TAR Latina, sez. I, sentenza 2018-05-24, n. 201800278

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Latina, sez. I, sentenza 2018-05-24, n. 201800278
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Latina
Numero : 201800278
Data del deposito : 24 maggio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 24/05/2018

N. 00278/2018 REG.PROV.COLL.

N. 00317/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

sezione staccata di Latina (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 317 del 2018, proposto da:
E M, rappresentato e difeso dall'avvocato F M, con domicilio eletto presso il suo studio in Latina, viale dello Statuto n. 37;

contro

I Sottocommissione Elettorale Circondariale di Latina, Prefettura di Latina, Comune di Aprilia non costituiti in giudizio;
Ufficio Territoriale del Governo Latina, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del verbale n. 1 A del 12/05/2018 della I Sottocommissione Elettorale Circondariale di Latina, notificato al ricorrente in data 18/05/2018.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ufficio Territoriale del Governo Latina;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 maggio 2018 il dott. Antonio Massimo Marra e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il ricorso in esame l’odierno ricorrente – candidatosi quale consigliere comunale nella lista “Aprilia In Prima Linea” per la competizione elettorale amministrativa del 10 giugno 2018 del comune di Aprilia – propone azione impugnatoria avverso il verbale della Sottocommissione Elettorale Circondariale di Aprilia, meglio indicato in epigrafe, nella parte in cui viene disposta la propria esclusione dalla lista dei candidati per l'elezione del Sindaco e del Consiglio Comunale, chiedendo altresì la condanna dell’Amministrazione a procedere alla propria riammissione nella lista dei candidati.

La contestata esclusione è stata disposta in quanto la I Sottocommissione Elettorale Circondariale di Latina accertati i presupposti di cui all’art. 12 del d.lgs. 235/2012, con il verbale N. 1 A del 12/05/2018, ha ritenuto di cancellare dalla lista il ricorrente, in quanto sarebbe emersa la sussistenza di “una delle cause di incandidabilità previste dall’art. 10 del d.lgs. 235/2012”.

Avverso il gravato atto, parte ricorrente deduce i seguenti, motivi di censura: 1) Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 12, comma 3, del D.lgs. n. 235 del 2012;
ingiustizia manifesta avendo la Sottocommissione escluso dalle liste il ricorrente in ragione: i) della sentenza di applicazione della pena su richiesta ex art. 444 c.p.p. (divenuta irrevocabile il 21.11.2005);
ii) della sentenza 10.4.2007 (divenuta irrevocabile il 10.4.2007), nonostante l'estinzione della pena per decorso del termine di cui all’art. 445 c.p.p., senza commissione dei reati.

Soggiunge l’interessato che la sorveglianza speciale di anni uno, applicata al ricorrente nel 2009, è stata revocata dal Tribunale di Latina con Ordinanza del 01/03/2010, come si evince dal casellario giudiziale, prodotto in atti dal ricorrente;
2) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 15 comma 3 del d.lgs. 235/2012, avendo la Sottocommissione Elettorale escluso il ricorrente dalle liste in virtù della sentenza di applicazione di pena su richiesta di parte ai sensi dell’art. 444 c.p.p., nonostante l’intervenuta estinzione del reato ai sensi dell’art. 445 c.p.p. comma

Lamenta sostanzialmente parte ricorrente la violazione dell’art. 15 del D.lgs. 235 del 2012 sostenendo che, pur prevedendo tale norma – al comma 3 - che l’unica causa di estinzione dell’incandidabilità è costituita dalla sentenza di riabilitazione, dovrebbe comunque ritenersi venuta meno la propria condizione di incandidabilità stante l’intervenuta estinzione ope legis del reato di cui alla condanna inflitta ai sensi dell’art. 444 c.p.p. con sentenza 10.4.2007 (divenuta irrevocabile il 10.4.2007)

Tale estinzione opererebbe di diritto, senza necessità di una formale pronuncia da parte del giudice dell’esecuzione, per effetto – ai sensi dell’art. 445 c.p.p. - del decorso del termine di cinque anni senza la commissione di reati della stessa indole.

Rappresenta, inoltre, che indipendentemente dalle precedenti ragioni esposte, la condizione di incandidabilità è da intendersi comunque venuta meno per effetto della intervenuta estinzione del reato.

Così dato atto dell’oggetto del ricorso, incentrato sulla affermata parificazione, agli effetti del venir meno delle cause di incandidabilità, della riabilitazione e dell’estinzione del reato di cui all’art. 445 c.p.p., ne rileva il Collegio l’infondatezza.

La materia della incandidabilità per le cariche elettive è attualmente disciplinata dal D.lgs. n. 235 del 2012 il quale nel disporre, all’art. 15, che l’incandidabilità opera anche nel caso di sentenza definitiva che disponga l’applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 c.p.p., prevede, al comma 3, che “la sentenza di riabilitazione, ai sensi dell’art. 178 e seguenti del codice penale, è l’unica causa di estinzione anticipata dell’incandidabilità”.

Stante il chiaro tenore della norma, inserita in un testo normativo recante il testo unico in materia di incandidabilità, non può aversi estinzione della situazione di incandidabilità al di fuori dei casi in cui sia intervenuta una sentenza di riabilitazione, adottata ai sensi degli artt. 178 e seguenti c.p.p., non potendo conseguentemente essere equiparate alla riabilitazione – agli specifici fini della estinzione della incandidabilità – diverse ipotesi in cui si verifichi l’estinzione del reato o degli effetti penali della condanna, come avviene nei casi di estinzione del reato e dei relativi effetti ai sensi dell’art. 445 c.p.p..

In tale direzione depone, invero, l’espressione ‘unica’ riferita alla riabilitazione come causa di estinzione della situazione di incandidabilità.

Né le due figure della riabilitazione e dell’estinzione del reato e degli effetti penali possono ritenersi equivalenti sotto il profilo sostanziale, dal momento che l’estinzione del reato e degli effetti penali della condanna di cui all’art. 445 c.p.p. discende dal mero decorso del tempo ove il condannato non commetta altro reato della stessa indole nel termine di cinque anni, mentre nel caso della riabilitazione l’effetto estintivo si verifica solo se il condannato ha dato prove effettive e costanti di buona condotta, rilevando il profilo soggettivo rilevato ex post dal giudice.

Ai fini della riabilitazione non è, difatti, sufficiente la mancata commissione di altri reati, come nel caso dell’estinzione conseguente al patteggiamento ai sensi dell’art. 445 c.p.p., ma occorre l’accertamento del “completo ravvedimento dispiegato nel tempo e mantenuto sino al momento della decisione, e tradotto anche nella eliminazione (ove possibile) delle conseguenze civili del reato” (Cassazione Penale, Sezione I, 18 giugno 2009, n. 31089).

Mentre, infatti, l’estinzione della pena patteggiata si produce con il solo mancato avveramento della condizione risolutiva nel previsto arco temporale, la riabilitazione viene pronunziata all’esito di un effettivo approdo rieducativo del reo, così emergendo la diversità degli istituti dell'estinzione del reato e della riabilitazione per presupposti e modalità di funzionamento atteso che: l'estinzione del reato è istituto che si fonda, ai sensi dell'art. 167 comma 1 c.p., sul decorso dei termini stabiliti unitamente ad ulteriori elementi (il condannato non commetta entro tali termini un delitto, ovvero una contravvenzione della stessa indole, e adempia gli obblighi impostigli);
la riabilitazione è un beneficio che può essere concesso solo a seguito di una pronuncia del Tribunale di sorveglianza con cui si riscontri che è decorso il termine fissato dalla legge “ dal giorno in cui la pena principale è stata eseguita o si è in altro modo estinta, e il condannato ha dato prove effettive e costanti di buona condotta ” ex art. 179, comma 1, c.p. (Consiglio di Stato, sez. V, 31 gennaio 2017, n. 386).

La Corte di Cassazione ha difatti riconosciuto al condannato, la cui pena sia stata medio tempore estinta ex art. 445 c. 2 c.p.a., l’interesse a chiedere la riabilitazione, in quanto correlato ad una completa valutazione post factum, non irrilevante sul piano dei diritti della persona (ex plurimis : Cass. Pen. Sez. I, 18 giugno 2009, n. 31089 citata).

Ne consegue che sebbene entrambi gli istituti – della riabilitazione e dell’estinzione della pena patteggiata - assicurino al condannato la cessazione degli effetti penali della condanna, non possono ritenersi sovrapponibili ed equiparabili, in quanto solo con la riabilitazione si acquista la certezza dell’effettiva rieducazione del reo, poiché l’estinzione ex art. 445 c.p.p. deriva dal solo dato fattuale del mero decorso del tempo.

Dalle differenze sostanziali tra i due istituti emerge la ratio della scelta rigorosa del Legislatore il quale, nell’ambito della propria discrezionalità, non ha ritenuto – nel dettare la norma di cui all’art. 15, comma 3, del d.lgs. n. 235 del 2012 – di dover ancorare la cessazione della situazione di incandidabilità al venir meno degli effetti penali della condanna, richiedendo invece espressamente la prova dell’effettiva rieducazione del reo, come attestata attraverso la sentenza di riabilitazione, quale elemento indefettibile per il riacquisto dei requisiti di onorabilità richiesti dall’art. 54, comma 2, della Costituzione, per l’accesso alle funzioni pubbliche, ben potendo il Legislatore, nel disciplinare i requisiti per l'accesso e il mantenimento delle cariche elettive, ricercare un bilanciamento tra gli interessi in gioco, ossia tra il diritto di elettorato passivo, da un lato, e il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione (Corte Costituzionale, 19 novembre 2015, n. 236).

Deve, inoltre, precisarsi – a fini di completezza nella ricostruzione del quadro normativo applicabile - che in ragione della data 10.4.2007 in cui è divenuta irrevocabile la sentenza di condanna del ricorrente con pena patteggiata per uno dei reati in materia di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1999, trova applicazione l’art. 16 del D. Lgs. n. 235 del 2012, ai sensi del cui comma 1 è prevista l’incandidabilità alle elezioni, se già rinvenibile nella disciplina previgente, per le sentenze di patteggiamento ex art. 444 c.p.p. pronunciate successivamente alla data della sua entrata in vigore, da cui consegue che può essere candidato in un'elezione solo chi ha patteggiato una condanna penale prima dell'entrata in vigore della normativa sui requisiti morali per l'accesso alle cariche amministrative e politiche, e ciò in base alla ricostruzione del quadro normativo stratificatosi nel tempo.

Difatti, la normativa precedente, individuata nell’art. 15 della legge n. 55 del 1990, come modificato dall’art. 1, comma 2, della legge 13 dicembre 1999 n. 475, prevedeva, al comma 1-bis, l’equiparazione, agli effetti della disciplina ivi prevista, delle sentenze ex art. 444 c.p.p. alle sentenze di condanna, contemplando quale causa di incandidabilità i reati di cui all'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990.

Inoltre, il comma 3, del citato art. 1 della legge n. 475 del 1999 – la cui vigenza è stata fatta salva dal d.lgs. n. 267 del 2000 che ha abrogato la legge n. 375 del 1999 ad eccezione proprio dell'art. 1, comma 3 - al fine di regolare gli effetti temporali della predetta equiparazione, ha espressamente previsto che “la disposizione del comma 1-bis dell’art. 15 della legge 19 marzo 1990 n. 55, introdotto dal comma 2 del presente articolo, si applica alle sentenze previste dall’articolo 444 del codice di procedura penale pronunciate successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge” (1 gennaio 2000).

Sotto il profilo della ricostruzione del quadro normativo, deve ancora rilevarsi che l’art. 58 del d.lgs. n. 267 del 2000 – poi abrogato con il D.lgs. n. 235 del 2012 – prevede anch’esso la incandidabilità nei casi di condanne per i reati di cui all'art. 73 del testo unico approvato con d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, emergendo quindi una continuità normativa nella previsione della incandidabilità per siffatta tipologia di reati perseguiti con sentenze di patteggiamento.

Né può assumere rilievo la distinzione – invocata da parte ricorrente soprattutto nella discussione orale – tra le diverse ipotesi incriminatorie previste dall’art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990, cui l’art. 10, comma 1, lettera a) del d.lgs. n. 235 del 2012 ricollega l’incandidabilità alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali.

Come già rilevato dalla giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, Sezione III, 19 maggio 2016, n. 2103), la circostanza che il citato art. 10, nell’operare il richiamo all’art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990, ne riassume solo in parte il contenuto, non consente una lettura restrittiva dell’ambito di operatività delle cause di incandidabilità, trattandosi di una mera indicazione esemplificativa non idonea a limitare il richiamo alle sole parti dell’art. 73 indicate ed a legittimare una lettura riduttiva della norma basata sul livello di gravità delle diverse fattispecie di reato, non emergendo dal tenore di tale norma alcuna volontà del Legislatore di operare siffatta distinzione.

In applicazione delle illustrate coordinate ermeneutiche, assume quindi carattere dirimente la circostanza che, nella fattispecie in esame, viene in rilievo una condanna ex art. 444 c.p.p. adottata nel 2007, ovvero allorquando era già operante l'equiparazione delle sentenze di patteggiamento a quelle di condanna sulla base della previsione di cui all’art. 15 della legge n. 55 del 1990, poi modificato dall’art. 1, comma 2, della legge 13 dicembre 1999 n. 475, che prevedeva l’equiparazione, ai fini della incandidabilità, delle sentenze ex art. 444 c.p.p. alle sentenze di condanna, tenuto conto degli effetti intertemporali regolati dal comma 3 dell’art. 1 della legge n. 475 del 1999, sopra citato, e della norma di cui all’art. 58 del d.lgs. n. 267 del 2000.

Le considerazioni sopra illustrate conducono, conseguentemente, al rigetto del ricorso.

Sussistono peraltro particolari ragioni che consentono di interamente compensare tra le parti le spese del giudizio.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi