TAR Roma, sez. 1T, sentenza breve 2023-07-13, n. 202311692

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1T, sentenza breve 2023-07-13, n. 202311692
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202311692
Data del deposito : 13 luglio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/07/2023

N. 11692/2023 REG.PROV.COLL.

N. 06760/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 6760 del 2023, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato M L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell’Interno, Questura di Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, costituiti in giudizio, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti


per l’annullamento

del provvedimento n. -OMISSIS- del 10.01.2023 reso dal Questore di Roma di rifiuto dell’istanza di conversione del permesso di soggiorno.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e della Questura Roma;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 11 luglio 2023 il dott. Giovanni Mercone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;


Con ricorso regolarmente notificato e depositato l’odierno ricorrente ha impugnato il provvedimento di rigetto del 10.1.2023 dell’istanza di conversione del permesso di soggiorno per minore età in permesso di soggiorno per attesa occupazione, deducendo la sussistenza dei vizi di violazione di legge e di eccesso di potere sotto plurimi profili.

In particolare, secondo la prospettazione del ricorrente, la Questura non avrebbe tradotto nella lingua dell’istante il provvedimento gravato (così violando l’art. 10 co. 4 D. Lgs. 25/2008 e l’art. 24 Cost.) e avrebbe fondato il giudizio di pericolosità esclusivamente sulla sussistenza a carico del ricorrente di una precedente condanna, dalla quale l’Amministrazione avrebbe dedotto la sussistenza di una pericolosità sociale del ricorrente tale da escludere il diritto al soggiorno nel territorio nazionale (così violando gli artt. 4 co. 3 e 5 co. 5 D. Lgs. 286/98). Dunque, per l’odierno ricorrente, il giudizio di pericolosità sociale dell’Amministrazione sarebbe stato il risultato di un mero automatismo, vietato dalla disciplina in materia di permesso di soggiorno, non avendo il Questore di Roma tenuto conto degli ulteriori elementi addotti in sede di memoria difensiva. Nella specie, la Questura non avrebbe considerato il radicamento sul territorio dell’istante e la buona condotta tenuta in sede di espiazione della pena.

Si è costituita nel presente giudizio l’Amministrazione resistente, chiedendo il rigetto del ricorso in quanto infondato.

In particolare, nella prospettazione della Questura, l’atto impugnato trae fondamento dal giudizio di pericolosità sociale del ricorrente, il quale è stato, in data 18.3.2021, condannato, con sentenza irrevocabile dal 4.5.2021, alla pena di anni 3 e mesi 4 di reclusione ed euro 618,00 di multa per il reato di cui agli artt. 628 co. 1 e 3 c.p., delitto che rientra tra quelli per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza (cfr. art. 380 lett. f c.p.p.).

Il ricorso è infondato per i motivi che seguono.

Preliminarmente, deve osservarsi che vi sono plurime ragioni per ritenere infondato il primo dei motivi di impugnazione.

Innanzitutto, si indica nell’atto di gravame una norma, l’art. 10 co. 4 del D. Lgs. n. 25/2008, che riguarda il richiedente la protezione internazionale e non colui che propone istanza per il permesso di soggiorno. Al di là di questo primo aspetto, c’è anche da considerare, per un verso, che nel caso in esame può farsi applicazione dell’art. 156 co. 3 c.p.c. (dato che l’atto ha raggiunto lo scopo cui è destinato, tanto è vero che è stato impugnato) e, per altro verso, che non emerge dagli atti che il ricorrente non comprenda la lingua italiana, anzi è nel nostro Paese dall’età di quattordici anni, quindi ormai dal 2015, con la conseguenza che, in assenza di prova contraria, deve ritenersi che capisca l’italiano.

Parimenti destituito di fondamento anche il secondo motivo di impugnazione.

Giova premettere che l’art. 4, comma 3, D. Lgs. n. 286 del 1998, come modificato dall’art. 4, comma 1, lett. b), l. 30 luglio 2002, n. 189, stabilisce che non è ammesso in Italia lo straniero: “…che sia considerato una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato (…) o che risulti condannato, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall’articolo 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale (…)”;
ai sensi del successivo art. 5, comma 5, dello stesso decreto, “il permesso di soggiorno o suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno dello straniero nel territorio dello Stato, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 22, comma 9, e sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili;
nell’adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell’art. 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d’origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale”.

Come ribadito da un costante orientamento giurisprudenziale (ex multis cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 3210/2015), ai sensi dell’art. 4, comma 3, D. Lgs. n. 286/98, le condanne per i reati ricompresi nella previsione dell’art. 380 c.p.p. sono indicative - ex lege - della pericolosità sociale del cittadino straniero e, dunque, risultano ostative al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno. Ne consegue che, nelle ipotesi tipizzate, attesi il grave disvalore attribuito e il particolare allarme sociale dalle stesse ingenerato, essendo la valutazione sulla pericolosità sociale già compiuta dal Legislatore, non si ravvisano, in capo al Questore, né competenza, né necessità di obblighi di valutazione specifici sul punto (cfr. in merito a tale questione anche la recente sentenza n. 88/2023 della Corte Costituzionale). Solo se sussistono vincoli familiari oppure, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, se vi è stata una certa durata del soggiorno nel territorio nazionale, il Questore deve operare il bilanciamento tra gli opposti interessi della tutela della pubblica sicurezza e della vita familiare e personale del cittadino straniero.

Alla luce del quadro normativo riportato, occorre evidenziare che l’odierno ricorrente non ha in alcun modo dedotto di avere rapporti familiari e di per sé non è stato ritenuto sufficiente il tempo, comunque non eccessivamente ampio, trascorso in Italia (otto anni), con una valutazione che risulta immune da censure (si veda, sul punto, anche la nota del 7.6.2023 della Questura di Roma, depositata in atti in data 12.6.2023).

Da ciò discende la correttezza, sotto il profilo logico-giuridico, delle motivazioni addotte a sostegno del provvedimento impugnato.

Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere respinto in quanto infondato.

Si ritiene che le spese della lite possono essere compensate.

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