TAR Milano, sez. II, sentenza 2017-10-17, n. 201701987

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Milano, sez. II, sentenza 2017-10-17, n. 201701987
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Milano
Numero : 201701987
Data del deposito : 17 ottobre 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/10/2017

N. 01987/2017 REG.PROV.COLL.

N. 00972/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 972 del 2016, proposto da:
- Immobiliare Trebbia S.p.a., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti A F e C C ed elettivamente domiciliata presso lo studio degli stessi in Milano, Corso di Porta Vittoria n. 28;

contro

- il Comune di Galbiate, in persona del Sindaco pro-tempore, non costituito in giudizio;

per l’annullamento

- della nota del Comune di Galbiate prot. n. 2442 dell’1° marzo 2016 con cui è stato confermato in € 38.027,59 l’importo degli standard dovuti dalla ricorrente;

- di ogni altro atto presupposto, consequenziale e/o comunque connesso, ed in particolare della nota comunale prot. n. 9216 dell’8 agosto 2015, nonché della nota prot. n. 9524 del 19 agosto 2015, nonché della nota del Responsabile del Servizio prot. n. 13865 del 4 dicembre 2015.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Vista l’ordinanza n. 644/2016 con cui sono stati disposti incombenti istruttori a carico del Comune intimato;

Vista la relazione depositata in data 6 luglio 2016 dal Comune di Galbiate in esecuzione dell’ordinanza n. 644/2016;

Vista l’ordinanza n. 936/2016 con cui è stata accolta limitatamente la domanda cautelare e fissata l’udienza pubblica per la trattazione del merito del ricorso;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Designato relatore il consigliere A D V;

Udito, all’udienza pubblica del 29 giugno 2017, il difensore della parte ricorrente, come specificato nel verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso notificato in data 18 aprile 2016 e depositato il 2 maggio successivo, la società ricorrente ha impugnato, tra l’altro, la nota del Comune di Galbiate prot. n. 2442 dell’1° marzo 2016 con cui è stato confermato in € 38.027,59 l’importo degli standard dovuti da essa ricorrente.

La società ricorrente ha acquistato dalla sig.ra Scandola Elisa un’area sita nel Comune di Galbiate, censita al fg. 9, mappali 4256-4441, ricadente all’interno del T.U.C. e soggetta a vincolo paesistico-ambientale. In data 25 giugno 2015 la ricorrente ha presentato una domanda di autorizzazione paesaggistica per la costruzione di un fabbricato residenziale plurifamiliare, che il Comune ha rilasciato, anche se sotto condizione, in data 8 agosto 2015, quantificando gli standard in € 38.027,59;
la ricorrente ha ritenuto erronea tale quantificazione, sul presupposto che l’intervento edilizio, riguardando aree libere, avrebbe dovuto essere assoggettato alla disciplina di cui all’art. 14.3 delle N.T.A. del P.d.R., a tenore del quale “la quota di attrezzature pubbliche dovuta è pari al 20% del volume”, e ne ha chiesto la rettifica. Il Comune, con la nota del 19 agosto 2015, ha respinto la richiesta della ricorrente, evidenziando che le aree oggetto dell’intervento edilizio non fossero da considerare libere e quindi da assoggettare agli standard per intero. Anche dopo il coinvolgimento dei rispettivi legali, il Comune non ha mutato indirizzo sull’importo degli standard e ne ha confermato la quantificazione in € 38.027,59 con la nota del 1° marzo 2016.

Assumendo l’illegittimità del provvedimento comunale di quantificazione degli standard, la ricorrente lo ha impugnato, eccependo, in primo luogo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 14.3 delle N.T.A. del P.d.R. in relazione agli artt. 53.1, 53.2 e 54 delle stesse N.T.A., l’eccesso di potere per carenza di istruttoria, il difetto di motivazione per contraddittorietà e il travisamento dei presupposti di fatto e di diritto.

Ulteriormente, sono stati dedotti la violazione e falsa applicazione dell’art. 817 cod. civ. in relazione all’art. 53 delle N.T.A. del P.d.R., la violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 1, lett. e.1), del Testo unico dell’edilizia, l’eccesso di potere per sviamento, il difetto di istruttoria, il difetto di motivazione, la contraddittorietà e il travisamento dei presupposti di diritto.

Infine, sono stati eccepiti la violazione e falsa applicazione dell’art. 42 del Testo unico dell’edilizia e l’eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento dei presupposti di diritto.

Con l’ordinanza n. 644/2016 sono stati disposti incombenti istruttori a carico del Comune intimato;
in data 6 luglio 2016, il Comune di Galbiate, in esecuzione della citata ordinanza, ha depositato in giudizio una relazione esplicativa.

Con l’ordinanza n. 936/2016 è stata accolta, limitatamente, la domanda cautelare ed è stata fissata l’udienza pubblica per la trattazione del merito del ricorso.

In prossimità dell’udienza di trattazione del merito della controversia, la difesa della parte ricorrente ha depositato in giudizio una memoria a sostegno della propria posizione.

Alla pubblica udienza del 29 giugno 2017, su richiesta del difensore della parte ricorrente, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. In via preliminare, va evidenziato che nelle controversie in tema di monetizzazione viene in rilievo una posizione qualificabile come interesse legittimo, come tale soggetta alle regole processuali che accedono a tale condizione e che richiedono di proporre ricorso con il rito impugnatorio, nei termini decadenziali decorrenti dalla piena conoscenza degli atti ritenuti lesivi (cfr. Consiglio di Stato, IV, 16 febbraio 2011, n. 1013;
T.A.R. Lombardia, Milano, II, 1° agosto 2013, n. 2056;
14 febbraio 2013, n. 451). Nella fattispecie de qua, il ricorso risulta tempestivo giacché proposto contro la nota dell’1° marzo 2016, che ha ribadito l’importo degli standard come precedentemente quantificato con la nota del 4 dicembre 2015, anche se attraverso una rinnovata valutazione dell’intera vicenda, che ha preso le mosse dall’istanza di autotutela presentata dalla ricorrente ed ha richiesto l’acquisizione di un parere legale, dando pertanto luogo all’adozione di un atto di conferma in senso proprio e non meramente confermativo (cfr., sul punto, T.A.R. Lombardia, Milano, II, 10 febbraio 2017, n. 339).

2. Passando al merito del ricorso, lo stesso è meritevole di accoglimento.

3. Con la prima e la seconda doglianza, da trattare congiuntamente in quanto strettamente connesse, si assume l’illegittima qualificazione del lotto di proprietà della ricorrente come area non libera, in virtù dell’erronea qualificazione dello stesso come pertinenza rispetto all’area in precedenza edificata dall’originaria proprietaria, oltre che in ragione dell’inesatta premessa fondata su una pregressa unitarietà del lotto, che sarebbe stato frazionato solo in occasione della vendita in favore della società ricorrente, determinandosi perciò anche un asservimento di un’area rispetto all’altra ai fini della cessione di volumetria.

3.1. Le doglianze sono fondate.

Il Comune ha chiesto alla ricorrente, in seguito alla realizzazione di un fabbricato residenziale plurifamiliare nella Via Balassi n. 6, il pagamento degli standard nella misura corrispondente al 100% del volume realizzato, ossia di € 38.027,59, assumendo l’inapplicabilità alla fattispecie dell’art. 14.3 delle N.T.A. del P.d.R., in quanto non ci si troverebbe al cospetto di un lotto libero: infatti l’ultima parte della citata disposizione stabilisce che solo “nel caso di lotti liberi per volumetrie residenziali calcolate con indice 1 mc/mq, a partire dall’approvazione definitiva del piano, la quota di attrezzature pubbliche dovuta è pari al 20% del volume” e non al 100%.

La ricorrente ha contestato, già in fase di procedimento amministrativo, la qualificazione dell’aera in cui è stato realizzato il fabbricato quale lotto non libero, evidenziando come il pregresso assetto proprietario non avesse trasformato l’area in una pertinenza del manufatto già edificato su mappali contigui, pur essendo di proprietà dello stesso soggetto, e non ci sarebbe stata alcuna divisione, o stralcio, rispetto alla configurazione originaria dei mappali, da sempre separati, come pure ogni mappale avrebbe conservato integralmente la sua volumetria disponibile.

3.2. Pregiudizialmente va chiarito che la qualificazione di “lotto libero” presuppone l’identificazione del lotto urbanistico (per una definizione della nozione urbanistica di lotto, cfr. Cass. civ., VI, 12 febbraio 2014, n. 3197), in relazione al quale, in presenza delle condizioni stabilite dalla norma di piano, possa essere riscontrata la qualità dell’essere libero da costruzioni;
tale operazione è demandata, in linea di principio, agli strumenti urbanistici, generali o attuativi, o comunque subordinata alle regole da questi fissate (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, II, 14 marzo 2017, n. 644). A tal proposito l’art. 54 delle N.T.A. del P.d.R. definisce come aree libere “quelle totalmente inedificate di proprietà del richiedente che non risultino stralciate, dopo l’adozione del PGT, né dalla sua proprietà, se già edificata, né da aree contigue edificate, né gravate da asservimento volumetrico”.

Le aree in questione, ricadenti nei mappali nn. 4256 e 4441, pur essendo appartenute ad soggetto (sig.ra Scandola) che risultava proprietario anche delle aree contigue identificate con i mappali nn. 4440 e 5480 e su cui è stato edificato un fabbricato per civile abitazione, non possono essere qualificate come costituenti un unico lotto con queste ultime, sulla base di plurime ragioni di seguito meglio evidenziate. In primo luogo, seppure le aree risultavano originariamente appartenenti ad un unico proprietario, dalla documentazione versata in giudizio si ricava che prima del loro acquisto da parte della sig.ra Scandola, dante causa della ricorrente, le aree risultavano già incluse in differenti mappali, che in seguito hanno solo mutato il numero identificativo: il mappale 4256 corrisponde all’ex 365/b, il mappale 4441 corrisponde all’ex 366/b, mentre il mappale 4440 corrisponde all’ex 2683/a-b (cfr. all. 8 e 11 al ricorso). Oltretutto risulta per tabulas che i mappali nn. 4256 e 4441, su cui la società ricorrente ha realizzato la residenza plurifamiliare, siano stati esclusi espressamente da un asservimento, tramite il conferimento di volumetria, ai mappali nn. 4440 e 5480, poi rimasti in proprietà della sig.ra Scandola (cfr. 13 al ricorso e relativa mappa);
anche dalla relazione allegata alla domanda di autorizzazione paesaggistica emerge che i fabbricati costruiti sui diversi lotti non hanno esaurito totalmente la volumetria ammissibile relativa al singolo lotto, dimostrando pertanto l’assenza di alcun asservimento tra di essi (relazione all. 4 al ricorso;
anche all. 12). Infine, gli stessi Uffici comunali (Servizio tributi) hanno qualificato le aree di cui ai mappali nn. 4256 e 4441, di proprietà della società ricorrente, come lotti liberi non pertinenziali ai sensi dell’art. 14.3 delle N.T.A. del P.d.R. (all. 9 al ricorso).

3.3. Quanto poi all’affermata natura pertinenziale dei lotti di proprietà della ricorrente rispetto al fabbricato della sig.ra Scandola, di cui rappresenterebbero un giardino, oltre all’inequivoco tenore dei richiamati avvisi di accertamento relativi all’imposta comunale sugli immobili, che qualificano i lotti oltre che liberi, anche non pertinenziali, va chiarito che in ambito urbanistico la nozione di pertinenza è più limitata di quella afferente all’ambito civilistico;
un bene può definirsi accessorio rispetto a un altro, da considerarsi principale, solo quando il primo sia parte integrante del secondo, in modo da non potersi separare le due cose senza che ne derivi l’alterazione dell’essenza e della funzione dell’insieme. In materia edilizia sono qualificabili come pertinenze solo i beni che siano privi di autonoma destinazione e che esauriscano la loro destinazione d’uso nel rapporto funzionale con l’edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico (T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, I, 28 giugno 2016, n. 655). Il vincolo di accessorietà deve desumersi dal rapporto oggettivo esistente fra le due cose e non dalla semplice utilità che da una di esse possa ricavare colui che abbia la disponibilità di entrambe (Consiglio di Stato, VI, 4 gennaio 2016, n. 19).

Pertanto, in assenza di ulteriori e inequivoci indizi in senso contrario, non può ritenersi che i lotti di proprietà della società ricorrente rappresentino una pertinenza del fabbricato della sig.ra Scandola.

Infine, non si può nemmeno ritenere che ci si trovi al cospetto di un ampliamento di un edificio, atteso che l’ampliamento presuppone un’unità, quantomeno funzionale, se non addirittura strutturale, tra l’edificio già esistente e il manufatto che viene realizzato ex novo: nella fattispecie de qua si tratta di fabbricati del tutto autonomi e separati, che non hanno alcun rapporto di collegamento.

3.4. Alla luce delle suesposte considerazioni, le censure devono essere accolte.

4. La fondatezza delle predette doglianze, previo assorbimento dell’ultima censura, determina l’accoglimento del ricorso e l’annullamento dell’atto impugnato, cui consegue l’obbligo per l’Amministrazione comunale di rideterminare l’importo degli standard dovuti dalla società ricorrente, considerando l’area in cui è stato realizzato il fabbricato come lotto libero.

5. Le spese di giudizio, avuto riguardo alle peculiarità della controversia, possono essere compensate tra le parti, fatta salva la rifusione del contributo unificato in favore della ricorrente da porre a carico del Comune di Galbiate.

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