TAR Roma, sez. 3S, sentenza 2020-11-05, n. 202011428

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 3S, sentenza 2020-11-05, n. 202011428
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202011428
Data del deposito : 5 novembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 05/11/2020

N. 11428/2020 REG.PROV.COLL.

N. 00892/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Stralcio)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 892 del 2012, proposto da
Soc Sky Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato O G, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Bruno Buozzi, 87;

contro

Autorità per Le Garanzie Nelle Comunicazioni, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Autorita per Le Garanzie Nelle Comunicazioni - Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Francesca Serra non costituito in giudizio;

per l'annullamento della delibera agcom n. 567/11/cons del 3.11.2011 recante ordinanza ingiunzione per la violazione dell'art. 4, co. 1 e 2, della delibera n. 664/06/cons per illegittima sospensione del servizio (proc. sanz. n. 28/11/dit) - domanda di condanna alla restituzione della sanzione pagata, con riserva di ripetizione, dalla ricorrente - art 119 cpa


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Autorità per Le Garanzie Nelle Comunicazioni e di Autorita per Le Garanzie Nelle Comunicazioni - Roma;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 25 settembre 2020 il dott. Emiliano Raganella e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

La Sky Italia S.r.l. proponeva ricorso per ottenere la dichiarazione di nullità, l’annullamento o la disapplicazione della delibera AGCom 567/11/CONS, avente ad oggetto “Ordinanza ingiunzione alla Società Sky Italia S.p.A. per la violazione dell’art. 4, commi 1 e 2, della delibera n. 664/04/CONS per illegittima sospensione del servizio (proc. sanz. n. 28/11/DIT)”, nonché degli atti presupposti meglio specificati in epigrafe.

Con il primo motivo, la Società ricorrente deduce l’illegittimità della delibera impugnata in ragione della inapplicabilità della delibera AGCom 664/06/CONS, recante “Adozione del regolamento recante disposizioni a tutela dell’utenza in materia di fornitura di servizi di comunicazione elettronica mediante contratti a distanza”.

In particolare, il Regolamento, che individua quali destinatari “l’impresa che fornisce beni e servizi di comunicazione elettronica” (art. 1, lett. c)), non potrebbe trovare applicazione alla Società ricorrente, in quanto la Società ricorrente non fornisce beni e servizi di comunicazione elettronica, ma svolge attività di commercializzazione di pacchetti di programmi e/o di singoli contenuti (c.d. attività di piattaforma a pagamento), mentre il segnale è materialmente trasmesso da Eutelsat.

Il motivo è infondato.

Per la nozione di fornitore di servizi di comunicazione elettronica deve farsi riferimento all’art. 1, lett. gg) del Codice delle Comunicazioni Elettroniche (d.lgs. 259/2003) e all’art. 2, lett. c) della direttiva 2002/21/CE, c.d. direttiva quadro.

In merito, il Consiglio di Stato, già con la sentenza n. 2009/2013, ha ritenuto che il Codice delle Comunicazioni Elettroniche, nel definire i servizi di comunicazione elettronica, comprenda all’interno di questi i servizi radiotelevisivi a pagamento;
precisando inoltre che Sky rientra nella categoria dei fornitori di servizi ad accesso condizionato, “in quanto , ancor prima di consentire la visione del programma televisivo, fornisce all’utente il servizio di accesso propedeutico alla fruizione dei contenuti , costituito da una parabola, un decoder e da una smart card”.

Tuttavia, dirimente nella risoluzione della questione, appare la sentenza 30 aprile 2014, UPC DTH, in causa C 475/12, con cui la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha, in una questione analoga, fornito la propria interpretazione sull’estensione della nozione di cui all’art. 2, lett. c), della direttiva quadro, nonché la sentenza della CGUE, 7 novembre 2013, UPC Nederland, in causa C 518/11.

Oggetto del questione pregiudiziale era la qualificazione del servizio di fornitura dell’accesso ad una piattaforma televisiva a pagamento, con trasmissione del segnale via satellite fruibile mediante un sistema di accesso condizionato (art. 2, lett. f)).

Con tali pronunce, la Corte, ha stabilito che l’art. 2, lett. c), della direttiva quadro, deve essere interpretato nel senso che un servizio consistente nel fornire, a titolo oneroso, un accesso condizionato a un bouquet trasmesso via satellite, che includa servizi di diffusione radiofonica e televisiva, rientra nella nozione di «servizio di comunicazione elettronica» (§58, C-475/12, cit.).

Rispetto al servizio di comunicazione elettronica avente ad oggetto la diffusione di programmi radiofonici o televisivi, sistema di accesso condizionato è accessorio e non determina la perdita della qualità si servizio di comunicazione elettronica da parte del primo (§52, C-475/12, cit.).

Pertanto, l’operatore che fornisce il suddetto servizio, perfettamente analogo a quello fornito dalla Società ricorrente, deve essere considerato un fornitore di servizi di comunicazione elettronica (id. §58).

Infine, appare irrilevante inoltre il fatto che la trasmissione del segnale avvenga attraverso la rete satellitare di una Società terza, Eutelsat nella specie;
come stabilito dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 30 aprile 2014, in C 475/12, §43, infatti, “ la circostanza che la trasmissione del segnale avvenga attraverso un’infrastruttura non appartenente alla [Società] è irrilevante ai fini della qualificazione della natura del servizio. Infatti, rileverebbe a tal riguardo solo il fatto che la [Società] è responsabile nei confronti degli utenti finali della trasmissione del segnale che garantisce a questi ultimi la fornitura del servizio a cui sono abbonati ”.

Una diversa interpretazione è idonea a pregiudicare, ad avviso della CGUE, l’effetto utile della direttiva in parola.

Tale approdo interpretativo non è smentito dalle sentenze della CGUE del 13 dicembre 2018, France Télèvisions SA c. Playmédia et a., in causa C-298/17, e dell’11 dicembre 2019, TV Play Baltic, in causa C-87/19, avendo le stesse ad oggetto l’interpretazione della diversa nozione di “fornitura di una rete di comunicazione elettronica” di cui all’art. 2, lett. m), della direttiva quadro, peraltro con specifico riferimento agli obblighi di trasmissione di cui all’art. 31 della direttiva servizio universale (2002/22/CE).

Da ciò consegue inoltre l’infondatezza del secondo motivo, con cui la Società ricorrente censura, in via subordinata all’applicabilità del Regolamento alla Società, l’illegittimità dello stesso, stante la concordanza del Regolamento con la direttiva quadro.

Nonché l’infondatezza della terza censura, con cui la Società contesta che l’attività di commercializzazione di pacchetti di canali televisivi (alias, attività di piattaforma a pagamento) possa essere identificata con la fornitura di “servizi di accesso condizionato”, per le ragioni già esposte.

Mentre la censura relativa alla legittimità della disposizione interna che ha assoggettato i “fornitori di servizi di accesso condizionato” ad un regime di autorizzazione generale (si cfr. l’art. 31 d. lgs. n. 177/2005 e s.m.i., c.d. TUSMAR), appare irrilevante ai fini del giudizio.

Con il quarto motivo, la Società deduce la violazione della disciplina in materia di procedure sanzionatorie, ed in particolare del termine di cui all’art. 14, l. n. 689/1981 e degli artt. 4 e 5 del Regolamento in materia di procedure sanzionatorie. Segnatamente, l’atto di contestazione sarebbe stato notificato alla Società ricorrente ben oltre il suddetto termine.

Il motivo è infondato.

Trova applicazione nella specie la disposizione di cui all’art. 5, comma 2, del Regolamento a mente del quale “L’atto di contestazione deve essere notificato al trasgressore, entro novanta giorni dal completo accertamento del fatto ai sensi dell’art. 4, comma 6, con le modalità di cui all’art. 14 della legge 24 novembre 1981, n. 689”. Ai sensi dell’art. 4, comma 6, cit. il responsabile di un qualsiasi ufficio (dell’Autorità) che rilevi una ipotesi di violazione soggetta a sanzione di competenza dell’AGCOM, effettuate, se del caso, ulteriori verifiche e qualificate le fattispecie nei loro pertinenti termini giuridici, a seconda dei casi formula una proposta di archiviazione oppure “propone l’avvio del procedimento sanzionatorio predisponendo lo schema di atto di contestazione”.

Pertanto, il dies a quo è individuato nel momento in cui l’accertamento del fatto è compiutamente avvenuto, vale a dire all’esito di tutta l’attività ascritta al responsabile del procedimento cui spetta, a norma dell’art. 4, comma 6, cit., oltre allo svolgimento dell’attività istruttoria reputata necessaria (ivi comprese le “ulteriori verifiche”), anche il compito di “qualificare le fattispecie nei loro pertinenti termini giuridici”. Solo una volta espletate tali attività, il responsabile proporrà l’avvio del procedimento sanzionatorio predisponendo lo schema di atto di contestazione (ovvero formulando una proposta di archiviazione in caso di manifesta insussistenza della violazione).

Applicando le disposizioni sopra richiamate al caso in esame il “completo accertamento” del fatto deve essere individuato nella trasmissione delle proposte di avvio del procedimento al Direttore prot. 514/11/DIT, del 6 aprile 2011.

Con il quinto motivo, la Società ricorrente lamenta la mancanza di corrispondenza tra la violazione oggetto dell’atto di contestazione e quella oggetto dell’ordinanza di ingiunzione.

Anche tale motivo è infondato.

Dalla lettura dell’atto di contestazione e del verbale di accertamento (28/11/DIT) agli atti emerge chiaramente che l’Autorità ha contestato alla Società ricorrente la violazione dell’art. 4, commi 1 e 2, del predetto Regolamento;
il riferimento all’art. 5, comma 9 nella parte dispositiva dell’atto di contestazione è evidentemente frutto di un mero errore materiale, inidoneo a ledere il diritto di difesa della Società ricorrente nel procedimento sanzionatorio;
la violazione oggetto di contestazione emergeva infatti con chiarezza sia dalle premesse dell’atto di contestazione che dal verbale di accertamento, allegato al primo, ove è richiamato anche il testo della disposizione violata. Di talché la violazione oggetto di accertamento, contestazione e ingiunzione era inequivocabilmente individuata nell’art. 4, commi 1 e 2, del Regolamento.

Con il sesto motivo ed ultimo motivo, la Società ricorrente sottolinea, in estrema sintesi, di aver tenuto una condotta improntata ai principi di correttezza e buona fede, censurando alcuni passaggi motivazionali della delibera impugnata.

Occorre precisare innanzitutto che la violazione contestata dall’Autorità ha ad oggetto l’avvenuta interruzione integrale del servizio in ragione del mancato pagamento di uno dei pacchetti parte dell’abbonamento, pari a €10,77, in pendenza di reclamo ed in presenza di regolari pagamenti per i servizi non contestati. Condotta specificamente e chiaramente sanzionata dall’art. 4 del Regolamento.

In tale contesto, non appare invero illogica la motivazione della Delibera nella parte in cui l’Autorità ha ritenuto verosimilmente avvenuta da parte della cliente una prima comunicazione del disservizio alla Società, in occasione della chiamata al call center del 28.08.11, nella quale la cliente ha chiesto chiarimenti sulla ultima fattura ricevuta.

Ad ogni modo, nodo centrale della motivazione della contestazione è l’avvenuta interruzione del servizio fornito in ragione del mancato pagamento di una fattura parziale, di importo non particolarmente rilevante rispetto al valore del contratto, senza prima rispondere al reclamo presentato.

Anche tale motivo è pertanto infondato.

Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

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