TAR Roma, sez. 2S, sentenza 2023-03-08, n. 202303845

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2S, sentenza 2023-03-08, n. 202303845
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202303845
Data del deposito : 8 marzo 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 08/03/2023

N. 03845/2023 REG.PROV.COLL.

N. 06578/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Stralcio)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6578 del 2015, proposto dai sig.ri C V F e L S, rappresentati e difesi dall’Avvocato N N, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Roma Capitale, in persona del suo Sindaco pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocato U G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

- della Determinazione Dirigenziale n. rep. QI/1969 del 10 dicembre 2014, notificata in data 3 marzo 2015, recante la reiezione dell’istanza di condono (prot. n. 0/581965 del 13 dicembre 2004) presentata per la realizzazione di abusi edilizi siti in Via del Fosso del Dragoncello 34 – 00124 ROMA (Municipio XIII) relativamente alla realizzazione di un’unità abitativa di mq. 99.50 di s.u.r., immobile distinto al N.C.E.U. al foglio 1078, particella 20.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 3 marzo 2023 il dott. Michele Tecchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il ricorso in epigrafe, i ricorrenti – premesso di essere comproprietari di un immobile sito in Via del Fosso di Dragoncello n. 34 distinto al N.C.E.U al foglio 1078, particella 20, nonchè di aver presentato un’istanza di condono ex lege 326/2003 e L.R. Lazio n. 12/04 prot. n. 0/581965 del 13 dicembre 2004, per alcuni abusi edilizi consistenti nella realizzazione di un’unità abitativa di mq. 99.50 di s.u.r., e di essersi visti infine frapporre un diniego a detta istanza con Determinazione Dirigenziale n. rep. QI/1969 del 10 dicembre 2014 (notificata in data 3 marzo 2015) basata sulla motivazione secondo cui “ l’area su cui insiste l’abuso risulta gravata dal seguente vincolo: Beni paesaggistici ex art. 134, com 1, lett. b) del Codice – c – Fossi ” – insorgono avverso il summenzionato diniego di sanatoria, chiedendone l’annullamento.

Parte ricorrente lamenta l’illegittimità del summenzionato provvedimento reiettivo di Roma Capitale.

A sostegno della domanda di annullamento, in particolare, vengono articolate le seguenti censure:

(i) primo motivo : “ violazione dell’art. 134, comma 1, lettera B) del decreto legislativo n. 42 del 22.1.2004 ”, per avere il provvedimento di Roma Capitale obliato il fatto che l’art. 35, comma 6, del Piano Territoriale Paesistico Regionale del Lazio, adottato con DGR del 25 luglio 2007, dispone che “ i corsi d’acqua e le relative fasce di rispetto debbano essere mantenuti integri e inedificati per una profondità di metri 150 per parte: nel caso di canali e collettori artificiali, la profondità delle fasce da mantenere integre e inedificate si riduce a metri 50 ”;
pertanto, atteso che il Fosso del Dragoncello sarebbe un canale artificiale e che l’abuso contestato è collocato oltre la fascia di rispetto di 50 mt. (giusta perizia giurata resa in data 27 aprile 2015 dal consulente tecnico di parte, cfr. allegato 4 del ricorso), detto abuso non soggiacerebbe al vincolo di inedificabilità derivante dall’insistenza sulla fascia di rispetto;

(ii) secondo motivo : “ eccesso di potere per travisamento dei fatti. Eccesso di potere per disparità di trattamento ” per avere Roma Capitale realizzato, in tesi, un’indebita disparità di trattamento rispetto ad altri abusi realizzati in fondi contigui e/o finitimi, quelli invece regolarmente condonati;

(iii) terzo motivo : “ eccesso di potere per difetto assoluto o carenza di motivazione ”.

Roma Capitale si è ritualmente costituita in giudizio, instando per la reiezione del gravame.

Seguiva il deposito dei documenti e delle memorie ex art. 73, comma 3, c.p.a.

All’esito dell’udienza straordinaria di smaltimento fissata in data 14 ottobre 2022, con ordinanza collegiale pubblicata in pari data, il Collegio ordinava a Roma Capitale “di adempiere ai due seguenti incombenti istruttori: (a) produrre in giudizio una copia del provvedimento impugnato (che non risulta allo stato versato in atti), segnatamente la Determinazione Dirigenziale n. rep. QI/1969 del 10 dicembre 2014, notificata in data 3 marzo 2015, recante la reiezione dell’istanza di condono prot. n. 0/581965 del 13 dicembre 2004, presentata per la realizzazione di abusi edilizi siti in Via del Fosso del Dragoncello 34 – 00124 ROMA (Municipio XIII) relativamente alla realizzazione di un’unità abitativa di mq. 99.50 di s.u.r., immobile distinto al N.C.E.U. al foglio 1078, particella 20;
(b) produrre in giudizio una relazione amministrativa contenente chiarimenti istruttori su due specifici profili di fatto allo stato ancora non definitivamente acclarati, e cioè se: (1) il Fosso del Dragoncello – in prossimità del quale è stato realizzato l’abuso contestato – sia o meno un canale o collettore artificiale, indi un corso d’acqua riconducibile al disposto dell’art. 35, comma 6, del Piano Territoriale Paesistico della Regione Lazio;
(2) l’abuso oggetto del provvedimento impugnato si trovi ad una distanza pari o inferiore a 50 metri dal Fosso del Dragoncello
”.

Con deposito effettuato in data 16 novembre 2022, Roma Capitale ottemperava soltanto all’incombente istruttorio sub lettera b) che precede, versando in atti una comunicazione rilasciata dalla società Risorse per Roma S.p.A., con cui quest’ultima – preso atto degli incombenti istruttori disposti dal Collegio – rappresentava che “ si rileva l’incompetenza della scrivente Società circa le verifiche sulla tipologia del corso idrico di interesse (Fosso di Dragoncello) ossia se lo stesso sia da considerarsi canale ovvero collettore artificiale. Di contro, per quanto attiene la distanza dei manufatti in oggetto (via del Fosso di Dragoncello n. 34 – foglio 1078, particella 20) i medesimi riferiti alle istanze 0/581937 e 0/581965 risultano ricadere oltre la distanza di 50,00 m dall’interasse del fosso ”.

Seguiva il deposito, da parte dei ricorrenti, di ulteriori documenti e memorie ex art. 73, comma 3, c.p.a.

All’esito della nuova udienza straordinaria fissata in data 12 dicembre 2022, con ordinanza collegiale pubblicata in data 13 dicembre 2022, il Collegio – rilevato che “ non risulta ancora assolto l’adempimento sub lettera a) che precede ” – riteneva “ necessario reiterare l’ordine nei confronti di Roma Capitale a produrre in giudizio una copia del provvedimento impugnato, segnatamente la Determinazione Dirigenziale n. rep. QI/1969 del 10 dicembre 2014, notificata in data 3 marzo 2015, recante la reiezione dell’istanza di condono prot. n. 0/581965 del 13 dicembre 2004, presentata per la realizzazione di abusi edilizi siti in Via del Fosso del Dragoncello 34 – 00124 ROMA (Municipio XIII) relativamente alla realizzazione di un’unità abitativa di mq. 99.50 di s.u.r., immobile distinto al N.C.E.U. al foglio 1078, particella 20 ”.

Roma Capitale provvedeva ad adempiere all’incombente istruttorio in data 14 dicembre 2022.

Alla nuova udienza straordinaria fissata in data 3 marzo 2023, il Collegio introiettava la causa in decisione.

DIRITTO

In limine litis , non può essere positivamente apprezzata la censura formale sollevata da uno dei due ricorrenti (sig.ra Clara Vittoria FALZONE) secondo cui quest’ultima sarebbe venuta a conoscenza della Determinazione Dirigenziale impugnata soltanto in data 26 aprile 2015 allorché, informata dall’altro ricorrente dell’opportunità di proporre ricorso avverso il ridetto provvedimento, si sarebbe realmente avveduta del contenuto di detto provvedimento.

Risulta per tabulas , infatti, che Roma Capitale ha ritualmente notificato il provvedimento impugnato anche alla sig.ra Falzone, essendo in atti la cartolina di ricevimento da parte di quest’ultima della Determinazione dirigenziale n. 1969 del 2014, consegnata a mani alla sig.ra Falzone dal messo comunale in data 16 marzo 2015 (quindi ben prima del 26 aprile 2015).

Ciò puntualizzato, il ricorso è fondato e va quindi accolto nei sensi e termini indicati a seguire.

Con particolare riguardo al primo motivo di gravame, infatti, va evidenziato che l’istanza di condono in relazione alla quale è stata adottata la determinazione negativa impugnata, è stata presentata in base al regime del c.d. “terzo” condono previsto dall’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, il quale ha fissato limiti più stringenti rispetto ai precedenti primo e secondo condono, di cui alle leggi 28 febbraio 1985, n. 47 e 23 dicembre 1994, n. 724.

In particolare, alla luce delle coordinate applicative del c.d. “terzo condono”, come introdotto dal decreto legge n. 269 del 2003, convertito in legge con legge n. 326 del 2003, ed attuato, in sede regionale, con la legge della Regione Lazio n. 12 del 2004, solo determinate tipologie di interventi – c.d. abusi formali - risultano condonabili se realizzati in aree sottoposte a vincolo.

Ed infatti, la realizzazione di nuovi volumi e superfici in aree vincolate, indipendentemente dalla data di imposizione del vincolo e dalla natura di vincolo assoluto o relativo alla edificabilità, è estranea all’ambito di applicazione della disciplina dettata sul terzo condono, come recata, congiuntamente, dalla legge n. 326 del 2003 e dalla legge Regione Lazio n. 12 del 2004 e come costantemente applicata dalla giurisprudenza amministrativa, nonché secondo le coordinate interpretative individuate dalla Corte Costituzionale, investita della verifica di tenuta costituzionale delle relative disposizioni.

Premessa la portata più restrittiva della disciplina del terzo condono rispetto a quella dettata dalla legge n. 47 del 1985 e a quella inerente il condono di cui alla legge n. 724 del 1994, va rilevato che, sulla base delle previsioni dettate dall’art. 32, commi 26 e 27, del decreto legge n. 269 del 2003 e dagli artt. 2 e 3, comma 1, lettera b), della legge regionale del Lazio n. 12 del 2004, possono ritenersi suscettibili di sanatoria, nelle aree soggette a vincoli, solo le opere di minore rilevanza, corrispondenti alle tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell’Allegato 1 del decreto legge n. 269 del 2003, corrispondenti a opere di restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria ( ex plurimis , in termini: Tar Lazio, Roma, Sez. II bis, 17 febbraio 2015, n. 2705;
4 aprile 2017 n. 4225;
13 ottobre 2017, n. 10336;
11 luglio 2018, n. 7752;
24 gennaio 2019, n. 931;
9 luglio 2019, n. 9131;
13 marzo 2019, n. 4572;
2 dicembre 2019 n. 13758;
7 gennaio 2020, n. 90;
2 marzo 2020, n. 2743;
26 marzo 2020 n. 2660;
7 maggio 2020, n. 7487;
18 agosto 2020, n. 9252;
Sez. Stralcio, 7 giugno 2022 n. 7384;
15 luglio 2022, n. 10072;
Consiglio di Stato, Sez. VI, 17 gennaio 2020 n. 425), mentre per le altre tipologie di abusi interviene una preclusione legale alla sanabilità delle opere abusive.

Più nel dettaglio, la giurisprudenza amministrativa ha ripetutamente affermato che “ il condono previsto dall’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003 (terzo condono edilizio) è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell’allegato 1 del decreto (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) e previo parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo. Non sono invece suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l’area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici” (cfr. ex multis Cons. St., Sez. VI, 17 gennaio 2020, n. 425).

In sintesi, quindi, le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, fra cui quello ambientale e paesistico, sono sanabili solo se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni:

a) si tratti di opere realizzate prima dell’imposizione del vincolo;

b) seppure realizzate in assenza o in difformità del titolo edilizio, le opere siano conformi alle prescrizioni urbanistiche;

c) si tratti di opere minori senza aumento di volume o superficie (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria);

d) vi sia il previo parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo.

Nel caso di specie, pertanto, atteso che l’opera de qua agitur ha comportato senz’altro un aumento di volume o superficie (trattasi, infatti, di nuova costruzione ad uso residenziale di mq. 99.50 di s.u.r.), e che la stessa non integra certamente un abuso minore , è dirimente capire se essa insista, o meno, su un’area vincolata.

In caso positivo, infatti, l’abuso sarebbe evidentemente insanabile, con conseguente piena legittimità del provvedimento impugnato.

Orbene, la determinazione dirigenziale avversata giustifica il diniego di condono proprio invocando l’insistenza dell’opera su un’area vincolata.

Detta determinazione statuisce, infatti, che l’area su cui insiste l’abuso sarebbe “ gravata dal seguente vincolo: Beni paesaggistici ex art. 134, com 1, lett. b) del Codice – c – Fossi ”.

L’art. 134, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 42 del 2004, stabilisce – nella sua formulazione testuale ratione temporis applicabile – che sono beni paesaggistici (indi beni vincolati) “ le aree indicate all’articolo 142 ”.

A sua volta il succitato art. 142 del d.lgs. n. 42 del 2004 dispone, sub lettera c (la stessa lettera espressamente richiamata dal provvedimento impugnato), che fino all’approvazione del piano paesaggistico regionale sono comunque sottoposti al vincolo paesaggistico ex lege i fiumi, i torrenti, i corsi d’acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna ”.

La disposizione di legge testè enunciata va letta in stretta correlazione con l’art. 35, comma 6, del Piano Territoriale Paesistico Regionale del Lazio, adottato con DGR del 25 luglio 2007, il quale dispone che “ i corsi d’acqua e le relative fasce di rispetto debbano essere mantenuti integri e inedificati per una profondità di metri 150 per parte: nel caso di canali e collettori artificiali, la profondità delle fasce da mantenere integre e inedificate si riduce a metri 50 ”.

Se ne inferisce, conclusivamente, che in caso di corsi d’acqua naturali la fascia di rispetto incisa dal vincolo di inedificabilità assoluta è di 150 mt., mentre in caso di canali artificiali detta fascia si riduce a 50 mt.

Il provvedimento impugnato appare quindi evidentemente viziato da un chiaro difetto di motivazione ed istruttoria, atteso che:

- è stato dimostrato in giudizio che l’abuso di cui si discorre si trova a più di 50 metri dal fosso;

- non risulta che in sede di istruttoria procedimentale Roma Capitale abbia mai effettuato i doverosi approfondimenti tecnici sul carattere naturale o artificiale del Fosso del Dragoncello (e ciò senza omettere di considerare che nel presente giudizio Roma Capitale non ha neppure mai specificamente contestato l’allegazione attorea secondo cui detto fosso ha natura di canale artificiale).

Le considerazioni che precedono depongono inequivocabilmente, quindi, nel senso dell’accoglimento del primo motivo di ricorso (con conseguente assorbimento dei restanti motivi) e quindi dell’illegittimità del provvedimento impugnato, essendo emerso un chiaro deficit istruttorio e motivazionale sulla distanza dell’abuso dal fosso e sulla natura stessa del fosso, salvo ovviamente il potere dell’Amministrazione di rideterminarsi sull’originaria istanza dei ricorrenti (prot. n. 0/581965 del 13 dicembre 2004), previa effettuazione di tutti gli opportuni accertamenti tecnici in merito sia alla distanza dell’abuso edilizio dal Fosso del Dragoncello, sia all’effettiva conformazione di quest’ultimo (naturale o artificiale), in ossequio al vincolo conformativo discendente dalla presente sentenza.

Conclusivamente, quindi, il ricorso va accolto, con conseguente annullamento per difetto di motivazione ed istruttoria del diniego di condono impugnato, salvo il potere di Roma Capitale di rideterminarsi sull’originaria istanza dei ricorrenti.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

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