TAR Roma, sez. 2S, sentenza 2023-02-06, n. 202302003
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Pubblicato il 06/02/2023
N. 02003/2023 REG.PROV.COLL.
N. 06643/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Stralcio)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6643 del 2010, proposto da L G M, rappresentato e difeso dall'avvocato P P, con domicilio eletto presso il suo studio in Manziana, c.so V. Emanuele, 67;
contro
Comune di Manziana, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato R V, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Cesare Fracassini, 18;
per l'annullamento
dell’ordinanza n. 6 del 20 maggio 2009, ritirata a mani il 4 maggio 2010, recante ordine di demolizione di opere abusive;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Manziana;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 20 gennaio 2023 la dott.ssa Donatella Scala e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso notificato il primo luglio 2010 e depositato il 22 luglio 2010 parte ricorrente, proprietaria di un manufatto sito presso il Comune di Manziana e distinto in catasto al foglio n° 19 particella 71, ha impugnato il provvedimento di demolizione n°6 del 20 maggio 2009, di assume la mancata notifica, con cui il Comune di Manziana ha ordinato la demolizione dei seguenti abusi:
-Manufatto a uso abitativo su pianta regolare posto su cordolo in cemento armato realizzato in blocchetti di “poroton” e laterite delle misure di mt. 7,65 x mt. 8,90 circa, avente altezza alla gronda di mt. 2,50, con copertura a tetto di pannelli di alluminio coibentato, in fase di ultimazione. Il tutto nascosto da manufatto in tavole di legno della misura di mt. 10,25 circa, con altezza al colmo di mt. 3,20, privo di copertura.
Parte ricorrente, affidandosi a quattro motivi di ricorso, chiede l’annullamento dell’ordinanza in parola, in quanto illegittima.
Il Comune si è costituito in data 10 settembre 2012.
A seguito dell’avviso di perenzione quinquennale ex art. 82 c.p.a., comunicato dalla Segreteria alle parti costituite in data 3 dicembre 2015, parte ricorrente ha depositato in data 27 maggio 2016 domanda di fissazione udienza.
In vista della discussione della causa nel merito, il Comune di Manziana ha depositato memoria il 16 dicembre 2022, con cui ha eccepito l’infondatezza dei motivi di ricorso ritenendo del tutto ininfluente e inconferente la circostanza, inoltre non provata, che il manufatto fosse stato edificato prima del 1967, in quanto le caratteristiche dell’opera abusivamente realizzata sarebbero sufficienti a legittimare l’intervento sanzionatorio adottato dall’Amministrazione. Ha evidenziato, ancora, parte resistente che a prescindere che si tratti di demolizione-ricostruzione o di ristrutturazione con cambio di destinazione, quelli realizzati dal ricorrente sono interventi subordinati a permesso di costruire ex art. 10 D.P.R. 380/01, in assenza del quale sono soggetti all’ordinanza d’immediata sospensione dei lavori e demolizione ex art. 33 del medesimo TU.
Da ultimo, parte resistente eccepisce che le misure sanzionatorie per l’accertamento dell’inosservanza delle disposizioni urbanistiche consistono in un’attività amministrativa di natura vincolata, in ragione della quale non sussiste in capo all’Amministrazione né un onere di valutazione discrezionale degli interessi in gioco, né un obbligo di comunicazione di avvio del procedimento.
All’udienza di smaltimento del 10 gennaio 2023, la causa è stata trattenuta in decisione.
Il ricorso è infondato sotto tutti i profili dedotti.
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce l’illegittimità del provvedimento impugnato per eccesso di potere per travisamento dei fatti, in quanto le opere oggetto di ingiunzione sono state realizzate in un periodo in cui non era necessario richiedere e ottenere alcun titolo concessorio e/o autorizzativo.
L’infondatezza della censura emerge dalla lettura del provvedimento impugnato, oltre che dai chiarimenti resi dal Comune resistente, posto che l’intervento sanzionato è consistito nella demolizione di un vecchio manufatto (baracca in legno fatiscente realizzata per soddisfare necessità contingenti e temporanee di ricovero animali, giusta dichiarazione allegata al ricorso del precedente proprietario) e sua ricostruzione, che all’atto della verifica era ancora in fase di ultimazione, con utilizzo di materiali destinati a realizzare un manufatto da destinare ad abitazione (per stessa ammissione del ricorrente in occasione del quarto motivo, di cui infra).
Si tratta di attività di ristrutturazione edilizia per la quale il ricorrente avrebbe dovuto munirsi di permesso di costruire, ai sensi dell’art. 10, d.P.R. 380/2001, invece pacificamente mancante.
Non hanno alcun rilievo, pertanto, le asserzioni circa la eventuale legittimità edilizia di un manufatto che il ricorrente ha inteso sostituire con uno completamente diverso per materiali di costruzione (basti, sul punto richiamare quanto descritto nel provvedimento impugnato) e destinazione (da ricovero animali a civile abitazione).
Con il secondo e il terzo motivo di ricorso, che possono essere analizzati congiuntamente per la continuità logica che presentano, il ricorrente deduce l’illegittimità del provvedimento impugnato per eccesso di potere per carenza di istruttoria, in violazione della L. 47/1985 e dell’art. 13 L. 241/1990.
Parte ricorrente denuncia che il Comune resistente ha omesso l’attività istruttoria necessaria ad accertare la concreta possibilità di procedere alla demolizione e al ripristino dei luoghi senza danneggiare altri immobili nelle vicinanze. Pertanto, in presenza di una situazione incerta, l’amministrazione avrebbe dovuto compiere una valutazione discrezionale che soppesasse adeguatamente le ragioni di interesse pubblico che possono indurre a non affrontare il rischio di danneggiamento degli immobili vicini.
Parte ricorrente, inoltre denuncia la mancata comunicazione all’istante dell’avvio del procedimento che ha dato origine all’ordinanza di demolizione, in espressa violazione dell’art. 13 L. 241/1990.
Anche queste censure devono essere respinte, tenuto conto che, in assenza di un titolo legittimante la realizzazione del manufatto colpito dall’ordine di demolizione, l’Amministrazione comunale è tenuta ad adottare il provvedimento ripristinatorio, senza necessità di ulteriori accertamenti.
E’ noto, infatti, che il provvedimento con il quale viene disposta la demolizione di un’opera priva di titolo edilizio è un atto dovuto e rigidamente vincolato alla verifica dei relativi presupposti, ex lege delineati dagli artt. 27 e ss. d.P.R. n. 380/2001.
Partendo da tale presupposto, non rilevano le possibili difficoltà esecutive, peraltro solo genericamente evocate dal ricorrente, in quanto “ non compete all'Amministrazione procedente di dover valutare, prima dell'emissione dell'ordine di demolizione dell'abuso, se detta sanzione possa essere applicata, piuttosto incombendo sul privato interessato la dimostrazione, in modo rigoroso e nella fase esecutiva, dell'obiettiva impossibilità di ottemperare all'ordine stesso senza pregiudizio per la parte conforme ”. (cfr., da ultimo, Tar, Campania, Napoli, sez. IV, 13 maggio 2022, n.3239).
Per le medesime ragioni, in presenza di abuso edilizio, l'ordinanza di demolizione deve essere emanata senza indugio, non dovendo essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento, costituendo una misura sanzionatoria per l'accertamento dell'inosservanza di disposizioni urbanistiche secondo un procedimento di natura vincolata. Come sopra accennato, infatti, l'ordinanza di demolizione è rigidamente ancorata ai predeterminati presupposti in fatto e in diritto, al ricorrere dei quali va dunque emessa, senza necessità di evidenziare particolari ragioni di interesse pubblico a supporto, in prevalenza sull'eventuale contrario affidamento maturato in capo al privato, e senza che l'eventuale carenza procedimentale della mancata previa comunicazione di avvio del relativo procedimento possa condurre per ciò solo al suo annullamento, ex art. 21 octies, comma 2, l. n. 241/1990.
Ad abundantiam, quanto al caso di specie, è utile rilevare che il provvedimento di demolizione non ha certo costituito una “sorpresa” per il ricorrente che aveva già ricevuto ordinanza di sospensione dei lavori poi sanzionati con l’ordinanza della cui legittimità si controverte.
Con il quarto e ultimo motivo di ricorso il ricorrente deduce l’illegittimità del provvedimento impugnato per violazione di legge e per eccesso di potere in ragione della mancata motivazione dell’ordinanza impugnata in ordine alla risalenza del manufatto e della circostanza in fatto che lo stesso è posto sotto sequestro, pendendo procedimento penale.
Anche questi argomenti sono inconducenti tenuto conto che la risalenza nel tempo del manufatto non ha alcun rilievo in assenza, non contestata, di un idoneo titolo edilizio, avendo l’illecito, per sua natura, carattere permanente con conseguente doverosità della sua rimozione.
Sul punto, la costante giurisprudenza amministrativa ritiene che la circostanza che l'abuso sia risalente nel tempo non vale ad escludere l'esercizio dei poteri di controllo e sanzionatori del Comune, tenuto conto che gli stessi non sono soggetti a prescrizione o decadenza, in considerazione della fondamentale immanenza dell'interesse pubblico alla corretta gestione del territorio.
Peraltro, nel caso di specie, l’attività sanzionata era ancora in corso al momento degli accertamenti, che avevano, peraltro, indotto a ordinare immediatamente la sospensione degli stessi, come è dato leggere nelle premesse del provvedimento impugnato, la cui adozione, pertanto, nemmeno sotto tale profilo, in fatto, può ritenersi intempestiva.
Né può ritenersi che il sequestro dell’immobile abusivo da parte dell'Autorità giudiziaria penale possa determinare l'illegittimità dell'ordinanza di demolizione che lo attinge: al più, la parte ricorrente avrebbe dovuto chiedere il differimento del termine fissato per la rimessa in pristino, decorrente dalla data del dissequestro, che è onere dell'interessato richiedere tempestivamente secondo la procedura prevista dall'art. 85 disp. att. c.p.p., allo scopo di ottenere l'autorizzazione a provvedere direttamente alla demolizione e al ripristino dei luoghi. Conseguentemente, la circostanza che il fabbricato è oggetto di un sequestro penale deve essere tenuta in conto dall'Amministrazione procedente non all’atto dell’adozione del doveroso provvedimento ripristinatorio, ma soltanto ai fini delle valutazioni di competenza circa l'eseguibilità materiale del provvedimento repressivo.
In conclusione, l’esame complessivo dei mezzi dedotti porta a ritenere il ricorso infondato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.