TAR Roma, sez. I, sentenza 2016-02-02, n. 201601436
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N. 01436/2016 REG.PROV.COLL.
N. 02079/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale n. 12873/15, proposto dalla Telkom s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti A C, A V, M M, M C M e G L e con questi elettivamente domiciliata in Roma, via del Governo Vecchio, n. 20,
contro
l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato presso i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è per legge domiciliata, nonché
nei confronti di
Sky Italia s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giuseppe Franco Ferrari, Simona Motta e Ernesto Papponetti e con questi elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Ferrari in Roma via di Ripetta, n. 142,
Centro Tutela Consumatori Utenti, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio,
per l'annullamento
del provvedimento n. 0012957 del 22 gennaio 2015, notificato a Telkom il 26 gennaio 2015, a chiusura del procedimento PS9248, avviato dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato nella parte in cui: a) ha accertato che la pratica commerciale descritta al punto II, lett. a), posta in essere da Telkom, è scorretta ai sensi degli artt. 20, 24 e 25 del Codice del consumo;b) ne ha vietato la diffusione o continuazione e c) ha irrogato una sanzione amministrativa pecuniaria di € 320.000;della delibera del 18 giugno 2014, con la quale l’Autorità ha comunicato l’avvio del procedimento istruttorio in materia di pratiche commerciali scorrette, nei confronti di Telkom e di Sky Italia;della comunicazione del 13 ottobre, con la quale Agcm, facendo riferimento all’insufficienza del quadro probatorio a sua disposizione, ha comunicato l’inversione dell’onere probatorio ai sensi dell’art. 15 del proprio Regolamento;di ogni altro atto e/o comportamento presupposto, conseguenziale e/o connesso.
Visti il ricorso ed i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm);
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Sky Italia s.r.l.;
Viste le memorie prodotte dalle parti in causa costituite a sostegno delle rispettive difese;
Vista l’ordinanza di questa Sezione n. 6861 del 12 maggio 2015;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 27 gennaio 2016 il Consigliere Giulia Ferrari;uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale;
Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:
FATTO
1. Con ricorso notificato in data 9 febbraio 2015 e depositato il successivo 10 febbraio la Telkom s.p.a. ha impugnato il provvedimento n. 0012957 del 22 gennaio 2015, a chiusura del procedimento PS9248, avviato dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato nella parte in cui: “a) ha accertato che la pratica commerciale descritta al punto II, lett. a), posta in essere da Telkom, è scorretta ai sensi degli artt. 20, 24 e 25 del Codice del consumo;b) ne ha vietato la diffusione o continuazione e c) le ha irrogato una sanzione amministrativa pecuniaria di € 320.000”, nonché la comunicazione del 13 ottobre, con la quale Agcm, assumendo l’insufficienza del quadro probatorio a sua disposizione, ha comunicato l’inversione dell’onere probatorio ai sensi dell’art. 15 del proprio Regolamento.
Espone, in fatto, di operare nel mercato della gestione e recupero dei crediti, scaduti e/o insoluti, per conto di società e professionisti attivi in diversi settori dell’economia, che offrono i propri servizi al pubblico, tra i quali Sky Italia. Aggiunge di non seguire tutte le fasi del recupero del credito, in quanto è il committente (nella specie, Sky Italia) che le assegna di volta in volta blocchi di posizioni creditorie vantate rispetto a diversi creditori e relative ad una data fase.
Il procedimento inizia con l’invio, da parte della ricorrente, al debitore di una comunicazione con l’invito a contattare il professionista in relazione alle prestazioni erogate. Trascorsi 45/60 giorni inizia la seconda fase, con l’invio di una e mail o lettera di messa in mora, con la descrizione del credito al fine di assicurare al destinatario tutte le informazioni necessarie per valutarne la fondatezza e, nel caso, procedere alla relativa contestazione. L’Agcm ha riconosciuto la correttezza di tale modus operandi. L’ultima fase è quella del recupero giudiziale del credito che la ricorrente gestisce per Sky su specifico mandato. La fase è avviata decorsi 220/340 giorni dall’effettuazione del sollecito epistolare rimasto infruttuoso. Per tale fase la ricorrente si avvale di avvocati esterni ai quali delega la gestione dell’intera attività giudiziale e con i quali stipula un contratto quadro di assistenza e consulenza. In caso di reclamo la ricorrente sospende il recupero e inoltra la contestazione al committente. Quest’ultimo comunica a Telkom se il reclamo è fondato (per avvenuto pagamento o per disdetta del servizio), nel qual caso la pratica di recupero è chiusa definitivamente, o infondato, e in questo caso, invece, si prosegue con il recupero del credito. Il contratto di committenza tra Telkom e Sky prevede sia la gestione da parte di Telkom delle contestazioni che dovessero essere opposte dai clienti verso i quali si procede, sia la possibilità di negoziare una transazione con detti clienti, nei limiti del mandato ad essa conferito. Con delibera 18 giugno 2014 l’Autorità ha comunicato l’avvio del procedimento istruttorio in materia di pratiche commerciali scorrette nei confronti di Telkom e di Sky Italia, su segnalazione di consumatori, per possibile violazione degli artt. 20, 21, 22, 24 e 25 del Codice del consumo mediante le seguenti pratiche commerciali: a) Sky e Telkom “avrebbero inoltrato a diversi consumatori – al fine di recuperare presunti crediti – atti di citazione in giudizio presso sedi di Giudice di pace senza il rispetto del foro competente” (pratica sub A);b) Telkom “avrebbe sollecitato a diversi consumatori – con diverse modalità, tra cui l’inoltro di sms volti ad invitare a mettersi in contatto con un numero telefonico di rete fissa per … verifiche – il pagamento … di presunti crediti, contestati da parte degli stessi consumatori, anche minacciando il recupero giudiziale degli stessi” (pratica sub B).
Ancorchè convinta della correttezza del proprio operato la ricorrente, in data 1 agosto 2014, ha sottoposto all’Autorità una proposta di Impegni ai sensi dell’art. 27, comma 7, del Codice del consumo e dell’art. 9 del Regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pubblicità ingannevole e comparativa, pratiche commerciali scorrette, violazione dei diritti dei consumatori nei contratti, clausole vessatorie. In particolare, la società si è impegnata a: predisporre una Carta dei servizi, allegata agli Impegni, volta a favorire un rapporto diretto e continuo con gli utenti;creare un apposito “Ufficio reclami” quale unità interna per il coordinamento dei reclami riconducibili all’attività di recupero scelta dalla Società ricorrente;incrementare le ore di formazione dei propri dipendenti e dei collaboratori esterni, perfezionare il già esistente software ed il portale interno per la gestione delle azioni legali;monitorare mensilmente l’operato degli incaricati del recupero crediti giudiziale e/o le pratiche di phone collection (contatto telefonico, sms e e mail);adottare informative ai debitori più chiare e trasparenti. Tale proposta è stata però rigettata dall’Agcm ritenendo che le condotte indagate “ove accertate, potrebbero integrare fattispecie di pratiche commerciali manifestamente scorrette e gravi, per le quali l’art. 27, comma 7, del Codice del consumo non può trovare applicazione”. Infine, con l’impugnata delibera n. 12957 del 22 gennaio 2015 l’Agcm ha rilevato in capo alla Telkom la sussistenza di una pratica commerciale scorretta ed aggressiva, in violazione degli artt. 20, 24 e 25 del Codice del consumo, consistente nell’aver inoltrato nel periodo 2012-2014 a diversi consumatori, per il tramite di avvocati, atti di citazione presso sedi di Giudice di pace diverse da quelle territorialmente competenti senza poi iscrivere a ruolo le cause. A parere dell’Autorità oltre ad avere un fine meramente aggressivo, detta condotta non sarebbe stata conforme al livello di diligenza professionale esigibile ed era tale da falsare in misura apprezzabile il comportamento economico dei consumatori interessati “ingenerando il convincimento che, a prescindere dalla fondatezza della propria posizione debitoria, sia preferibile provvedere rapidamente al pagamento dell’importo richiesto, piuttosto che esporsi ad un contenzioso giudiziario”. Sempre a suo avviso la motivazione di tale convincimento deriverebbe dal combinato disposto di tre elementi: a) la circostanza che più del 10% degli atti di citazione censiti nel triennio 2012-2014 risulta notificato presso la sede del Giudice di pace non competente;b) l’indicazione di una data fittizia della prima udienza;c) la mancata iscrizione a ruolo dei suindicati atti di citazione. L’Agcm ha quindi ritenuto consistente solo il primo addebito comunicato con la delibera 18 giugno 2014 (e riferito a comportamento peraltro cessato già molto tempo prima dell’avvio del procedimento) e solo per esso ha comminato la sanzione di € 320.000,00.
2. Avverso i predetti provvedimenti la ricorrente è insorta deducendo:
a) Violazione e falsa applicazione artt. 18-20, 24, 25 del Codice del consumo, art. 3, l. n. 689 del 1981 e 14 delle preleggi al codice civile – Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione – Illogicità – Travisamento dei fatti e difetto dei presupposti.
Illegittimamente il provvedimento sanziona la ricorrente per fatti attribuiti alla società (Sky Italia s.r.l.), per conto della quale ha svolto l’attività di recupero crediti.
b) Violazione e falsa applicazione artt. 18-20 e 24, 25 del Codice del consumo – Eccesso di potere per difetto di motivazione e carenza istruttoria – Travisamento dei fatti ed ingiustizia manifesta – Contraddittorietà.
Sanzionando solo una delle due condotte inizialmente indagate, l’Agcm ha riconosciuto la correttezza del modus operandi di Telkom nel recupero crediti per conto terzi. Infatti la società procede con passaggi graduali per consentire ai consumatori di avere tutte le informazioni necessarie per valutare ed eventualmente contestare la fondatezza delle pretese creditorie. Ne consegue che il consumatore/debitore, essendo già stato messo nelle condizioni di pagare o contestare il debito scaduto (con la pratica sub b delle contestazioni del 18 giugno 2014), non è mai “sprovveduto” di fronte all’eventualità, già paventata nella lettera di solleciti, del recupero giudiziale del credito, che è svolto da studi legali esterni incaricati in virtù di specifici contratti quadro. Nonostante ciò, l’Agcm ha ritenuto di dover sanzionare la ricorrente anche per aver notificato atti di citazione presso il foro incompetente. Aggiungasi che nel periodo di riferimento (tra il 2008 e il 30 giugno 2014) più del 95% degli atti prodotti sono stati notificati presso il Giudice di pace competente.
c) Violazione e falsa applicazione artt. 20, 24 e 25, d.lgs. n. 206 del 2005 nonché 11, l. n. 689 del 1981 – Eccesso di potere per difetto ed insufficienza della motivazione nonché per carenza o incompletezza dell’istruttoria e travisamento dei fatti, sotto altro profilo.
L’Autorità avrebbe dovuto congruamente motivare sull’incidenza, sul comportamento del consumatore, della notifica della citazione presso un giudice diverso.
d) Violazione e falsa applicazione artt. 20, 24 e 25, d.lgs. n. 206 del 2005 nonché 11, l. n. 689 del 1981 – Violazione del principio del contraddittorio e dei diritti di difesa – Violazione del principio del buon andamento e correttezza dell’azione amministrativa – Difetto ed insufficienza della motivazione – Carenza o incompletezza dell’istruttoria e travisamento dei fatti.
L’Agcm ha imputato alla ricorrente, quale pratica commerciale scorretta ed aggressiva, posta in essere tra gennaio 2012 e giugno 2013, la circostanza che i legali esterni avessero (autonomamente e senza alcuno specifico mandato allo scopo) notificato un certo numero di atti di citazione presso sedi di Giudice di pace diverse da quelle territorialmente competenti e senza procedere, poi, ad iscrivere a ruolo la causa. In effetti però più del 95% degli atti prodotti sono stati notificati presso il Giudice di pace del luogo di residenza del consumatore. Come riconosciuto anche da Agcm, la percentuale di notifiche “errate” è quasi interamente riferibile al 2012, si riduce nel 2013 (solo il 4%) e scompare quasi nel 2014. Ne consegue l’infondatezza della tesi secondo cui la Telkom avrebbe fatto uso di una pratica commerciale scorretta e aggressiva.
e) Violazione e falsa applicazione art. 12 della Delibera Agcm n. 24955 del 5 giugno 2014 – Eccesso di potere – Carenza di istruttoria e di motivazione – Violazione dei principi del contraddittorio e di imparzialità.
Il provvedimento impugnato è viziato anche sotto il profilo procedimentale, avendo l’Agcm negato a Telkom un’audizione, benché più volte richiesta.
f) Sulla illegittimità ed iniquità della sanzione e del suo ammontare – Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 bis della Direttiva 2002/21/Ce ss.mm., dell’art. 27, comma 9, e 13, d.lgs. n. 206 del 2005 e 3, l. n. 689 del 1981. Insufficienza della motivazione, carenza istruttoria e travisamento dei fatti – Eccesso di potere per disparità di trattamento – Violazione dei principi di adeguatezza e proporzionalità.
In via subordinata, è viziata la quantificazione della sanzione, che risulta sproporzionata con riferimento ai parametri previsti dall’art. 11, l. n. 689 del 1981.
3. Si è costituita in giudizio l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm), che ha sostenuto l’infondatezza, nel merito, del ricorso.
4. Si è costituita in giudizio la Sky Italia s.r.l., che ha sostenuto l’infondatezza, nel merito, del primo motivo di ricorso, con il quale Telkom afferma l’illegittimità del provvedimento sanzionatorio impugnato nella parte in cui addebita ad essa, e non alla mandante Sky, i fatti contestati.
5. Alla Camera di consiglio del 25 febbraio 2015, sull’accordo delle parti, l’esame dell’istanza di sospensione cautelare è stato abbinato al merito.
6. Con ordinanza di questa Sezione n. 6861 del 12 maggio 2015 è stata disposta l’estensione del contraddittorio ai legali esterni di cui la ricorrente si è servita, in virtù di una procura generale alle liti, per rappresentare e difendere Sky – in piena e assoluta autonomia – in tutte le controversie giudiziali, attive e passive, innanzi a qualunque Autorità giudiziaria ordinaria, per il recupero dei crediti vantati dalla predetta Sky in conseguenza del mancato pagamento da parte di abbonati.
7. Con deposito del 13 luglio 2015 la ricorrente ha dimostrato l’avvenuto corretto adempimento dell’ordine di integrazione del contraddittorio.
8. All’udienza del 27 gennaio 2016 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. Come esposto in narrativa la Telkom s.p.a. - operatore nel mercato della gestione e recupero dei crediti, scaduti e/o insoluti, per conto di società e professionisti attivi in diversi settori dell’economia -
ha impugnato il provvedimento n. 0012957 del 22 gennaio 2015 con il quale l’Autorità garante della concorrenza e del mercato le ha irrogato una sanzione amministrativa pecuniaria di € 320.000 per pratica commerciale scorretta.
Il procedimento era stato avviato con la contestazione di due pratiche commerciali: la prima rappresentata dal fatto che la ricorrente avrebbe inoltrato ai consumatori, al fine di recuperare presunti crediti, atti di citazione in giudizio presso sedi di Giudici di pace senza il rispetto del foro competente e senza poi procedere ad iscrivere a ruolo la causa. La pratica assumerebbe i connotati della scorrettezza ed aggressività ai sensi degli artt. 24 e 25 del Codice del consumo perché idonea ad indurre il consumatore ad assumere una decisione di natura commerciale che altrimenti non avrebbe preso. La seconda pratica sarebbe rappresentata dal fatto che la Telkom avrebbe sollecitato a diversi consumatori – con diverse modalità – il pagamento, su incarico di Sky, di presunti crediti, contestati da parte degli stessi consumatori, anche minacciando il recupero giudiziale degli stessi. A seguito dell’istruttoria compiuta e della documentazione acquisita l’Antitrust ha però ritenuto – in difformità al parere reso dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni – che tale seconda pratica non risultava scorretta, non essendo stata compiuta in modo da falsare in misura apprezzabile il comportamento economico dei consumatori interessati.
In relazione alla sola prima pratica la Telkom è stata quindi sanzionata al pagamento di € 320.000 in considerazione della: a) gravità,considerati la dimensione economica del professionista, la natura dell’infrazione, il potenziale pregiudizio arrecato ai consumatori e l’ampiezza della pratica, su scala nazionale, che ha interessato un rilevante numero di consumatori;b) durata della violazione, essendo stata posta in essere in un ampio arco temporale pari quantomeno a diciotto mesi (tutto il 2012 e metà 2013), periodo in cui risulta un considerevole numero di atti di citazione notificati presso una sede diversa da quella competente, non iscritti a ruolo e con l’indicazione di una fittizia data di prima udienza.
2. Con la seconda censura, dedotta con il primo motivo, la ricorrente afferma che alla fattispecie contestata non sarebbe applicabile il Codice del consumo, non essendo il destinatario dell’atto di citazione qualificabile come “consumatore”.
Tale censura, da cui per ragioni di ordine logico occorre prendere le mosse, non è suscettibile di positiva valutazione.
Giova premettere che, come affermato dalla stessa ricorrente, essa costituisce una società operante nella gestione e recupero di crediti scaduti e/o insoluti per conto di società e professionisti attivi in diversi settori dell’economia.
Il Codice del Consumo, all’art. 18, comma 1, lett. d), ricalcando l’art. 5, comma 2, della Direttiva 2005/29/CE, offre una definizione di pratica commerciale molto ampia, tale da includere “qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale, ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori”.
Il successivo art. 19 del Codice del consumo, al comma 1, delimita l’applicazione delle norme in esame “alle pratiche commerciali scorrette tra professionisti e consumatori poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa ad un prodotto”.
Ne consegue che nella nozione di pratiche commerciali scorrette vanno inclusi anche i comportamenti con i quali il professionista incide sulle scelte del consumatore in tutte le fasi del rapporto di consumo e quindi anche quelli posti in essere successivamente alla stipula del contratto, realizzati nell’ambito delle vicende estintive del rapporto tra professionista e consumatore (Cons. St., sez. VI, 26 settembre 2011, n. 5368;id. 5 gennaio 2015, n. 41). Ha chiarito Tar Lazio, sez. I, 16 dicembre 2015, n. 14101 che la ricomprensione delle condotte, che investono la fase successiva alla conclusione del contratto, nel perimetro della nozione di pratica scorretta risulta in linea con l’orientamento giurisprudenziale che vi ricomprende, appunto, anche le condotte attive o commissive legate ad una operazione commerciale, successive alla conclusione del negozio giuridico, purché a quest'ultimo finalisticamente riconducibili. Pertanto, ai fini che ne occupano, la pratica rilevante ben può investire gli incombenti successivi all’esaurimento della fattispecie negoziale con riguardo alle prestazioni che si accompagnano necessariamente alla operazione commerciale conclusa (Cons. St., sez. VI, 24 agosto 2011, n. 4800;id. 26 settembre 2011, n. 5368) oppure, come nel caso all’esame, le attività di recupero crediti che configurano le “pratiche commerciali post – vendita”, espressamente disciplinate dalla Direttiva n. 2005/29/CE in materia di pratiche commerciali sleali. A quest’ultimo riguardo, le Linee Guida della Commissione Europea di orientamento per l’attuazione della Direttiva 2005/29/CE (doc. SEC 2009/1666), del 3 dicembre 2009, espressamente dispongono “che le attività di recupero dei crediti sono considerate pratiche commerciali post-vendita disciplinate dalla direttiva. Infatti, quando un consumatore deve a un professionista una certa somma di denaro (debito del consumatore), il recupero di tale credito (a livello aziendale o da parte di terzi) è direttamente legato alla vendita o fornitura di prodotti o servizi”.
3. Con la prima censura, anch’essa dedotta con il primo motivo, la ricorrente afferma che avendo operato in virtù di un mandato conferitole da Sky Italia s.r.l. ed agendo quindi come intermediaria nei confronti dei debitori nell’esclusivo interesse della mandante era quest’ultima che doveva essere considerata responsabile della pratica commerciale. Sostiene che la giurisprudenza del giudice amministrativo ha sempre affermato che gli operatori commerciali, se si avvalgono dell’opera di altri soggetti nella loro attività, sono e restano essi stessi responsabili dell’azione condotta dagli intermediari, che agiscono nell’ambito fissato dal mandato.
Anche tale censura deve essere disattesa, alla luce del contenuto dei contratti che regolano il rapporto tra Sky e la stessa Telkom, avente ad oggetto la fornitura del servizio di recupero crediti giudiziale (art. 2 dei contratti), servizio espletato dal Fornitore con la propria organizzazione ed i propri mezzi. La Telkom, quindi, nell’espletamento del servizio agisce in piena autonomia impegnandosi (art. 5 del contratto) a manlevare e tenere indenne Sky da ogni eventuale responsabilità o pregiudizio causati dal mancato rispetto delle norme contrattuali e comunque derivanti dall’esecuzione del contratto. Aggiungasi che è Telkom che, ai sensi dell’art. 3, comma 2, del contratto, “si impegna ad effettuare la valutazione sull’opportunità di azione giudiziale sulle pratiche con esito negativo rilevato nella fase legale e la facoltà di scelta sull’azione da intraprendere (atto di citazione)”.
In altri termini, e per concludere, Telkom ha individuato le modalità di esercizio del servizio in proprio, ha essa stessa scelto i legali esterni ai quali conferire il mandato alle liti, sta in giudizio per conto della mandante Sky ma in nome proprio, con la conseguenza che l’organizzazione improntata per raggiungere il risultato richiesto non costituisce esecuzione di direttive impartite da Sky. Del fatto che agisse in piena autonomia è consapevole, del resto, la stessa ricorrente, che più volte nei propri scritti difensivi successivi al deposito dell’atto introduttivo del giudizio accosta tale autonomia a quella che avrebbero goduto i legali esterni di cui si serviva per intraprendere le azioni giudiziarie nei confronti dei morosi.
Non contraddice tale conclusione la circostanza che tra gli allegati al contratto, che ne costituiscono parte integrante, c’è anche il “Testo atto di citazione” (allegato 9), che sarebbe dunque stato avallato e fatto proprio anche dal contraente Sky, che ne avrebbe quindi assunto, in tale modo, la responsabilità del contenuto.
Si tratta infatti di un fax simile di atto di citazione, con la conseguenza che il fatto di recare il riferimento all’”Ufficio del giudice di pace di Roma” non significa certamente che tutti gli atti di citazione avrebbero dovuto essere assegnati a tale Ufficio bensì, in doverosa applicazione delle norme processualcivilistiche e del Codice del consumo, all’Ufficio territorialmente competente.
Da quanto sopra argomentato consegue che Telkom, in quanto “professionista” che ha posto in essere una “pratica commerciale post – vendita” (come chiarito sub 1), è stato correttamente individuato come unico destinatario della sanzione, senza coinvolgere anche Sky.
4. Quanto poi ai rapporti tra Telkom e gli avvocati incaricati di predisporre e notificare gli atti di citazione, non è assecondabile l’assunto di parte ricorrente secondo cui questi ultimi avrebbero agito in piena autonomia, con la conseguenza che la responsabilità dell’errore commesso nell’instaurare il contenzioso nei confronti dei consumatori morosi sarebbe da addebitare esclusivamente ai legali.
Ed invero, gli avvocati, che ricevevano il mandato da Telkom, agivano come esecutori di questo.
Lo dimostrano i contratti di assistenza e consulenza stipulati tra la ricorrente e i legali esterni dei quali l’Autorità ha riportato, nella memoria di replica depositata il 15 gennaio 2016, alcuni stralci virgolettati, la cui veridicità – in punto di fatto – non è stata contestata e provata da Telkom.
Si legge che gli avvocati si impegnavano a svolgere l’attività di gestione giudiziale del credito per conto di quest’ultima “a sua esclusiva discrezionalità”, puntualmente rendicontando, attraverso apposito software messo a disposizione da Telkom, in ordine “ad ogni iniziativa intrapresa nei confronti dei debitori”, senza alcuna autonomia decisionale in merito ad eventuali transazioni e/o conciliazioni in mancanza del preventivo benestare scritto della società. Essi, inoltre, si sono impegnati a svolgere la propria attività di consulenza ed assistenza giudiziale per l’intero giudizio, nell’interesse di Telkom “a titolo gratuito senza la corresponsione di alcun compenso”, salvo il diritto alle spese legali liquidate dal giudice in caso di accoglimento della domanda.
Riprova della natura del rapporto esistente tra Telkom e gli avvocati è nella circostanza che, a seguito delle prime rimostranze, Telkom, a metà 2013, ha imposto ai liberi professionisti, che per essa lavoravano, di impegnarsi a spiegare “ogni azione giudiziale nel rispetto di quanto previsto dal d.lgs. n. 206 del 2005 ex art. 33 in tema di individuazione del foro competente presso il quale incardinare contenziosi in danno del consumatore/debitore”. Ciò dimostra che allorchè la società ha esercitato i propri obblighi di verifica della modalità operativa degli avvocati si è sentita in dovere di imporre il rispetto delle disposizioni del Codice di consumo. Tali corrette e doverose direttive avrebbero però dovuto essere date all’atto del conferimento del mandato.
In conclusione è quindi Telkom che risponde del non corretto operato dei legali ai quali ha conferito mandato, ferma restando la possibilità di agire in sede civile per i danni economici e di immagine che la non corretta attività professionale da essi svolta le ha procurato.
5. Anche il secondo, terzo e quarto motivo, che impingono nel merito della pratica contestata, e che per ragioni di ordine logico possono essere esaminati congiuntamente, non sono suscettibili di positiva valutazione. La sanzione è stata infatti comminata alla ricorrente perché molti atti di citazione in giudizio, che contenevano una data di udienza fittizia, sono stati notificati presso Uffici del giudice di pace incompetenti e peraltro non sono stati poi depositati.
Giova premettere che l’art. 20, comma 2, del Codice del consumo stabilisce che una pratica commerciale è scorretta se è contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori. L’art. 24, poi, dispone che è considerata aggressiva una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o indebito condizionamento, limita o è idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induce o è idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
Venendo alla fattispecie concreta in esame emerge con palese evidenza l’irrilevanza del richiamato all’art. 33, comma 2, lett. u, del Codice del consumo che individua le clausole vessatorie. La pratica è stata infatti considerata dall’Autorità scorretta e aggressiva perché individuando nell’atto di citazione un foro diverso da quello ex lege competente il consumatore sarebbe stato indotto a saldare l’asserito debito anche se, ad es., convinto di non averlo mai contratto o quanto meno di averlo contratto per un importo inferiore, e ciò per non intraprendere un contenzioso dinanzi ad un giudice diverso da quello di residenza, con conseguenze anche di carattere economico. Si sarebbe dunque indotto psicologicamente il consumatore a recedere dalla propria posizione perché saldare la somma che gli si imputava a debito sarebbe stato comunque economicamente più conveniente che difendere in giudizio le proprie ragioni.
Ritiene il Collegio corretta la conclusione alla quale è pervenuta l’Agcm. Le descritte modalità di esercizio dell’attività giudiziale di recupero crediti, in concreto perseguite da Telkom mediante i legali da essa scelti e ai quali ha conferito mandato, realizzano la fattispecie della pratica commerciale aggressiva, tratteggiata dall’art. 24 del Codice del consumo, come quella pratica commerciale che “nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o indebito condizionamento limita o è idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto, e pertanto lo induce, o è idonea ad indurlo ad assumere una decisione commerciale che non avrebbe altrimenti preso”. Sono dunque presenti gli elementi che, secondo la giurisprudenza, valgono a connotare le pratiche commerciali aggressive, vale a dire l’elemento strutturale rappresentato dagli atti di molestia, coercizione o indebito condizionamento, e l’elemento funzionale, consistente nell’effetto distorsivo che la pratica induce sulla libertà di scelta del consumatore (Cons. St., sez. VI, 4 luglio 2012, n. 3904;id. 22 giugno 2011, n. 3763).
Sull’individuazione del giudice competente a decidere le controversie, soprattutto quando una parte è il consumatore, è intervenuta anche la Corte di giustizia 9 novembre 2010, C 137 che, in relazione alla diversa fattispecie relativa alla clausola volta ad attribuire la competenza per tutte le controversie derivanti dal contratto al giudice nella cui circoscrizione si trova la sede del professionista, ha elaborato principi estensibili al caso all’esame del Collegio. Ha affermato il giudice comunitario che tale clausola, “alla stregua di una clausola volta ad attribuire la competenza per tutte le controversie derivanti dal contratto al giudice nella cui circoscrizione si trova la sede del professionista, impone al consumatore l’obbligo di assoggettarsi alla competenza esclusiva di un tribunale che può essere lontano dal suo domicilio, il che può rendergli più difficoltosa la comparizione in giudizio. Nel caso di controversie di valore limitato, le spese di comparizione del consumatore potrebbero risultare dissuasive e indurlo a rinunciare a qualsiasi azione o difesa. Siffatta clausola rientra pertanto nella categoria di quelle che hanno lo scopo o l’effetto di sopprimere o ostacolare l’esercizio di azioni legali da parte del consumatore, categoria contemplata al punto 1, lett. q), dell’allegato della direttiva (v. sentenza Océano Grupo Editorial e Salvat Editores, cit., punto 22)”. Ha aggiunto che “una siffatta clausola attributiva di competenza giurisdizionale esclusiva consente al professionista di concentrare tutto il contenzioso attinente alla sua attività professionale dinanzi ad un unico giudice, che non è quello del foro del consumatore, il che agevola la comparizione in giudizio di suddetto professionista e, al contempo, rende quest’ultima meno onerosa (v., in tal senso, Océano Grupo Editorial e Salvat Editores, cit., punto 23)”.
Ad escludere il carattere “aggressivo” della pratica non può invocarsi l’effettiva esistenza del credito vantato da Sky, per il cui recupero Telkom agisce. Ai fini della sanzionabilità della condotta è sufficiente, infatti, che la stessa abbia travalicato i limiti delle regole comportamentali da adottare nei confronti dei consumatori obbligati al pagamento di crediti asseritamente insoluti, e ciò indipendentemente dalla sussistenza ed esigibilità del credito.
Né interessa accertare se l’indicazione di una sede processuale diversa da quella effettiva abbia attribuito un concreto vantaggio processuale a Telkom ostacolando l’eventuale difesa del convenuto atteso che questi, proprio per evitare aggravi di costi, avrebbe assolto l’asserito debito per scongiurare il giudizio.
Infine, non rileva l’eventuale carattere più o meno episodico e occasionale del fenomeno, anche alla luce dell’orientamento del giudice amministrativo, che esclude che “la significatività statistica del dato percentuale dei consumatori o clienti destinatari della pratica possa assurgere ad elemento negativo ostativo all'integrazione della fattispecie di una pratica commerciale scorretta” (Tar Lazio, sez. I, 16 dicembre 2015, n. 14101;id. 8 aprile 2009, n. 3722;Cons. St., sez. VI, 17 aprile 2012, n. 4753). E’ stato anche chiarito che l'assenza di serialità della pratica ne precluderebbe la configurabilità come pratica scorretta o aggressiva (Tar Lazio, sez. I, 5 agosto 2013, n. 7837).
Non rileva neanche verificare se effettivamente pochi siano stati i consumatori che hanno rinunciato a difendersi per essere stato individuato un Giudice di pace incompetente.
Ha chiarito Tar Lazio, sez. I, 8 gennaio 2013, n. 104 che la natura dell’illecito consumeristico è da inquadrare nell’àmbito degli illeciti di mero pericolo e non di danno, l’effettiva incidenza della pratica commerciale scorretta sulle scelte dei consumatori non costituendo elemento idoneo a elidere o ridurre i profili di scorrettezza della stessa, e ciò in ragione della struttura dell’illecito in esame, ponendosi gli effetti della condotta al di fuori della struttura dell’illecito, con la conseguenza che gli effetti della condotta possono, semmai, assumere significatività quale elemento aggravante, laddove il comportamento ascrivibile all’operatore abbia avuto diffuse ricadute pregiudizievoli nell’ambito dei consumatori, essendo da tale circostanza desumibile con ogni evidenza la grave inadeguatezza del comportamento posto in essere da quest’ultimo.
Coerentemente con quanto innanzi rilevato, ha aggiunto Cons. St., sez. VI, 10 dicembre 2014, n. 6050 che il carattere ingannevole della pratica commerciale dev’essere valutato ex ante, a prescindere cioè dal dato di fatto, variabile per le più svariate ragioni, soggettive e oggettive, dell’esito concretamente lesivo prodotto dalla condotta del professionista. Nel qualificare come scorretta una pratica commerciale pubblicitaria, che miri a condizionare la libertà di scelta del consumatore, si prescinde dall'effettiva lesione patrimoniale arrecata. Ciò che assume rilievo, nella condivisibile qualificazione dell’illecito consumeristico come illecito di mero pericolo, è la potenzialità lesiva del comportamento posto in essere dal professionista, indipendentemente dal pregiudizio causato in concreto al comportamento dei destinatari, indotti ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbero altrimenti preso.
Aggiungasi che non occorre prendere posizione sull’assunto di parte ricorrente secondo cui illegittimamente l’Autorità avrebbe “presunto” che anche negli anni anteriori al 2012 sarebbero state inviate atti di citazione a Giudici di pace incompetenti, atteso che ai fini della comminatoria della sanzione è stato considerata, come durata della violazione, i diciotto mesi intercorrenti tra il 2012 e giugno 2013.
6. Non è suscettibile di positiva valutazione neanche la quinta censura relativa al difetto di contraddittorio atteso che dalla documentazione versata in atti si evince che la ricorrente ha avuto modo di difendersi dinanzi all’Autorità.
Aggiungasi, con riferimento alla questione relativa all’indicazione di date di udienze fittizie, che alla luce di una costante giurisprudenza l'analiticità delle argomentazioni riguarda la fase conclusiva del procedimento, che costituisce l'esito della fase istruttoria, mentre non sempre può caratterizzare la fase di avvio, nella quale, invece, deve essere con precisione identificato il solo messaggio, o i profili della pratica commerciale, oggetto dell'indagine al fine di mettere in grado l'operatore pubblicitario di poter proficuamente partecipare all'istruttoria (Tar Lazio, sez. I, 9 gennaio 2015;n. 994;3 luglio 2012, n. 6032;21 gennaio 2010, nn. 645- 646;9 agosto 2010, n. 30421;10 novembre 2010, n. 33354;21 gennaio 2010, n. 647;19 maggio 2010, n. 12281;3 giugno 2010, n. 14857;4 maggio 2009, n. 4490;id. 13 aprile 2006, n. 2737).
Aggiungasi, ed il rilievo non è di poco momento, che la conoscenza infraprocedimentale degli esiti istruttori è sempre acquisibile dal professionista in sede di accesso.
7. Con l’ultimo motivo Telkom deduce l’illegittimità della quantificazione della sanzione.
Afferma innanzitutto (prima censura) che l’Autorità non avrebbe congruamente esplicitato come ha quantificato in € 320.000 la sanzione inflitta.
La censura non è suscettibile di positiva valutazione, avendo invece l’Agcm - attenutasi ai parametri di riferimento individuati dall'art. 11, l. 24 novembre 1981, n. 689, in virtù del richiamo previsto all'articolo 27, comma 13, d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 – chiarito di aver tenuto conto della gravità della violazione, con particolare riferimento al potenziale pregiudizio arrecato ai consumatori e all’ampiezza della pratica, su scala nazionale, che ha interessato un rilevante numero di consumatori, dell’opera svolta dall’impresa per eliminare o attenuare l’infrazione, della personalità dell’agente e delle sue condizioni economiche, nonchè della durata della violazione, dal 2012 alla metà del 2013 (18 mesi).
L’ammontare della sanzione che ne è risultato appare, a parere del Collegio, congruo e proporzionato e adeguato alle dimensioni economiche e all’importanza del professionista, e quindi in linea con gli orientamenti della giurisprudenza in materia (Tar Lazio, sez. I, 21 gennaio 2008, n. 380;id. 8 marzo 2011, n. 2084;id. 23 marzo 2011, n. 2565).
Anche le altre censure, dedotte sempre con l’ultimo motivo, devono essere disattese alla luce dei principi elaborati in materia dal giudice amministrativo.
Va infatti ricordato che il comportamento dell'agente rivolto alla eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, che può risultare rilevante in funzione di una riduzione della sanzione, non può consistere nella mera interruzione volontaria di ulteriori comportamenti violativi, e ciò anche quando tale interruzione si verifica prima dell'avvio della istruttoria da parte dell'Autorità;è ben vero infatti che l'interruzione della condotta violativa, incidendo sulla durata della violazione, ne attenua la gravità, ma la stessa non può essere assimilata al ravvedimento operoso, che invece deve consistere in una condotta attiva - nella specie non riscontrata - volta a rimuovere le conseguenze pregiudizievoli della violazione commessa (Cons. St., sez. VI, 27 febbraio 2012, n. 1092;Tar Lazio, sez. I, 17 novembre 2015, n. 5253 e 13 gennaio 2015, n. 375).
Quanto all’asserita disparità di trattamento il Collegio richiama il consolidato orientamento della Sezione secondo cui l’eventuale sussistenza di tale vizio di disparità di trattamento rispetto ad un diverso professionista nell'ambito di un differente procedimento postula in ogni caso l'identità, o almeno la totale assimilabilità delle situazioni di base poste a raffronto (Tar Lazio, sez. I, 19 maggio 2010, n. 12325) e la completa sovrapponibilità di tutti gli elementi di rilievo delle fattispecie sanzionate (Tar Lazio, sez. I, 13 dicembre 2010, n. 36114;13 dicembre 2010, n. 36112;22 novembre 2010, n. 33791;9 agosto 2010, n. 30466), occorrendo quindi una oggettiva verifica della completa sovrapponibilità delle fattispecie sanzionate, concretamente non percorribile (Tar Lazio, sez. I, 9 settembre 2015, n. 11122; 17 settembre 2013, n. 8309 ).
Ad ogni modo il motivo in questione non potrebbe comunque trovare accoglimento alla luce del condiviso orientamento secondo cui, nella materia delle sanzioni antitrust, non sussiste un interesse giuridicamente rilevante a contestare l’entità della sanzione irrogata a un’altra impresa, atteso che quand’anche la diversità di trattamento fosse in concreto dimostrata, ciò resterebbe del tutto irrilevante ai fini del giudizio di legittimità del trattamento asseritamente deteriore patito dal ricorrente (Cons. St., sez. VI, 18 maggio 2015, n. 2514;17 gennaio 2008, n. 102).
8. Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere respinto.
Quanto alle spese di giudizio, in considerazione della complessità della vicenda contenziosa può disporsene l'integrale compensazione fra le parti costituite.