TAR Roma, sez. 2S, sentenza 2023-10-23, n. 202315712

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2S, sentenza 2023-10-23, n. 202315712
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202315712
Data del deposito : 23 ottobre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/10/2023

N. 15712/2023 REG.PROV.COLL.

N. 09948/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Stralcio)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9948 del 2017, proposto da
Sasol Italy ” S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati L B, F P e A K, con domicilio fisico eletto presso a segreteria di questo Tribunale in Roma, via Flaminia, 189;

contro

Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Provincia di Lodi, Regione Lombardia, Regione Sicilia, Libero Consorzio Comunale di Siracusa, Regione Sardegna, Provincia di Cagliari, non costituite in giudizio;

nei confronti

Comune di Terranova dei Passerini (LO), Comune di Augusta (SR), Comune di Sarroch (CA), “ Federchimica - Federazione Nazionale dell'Industria Chimica ”, non costituiti in giudizio;

per l'annullamento

del D.M. Ambiente 28 aprile 2017, pubblicato in G.U. n. 153 del 3.07.2017, di ogni altro provvedimento, atto, comportamento presupposto, connesso e consequenziale, anche se non conosciuto, ivi compresi tutti i documenti richiamati dai provvedimenti impugnati (ancorché non allegati e non conosciuti), compreso, per quanto occorrer possa, il D.M. Ambiente 26 maggio 2016, pubblicato in G.U. n. 237 del 10.10.2016


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 6 ottobre 2023 il dott. G L e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con ricorso ritualmente proposto, la società ricorrente avversava il decreto, meglio specificato in premessa, col quale il Ministero dell’ambiente provvedeva a dare attuazione all’art. 29-sexies, comma 9-septies del d.lgs. n. 152/2006.

Esponeva essa di essere proprietaria di tre impianti di fabbricazione di prodotti chimici organici di base siti in Augusta (SR), Sarroch (CA) e Terranova dei Passerini (LO), impianti autorizzati con AIA statale per Augusta (prot. DVA-DEC-2010-1003 del 28.12.2010) e Sarroch (prot. n. GAB-DEC-2011-000208 dell’8.11.2011, aggiornata con D.M. n. 14 del 29.01.2015) e provinciale per Terranova dei Passerini (DD Provincia di Lodi prot. n. REGDE/320/2015).

Premessa la sussistenza in capo ad essa delle condizioni dell’azione, la ricorrente illustrava i motivi di impugnazione ai quali essa si affidava con l’odierno gravame.

Considerato che il decreto avversato costituisce attuazione dell’art. 29-sexies comma 9-septies del d.lgs. n. 152/2006 (introdotto dall’art. 7, comma 5 del d.lgs. n. 46/2014), la ricorrente sosteneva, innanzitutto, l’illegittimità del provvedimento gravato per derivazione dall’illegittimità costituzionale della disposizione da ultimo citata.

In particolare, venivano dedotti tre profili di incostituzionalità del cennato art. 7, comma 5, del d.lgs. n. 46/2014:

1.1. eccesso di delega rispetto a quanto disposto dalla l. n. 96/2013.

L’art. 3 della legge delegante si sarebbe limitata ad individuare i “ principi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, relativa alle emissioni industriali ”, senza che fra di essi fosse contemplata la possibilità di introdurre gravose garanzie finanziarie a carico dei gestori IPPC sottoposti a relazione di riferimento, come effettuato dall’art. 7 comma 5 del d.lgs.46/2014.

Posto che, secondo la giurisprudenza costituzionale consolidatasi in tema di rapporti tra legge delega e decreto legislativo delegato, la prima prevale sul secondo in forza degli artt. 76 e 77 Cost., i quali comportano l’esigenza che la legge delegata sia nel suo contenuto sostanzialmente conforme a quella di delegazione e che, pur se nel silenzio della legge delega non deve ritenersi impedito al governo di emanare disposizioni, queste devono pur sempre costituire un coerente sviluppo e completamento della scelta espressa dal legislatore delegante, nel caso di specie non solo nessuno dei principi e criteri direttivi individuati dalla legge delega avrebbe autorizzato ad introdurre una garanzia finanziaria (non compatibile, peraltro, con la finalità della legge delega di razionalizzare, e non modificare, il sistema dell’AIA) ma, a causa della mancanza di coordinamento con la disciplina in tema di bonifica dei siti contaminati, la disposizione in questione sarebbe inutile (in quanto la normativa ambientale già prevede un sistema in forza del quale i costi per le attività di bonifica e risanamento devono essere sostenuti dal responsabile della contaminazione) nonché vessatoria (posto che il meccanismo di escussione delle garanzie potrebbe portare all’esito di far pagare due volte ai privati il costo della bonifica eseguita dalla PA ove il gestore IPPC sia il soggetto responsabile della contaminazione, con conseguente escussione della garanzia ed applicazione della rivalsa prevista dalla disciplina bonifiche in caso di interventi eseguiti d’ufficio).

Infine, la norma in questione, in quanto costituente attuazione della Direttiva 2010/75/UE, sarebbe stata emanata in violazione del termine di tre mesi previsto per tale adempimento dall’art. 31 comma 1 della l. n. 234/2012;

1.2. contrarietà ai principi del diritto comunitario di parità di trattamento tra imprese (in quanto a subire l’obbligo di prestazione della garanzia sarebbero solamente gli stabilimenti presenti in Italia e soggetti alla relazione di riferimento, senza che la normativa lasci emergere le ragioni di interesse pubblico poste alla base della distinzione), tutela del legittimo affidamento, certezza del diritto, non discriminazione, proporzionalità e trasparenza (nella misura in cui le garanzie finanziarie determinerebbero una illegittima alterazione delle condizioni economiche);

1.3. violazione della Direttiva self executing 2010/75/UE (che nulla prevederebbe in termini di garanzie finanziarie) e del divieto di gold plating previsto dall’art. 32, comma 1, lett. c ) della legge n. 234/2012, secondo cui “ gli atti di recepimento di direttive dell'Unione europea non possono prevedere l'introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse ”, tra i quali rientrano anche l’introduzione (o il mantenimento) di “ requisiti, standard, obblighi e oneri non strettamente necessari per l'attuazione delle direttive ”, nonché l’introduzione (o il mantenimento) di “ sanzioni, procedure o meccanismi operativi più gravosi o complessi di quelli strettamente necessari per l'attuazione delle direttive ”.

Oltre ai sopra riferiti vizi di legittimità del D.M. 28 aprile 2017 derivanti dall’incostituzionalità della norma di legge in attuazione della quale il decreto impugnato era stato emanato, la ricorrente deduceva, altresì, vizi autonomi dell’atto avversato.

Con il secondo motivo, essa lamentava la violazione di legge e l’eccesso di potere del decreto gravato nella misura in cui esso, non prevedendo alcun coordinamento con la disciplina in materia di bonifiche di siti inquinati di cui al Titolo V, Parte IV del d.lgs. n. 152/2006, stabiliva che le garanzie prestate per attività di messa in sicurezza operativa o d’emergenza non fossero alternative a quelle collegate alla Relazione di Riferimento AIA.

Ancora, con il terzo motivo di gravame, la società ricorrente lamentava l’eccesso di potere del provvedimento impugnato sussistente allorché esso prevedeva che la quantificazione della garanzia dovuta potesse essere commisurata all’estensione delle aree interessate “ per le sole installazioni molto estese ” omettendo poi, peraltro, di definire tale tipologia di installazione.

Con il quarto mezzo di censura, veniva dedotto l’eccesso di potere nella misura in cui il nuovo decreto ministeriale aveva previsto una riduzione dei valori della garanzia per ettaro solo per alcune categorie IPPC, senza che, peraltro, tale riduzione fosse in alcun modo giustificata dal provvedimento in esame.

Infine, veniva lamentato che, stante l’asserita mancanza di coordinamento con la disciplina in materia di bonifiche ambientali contenuta nel d.lgs. n. 152/2006 (e fatta oggetto di censura col terzo motivo di ricorso), l’obbligo di prestare la garanzia finanziaria disciplinata dal decreto avversato darebbe concretezza ad un’inammissibile duplicazione risarcitoria in capo al gestore IPPC.

Si concludeva, così, il ricorso con la richiesta di annullamento del provvedimento impugnato previa dichiarazione di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 5 del d.lgs. n.46/2014, e previo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 267 TFUE.

Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare si costituiva con atto di mero stile.

In prossimità dell’udienza di discussione nel merito del ricorso, la “ Sasol Italy ” s.p.a. depositava memoria conclusionale, ai sensi dell’art. 73 c.p.a., con la quale insisteva in tutti i motivi di ricorso già avanzati, soffermandosi sulla questione di legittimità costituzionale e sui profili di contrasto con il diritto unionale già messi in luce nell’atto introduttivo del presente giudizio, nuovamente affermando la necessità di sollevare gli incidenti di costituzionalità e di compatibilità col diritto europeo già sollecitati in precedenza e ritenendo a ciò non ostativi i principi enunciati da questo Tribunale con la sent. n. 11452/2017 ed i successivi precedenti alla stessa ricollegabili.

All’udienza straordinaria di smaltimento del 6.10.2023, la causa passava in decisione.

Il Collegio ritiene di anteporre, alla trattazione delle questioni sottese al presente gravame, una sintetica ricostruzione del quadro normativo all’interno del quale esso si pone.

L’art. 29-sexies, comma 9-septies, del d.lgs. n. 152/2006 – introdotto nel corpo del testo normativo previgente dall’art. 2, comma 24, del d.lgs. n. 128/2010 e poi modificato dall’art. 7, comma 5, del d.lgs. n. 46/2014 - prevede che “ A garanzia degli obblighi di cui alla lettera c del comma 9-quinquies, l'autorizzazione integrata ambientale prevede adeguate garanzie finanziarie, da prestare entro 12 mesi dal rilascio in favore della regione o della provincia autonoma territorialmente competente. Con uno o più decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sono stabiliti criteri che l'autorità competente dovrà tenere in conto nel determinare l'importo di tali garanzie finanziarie ”.

L’art. 29-sexies, comma 9-sexies, invece, stabilisce che “ Con uno o più decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sono stabilite le modalità per la redazione della relazione di riferimento di cui all'articolo 5, comma 1, lettera v-bis), con particolare riguardo alle metodiche di indagine ed alle sostanze pericolose da ricercare con riferimento alle attività di cui all'Allegato VIII alla Parte Seconda ”.

In attuazione dell’art. 29-sexies, comma 9-sexies, era stato emanato il DM n. 272 del 13.11.2014, annullato da questo Tribunale con la sent. n. 11452/2017 e, conseguentemente, sostituito dal decreto ministeriale n. 95 del 15.4.2019.

In definitiva, quindi, il decreto ministeriale oggi avversato reca la disciplina dei criteri per la determinazione dell’importo delle garanzie finanziarie previste dall’art. 29-sexies, comma 9-septies e dovute a garanzia dell’adempimento degli obblighi assunti con la relazione di riferimento.

Si impone, a questo punto, la disamina del contenuto della pronuncia n. 11452/2017 di questo Tribunale.

Essa, pur recando l’annullamento del decreto ministeriale del 13.11.2014, prendeva posizione sulle questioni di legittimità costituzionale addotte, in quel giudizio, nei confronti dell’art. 21-sexies, commi 9-quinquies e 9-sexies, ossia relative all’obbligo di predisporre la relazione di riferimento nella quale (lett. c del 9-quinquies) adottare “ le misure necessarie per rimediare” all’ “ inquinamento significativo del suolo o delle acque sotterranee con sostanze pericolose pertinenti, rispetto allo stato constatato nella relazione di riferimento di cui alla lettera a) ”.

La sentenza respingeva le questioni sollevate con riferimento all’eccesso di delega in relazione ai medesimi profili di incostituzionalità lamentati con il presente ricorso ed attinenti, cioè, alla pretesa violazione di principi e criteri direttivi contenuti nella legge delega n. 97/2013, alla violazione del divieto di gold plating e, infine, alla violazione dei termini per l’esercizio della delega legislativa.

Analoghe questioni si rinvengono nell’odierno ricorso, per valutare le quali ritiene il Collegio doversi fare riferimento ad altro precedente che si riconnette alla sent. n. 11452/2017 di questo Tribunale.

Si tratta, cioè, della sentenza n. 812/2022 del T.A.R. del Lazio (poi seguita, analogamente, da T.A.R. Lazio, nn. 813, 815, 820 e 821 del 2022), nella quale si legge che: “ la prima parte dell'odierno gravame, con la quale vengono dedotte censure di illegittimità costituzionale ed eurounitaria dell'art. 29 sexies, comma 9 septies, del D.Lgs. n. 152 del 2006, corrisponde a quanto già dedotto nel giudizio proposto avverso il D.M. n. 272 del 2014, con i due ricorsi nr. RG. 2326/2017 e 2350/2017 che la Sezione, previa riunione, ha accolto con la sentenza nr. 11452 del 20 novembre 2017, richiamata dalla difesa della odierna ricorrente nella memoria conclusiva.

Nella decisione precedente, le medesime questioni di legittimità costituzionale ed eurounitaria dell'art. 29 sexies cit., sono state ritenute manifestamente infondate, con argomentazioni alle quali è sufficiente al Collegio rinviare, non essendo stato dedotto alcun argomento critico, in proposito, da parte della ricorrente stessa ed essendo peraltro questioni non direttamente rilevanti, nella presente sede di giudizio.

A tale ultimo proposito, si osserva che i decreti impugnati con il ricorso introduttivo e con motivi aggiunti, essendo limitati alla predeterminazione dei soli criteri di commisurazione delle garanzie previste, sulla base dell'art. 29 sexies, comma 9 septies, del D.Lgs. n. 152 del 2006, in funzione di completamento della disciplina della relazione di riferimento come prevista dal regolamento costituito dal D.M. n. 272 del 2014, sono dipendenti da quest'ultima fonte.

Ne deriva che, una volta esclusa l'asserita illegittimità costituzionale o eurounitaria della norma primaria (29 sexies, comma 9 septies, del D.Lgs. n. 152 del 2006) nella sede di giudizio nella quale veniva in rilievo direttamente l'impugnativa del regolamento D.M. n. 272 del 2014, che in quella sede era censurato per invalidità derivata dalla prima, non v'è luogo a riproporre la medesima questione in merito ad un atto di natura applicativa di tale norma.

Se nella sentenza di questo Tribunale n. 11452/2017 è stata già riconosciuta, come detto, la manifesta infondatezza di numerose questioni di costituzionalità in questa sede riproposte, in relazione all'introduzione da parte dell'art. 29 sexies del D.L. n. 152 del 2006 e succ. mod di "oneri aggiuntivi, per contrasto con i criteri di semplificazione, accelerazione e razionalizzazione dettati dall'art. 3 della l. delega" e dalla direttiva IED e all'asserito ulteriore eccesso di delega del D.L. n. 152 del 2006 in violazione degli artt. 76 e 77 Cost. anche sotto il profili di contrasto con il divieto di introduzione e mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalla direttiva o del mancato rispetto dei termini per l'esercizio delle deleghe dettati dall'artt. 1 c. 2 della L. n. 96 del 2013, altri dubbi di legittimità costituzionale sollevati dalla ricorrente con il presente gravame devono essere invece specificamente esaminati, riguardando non la disciplina presupposta della relazione di riferimento, quanto, in particolare, l'introduzione dell'obbligo di prestazione di idonee fideiussorie a copertura dei doveri di ripristino.

Per il superamento della doglianza secondo la quale anche con riguardo a tale istituto il legislatore delegato sarebbe incorso in un eccesso di delega, in quanto "nessuna previsione contenuta nella direttiva IED dispone/consente che gli Stati membri introducano nei rispettivi ordinamenti garanzie finanziarie di tenore analogo a quelle che ci occupano", è utile richiamare l'orientamento della stessa Corte Costituzionale per cui "al legislatore delegato spettano margini di discrezionalità nell'attuazione della delega, sempre che ne sia rispettata la ratio e che l'attività del delegato si inserisca in modo coerente nel complessivo quadro normativo di riferimento", poichè l'art. 76 Cost. consente allo stesso di introdurre "disposizioni che costituiscano un coerente sviluppo e un completamento delle indicazioni fornite dal legislatore delegante", non potendosi ridurre "la funzione del legislatore delegato ad una mera "scansione linguistica" delle previsioni stabilite dal legislatore delegante" (Corte cost. n. 10/2018;
in senso conforme n. 229/2014;
n. 146/2015;
n. 98/2015;
n. 194/2015;
n. 278/2016).

Nel caso di specie, la direttiva n. 2010/75/UE non richiedeva esplicitamente la prestazione di garanzie finanziarie, ma lasciava allo Stato membro il compito di decidere come assicurare che il gestore operasse il ripristino del sito (il considerando 6 della direttiva n. 2010/75/UE stabilisce che "Spetta agli Stati membri determinare l'approccio per assegnare le responsabilità ai gestori delle installazioni purché sia assicurato il rispetto della presente direttiva").

Durante la stesura del D.Lgs. n. 46 del 2014, tenendosi conto del principio "chi inquina paga" e del quadro normativo nazionale, l'unica soluzione che è apparsa percorribile per realizzare tale obiettivo in maniera efficace è apparsa, dunque, l'imposizione di garanzie finanziarie a carico del singolo gestore. In questo senso, dunque, come sottolineato dalla difesa dell'Amministrazione, la disposizione effettua il recepimento della direttiva, ponendosi come attuazione logica, nonché coerente svolgimento, dei criteri di delega”.

Ritiene il Collegio che le conclusioni cui il Tribunale è pervenuto nella sentenza n. 812/2022 siano pienamente aderenti anche al caso di specie.

Né, in senso contrario, rileva, come dedotto dalla ricorrente, che la pronuncia n. 11452/2017 avesse ad oggetto questioni di legittimità costituzionale sollevate in relazione ai commi 9-sexies e 9-quinquies, lett. c) dell’art. 29 del d.lgs. n. 152/2006 laddove, invece, il dubbio di costituzionalità avanzato dall’odierna ricorrente atterrebbe, piuttosto, al comma 9-septies della citata norma.

Infatti, come rilevato nella sent. n. 812/2022, l’obbligo di prestare una garanzia fideiussoria in tanto è legittimo costituzionalmente, in quanto è funzionale ad assicurare l’adempimento di obbligazioni assunte con la predisposizione della relazione di riferimento e l’individuazione, in quella sede, di misure necessarie per rimediare ad uno stato di inquinamento del sito, istituto questo della cui conformità a Costituzione – dopo la citata pronuncia – non è più dato dubitare.

Né, tantomeno, può accedersi all’argomento, rilevato nella memoria conclusionale, secondo cui il decreto quivi impugnato costituirebbe un atto applicativo del DM n. 272/2014 e, pertanto, sarebbe divenuto inefficace a seguito dell’annullamento del secondo decreto ministeriale.

In realtà, non di dipendenza tra atti può parlarsi quanto piuttosto di un istituto (la relazione di riferimento) che, prevedendo degli obblighi di ripristino dello status quo ante del sito, funge da presupposto della successiva assunzione di garanzia personale imposta dall’art. 29-sexies, comma 9-septies, il cui decreto attuativo forma oggetto dell’odierna impugnativa, garanzia personale alla cui prestazione il soggetto individuato dalla norma non può certo venir meno per la mancata emanazione dell’atto applicativo previsto dal comma 9-sexies della medesima disposizione.

A tacere della circostanza che, fra l’altro, nelle more del presente giudizio, anche siffatto atto applicativo risulta emanato, avendo il Dicastero competente adottato il decreto n. 95/2019 che tiene luogo di quello annullato con la sent. n. 11452/2017 di questo Tribunale.

In definitiva, quindi, il primo motivo di gravame è destituito di fondamento.

Quanto al secondo motivo, con il quale viene lamentato l’apparente coordinamento – in realtà, a dire della ricorrente, mancante – tra la previsione regolamentare impugnata e la disciplina procedimentale in tema di bonifica dei siti contaminati (attuata prevedendo che, nel caso di interventi di risanamento in corso, le garanzie finanziarie collegate alla relazione di riferimento non siano dovute fino allo svincolo delle somme prestate per la bonifica, ma illegittimamente ritenendo non pertinenti, a tal fine, le garanzie prestate per attività di “ MISO ” e “ MISE ”), anche in questo caso ritiene il Collegio di dover far proprie le conclusioni cui è pervenuto questo Tribunale nella già citata sentenza n. 812/2022.

In quell’occasione, quel Collegio così ebbe a statuire: “ Si tratta di una tesi infondata: correttamente il punto 1 dell'All. A del D.M. 28 aprile 2017 prevede che "ai sensi dell'art. 1, comma 4, del decreto n. 141 del 26 maggio 2016, nel caso in cui sono operative, per l'installazione, garanzie prestate per la esecuzione di interventi di bonifica ai sensi dell'art. 242, comma 7, del D. Lgs. n. 152 del 2006, fino allo svincolo di tali somme le garanzie di cui al presente allegato..non sono dovute". In questi casi (ed in questi casi soltanto) il rischio garantito è identico in entrambe le ipotesi (con conseguente inesigibilità di una doppia garanzia), perché per quanto riguarda la messa in sicurezza i relativi interventi sono rivolti alla sola mitigazione dell'evento inquinante sopravvenuto o eccezionale, quindi con un assetto solo temporaneo di recupero della matrice ambientale;
non viene in rilievo, così, la riconduzione dell'area alla condizione attestata dalla relazione di riferimento, che è il fine di interesse generale alla realizzazione del quale sono preordinate le garanzie dell'All. A in esame, tanto che la stessa previsione non manca di chiarire che rientra nel presupposto di esclusione delle garanzie la "messa in sicurezza permanente" che integra "attività volte alla definitiva sistemazione del sito
".

Conclusioni, queste, pienamente coincidenti con più recenti pronunciamenti di questa sezione resi, peraltro, proprio su analoghi mezzi di gravame sollevati dall’odierna ricorrente (vedasi TAR Lazio n. 15890/2022).

Quanto detto in ordine al secondo motivo comporta, di conseguenza, anche il rigetto del quinto motivo dell’odierno gravame, col quale viene lamentata l’illegittima duplicazione risarcitoria in capo al gestore IPPC.

Al riguardo, e in aggiunta a quanto già osservato sopra, deve rilevarsi che le impugnate previsioni risultano coerenti sia con il principio " chi inquina paga " (perché chi deve pagare i costi di bonifica è chi ha realizzato il prodotto che ha determinato il rischio di contaminazione), sia con le regole del mercato (secondo le quali per non produrre effetti distorsivi la contabilizzazione dei costi ambientali attuali non deve essere rinviata alla cessazione dell'attività) che, infine, con gli obblighi dello Stato di garantire che sia il gestore dell'impianto ad accollarsi i costi di ripristino e con la definizione stessa di " gestore " (figura soggettiva che viene meno nel momento di chiusura dell'attività produttiva).

Rimangono da esaminare il terzo ed il quarto motivo.

Con il terzo, parte ricorrente lamenta l’onerosità dell’importo minimo della garanzia finanziaria, correlato all’estensione dello stabilimento, che darebbe luogo ad una previsione regolamentare indeterminata.

Sul punto pare sufficiente richiamare quanto statuito da questo Tribunale nella sent. n. 15930/2022, secondo cui “ Ulteriormente infondati sono i motivi proposti avverso il punto 3 dell'allegato A al decreto del 28 aprile 2017, relativo al criterio alternativo di calcolo delle garanzie di cui al punto 2, legato all'estensione delle aree e non dunque a quello delle sostanze trattate, atteso che, per la condivisibile giurisprudenza del Tribunale, in quanto l'articolato prevede che " installazioni che distribuiscono su porzioni di territorio ampie le proprie attività possono contaminare aree più vaste e quindi richiedere maggiori risorse ….a tal fine per installazioni molto estese i valori delle garanzie posti al punto 2 possono essere sostituiti con i valori per ettaro ……", con la precisazione che il documento reca in conclusione del paragrafo: "..ferme restando anche in questo caso le definitive valutazioni dell'Autorità nell'esame dei singoli casi concreti", con evidente richiamo della regola per cui la garanzia si determina non già in astratto, bensì con riguardo al singolo caso concreto ”.

Analoghe osservazioni possono condursi, infine, con riguardo al quarto motivo di gravame, con il quale la società ricorrente censura l’illegittima ed immotivata riduzione dei valori della garanzia minima solo per alcune categorie IPPC (come, ad esempio, le raffinerie, per le quali il valore di riferimento per ettaro è passato da Euro 500.000 ad Euro 300.000, mentre per gli impianti per la produzione di prodotti chimici organici – come quelli da essa gestiti– l’importo è rimasto a 400.000 euro/ettaro, come nel precedente DM del 2016), riduzione asseritamente compiuta in assenza di evidenze scientifiche in ordine ad una minore pericolosità dei siti ospitanti alcune produzioni piuttosto che altre.

Anche in relazione a tale censura non può che convenirsi con il precedente da ultimo citato, osservando che, financo in tale caso, i criteri di calcolo di cui al punto 2 del gravato decreto ministeriale – riassuntivamente esposti nella tabella ivi presente – non possono che ritenersi contenenti delle indicazioni di massima, demandando poi alle definitive valutazioni dell’Autorità competente nell'esame dei singoli casi concreti la determinazione conclusiva dei valori da applicare al singolo caso, valori che, beninteso, ben potrebbero motivatamente distinguersi da quelli indicativamente tracciati dall’atto in questa sede gravato.

In conclusione, pertanto, l’intero gravame risulta destituito di fondamento.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano, in favore del Ministero resistente, nella misura indicata in dispositivo.

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