TAR Roma, sez. III, sentenza 2010-09-08, n. 201032135

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. III, sentenza 2010-09-08, n. 201032135
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201032135
Data del deposito : 8 settembre 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03847/2010 REG.RIC.

N. 32135/2010 REG.SEN.

N. 03847/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso n. 3487 del 2010 proposto dal CODACONS - Coordinamento delle associazioni e dei comitati di tutela dell'ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori - in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso, anche disgiuntamente, dagli avv.ti prof. C R, G G, M R, L F, M M e G L ed elettivamente domiciliato presso l'Ufficio legale Nazionale del Codacons in Roma, Viale Mazzini n.73;

contro

Banca D'Italia, rappresentato e difeso dagli avv. O C, G T, con domicilio eletto presso O C in Roma, via Nazionale N. 91;
Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentato e difeso dall'Avvocatura, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per ottenere:

A) l’ANNULLAMENTO della nota del 19.03.2010 - prot. n.0216475/10 del 18.3.2010 con cui l'intimata Banca d'Italia ha rigettato l'istanza di accesso avanzata dall'associazione ricorrente in data 17.2.2010 nonchè per l'annullamento e/o disapplicazione, ove possa occorrere in parte qua, del Regolamento per la disciplina delle modalità dell'esercizio del diritto di accesso ai documenti concernenti l'attività di vigilanza in materia bancaria e finanziaria, adottato con deliberazione della Banca d'Italia dell' 11 dicembre 2007 nonchè del Regolamento per l'esclusione dell'esercizio del diritto di accesso adottato con provvedimento del Governatore della Banca d'Italia del 16.5.1994;

B) la CONDANNA della resistente Banca d'Italia all'esibizione della documentazione di cui alla citata istanza.


Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Banca D'Italia;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Economia e delle Finanze;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 15 luglio 2010 il dott. G S e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

L'associazione ricorrente e l'avv. Rienzi, avendo appurato che la Banca d'Italia aveva effettuato un'indagine nell'ambito del sistema bancario in merito alle commissioni applicate dagli istituti di credito su affidamenti e sconfinamenti di conto successivamente all'entrata in vigore del D.L. n.185/2008, convertito in legge n.2/2009, che ha stabilito la nullità delle clausole contrattuali aventi ad oggetto la commissione di massimo scoperto ovvero altre create al loro posto, con istanza datata 17.2.2010 hanno chiesto alla resistente Banca d'Italia di prendere visione ed estrarre copia della seguente documentazione:

1) le singole proposte di modifica unilaterale dei contratti formulate dalle banche;

2) ogni documento relativo alla rilevazione dei costi, prezzi e commissioni applicate durante la vigenza delle nuova normativa;

3) ogni documento relativo alla rilevazione dei costi, prezzi e commissioni applicate nel periodo precedente a quello in esame;

4) ogni elaborazione o indagine - anche contabile o statistica - relativa ai predetti elementi;

5) ogni eventuale ulteriore documento o elemento utile relativo alla rilevazione dei costi, prezzi e commissioni applicate;

6) ogni eventuale ulteriore documento - comprese indagini o pareri - relativi alla interpretazione e applicazione della normativa relativa alle nuove strutture commissionali delle banche.

A sostegno dell'istanza de qua era stato fatto presente che la conoscenza della richiesta documentazione era necessaria per il Codacons che aveva promosso due distinti azioni di classe, ai sensi dell'art.140 del Codice del Consumo, a tutela degli utenti bancari lesi dalle clausole contrattuali relative alle commissioni di massimo scoperto.

La ripetuta istanza è stata rigettata dal resistente Istituto, fatta salva l'esibizione di un documento relativo alla richiesta di cui al punto n.6, sul presupposto che " l'eventuale accesso a documentazione amministrativa in possesso della Banca d'Italia è soggetto ai presupposti e alle condizioni stabilite nella L. n.241/1990 e nel Regolamento emanato dalla Banca d'Italia in data 11.2.2007. Le informazioni e i dati in possesso della Banca d'Italia in ragione della sua attività di vigilanza sono infatti coperti dal segreto di ufficio (art.7 del Testo Unico bancario d.lgvo n.385/1993) che esclude il diritto di accesso ai sensi dell'art.24, comma 1, lett.a) della citata legge n.241/1990".

Avverso il contestato diniego sono stati dedotti i seguenti motivi di doglianza:

1) Violazione e falsa applicazione dell'art.7 del Testo Unico Bancario (d.lgvo n.385/1993). Violazione art.22 della L. n.241/1990. Violazione art.2, Regolamento Banca d'Italia per l'esclusione dell'esercizio del diritto di accesso. Violazione art.2 del Regolamento per la disciplina delle modalità dell'esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi concernenti l'attività di vigilanza in materia bancaria e finanziaria;

2) Violazione artt. 22 e 24 della L. n.241/1990. Violazione dell'art.97 della Costituzione.

Si è costituita la Banca d'Italia prospettando preliminarmente l'inammissibilità sotto diversi profili del proposto gravame e contestando con dovizia di argomentazioni la fondatezza delle dedotte doglianze.

Si è pure costituito l'intimato Ministero dell'Economia e delle Finanze confutando genericamente le prospettazioni ricorsuali.

Alla camera di consiglio del 15 luglio 2010 il proposto gravame è stato assunto in decisione.

DIRITTO

Con il proposto gravame è stata impugnata la determinazione, in epigrafe indicata, con cui l'intimata Banca d'Italia ha rigettato, fatta salva la documentazione di cui al punto 6) di cui sopra, l'istanza con cui il Codacons aveva chiesto di prendere visione della documentazione, dettagliatamente indicata nella citata istanza, relativa all'indagine effettuata dal citato Istituto in merito alle commissioni applicate dalle banche su affidamenti e sconfinamenti di conto successivamente all'entrata in vigore del D.L. n.185/2008, convertito in legge n.2/2009, che ha stabilito la nullità delle clausole contrattuali aventi ad oggetto la commissione di massimo scoperto ovvero altre create al loro posto.

A sostegno del contestato diniego è stato fatto presente che "l'eventuale accesso a documentazione amministrativa in possesso della Banca d'Italia è soggetto ai presupposti e alle condizioni stabilite nella L. n.241/1990 e nel Regolamento emanato dalla Banca d'Italia in data 11.2.2007. Le informazioni e i dati in possesso della Banca d'Italia in ragione della sua attività di vigilanza sono infatti coperti dal segreto di ufficio (art.7 del Testo Unico bancario d.lgvo n.385/1993) che esclude il diritto di accesso ai sensi dell'art.24, comma 1, lett.a) della citata legge n.241/1990".

Il Collegio prescinde dal previo esame delle eccezioni di rito sollevate dall'intimata Banca d'Italia stante la manifesta infondatezza delle dedotte doglianze.

Con il primo motivo di doglianza è stato fatto presente che la Banca d'Italia avrebbe errato nel ricondurre nell'attività di vigilanza in materia bancaria e finanziaria l'attività di indagine da essa svolta in ordine alle clausole relative alle commissioni de quibus applicate dagli istituti di credito;
a tal fine è stato fatto presente che la ripetuta attività di indagine non poteva, infatti, essere ricompresa in nessuna delle tre tipologie di attività di vigilanza (Informativa, Regolamentare ed Ispettiva) così come disciplinate dagli artt.51, 53 e 54 del TUB.

Al riguardo, in linea con quanto affermato dal CS, sez.VI, n.936/1998 in una fattispecie analoga a quella oggetto della presente controversia, il Collegio osserva che la tesi ricorsuale si basa su un'errata opzione ermeneutica volta a distinguere fra attività di vera e propria vigilanza, con riferimento alla quale troverebbe applicazione l'art.7 del TUB, che sottopone al regime del segreto i soli documenti acquisiti dalla BI nell'ambito dell'esercizio dell'attività di vigilanza, ed altri poteri di controllo sottratti al regime del segreto.

In linea con i principi affermati dalla citata sentenza di appello deve essere sottolineato che la tesi ricorsuale è la conseguenza di una interpretazione meramente letterale e non sistematica del t.u., che non tiene conto dei principi ispiratori dello stesso ed, in particolare, del citato art.7.

In primo luogo l'attuale formulazione della menzionata disposizione è frutto del recepimento dell'art. 16 della direttiva 89/646/C.E.E. che, modificando l'art. 12 della prima direttiva banche (77/780/CEE), ha ribadito l'obbligo del segreto d'ufficio sulle informazioni assunte dalle autorità di controllo dei paesi membri, prevedendo espressamente limitate deroghe a tale obbligo.

In secondo luogo che l'attività di "vera e propria vigilanza" non possa essere ristretta al titolo III, emerge da una serie di norme del medesimo testo unico, tra le quali in particolare: l'art. 2, 1 comma, che attribuisce al comitato interministeriale per il credito ed il risparmio "l'alta vigilanza in materia di credito e di tutela del risparmio", sicché ogni suo intervento non può che essere orientato al perseguimento di tale obiettivo, appunto di vigilanza;
l'art. 4, 1 comma, secondo cui "La Banca d'Italia, nell'esercizio delle funzioni di vigilanza, formula le proposte per le deliberazioni di competenza del Cicr previste nei titoli II e III e nell'art. 107";
l'art. 5, 1 comma, in forza del quale "Le autorità creditizie esercitano i poteri di vigilanza a esse attribuiti dal presente decreto legislativo, avendo riguardo alla sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, alla stabilità complessiva, all'efficienza e alla competitività del sistema finanziario nonché all'osservanza delle disposizioni in materia creditizia";
l'art. 128, 1 comma, inserito nel titolo VI, dedicato alla trasparenza delle condizioni contrattuali, il quale dispone che "al fine di verificare il rispetto delle disposizioni del presente titolo, la Banca d'Italia può acquisire informazioni, atti e documenti ed eseguire ispezioni presso i soggetti indicati nell'articolo 115, commi 1 e 2, ovvero chiedere che tali verifiche siano effettuate dalle competenti autorità di controllo o di vigilanza", integrando così anche un'ipotesi di vigilanza informativa ed ispettiva, al di fuori del titolo III, cui si associa un potere sanzionatorio da esercitarsi ai sensi degli artt. 1, 44 e 145.

Ove a tali disposizioni si aggiungono i numerosi interventi del Cicr previsti nello stesso titolo VI, sulla trasparenza delle condizioni contrattuali - interventi che, ai sensi dell'art. 2, 1 comma, non possono non essere qualificati di vigilanza - e le ulteriori funzioni di vigilanza attribuite alla Banca d'Italia dagli artt. 107 (su soggetti non bancari) e 159 (nell'ambito delle regioni a statuto speciale) t.u., non si può non concludere, che l'attività di "vigilanza" si manifesta ben al di fuori dell'angusto ambito individuato dall'interpretazione ricorsuale.

Nè ad avvalorare la fondatezza della prospettazione ricorsuale risulta conferente il rilievo secondo il quale essendo le informazioni oggetto della citata istanza di accesso riferibili alle condizioni negoziali applicate dalla banche al pubblico le stesse presentano natura, qualità ed indole ontologicamente pubblica e, pertanto, devono essere accessibili.

Al riguardo, in linea con quanto affermato dal resistente istituto nella memoria versata agli atti il 24 maggio 2010 ( pag.19), il Collegio osserva che l'indagine de qua si è basata non sull'esame analitico delle documentazione bancaria recante le commissioni applicate da ciascuna banca - liberamente accessibili presso qualsiasi sportello bancario - ma sulle risposte fornite ad un questionario, che prendeva in esame ipotesi teoriche , suddivise per fasce di importo. Le risposte fornite al questionario sono evidentemente inquadrabili tra le informazioni fornite alla Banca d'Italia in adempimento degli obblighi informativi gravanti sui soggetti vigilati e sono, pertanto, coperte dal segreto di ufficio.

Alla luce di tali argomentazioni, pertanto, la doglianza in esame deve essere rigettata.

Palesemente infondato è anche il secondo motivo di doglianza con cui è stata contestata la legittimità per violazione dell'art.24 della L. n.241/1990, del Regolamento, adottato con provvedimento del Governatore della Banca d'Italia del 16 maggio 1994 e disciplinante le ipotesi di esclusione dell'esercizio del diritto di accesso, nella parte in cui ha preteso di sottrarre all'esercizio del diritto di accesso tutta la documentazione acquisita nell'ambito dell'espletamento dell'attività di vigilanza "senza distinguere tra attività di vigilanza che presenta esigenze di riservatezza ed attività di vigilanza che non presenta tali esigenze".

In merito il Collegio sottolinea che:

I) la tesi ricorsuale muove dal presupposto che l'atto regolamentare in questione risulti in palese contrasto con il disposto dell'art.24, comma 2, lett d) della L. n.241/1990, il quale prevede l'esclusione del diritto di accesso in relazione all'esigenza di assicurare la riservatezza di terzi, persone e gruppi di imprese;

II) la menzionata disciplina regolamentare trova il suo diretto presupposto normativo nell'art.7 del T.U. il cui primo comma testualmente stabilisce " Tutte le notizie, le informazioni e i dati in possesso della Banca d'Italia in ragione della sua attività di vigilanza sono coperti da segreto d'ufficio anche nei confronti delle pubbliche amministrazioni, a eccezione del Ministro dell'economia e delle finanze, Presidente del CICR. Il segreto non può essere opposto all'autorità giudiziaria quando le informazioni richieste siano necessarie per le indagini, o i procedimenti relativi a violazioni sanzionate penalmente";

III) come affermato dal CS nella citata sentenza n.936/1998, l'art. 7 della legge bancaria costituisce un'ipotesi tipica di segreto o di divieto di divulgazione altrimenti previsto dall'ordinamento, che l'art. 24 comma 1 della legge 241/90 sottrae all'accesso, indipendentemente dalla sussistenza dei presupposti di cui al comma 2, lett.d).

Ciò premesso, il proposto gravame deve essere rigettato,

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente giudizio.

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