TAR Bari, sez. II, sentenza 2021-11-17, n. 202101671

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Bari, sez. II, sentenza 2021-11-17, n. 202101671
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Bari
Numero : 202101671
Data del deposito : 17 novembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/11/2021

N. 01671/2021 REG.PROV.COLL.

N. 01053/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1053 del 2016, proposto da
-OMISSIS--OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato F L T, con domicilio eletto in Bari, piazza Garibaldi, 23;

contro

Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliato in Bari, via Melo, 97;

per l'annullamento

del decreto emesso dal Prefetto della Provincia di -OMISSIS- prot. n. -OMISSIS-Area 1^Bis del 24.05.2016, notificato in data 13.06.2016 e di ogni altro atto presupposto, consequenziale e/o comunque connesso.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 9 novembre 2021 il dott. A F e uditi per le parti i difensori L’udienza si tiene mediante collegamento da remoto in videoconferenza, secondo quanto disposto dall’art.13-quater disp. att. c.p.a..

E' collegato l'avv. F L T;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con ricorso ritualmente proposto il Sig. -OMISSIS- -OMISSIS-ha impugnato e chiesto l’annullamento del decreto emesso dal Prefetto della Provincia di -OMISSIS- prot. n. -OMISSIS-Area 1^Bis del 24.05.2016, notificato in data 13.06.2016 e di ogni altro atto presupposto, consequenziale e/o comunque connesso.

In particolare, il ricorrente ha esposto:

- che con istanza depositata in data 3.7.2015, chiedeva alla Prefettura di -OMISSIS- il rinnovo dell’autorizzazione al porto di pistola per difesa personale prot. n. -OMISSIS-in precedenza ottenuta, in quanto titolare di autorizzazione di polizia per la vendita di preziosi e gestore di una gioielleria sita in -OMISSIS-alla via -OMISSIS-, e ciò in ragione della sussistenza di una situazione di rischio a carico del richiedente e del conseguente bisogno di circolare armato;

- che la Prefettura di -OMISSIS- -UTG- Area 1^Bis, ai sensi dell’art. 10 bis L. 241/1990, comunicava al ricorrente i motivi ostativi all’accoglimento della predetta istanza rilevando l’insussistenza del requisito soggettivo della buona condotta previsto per le autorizzazioni di polizia, il quale escludeva il requisito dell’affidabilità ex art. 43 del T.U.L.P.S. e dunque si opponeva al chiesto rinnovo dell’autorizzazione dal momento che il sig. -OMISSIS- in data 11.2.2015 era stato deferito alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di -OMISSIS- per i reati di minacce e violenza privata;

- che in data 2.9.2015, presentava le proprie osservazioni con le quali confermava la sussistenza del requisito dell’affidabilità rilevando che il deferimento alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di -OMISSIS- derivava da una querela, presentata, ma poi rimessa in data 18.9.2015.

- che il Prefetto della Provincia di -OMISSIS-, con decreto prot. n. -OMISSIS-Area 1^ Bis del 24.5.2016, rigettava l’istanza sul presupposto che “ la remissione di querela da parte del denunziante non esclude la rilevanza della condotta tenuta ai fini della valutazione circa l’affidabilità del soggetto in materia di armi, la quale integra il fatto che il titolo di polizia possa essere utilizzato in maniera impropria o per fini non corrispondenti a quelli istituzionalmente sottesi alla citata autorizzazione, con il conseguente abuso dello stesso ” e sulla considerazione che “ la condanna in data 27.10.1975 per i reati di tentata rapina, violazione di domicilio, lesioni personali e resistenza a pubblico ufficiale, sia pure risalente nel tempo, non consente il rilascio o rinnovo della licenza di porto d’arma ai sensi dell’art. 43 del T.U.L.P.S. ”.

A fondamento del ricorso sono stati dedotti i seguenti motivi:

1°) violazione e falsa applicazione degli artt. 11, 42 e 43 del R.D. 18.6.1931 n. 773 (T.U.L.P.S.);
eccesso di potere per travisamento ed erroneità dei presupposti di fatto e di diritto;
carenza di istruttoria.

Con tale motivo il ricorrente ha censurato la legittimità del provvedimento gravato in quanto già in sede di osservazioni “ veniva evidenziato che il sig. -OMISSIS-in data 18.9.2015 aveva spontaneamente rimesso la querela presentata in data 3.2.2015 ” nei confronti del sig. -OMISSIS- e che pertanto “ nessun reato è stato mai commesso dal ricorrente ”.

La remissione della querela – nella quale l’originario querelante ha ammesso di aver enfatizzato l’episodio che ha condotto al deferimento del ricorrente – dimostrerebbe l’errato apprezzamento della Prefettura di -OMISSIS- circa il requisito di buona condotta.

2°) Violazione e falsa applicazione degli artt. 11, 42 e 43 del R.D. 18.6.1931 n. 773 (T.U.L.P.S.);
eccesso di potere per travisamento ed erroneità dei presupposti di fatto e di diritto;
carenza di istruttoria.

Con tale motivo il ricorrente ha censurato la legittimità del provvedimento impugnato dal momento che il Prefetto della Provincia di -OMISSIS- avrebbe fatto riferimento alla circostanza che il medesimo ricorrente “ in data 27.10.1975 riportava una condanna per i reati di tentata rapina, violazione di domicilio, lesioni personali e resistenza a pubblico ufficiale ”, avrebbe operato “ l’automatismo preclusivo tra la condanna riportata dal ricorrente nel 1975 ed il rigetto dell’istanza di rinnovo, senza alcun ulteriore indagine sulla personalità dell’istante ”.

In particolare, il ricorrente ha precisato che la Corte d’Appello di Bari, con sentenza n. -OMISSIS-, accogliendo l’istanza formulata, lo ha riabilitato dalla condanna suesposta e che pertanto “ atteso il notevole lasso di tempo trascorso dalla sentenza di condanna (circa 40 anni) l’Amministrazione avrebbe dovuto operare un approfondito e complessivo accertamento della condotta del richiedente ”.

Conseguentemente il ricorrente ha censurato il provvedimento in quanto carente di motivazione sul presupposto che sarebbe onere dell’Amministrazione “ motivare specificamente i fatti che si ritengono ancora espressivi della pericolosità e dell’inaffidabilità della persona ”, considerando che l’odierno ricorrente dopo il 1978 non ha commesso alcun altro reato.

3°) Violazione di legge;
violazione e falsa applicazione degli artt. 11, 42 e 43 del R.D. 18.6.1931 n. 773 (T.U.L.P.S.);
violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 8 della Legge n. 241 del 1990;
violazione del giusto procedimento;
eccesso di potere per illogicità ed erroneità dell’azione amministrativa.

Con tale motivo, il ricorrente ha dedotto la violazione delle garanzie di partecipazione procedimentale, tenuto conto che l’Amministrazione avrebbe indicato “ solamente il cosiddetto deferimento alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di -OMISSIS-, mentre nessun cenno conteneva all’applicazione dell’automatismo condanna pregressa - rigetto, attraverso l’interpretazione restrittiva dell’art. 43 del T.U.L.P.S .”, così impedendo al ricorrente la piena partecipazione procedimentale.

Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno (22.9.2016) la quale ha opposto, nella relazione depositata, che il provvedimento è stato legittimamente adottato e che il ricorso in esame andrebbe respinto in quanto “ il rilascio o il rinnovo della licenza di porto di pistola per difesa personale è subordinato alla verifica della sussistenza delle condizioni previste dall’art. 42 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (TULPS), compresa la dimostrazione dell’effettivo bisogno di andare armati ”.

In particolare, l’Amministrazione ha precisato che il rilascio o il rinnovo del porto d’armi non sostanzia un diritto, ma va correlato a un complesso di interessi – pubblici e privati – che cedono a fronte del superiore interesse pubblico alla sicurezza.

Con ordinanza n. 473 del 5 ottobre 2016 è stata respinta la domanda cautelare con la seguente motivazione: “ considerato che, nel bilanciamento fra l’interesse alla sicurezza pubblica e quello del ricorrente a circolare armato, la prevalenza, data al primo nel provvedimento gravato, non appare allo stato irragionevole, non essendo decisivo che la parte offesa abbia ritirato la querela sporta a carico del ricorrente;
ritenuto parimenti non decisivo il fatto che, in seguito, la parte offesa abbia ritrattato il contenuto della querela, poiché tale circostanza non risultava acquisita al procedimento in quanto risultante da una dichiarazione resa in data successiva all’adozione del provvedimento impugnato
”.

In vista dell’udienza di discussione nel merito del ricorso, fissata per il 9 novembre 2021, il ricorrente ha depositato una memoria nella quale ha ribadito le proprie censure alle valutazioni che hanno condotto all’emissione dell’impugnato provvedimento: a tale udienza la causa è stata trattenuta per la decisione.

Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto.

Non colgono nel segno il primo e il secondo motivo di ricorso, i quali possono essere trattati in maniera congiunta viste le argomentazioni dedotte.

Giova premettere che ad avviso della giurisprudenza, ormai consolidata, (cfr., ex multis , Consiglio di Stato, sez. VI - 5/4/2007 n. 152;
sez. IV - 8/5/2003 n. 2424;
sez. IV - 30/7/2002 n. 4073;
sez. IV - 29/11/2000 n. 6347), in materia di rilascio (o di revoca) del porto d'armi e di autorizzazione alla detenzione, seguita anche da questo Tar (sez. II, 8.3.2021, n. 432), l'autorità di pubblica sicurezza -nel perseguire la finalità di prevenire la commissione di reati e/o fatti lesivi dell'ordine pubblico- esercita un'ampia discrezionalità nel valutare l'affidabilità del soggetto di fare buon uso delle armi.

L'Amministrazione, nel pieno esercizio della propria discrezionalità, quindi, può valorizzare ai fini della decisione anche episodi non solo di pregresso abuso delle armi, ma dai quali si evince un giudizio di non affidabilità del titolare.

Difatti, nel provvedimento gravato si evidenzia come il diniego di rinnovo sia il risultato di una valutazione dei fatti commessi e storicamente accertati, che non consentirebbero di escludere possibili abusi dell’autorizzazione, risultando, quindi, il diniego motivato alla luce della circostanza per cui il sig. -OMISSIS-, in data 11.02.2015, veniva deferito alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di -OMISSIS- per i reati di minacce e violenza privata nonchè, in data 27.10.1975, riportava una condanna per i reati di tentata rapina, violazione di domicilio, lesioni personali e resistenza a pubblico ufficiale.

Con riguardo al primo avvenimento riportato, similmente a quanto ritenuto dal Consiglio di Stato in casi simili in cui vi è stato il proscioglimento per remissione della querela (Sez. III, 31 maggio 2016, n. 2308), si ritiene di per sé ragionevole, e comunque insindacabile nella sede della giurisdizione di legittimità, la scelta dell’Amministrazione di non rilasciare una licenza di porto d’armi nei confronti di chi abbia formulato minacce (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 24 agosto 2016, n. 3687;
id., Sez. III, 10 agosto 2016, n. 3515;
id., Sez. III, 5 luglio 2016, n. 2990;
id., Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1727 e n. 1703) e, a maggior ragione, nei confronti di chi, oltre alle minacce, sia stato querelato o denunciato, non occorrendo che i fatti valutati dall’Amministrazione abbiano dato luogo a condanne penali o che abbiano una specifica attinenza all’uso delle armi.

Infatti la valutazione dell'Autorità di pubblica sicurezza, caratterizzata da ampia discrezionalità, persegue lo scopo di prevenire (cfr. T.A.R. Puglia, sez. III, 3 maggio 2017 n. 474), per quanto possibile, l'abuso di armi da parte di soggetti non pienamente affidabili, tanto che il giudizio di non affidabilità è giustificabile anche in situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o misure di pubblica sicurezza, ma a situazioni genericamente non ascrivibili a buona condotta (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 10 agosto 2016, n. 3590).

Pertanto vista l’irrilevanza della remissione della querela e in considerazione delle circostanze emerse nel corso del procedimento amministrativo, il Collegio ritiene che il provvedimento gravato non sia affetto dai vizi di eccesso di potere, dedotti dall’appellante.

Con riguardo al motivo ostativo all’accoglimento soprariportato concernente la condanna, occorre precisare che il T.U.L.P.S., nel disciplinare il rilascio della " licenza di porto d'armi ", mira a salvaguardare la tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica e, come ha rilevato la Corte Costituzionale con sentenza del 16 dicembre 1993, n. 440, “ il potere di rilasciare le licenze per porto d'armi "costituisce una deroga al divieto sancito dall'art. 699 del codice penale e dall'art. 4, primo comma, della legge n. 110 del 1975 " e che, di conseguenza, " il porto d'armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, eccezione al normale divieto di portare le armi ". Regola generale è infatti quella del divieto di detenzione delle armi e l’autorizzazione di polizia è suscettibile di rimuoverla in via di eccezione, in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali, che è compito dell'Autorità di pubblica sicurezza prevenire.

In primo luogo, giova evidenziare che in sede di diniego di rinnovo del porto d’armi, l’Amministrazione deve verificare, sulla base di elementi obiettivi, la scarsa affidabilità nel loro uso da parte del richiedente, o un'insufficiente capacità di dominio dei suoi impulsi ed emozioni (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 30 aprile 2019, n. 1186;
T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 18 aprile 2019, n. 873;
T.A.R.Veneto, sez. I, sent. n. 811/2019).

Tale accertamento, nel caso in esame, è stato compiuto dall’Amministrazione resistente, e a seguito del quale sono emersi a carico dello stesso fatti di rilievo sul piano penale, tali da far sorgere dubbi circa un eventuale utilizzo scorretto o improprio dell’arma.

L’interessato ha lamentato la violazione dell’art 43 del testo unico n. 773 del 1931, deducendo che andrebbe interpretato nel senso che non vi sarebbe la ‘natura ostativa’ della condanna riportata per i reati di tentata rapina, violazione di domicilio, lesioni personali e resistenza a pubblico ufficiale tenuto conto della risalenza delle condotte commesse e della conseguita riabilitazione.

Ritiene il Collegio che vadano ribaditi i principi affermati dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (sent. n. 4660/2016, n. 4390 del 20 ottobre 2016, n. 4262 del 14 ottobre 2016, n. 2992 del 5 luglio 2016, n. 2019 del 18 maggio 2016 e n. 2312 del 31 maggio 2016), rilevando, nella specie, la disciplina di cui all’art. 43, dall’esame della quale emerge che il legislatore ha individuato i casi in cui l’Autorità amministrativa è titolare di poteri strettamente vincolati (ai sensi dell’art. 11, primo comma e terzo comma, prima parte, e dell’art. 43, primo comma, che impongono il divieto di rilascio di autorizzazioni di polizia ovvero il loro ritiro) e quelli in cui, è titolare di poteri discrezionali (ai sensi dell’art. 11, secondo comma e terzo comma, seconda parte, e dell’art. 39 e 43, secondo comma).

Dunque, dalla normativa regolante la materia, si evince che qualunque precedente penale può adeguatamente costituire il presupposto di una valutazione negativa sull'affidabilità del privato circa il corretto uso delle armi, e neppure è necessario che tale presupposto sia rappresentato da precedenti penali (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 5 dicembre 2007 n. 6181;
Tar Campania, sez. V, 5652/2021).

Non ci si discosta dall’orientamento del Consiglio di Stato in ordine all’irrilevanza, in tali casi, della riabilitazione (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 27 aprile 2015, n. 2158, che ha considerato irrilevante «la vetustà della condanna, risalente a ventiquattro anni prima»;
Sez. I, 24 ottobre 2014, n. 3257/14;
Sez. III, 3 agosto 2011, n. 4630;
Sez. III, 31 maggio 2011, n. 3287;
Sez. VI, 30 maggio 2011, n. 3249;
Sez. VI, 17 aprile 2009, n. 2343;
Sez. VI, 3 marzo 2010, n. 1245;
Sez. VI, 17 aprile 2009, n. 2343;
Sez. IV, 7 novembre 2006, n. 7970;
Sez. VI, 24 gennaio 2006, n. 2576;
Sez. IV, 5 luglio 2005, n. 5905;
Sez. I, 6 aprile 2005, n. 1200).

La Sezione ritiene dunque che vada ribadito l’orientamento, per il quale la licenza di porto d’armi non può essere rilasciata nel caso di condanna per un ‘reato ostativo’ previsto dall’art. 43 pur quando l’interessato abbia ottenuto la riabilitazione, disciplinata dall’art. 178 del codice penale.

Ma a prescindere dai generali presupposti che regolano la materia, il punto capitale del decidere è un altro, ed è integrato, cioè, dal passaggio motivazionale in cui l’Amministrazione ha evidenziato che “ la remissione di querela da parte del denunziante non esclude la rilevanza della condotta tenuta ai fini della valutazione circa l’affidabilità del soggetto in materia di armi, la quale integra il fatto che il titolo di polizia possa essere utilizzato in maniera impropria o per fini non corrispondenti a quelli istituzionalmente sottesi alla citata autorizzazione, con il conseguente abuso dello stesso ”.

Invero, la Prefettura di -OMISSIS- ha ricavato elementi ostativi al rilascio del titolo in questione dalla comparazione tra i fatti posti a fondamento della sporta querela e quelli rappresentati nella remissione della stessa: un raffronto che non ha consentito di dissipare i dubbi che hanno giocoforza condotto a non ritenere integrato il requisito della buona condotta.

Tale valutazione, nondimeno, non può essere messa in discussione neppure dalla Sezione, tenuto conto che il ricorrente non ha allegato in atti la querela (mentre ha allegato la remissione), tale condotta costituendo, sul piano probatorio, un ostacolo ad una completa cognizione sui fatti di causa.

In altri termini, è stato precluso al Collegio di poter riesaminare le risultanze istruttorie.

Si tratta, a ben vedere, di un profilo dirimente, risultando palese che il richiamo ai risalenti reati a carico del ricorrente – per quanto significativi in punto di astratta rilevanza penale – non abbia giocato un ruolo determinante, ma abbia, piuttosto, compendiato il giudizio sul deficit di affidabilità dello stesso ricorrente.

Pertanto, sulla base non soltanto delle risultanze istruttorie della Prefettura, ma soprattutto in ragione della mancata allegazione di elementi probatori in grado di giustificare – non secondo la sola ed unica prospettazione del ricorrente, per forza di cose parziale, ma secondo il peculiare apprezzamento riservato al Collegio – la domanda di annullamento, deve ritenersi che il provvedimento impugnato sia legittimo ed immune da irragionevolezza.

Non coglie, da ultimo, nel segno il terzo motivo, tenuto conto di quanto sopra statuito con riguardo alla reale ragione che ha determinato il diniego impugnato.

In conclusione, il ricorso va respinto.

In ragione del carattere risalente della controversia si ravvisano i presupposti per disporre la compensazione delle spese processuali.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi