TAR Palermo, sez. III, sentenza 2010-02-01, n. 201001219

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Palermo, sez. III, sentenza 2010-02-01, n. 201001219
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Palermo
Numero : 201001219
Data del deposito : 1 febbraio 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03244/1989 REG.RIC.

N. 01219/2010 REG.SEN.

N. 03244/1989 REG.RIC.

N. 03464/2002 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

- sul ricorso numero di registro generale 3244 del 1989, proposto da:
SA.GE.CO. S.r.l. (Società Anonima Generale Costruzioni), in persona del legale rappresentante pro tempore, e proseguito da A C n.q. di Curatore del Fallimento della SA.GE.CO. S.r.l. (Società Anonima Generale Costruzioni), autorizzato a stare in giudizio giusta autorizzazione del Giudice Delegato al fallimento datata 23.05.2001, ed elettivamente domiciliato in Palermo, via G. Bonanno n. 59, presso lo studio dell’avv. C V, dal quale è rappresentato e difeso giusta procura a margine dell’atto di costituzione in giudizio del nuovo procuratore, depositato il 25 maggio 2001;

contro

il Comune di Palermo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso, per procura in calce al ricorso notificato e giusta deliberazione della Giunta Municipale di autorizzazione alla resistenza in giudizio n. 592 del 06.03.1990, dall’avv. Anna Maria Impinna dell’Avvocatura Comunale, con domicilio eletto presso la sede dell’Ufficio legale dell’Ente, in Piazza Marina n. 39;



- sul ricorso numero di registro generale 3464 del 2002, proposto da:
Curatela del Fallimento della SA.GE.CO. S.r.l., in persona del Curatore del Fallimento, giusta autorizzazione del 23.05.2001 del Giudice Delegato al Fallimento, ed elettivamente domiciliato in Palermo, via G. Bonanno n. 59, presso lo studio dell’avv. C V, dal quale è rappresentato e difeso giusta procura in calce al ricorso;

contro

il Comune di Palermo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso, per procura in calce al ricorso notificato e giusta determinazione dirigenziale n. 488 del 19.09.2002, dall’avv. Anna Maria Impinna dell’Avvocatura Comunale, con domicilio eletto presso la sede dell’Ufficio legale dell’Ente, in Piazza Marina n. 39;
- quanto al ricorso n. 3244/89

per l'annullamento

della deliberazione n. 70 del 03.05.1989 adottata dal Consiglio Comunale di Palermo, con cui si è proceduto alla “rescissione a danno” del contratto di appalto stipulato con l’impresa CESIA quale capogruppo della Associazione Temporanea di Imprese con la SA.GE.CO. S.r.l.;


- quanto al ricorso n. 3464/2002:

PER IL RICONOSCIMENTO

della responsabilità del Comune di Palermo per il mancato completamento dei lavori di appalto di cui al contratto del 21.04.1982, e per la dichiarazione di risoluzione di detto contratto per fatto e colpa dell’amministrazione appaltante, e la conseguente condanna del Comune di Palermo al risarcimento dei danni;

Visti i ricorsi con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Palermo, con le relative deduzioni difensive;

Visti gli atti di riassunzione e contestuale nuova istanza di fissazione dell’udienza, con costituzione del nuovo procuratore;

Viste le memorie depositate dalle parti in vista della pubblica udienza;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore il referendario M C;

Uditi all'udienza pubblica del giorno 14/01/2010 i difensori delle parti come da verbale di udienza;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:


FATTO

A) Con ricorso n. 3244/1989, ritualmente notificato e depositato, la società ricorrente ha impugnato la deliberazione del Consiglio Comunale di Palermo n. 70 del 3 maggio 1989, con la quale l’intimata amministrazione ha proceduto alla rescissione in danno del contratto di appalto stipulato con l’impresa CESIA S.p.A. quale capogruppo dell’Associazione Temporanea di Imprese con la SA.GE.CO. S.r.l., chiedendone l'annullamento, e deducendo, in punto di fatto, che:

- a seguito di trattativa privata indetta in data 11.12.1980, fu autorizzato l’affidamento in concessione alla CESIA S.p.A., in qualità di capogruppo dell’ATI costituita con l’odierna ricorrente, per la realizzazione (intervento n. 3, in località Borgonuovo) di n. 56 alloggi previsti nel programma costruttivo finanziato con i fondi di cui all’art. 8 della L. n. 25/1980, con stipula del relativo contratto in data 21.04.1982;

- i lavori assegnati allo specifico ambito di intervento della ricorrente vennero dalla stessa eseguiti, con ultimazione in data 30.09.1984, e regolarmente collaudati;
mentre gli altri lavori, attribuiti all’ambito di intervento della CESIA S.p.A., giusta deliberazione n. 116 del 26.02.1982 (verde attrezzato;
opere di sistemazione;
rete idrica e elettrica), furono interrotti a causa dell’indisponibilità di parte dell’area e della sopravvenuta occupazione abusiva dell’intero immobile e del terreno circostante;
mentre, medio tempore, la capogruppo CESIA veniva dichiarata fallita (sentenza del 08.10.1985);

- a seguito di tale fallimento, l’Amministrazione Comunale ebbe a richiedere alla SAGECO, prima, di costituirsi mandataria;
poi, con reiterati ordini di servizio del direttore dei lavori, il completamento dei lavori, sebbene l’odierna ricorrente avesse più volte formalmente evidenziato l’impossibilità giuridica e materiale di effettuare tali opere, a causa sia della persistente occupazione abusiva degli alloggi, sia della presenza di un pozzo, sia della mancata espropriazione, da parte del Comune di Palermo, di una parte del terreno da sistemare;

- nel frattempo la ricorrente, a causa dei ritardi imputabili all’Amministrazione Comunale, aveva convenuto in giudizio la predetta davanti al Tribunale Civile di Palermo, al fine di vedere dichiarare la risoluzione del contratto di appalto per fatto e colpa dell’Amministrazione, con conseguente costituzione del Comune di Palermo e formulazione di domanda riconvenzionale, volta a sentire dichiarare il diritto dello stesso a deliberare la rescissione in danno della ATI;

- con l’impugnata deliberazione n. 70/1989, l’Amministrazione Comunale intimata ha disposto la rescissione del contratto di appalto in danno, con conseguente incameramento delle cauzioni prestate ed addebito alle imprese del maggiore onere derivante all’Amministrazione per la stipula del nuovo contratto di appalto dei lavori di completamento;
nonché ha determinato di non corrispondere alle imprese il decimo dei lavori non eseguiti, in applicazione dell’art. 1 del capitolato speciale di appalto.

- In punto di diritto deduce:

1) Eccesso di potere per travisamento dei presupposti.

Il provvedimento di rescissione in danno è stato adottato sulla base dell’errato presupposto dell’inadempimento, non giustificato, asseritamente imputabile alla ricorrente, laddove la situazione di oggettiva impossibilità giuridica e materiale, rappresentata dalla predetta all’Amministrazione Comunale, risulta dalla documentazione richiamata e versata in atti;

2) Violazione dell’art. 41 del Capitolato Generale di Appalto (D.P.R. n. 1063/1962) – errata applicazione dell’art. 1, capo V, del Capitolato Speciale di Appalto.

L’Amministrazione Comunale non solo ha rescisso il contratto di appalto, ma ha anche determinato di non corrispondere all’impresa il decimo delle opere non eseguite, in applicazione dell’art. 1 del C.S.A., il quale presuppone, per la mancata erogazione del decimo delle opere non eseguite, la negligenza e/o imperizia nella esecuzione dei lavori e/o la compromissione della loro tempestiva esecuzione;
laddove, come già esposto nel primo motivo di ricorso, nessuna posizione di inadempienza potrebbe riscontrarsi in capo alla ricorrente;

3) Eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica.

Il provvedimento impugnato è stato adottato al solo fine di ribaltare le responsabilità e l’inerzia della P.A. sulla ricorrente, atteso che la definizione dei lavori non avrebbe potuto trovare realizzazione a causa delle condizioni ostative evidenziate.

B) Per resistere al ricorso, si è costituito in giudizio il Comune di Palermo, il quale, con memoria difensiva, ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e, limitatamente alla proposta istanza cautelare, ha escluso tanto la sussistenza del fumus boni iuris, quanto quella del periculum in mora, evidenziando il carattere pregiudiziale dell’azione civile proposta dalla SAGECO, chiedendo la sospensione del giudizio e la declaratoria di difetto di giurisdizione.

C) Con istanza depositata in data 12.02.1991, la difesa di parte ricorrente ha chiesto, con adesione di controparte, la cancellazione della causa dal ruolo.

D) A seguito di avviso del 06.12.2000, di pendenza ultradecennale del ricorso ex art. 9 della L. n. 205/2000, il Curatore del Fallimento della SAGECO – medio tempore anch’essa dichiarata fallita con sentenza n. 64/1999 – per il tramite di nuovo procuratore, ha chiesto la fissazione dell’udienza per la trattazione del ricorso, con istanza depositata il 25 maggio 2001.

E) In prossimità dell’udienza, parte ricorrente ha depositato memoria conclusiva, in cui ha sostanzialmente ribadito le argomentazioni già esposte nel ricorso.

F) Con successivo ricorso n. 3464/2002, notificato in data 11 settembre 2002 e depositato il successivo 1 ottobre, la medesima ricorrente ha adito questo Tribunale al fine di sentire riconoscere la responsabilità del Comune di Palermo per il mancato completamento dei lavori di cui al contratto di appalto del 21.04.1982, e per la risoluzione di detto contratto per fatto e colpa della stessa Amministrazione, con conseguente condanna al risarcimento dei danni.

Con tale ricorso la SAGECO espone i medesimi fatti, già rappresentati nel primo ricorso in epigrafe indicato (n. 3244/1989), sostenendo la fondatezza dell’azione e delle domande proposte dalla curatela del fallimento sulla base della documentazione versata in atti, dalla quale sarebbe evincibile non solo la correttezza del comportamento contrattuale della ricorrente – la quale ha eseguito tutti i lavori alla stessa assegnati – ma anche l’oggettiva impossibilità di procedere al completamento di quelli assegnati alla CESIA S.p.A., a causa della presenza, all’interno dell’area interessata, oltre che di un pozzo, anche di occupanti abusivi degli immobili, non ascrivibile a responsabilità dell’impresa.

Espone, inoltre, che la SAGECO aveva convenuto davanti al giudice ordinario la resistente amministrazione, al fine di vedere dichiarare risoluto il contratto di appalto per fatto e colpa della P.A., per la parte non eseguita, e che il Tribunale civile di Palermo, con sentenza n. 1509/1995, aveva dichiarato il proprio difetto di giurisdizione;
che, inoltre, proposto regolamento preventivo di giurisdizione, la Suprema Corte aveva dichiarato detto gravame inammissibile: da qui, l’esigenza per la curatela del fallimento della SAGECO di adire questo Tribunale, al fine di vedere accogliere la domanda di risoluzione del contratto di appalto.

Chiede, pertanto, che venga dichiarata la risoluzione del contratto di appalto per colpa della P.A. intimata e la conseguente condanna della stessa al risarcimento dei danni cagionati, oltre alla restituzione degli importi cauzionali eventualmente incamerati.

G) Per resistere al ricorso, si è costituita in giudizio l’Amministrazione Comunale intimata.

H) Con memorie depositate in data 31.12.2009, le parti hanno insistito sulle rispettive posizioni;
la difesa del Comune di Palermo ha, altresì, eccepito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, in applicazione delle disposizioni contenute nell’art. 31 bis della L. n. 109/1994. Nel merito ha chiesto la reiezione del ricorso, in quanto infondato.

I) All’udienza pubblica del 14/01/2010, presenti i difensori delle parti, come da verbale d’udienza, i due ricorsi, chiamati congiuntamente, sono stati posti in decisione.

DIRITTO

1. Va preliminarmente disposta la riunione, ai sensi dell'art. 335 c.p.c., dei due ricorsi in epigrafe, per connessione soggettiva ed oggettiva, trattandosi di controversie insorte tra le stesse parti e relative al medesimo rapporto contrattuale.

2. Va, sempre preliminarmente, esaminata l’eccezione, ritualmente proposta dalla resistente Amministrazione, relativa alla dedotta applicabilità, ai presenti giudizi, dell’art. 31 bis della L. n. 109/1994 in tema di giurisdizione per le concessioni di lavori pubblici.

2.1. La norma, invocata dalla difesa del Comune di Palermo, trova, in effetti, puntuale applicazione, di talché entrambi i ricorsi si presentano inammissibili per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

Va premesso che l’art. 5 della L. n. 1034/1971, nella sua formulazione originaria, stabiliva che “Sono devoluti alla competenza dei tribunali amministrativi regionali i ricorsi contro atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni o di servizi pubblici…”, istituendo una fattispecie di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

La giurisprudenza delle Sezioni Unite ha costantemente affermato, nella vigenza di tale disposizione, l’applicabilità della stessa anche alle “concessioni di sola costruzione”, per le quali la P.A. appaltante richiedeva che il concessionario, oltre a svolgere la materiale attività di costruzione dell’opera pubblica, ponesse in essere ulteriori attività (quali la progettazione, la direzione lavori, la sorveglianza, l’espletamento delle procedure espropriative, ecc…);
attività, il cui esercizio presupponeva che l’Autorità concedente avesse trasferito le funzioni pubbliche necessarie alla realizzazione dell’opera. Proprio l’espletamento di tali pubbliche funzioni sottoponeva tali concessioni, per ritenuta identità di ratio con le concessioni di servizi pubblici, alla citata giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in applicazione del richiamato art. 5, nella parte relativa alla “concessione di servizi pubblici”, non venendo, quindi, in rilievo, ai fini della giurisdizione, la differente posizione soggettiva vantata dal privato (se di diritto soggettivo o di interesse legittimo).

Il quadro normativo muta sostanzialmente con l’entrata in vigore dell’art. 31 bis, commi 4 e 5, della L. n. 109/1994, a mente del quale “Ai fini della tutela giurisdizionale le concessioni in materia di lavori pubblici sono equiparate agli appalti (comma 4).

“Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle controversie relative ai lavori appaltati o concessi anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge”. (comma 5, aggiunto dall'art. 9, D.L. 3 aprile 1995, n. 101).

La norma ha modificato i criteri previsti dall’art. 5 della L. n. 1034/71 per la determinazione della giurisdizione in materia di concessioni di lavori pubblici, estendendo a dette concessioni le regole ordinarie del riparto di giurisdizione operanti per gli appalti e stabilendo, inoltre, l’operatività di detta norma anche alle controversie già pendenti alla data di entrata in vigore della stessa.

Ciò si traduce, come costantemente affermato dalla Corte di Cassazione, nella equiparazione, ai fini della giurisdizione, delle concessioni di costruzione agli appalti di lavori, anche se intervenute in epoca antecedente alla data di entrata in vigore della legge, con la conseguenza che le predette controversie, quando abbiano ad oggetto esclusivamente questioni relative a diritti soggettivi, sono devolute all'autorità giudiziaria ordinaria (cfr. Cass., Sez. Unite, 1 luglio 2008, n. 17926;
14 febbraio 2008, n. 3518;
14 giugno 2006, n. 13690;
31 marzo 2005, n. 6743;
1 aprile 2000, n. 73;
25 maggio 1999, n. 287;
17 dicembre 1998, n. 12622;
12 giugno 1997, n. 5299).

Per concludere in ordine all’evoluzione normativa su tale specifico aspetto, va rammentato che l’art. 5 della L. n. 1034/1971, nella sua attuale formulazione, fa riferimento soltanto a rapporti di concessione di beni pubblici, in quanto il riferimento ai servizi (pubblici) è stato soppresso dall’art. 33, comma 3, del D. Lgs. n. 80/1998;
mentre l’art. 31 bis è stato abrogato a seguito dell’entrata in vigore del D. Lgs. n. 163/2006, il cui art. 244 ha devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, tra l’altro, tutte le controversie, ivi incluse quelle risarcitorie, relative a procedure di affidamento di lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale (comma 1).

Ricostruito il quadro normativo in interesse, va ora verificato, con riferimento al caso concreto, quale sia la natura giuridica del rapporto sorto tra il Comune di Palermo e la ricorrente, al fine di verificare l’applicabilità della richiamata normativa e, quindi, degli ordinari criteri di riparto di giurisdizione.

Il rapporto dedotto in giudizio è qualificabile come concessione di costruzione.

Ed invero, come è dato evincersi dalla lettura del contratto stipulato in data 21.04.1982, all’associazione di imprese, costituita dall’odierna ricorrente e dalla capogruppo mandataria Cesia S.p.A., era stata affidata la costruzione degli alloggi, nonché il compimento di attività, strettamente e funzionalmente connesse alla realizzazione dell’opera pubblica, di progettazione, espropriazione delle aree occorrenti, senza che risulti esteso anche alla gestione della stessa.

Ne consegue l’applicabilità dell’art. 31 bis della L. n. 109/1994, applicabile ratione temporis ad entrambi i ricorsi: al primo (n. 3244/89), avuto riguardo alla rilevata portata retroattiva della norma, e alla sua applicabilità ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della norma;
al secondo (n. 3464/02), in quanto norma sulla giurisdizione vigente al momento della proposizione della domanda di risoluzione del contratto per dedotta colpa del Comune di Palermo.

Facendo, quindi, applicazione degli ordinari criteri di riparto di giurisdizione e dovendo, quindi, accertare se le controversie vertano in tema di diritti soggettivi o di interessi legittimi, ritiene il Collegio che le stesse abbiano ad oggetto diritti soggettivi.

Con il primo ricorso viene censurata la deliberazione n. 70/1989, con cui il Consiglio Comunale di Palermo ha disposto la rescissione del contratto di appalto in danno delle imprese dell’A.T.I., contestandosi, in sostanza, da parte della ricorrente che il mancato completamento dell’opera pubblica sia stato determinato non già da pretese inadempienze della medesima ricorrente, bensì a causa del contegno tenuto dall’amministrazione;
tant’è che, con il successivo ricorso, la curatela del fallimento ha chiesto la risoluzione del contratto di appalto per asserita colpa della P.A..

Trattasi, a ben vedere, di aspetti che afferiscono esclusivamente alla fase di esecuzione del contratto di appalto, in cui, peraltro, l’amministrazione comunale, lungi dall’avere esercitato poteri autoritativi finalizzati a rimettere in discussione l’affidamento in concessione, ha posto in essere atti di gestione di un rapporto di natura privatistica, essendo irrilevante che le determinazioni adottate abbiano assunto la forma di atto amministrativo (cfr: Cass., SS.UU., n. 13690/2006 citata;
5 aprile 2005, n. 6992;
23 dicembre 2003, n. 19787;
T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. III, 27 luglio 2009, n. 1373;
T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 11 febbraio 2008, n. 144;
sez. I, 19 dicembre 2007, n. 2124;
T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 12 dicembre 2007, n. 16197).

Non sussiste, quindi, nel caso in specie, la giurisdizione esclusiva di questo Tribunale, delimitata dalla normativa in vigore al momento della presente pronuncia, alle sole controversie relative alle procedure di affidamento dell’appalto, fase ad evidenza pubblica finalizzata alla scelta del contraente.

I ricorsi vanno, pertanto, dichiarati inammissibili per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, attesa la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario, con salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda, in caso di proposizione della domanda davanti al predetto giudice entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della presente sentenza, in applicazione dell’art. 59, commi 1 e 2, della L. n. 69/2009.

3.3. Atteso il lungo tempo trascorso, e tenuto conto dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale in tema di riparto di giurisdizione, si ritiene equo compensare le spese di giudizio fra le parti.

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