TAR Cagliari, sez. II, sentenza 2012-05-09, n. 201200438

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Cagliari, sez. II, sentenza 2012-05-09, n. 201200438
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Cagliari
Numero : 201200438
Data del deposito : 9 maggio 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00772/2002 REG.RIC.

N. 00438/2012 REG.PROV.COLL.

N. 00772/2002 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 772 del 2002, proposto da:
M G ,C Giuseppe, L T, M P L, M G, rappresentati e difesi dagli avv.ti A P C e S F, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Cagliari, via Dante n.19;

contro

il Comune di Barisardo, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. E C, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo legale in Cagliari, piazza Michelangelo n. 14;

il Responsabile p.t., del Servizio Tecnico del Comune di Barisardo, non costituito in giudizio;

la Regione Autonoma della Sardegna, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti G P e R M, con domicilio eletto in Cagliari presso l’Ufficio Legale Regione Sarda, viale Trento n. 69
l’Assessorato Regionale Pubblica Istruzione, Beni Culturali, Informazione, Sport e Spettacolo, in persona dell’Assessore in carica, non costituito in giudizio;

l’ Assessorato Regionale Enti Locali,Finanze e Urbanistica, in persona dell’Assessore in carica, non costituito in giudizio;;

l’Azienda U.S.L. N. 4 con Sede in Lanusei, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Mauro Pilia, con domicilio eletto in Cagliari presso lo studio dell’avv. Franc Pilia, via Sonnino n.128;

nei confronti di

S Gino, rappresentato e difeso dagli avv.ti Franco Pilia, Paolo G. Pilia e Marco Pilia, con domicilio eletto in Cagliari presso il loro studio legale, via Sonnino n. 128;

per l'annullamento

- del provvedimento di cui alla concessione edilizia n. 24/2002, prot. n. 3135, del 26 marzo 2002, rilasciata dal responsabile del servizio tecnico del Comune di Barisardo, al sig. G S;

- di tutti gli atti presupposti, conseguenziali o, comunque, connessi e, segnatamente:

- del verbale della commissione edilizia n. 4 del 28.2.2001;

- dell'autorizzazione prot. n. 6444 rilasciata dall'assessorato della pubblica istruzione, beni culturali, informazione, spettacolo e sport della Regione Sardegna - Servizio Tutela del Paesaggio di Nuoro, in data 13.11.2000;

- della nota dell'Assessorato EE.LL:, finanze ed urbanistica della Regione Sardegna n. 264/D.G. in data 29.1.2002;

- del parere sanitario n. 13713 del 16.7.2001;

- di tutti gli altri atti tecnici ed amministrativi del relativo procedimento allo stato non conosciuti.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Barisardo, dell’Azienda U.S.L. N. 4 con sede in Lanusei, della Regione Autonoma della Sardegna e del sig. G S;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 aprile 2012 il dott. T A e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

I ricorrenti espongono di essere proprietari di diversi appezzamenti di terreno siti nel territorio del Comune di Barisardo, località “Regiabis”, in zona classificata E (agricola) dal vigente strumento urbanistico.

In detti terreni, utilizzati per le attività agricole, insistono diverse civili abitazioni, ove taluni di loro risiedono.

Con il ricorso in esame, notificato il 27 maggio 2002 e depositato il successivo 10 giugno, espongono di aver avuto conoscenza dell’avvenuto rilascio al sig. G S, proprietario dell’area adiacente ai loro terreni, della concessione edilizia per la realizzazione di un impianto industriale di lavorazione di materiali inerti, con annesso fabbricato.

Poiché, come appurato dall’esame dei documenti acquisiti presso l’amministrazione, tale intervento ricade su un’area classificata zona E (agricola), hanno impugnato il predetto titolo edilizio rilasciato al controinteressato lamentandone l’illegittimità per i seguenti motivi:

1) Violazione dell’art. 41 quater, legge 17 agosto 1942 n. 1150 e dell’art. 3, legge 21 dicembre 1955 n. 1357, violazione della norma regionale in materia di destinazione di zona, violazione degli strumenti urbanistici comunali, difetto di istruttoria e di motivazione, falsità del presupposto e/o travisamento dei fatti, illogicità e sviamento: in quanto l’amministrazione comunale, in assenza delle condizioni richieste per la concessione di deroghe, avrebbe autorizzato la realizzazione di un insediamento industriale in zona agricola E anziché nella zona D (uso industriale, artigianale e commerciale) prevista dallo strumento urbanistico;

2) Mancata esplicitazione dell’iter logico seguito ai fini dell’adozione del provvedimento in esame, anche con riguardo alla mancata valutazione degli interessi coinvolti;

3) Violazione dell’art. 41 bis della legge n. 1150/1942: in quanto, comunque, la deroga sarebbe stata concessa in assenza della preventiva delibera del consiglio comunale;

4) Violazione dell’art. 216 R.D. 27 luglio 1934 n. 1265 (TU leggi sanitarie): in quanto non si sarebbe tenuto conto del fatto che le attività di lavorazione e trasformazione di minerali non metallici sono incluse tra le lavorazioni insalubri e che, come tali, vanno isolate nelle campagne e tenute lontani dalle abitazioni;

5) Violazione della normativa in materia paesistica: l’intervento, infatti, ricade in area ricompresa all’interno del PTP n. 6, nella fascia costiera, entro i 2 Km dalla linea di battigia, in zona vincolata ai sensi della legge n. 29 giugno 1939 n. 1497, nella quale non sarebbero realizzabili impianti industriali. In ogni caso, la concessione edilizia rilasciata al sig. S sarebbe illegittima per la violazione dell’art. 35 delle norme di attuazione del PTP n. 6, per la mancata adozione, da parte del consiglio comunale, di un atto ricognitivo/programmatorio per l’edificabilità della zona;

6) Violazione dell’art. 78 del D.Lgvo 18 agosto 2000 n. 267: in quanto il progetto dell’opera è stato redatto dal geom. P. Paolo Casu, il quale ricopre la carica di assessore ai lavori pubblici e vice Sindaco del Comune di Barisardo e che, pertanto, ai sensi del 3° comma della richiamata disposizione, si sarebbe dovuto astenere dall’esercizio di attività professionale nel territorio amministrato;

7) Violazione dell’art. 16 R.D. 11 febbraio 1929 n. 274: in quanto la progettazione di un’opera destinata ad attività industriale non rientrerebbe, comunque, nelle competenze professionali di un geometra;

8) Falsità di presupposto , travisamento dei fatti e difetto di istruttoria: in quanto il richiedente avrebbe omesso si segnalare l’esistenza di alcuni pozzi nelle immediate vicinanze dell’impianto;

9) Violazione del d.p. cons. 14 novembre 1997 e del d.p. cons. 1° marzo 1991, per il superamento dei limiti acustici previsti;

10) Violazione dell’art. 6 del dpr n. 203 del 24 maggio 1988 per la violazione delle prescrizioni in materia di autorizzazione alla svolgimento di attività comportanti l’emissione di polveri.

Concludevano quindi i ricorrenti chiedendo, previa sospensione, l’annullamento del provvedimento impugnato, con ogni consequenziale pronuncia di legge.

Per resistere al ricorso si è costituito il comune di Barisardo.

Per resistere all’impugnazione si sono altresì costituiti la Regione Autonoma della Sardegna, l’Azienda USL n. 4 di Lanusei e il sig. G S, che hanno tutti chiesto la reiezione del ricorso con favore delle spese.

Il legale del Comune di Barisardo, in data 19 giugno 2002, ha depositato il provvedimento n. 5989 del 18 giugno 2002, di annullamento in autotutela dell’impugnata concessione edilizia n. 24/2002.

Conseguentemente, alla camera di consiglio del 19 giugno 2002, l’esame della domanda cautelare proposto dai ricorrenti è stato rinviato al merito.

Alla pubblica udienza del 19 aprile 2012, sentiti i difensori delle parti, la causa è stata posta in decisione.

DIRITTO

Va innanzi tutto precisato che il provvedimento n. 5989 del 18 giugno 2002, di annullamento in autotutela della concessione edilizia n. 24/02 rilasciata in favore dell’odierno controinteressato G S, è stato da quest’ultimo impugnato con il ricorso iscritto al n. 1163/2002 del registro di segreteria, anch’esso fissato per l’odierna udienza di discussione.

Orbene, l’acclarata fondatezza di tale impugnazione, per la quale si rinvia alla sentenza oggi pronunciata su tale ricorso, comporta, nel caso in esame, in luogo della declaratoria dell’improcedibilità del gravame invocata dalla difesa comunale, la reviviscenza dell’interesse dei ricorrenti ad una pronuncia del Tribunale sul merito del ricorso.

Deve quindi passarsi all’esame delle diverse censure proposte da questi ultimi avverso il provvedimento edilizio impugnato in quanto nuovamente efficace dopo l’annullamento dell’atto di autotutela.

Con il primo motivo si deduce, in sostanza, la violazione della normativa urbanistica in quanto l’amministrazione comunale, in assenza delle condizioni richieste per la concessione di deroghe, avrebbe autorizzato la realizzazione di un insediamento industriale in zona agricola E anziché nella zona D (uso industriale, artigianale e commerciale), pure prevista dallo strumento urbanistico vigente.

L’argomento non merita accoglimento.

Ai sensi dell’art 3 del D.A. 22 dicembre 1983 n. 2266/U (cd decreto Floris), le zone agricole sono “le parti del territorio destinate ad usi agricoli e quelle con edifici, attrezzature ed impianti connessi al settore agro-pastorale e a quello della pesca, e alla valorizzazione dei loro prodotti”.

L’art. 4 del medesimo decreto stabilisce che con deliberazione del consiglio comunale l’indice fondiario massimo stabilito per le zone E potrà essere elevato fino a 0,10 mc/mq per punti di ristoro, attrezzature ed impianti di carattere particolare che per loro natura non possono essere localizzati in altre zone omogenee…”.

La norma, cioè, consente che in zona E possano essere realizzati “…attrezzature ed impianti di carattere particolare che per loro natura non possono essere localizzati in altre zone omogenee…”, e che per esse l’indice fondiario massimo, stabilito in 0,03 mc/mq, può essere elevato fino a 0,10 mc/mq con delibera del consiglio comunale.

Orbene, a seguito della richiesta del titolo edilizio presentata dal sig. S il Comune di Barisardo ha inoltrato richiesta di parere di ammissibilità urbanistica all’Assessorato regionale EE.LL., Finanze e Urbanistica, il quale, con nota n. 264/DG del 29 gennaio 2002, in applicazione di tale disposizione, ha ritenuto ammissibile l’intervento in questione “…in quanto riconducibile alla fattispecie delle opere di carattere particolare di cui all’art. 4 del D.A. n. 2266/U/83 che per la loro natura non possono essere localizzate in altre zone omogenee…”.

Il Collegio condivide l’interpretazione del quadro normativo operata dall’amministrazione regionale.

Va innanzitutto premesso che la destinazione a zona agricola di un’area, salva la previsione di particolari vincoli ambientali o paesistici, non impone in positivo un obbligo specifico di utilizzazione effettiva in tal senso, bensì, in negativo, ha lo scopo solo di evitare insediamenti residenziali;
pertanto, non costituisce ostacolo all’installazione di opere che non riguardino l’edilizia residenziale e che, per contro, si rivelino incompatibili con zone abitate (cfr Cons. Stato, sez. V, 15.6.2001 n. 3178).

Orbene, come si ricava dalla relazione tecnica allegata al progetto, l’intervento per cui è causa tende all’ampliamento dell’attività del sig. G S, operante nel settore edilizio, mediante la realizzazione di un impianto per la lavorazione di inerti di natura alluvionale provenienti da escavazione.

Risulta altresì prevista la costruzione di un fabbricato, composto da un piano terra destinato parte ad uso abitativo e parte a ufficio e a deposito attrezzature.

E’ dunque evidente che, nel suo complesso, si tratta di un’attività intimamente connessa a quella estrattiva, che dev’essere necessariamente svolta nelle immediate vicinanze della cava dalla quale provengono i materiali oggetto di lavorazione.

La possibile diversa localizzazione dell’area di realizzazione dell’impianto, del resto, era già stata valutata dall’ufficio regionale investito della predetta richiesta di parere di ammissibilità urbanistica, ed era stata esclusa proprio per la grave penalizzazione che, sotto il profilo economico e commerciale, l’azienda del richiedente, avrebbe subito dall’allontanamento dell’impianto.

Deve dunque ritenersi che la richiesta del sig. S concernesse un impianto funzionale ad un’attività ben suscettibile di essere ricompresa tra quelle eccezionalmente consentite in zone E, in ragione della sostanziale preclusione al suo svolgimento che deriverebbe dalla rigida interpretazione negativa delle previsioni di zona del territorio comunale oggi pretesa dai ricorrenti.

E ciò, deve rilevarsi, anche in assenza della previa deliberazione del consiglio comunale, il cui intervento è richiesto solo per il caso di intervento che preveda un incremento volumetrico rispetto all’indice ordinariamente previsto per le zone agricole, incremento che non risulta previsto nel caso di specie.

Di qui il rigetto della censura.

Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la mancata esplicitazione dell’iter logico seguito ai fini dell’adozione del provvedimento edilizio impugnato, anche con riguardo alla mancata valutazione degli interessi coinvolti.

L’argomento è privo di pregio.

Il progetto del sig. G S, infatti, ha ricevuto il necessario titolo edilizio al termine di un’articolata istruttoria nella quale sono stati acquisiti, tra l’altro, sia il nulla osta dell’Ufficio Tutela del Paesaggio di Nuoro, sia il parere favorevole dell’Autorità Sanitaria.

E’ stato inoltre già evidenziato che l’ufficio regionale investito della richiesta di parere di ammissibilità urbanistica, richiamato nel provvedimento impugnato, aveva valutato la possibile diversa localizzazione dell’area di realizzazione dell’impianto, ma aveva ritenuto di escluderla per la grave penalizzazione che l’azienda del richiedente avrebbe subito sotto il profilo economico e commerciale.

Ebbene, tale interesse imprenditoriale è stato ritenuto prevalente rispetto agli altri interessi privati coinvolti e ritenuti oggi dai ricorrenti indebitamente pretermessi, da un lato perché trattandosi di zona agricola non può che ritenersi recessivo l’interesse di coloro che vi risiedono e che vorrebbero precludere lo svolgimento di attività che, semmai, sarebbero incompatibili con zone a destinazione residenziale ma non – certamente – per quanto sopra detto, con l’utilizzo di zone a destinazione agricola.

Dall’altro lato risultano meramente enunciate, senza indicazione del minimo supporto probatorio, le lamentate “…possibili negative conseguenze economiche per le attività agricole esercitate nelle adiacenze del progettato insediamento” di cui a pag. 6 del ricorso.

Con conseguente infondatezza anche di questa censura.

Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 41 bis della legge n. 1150/1942 in quanto la deroga sarebbe stata concessa in assenza della preventiva delibera del consiglio comunale.

Come già evidenziato tale censura è infondata in quanto, ai sensi dell’art. 4 del c.d. decreto Floris, per le zone E, la delibera del Consiglio comunale è richiesta solo per il caso di intervento che preveda un incremento volumetrico rispetto all’indice ordinariamente previsto per le zone agricole, incremento che, invece, non risulta previsto nel caso di specie.

Con il quarto motivo si lamenta la violazione dell’art. 216 R.D. 27 luglio 1934 n. 1265 (TU leggi sanitarie), in quanto non si sarebbe tenuto conto del fatto che le attività di lavorazione e trasformazione di minerali non metallici sono incluse tra le lavorazioni insalubri e che, come tali, vanno isolate nelle campagne e tenute lontani dalle abitazioni.

Neanche tale argomento è decisivo in quanto, come detto, la realizzazione in zona agricola dell’intervento in questione soddisfa per definizione l’esigenza di una sua collocazione isolata nelle campagne e lontano dalle abitazioni, dovendosi ritenere che la ratio di tale disposizione sia quella di prevedere la realizzazione di questo tipo di interventi lontano dagli insediamenti abitativi consistenti in un nucleo minimo di unità adibite ad uso residenziale, non potendosi certo ritenere preclusiva di ogni intervento in zona agricola l’esistenza, come nel caso di specie, di qualche isolata casa di abitazione.

La quinta censura concerne l’asserita violazione della normativa in materia paesistica: l’intervento, infatti, ricade in area ricompresa all’interno del PTP n. 6, nella fascia costiera, entro i 2 Km dalla linea di battigia, in zona vincolata ai sensi della legge n. 29 giugno 1939 n. 1497, nella quale non sarebbero realizzabili impianti industriali. In ogni caso, la concessione edilizia rilasciata al sig. S sarebbe illegittima per la violazione dell’art. 35 delle norme di attuazione del PTP n. 6, per la mancata adozione, da parte del consiglio comunale, di un atto ricognitivo/programmatorio per l’edificabilità della zona.

Neanche tale argomento è meritevole di pregio.

Come si ricava dalle difese regionali, l’intervento in questione ricade in ambito 2b del PTP ed è conforme alle NTA.

Esso, infatti, concerne l’ampliamento di un’impresa già esistente ed operante alla data della richiesta presentata dal sig. S, ritenuto coerente con i valori tutelati sulla base di valutazioni discrezionali insindacabili in sede giurisdizionale se non in presenza di vizi di manifesta illogicità o irragionevolezza insussistenti nel caso di specie.

Sempre in conformità delle difese regionali, rimaste incontestate sul punto, l’intervento in questione deve altresì ritenersi ammissibile:

con riguardo all’art. 19 delle NTA, il quale annovera tra gli usi compatibili con l’ambito 2b quelli di cui alla lettera G.a della tabella allegata, che espressamente menziona l’attività di lavorazione del materiale di cava;

con riguardo al medesimo art. 19, lettera I.b della tabella allegata, essendo l’attività qualificabile come impianto artigianale che produce esclusivamente materie semilavorati per l’edilizia.

In ogni caso, anche con riguardo all’ulteriore censura di violazione dell’art. 35 delle NTA del predetto PTP n. 6, il Tar Sardegna, con sentenza n. 1204 del 6 ottobre 2003, ha annullato il decreto n. 271 in data 6/8/1993 con il quale il Presidente della Giunta Regionale ha reso esecutivo il piano territoriale paesistico n. 6 della Sardegna Orientale, approvato con deliberazione della Giunta Regionale n. 28/6 in data 3/8/1993, con la conseguenza che per l’effetto retroattivo dell’annullamento deve ritenersi intervenuta l’improcedibilità della censura in esame.

Con la sesta censura si lamenta la violazione dell’art. 78 del D.Lgvo 18 agosto 2000 n. 267, in quanto il progetto dell’opera è stato redatto dal geom. P. Paolo Casu, il quale ricopre la carica di assessore ai lavori pubblici e vice Sindaco del Comune di Barisardo, e che, pertanto, ai sensi del 3° comma della richiamata disposizione, si sarebbe dovuto astenere dall’esercizio di attività professionale nel territorio amministrato.

Tale circostanza di fatto non è contestata da controparte.

Il motivo è fondato.

L'art. 19, comma 1, della l. 3 agosto 1999, n. 265 ha stabilito che "i componenti la giunta comunale competenti in materia di urbanistica, di edilizia e di lavori pubblici devono astenersi dall'esercitare attività professionale in materia di edilizia privata e pubblica nel territorio da essi amministrato".

La disposizione, per effetto dell'art. 31 della stessa legge, è stata trasposta, con contestuale abrogazione espressa, all'art. 78, comma 3°, del d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico degli enti locali)

Le questioni che qui vengono in rilievo riguardano:

a) l'applicabilità o meno di tale disposizione statale in ambito regionale pur in assenza di un "recepimento" espresso;

b) se la violazione del previsto divieto di svolgere l'attività professionale di tipo "tecnico" possa cagionare o meno l'illegittimità del provvedimento amministrativo.

Quanto al primo profilo è sufficiente rilevare che l'art. 78, comma 3, del d. lgs. n. 267 del 2000 ha inteso disciplinare l'attività professionale (privata) dei titolari di uffici pubblici, nell'ambito del territorio da essi amministrato, in special modo in quei settori potenzialmente conflittuali con l'ente territoriale, pur non comminando, in caso di inosservanza, la decadenza degli amministratori dalla carica ricoperta.

Nel caso in esame, il componente della Giunta non solo non si è astenuto - in violazione della legge - dallo svolgere attività professionale nel territorio, ma l'ha pure svolta attivamente in relazione ad un procedimento edilizio di competenza del Comune (inteso quale Amministrazione pubblica) da esso amministrato.

E ciò malgrado la disposizione contenuta nell'art. 78 del d. lgs. n. 267 del 2000 costituisca espressione del principio di imparzialità e di buona amministrazione di cui all'art. 97 della Costituzione e di cui alla legge 7 agosto 1990 n. 241.

Ciò precisato, quanto alle conseguenze della violazione del divieto di esercitare l'attività professionale de qua, ritiene il Collegio che sia da respingere una lettura della norma tendente a ritenere la stessa priva di sanzioni.

Se è vero, come detto, che la predetta previsione non cagiona la decadenza dell'amministratore, a parte le conseguenze sul piano professionale per la violazione delle regole deontologiche (nonché, eventualmente, quelle penali ex art. 323 c.p.), non può altrettanto affermarsi la legittimità, in astratto, di un procedimento amministrativo, di competenza del Comune, nel quale il professionista svolge le funzioni assessoriali, ed al quale detto professionista abbia partecipato nella qualità: nel caso di specie, la produzione degli elaborati tecnici a corredo dell'istanza.

In altre parole, l'istanza del controinteressato, sol perché proposta sulla base di documenti tecnici redatti nell'esercizio di attività professionale da parte di soggetto soggiacente al divieto in argomento, non poteva ritenersi accoglibile, e ciò sulla base della considerazione che la predetta attività professionale non solo ha inciso, per la sua natura e per i suoi contenuti, in maniera significativa sull'azione amministrativa, quantunque formalmente condotta da altri organi, ma anche perché essa ha reso l'istanza dell'odierno controinteressato illegittimamente proposta.

Né vale in contrario il rilievo secondo cui tale illegittimità non potrebbe ipotizzarsi stante l'assenza di poteri provvedimentali in capo ai componenti della giunta: è sufficiente, in tal senso, osservare che il divieto di cui all'art. 19 della l. n. 265 del 1999 prima, e dell'art. 78, comma 3, del d. lgs. n. 267 del 2000, poi, è stato introdotto dal legislatore non solo (già) in assenza di un non meglio definito generale potere monocratico provvedimentale dei componenti della giunta, ma anche in un momento in cui il sistema ordinamentale degli enti locali sia statale che regionale aveva, da tempo, puntualmente sottratto ogni competenza in materia di edilizia ed urbanistica agli organi politici per assegnarlo agli organi burocratici (cfr. l. n. 127 del 1997, l. n. 191 del 1998;
per la Sicilia, v. art. 2, comma 3 l.r. n. 23 del 1998).

Siffatto espresso divieto è stato dunque inteso, sin dall'origine, dal legislatore quale strumento applicativo dei richiamati canoni di imparzialità e buona amministrazione (oltre che di concorrenza tra i professionisti titolari di cariche pubbliche e quelli privi di tale status), e di tutela anche dei terzi eventualmente controinteressati.

Per le suesposte ragioni, dunque, il provvedimento impugnato non resiste alla dedotta censura.

Di qui il suo annullamento, con assorbimento di ogni ulteriore censura.

Sussistono peraltro giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.

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