogni altra documentazione utile che il predetto sia in grado di fornire e che è suo onere presentare alle Amministrazioni resistenti);

- su ogni singolo rateo vanno calcolati gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, da corrispondere facendo applicazione (per i ratei successivi all’entrata in vigore della norma) del divieto di cumulo disposto dall'art. 22, comma 36, secondo periodo, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (che richiama l’art. 16, comma 6, della legge 30 dicembre 1991, n. 412);

- va altresì regolarizzata la posizione contributiva e previdenziale del ricorrente relativamente al decennio considerato.

In accoglimento della specifica richiesta formulata nel ricorso e in mancanza di opposizione delle controparti il Collegio ritiene opportuno disporre, ai sensi dell’art. 34 comma 4 c.p.a., che le Amministrazioni resistenti formulino al dott. M, sulla base dei criteri precedentemente indicati, una proposta di pagamento entro il termine di 90 (novanta) giorni dalla notificazione o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza.

6) Il ricorrente ha altresì chiesto la condanna delle controparti al risarcimento del danno non patrimoniale asseritamente subito, quantificato in complessivi € 900.000,00 (e originariamente distinto in € 500.000,00 per il danno morale soggettivo, € 300.000,00 per il danno esistenziale ed € 100.000,00 per il danno biologico). Nella memoria conclusiva l'interessato, facendo riferimento ai principi enunciati dalla Cassazione circa la risarcibilità di tale tipo di danno (SS.UU. n. 26972/2008), ha evidenziato come la condotta lesiva delle controparti abbia gravemente inciso sul suo diritto al lavoro (tutelato dall’art. 4 Cost.), impedendogli di proseguire nella carriera che aveva scelto, con conseguenti sofferenze morali e difficoltà di reinserimento lavorativo e nei rapporti relazionali, cui si è aggiunta una lesione della sua integrità psico-fisica (per il cui accertamento ha chiesto che sia disposta una c.t.u.).

Al fine di pronunciarsi sulla domanda in questione è utile richiamare la fondamentale decisione delle Sezioni unite della Corte di Cassazione 11 novembre 2008 n. 26972 (citata anche dalla parte ricorrente) che sul danno non patrimoniale ha affermato:

" Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza (Cass. n. 8827 e n. 8828/2003;
n. 16004/2003), che deve essere allegato e provato.

Va disattesa, infatti, la tesi che identifica il danno con l'evento dannoso, parlando di "danno evento". La tesi, enunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 184/1986, è stata infatti superata dalla successiva sentenza n. 372/1994, seguita da questa Corte con le sentenze gemelle del 2003.

E del pari da respingere è la variante costituita dall'affermazione che nel caso di lesione di valori della persona il danno sarebbe in re ipsa, perchè la tesi snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell'effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo.

Per quanto concerne i mezzi di prova, per il danno biologico la vigente normativa (D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 138 e 139) richiede l'accertamento medico-legale. Si tratta del mezzo di indagine al quale correntemente si ricorre, ma la norma non lo eleva a strumento esclusivo e necessario. Così come è nei poteri del giudice disattendere, motivatamente, le opinioni del consulente tecnico, del pari il giudice potrà non disporre l'accertamento medico-legale, non solo nel caso in cui l'indagine diretta sulla persona non sia possibile (perchè deceduta o per altre cause), ma anche quando lo ritenga, motivatamente, superfluo, e porre a fondamento della sua decisione tutti gli altri elementi utili acquisiti al processo (documenti, testimonianze), avvalersi delle nozioni di comune esperienza e delle presunzioni.

Per gli altri pregiudizi non patrimoniali potrà farsi ricorso alla prova testimoniale, documentale e presuntiva.

Attenendo il pregiudizio (non biologico) ad un bene immateriale, il ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo, e potrà costituire anche l'unica fonte per la formazione del convincimento del giudice, non trattandosi di mezzo di prova di rango inferiore agli altri (v., tra le tante, sent. n. 9834/2002). Il danneggiato dovrà tuttavia allegare tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto ".

Dal canto suo il giudice amministrativo ha anche recentemente ribadito " come per conseguire il risarcimento del danno non patrimoniale, il richiedente sia tenuto ad allegare e provare in termini reali, sia nell'an che nel quantum, il pregiudizio subito, anche qualora collegato a valori riconosciuti a livello costituzionale, e ciò perché l'onnicomprensiva categoria del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., pur nei casi in cui la sua applicazione consegua alla violazione di diritti inviolabili della persona, costituisce pur sempre un'ipotesi di danno conseguenza, il cui ristoro è in concreto possibile solo a seguito dell'integrale allegazione e prova in ordine alla sua consistenza materiale ed in ordine alla sua riferibilità eziologica alla condotta del soggetto asseritamente danneggiante " (così Consiglio di Stato, sez. IV, 7 gennaio 2013 n. 23, che richiama sez. VI, 8 marzo 2012 n. 1317).

Nel caso in esame è plausibile ipotizzare che l'illegittima condotta delle Amministrazioni resistenti abbia potuto arrecare significativo pregiudizio alla posizione lavorativa del ricorrente;
il predetto non ha però fornito elementi utili ad inquadrare concretamente la natura e l'entità del pregiudizio in questione;
non bastano a soddisfare l'onere probatorio che (pur con i limiti connessi con la particolare tipologia di danno) incombe su chi agisce per il risarcimento le affermazioni secondo cui il dott. M è stato costretto, a 38 anni, ad abbandonare l'Università e a ricominciare da capo, iniziando nel 1996 (dopo alcuni anni di impieghi precari) uno stabile rapporto di convenzione con la ASL 10 di Firenze quale medico convenzionato specialista ambulatoriale nella disciplina di psichiatria;
né è sufficiente evidenziare la differenza intercorrente, sotto il profilo della soddisfazione culturale e professionale, nonché del prestigio, tra l'attività di docente universitario e quella di medico convenzionato in un ambulatorio a Figline Valdarno. Manca il necessario supporto documentale di quanto affermato, che solo l'interessato poteva fornire per riempire di contenuti quelle che, altrimenti, restano mere affermazioni.

Ancora più evidente è la carenza, sotto il profilo delle allegazioni e della prova, per quanto riguarda i pretesi danni non patrimoniali connessi alle difficoltà relazionali in ambito lavorativo e familiare, solo genericamente enunciati;
mentre anche la prospettata lesione dell'integrità psico-fisica non trova il sostegno di alcun elemento utile a provarne l'esistenza, l'entità e la riconducibilità ai fatti di cui si controverte;
e il mancato soddisfacimento dell'onere della prova che grava sul richiedente non può essere compensato dall'attività istruttoria del giudice: va quindi respinta l'istanza finalizzata all'assunzione di una consulenza tecnica d'ufficio.

Non può dunque essere accolta la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale.

7) In conclusione, il ricorso va accolto solo parzialmente, nei sensi e nei limiti precisati al punto 5);
nei limiti e con le modalità ivi indicati le Amministrazioni resistenti vanno conseguentemente condannate, in solido, a risarcire al ricorrente i danni patrimoniali dal medesimo subìti.

In relazione all'esito del giudizio le spese vanno poste a carico delle predette Amministrazioni, in solido, nei limiti del 50% (con compensazione per la restante parte) e sono liquidate nel dispositivo.

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