TAR Bari, sez. I, sentenza 2022-04-20, n. 202200529

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Bari, sez. I, sentenza 2022-04-20, n. 202200529
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Bari
Numero : 202200529
Data del deposito : 20 aprile 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/04/2022

N. 00529/2022 REG.PROV.COLL.

N. 00697/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 697 del 2020, proposto da
A C, rappresentato e difeso dall'avvocato T D G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Salvatore Stella in Bari, via Crisanzio, n.48;

contro

Mistero Istruzione, Uff Scolastico Reg Puglia - Uff

III

Ambito Terr per la Provincia di Bari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale Stato di Bari, domiciliataria ex lege in Bari, via Melo, n.97;

per l'ottemperanza

alla sentenza del Tribunale di Bari, Sez. Lav., nr. 2170 del 14.06.2018, resa a definizione del Giudizio iscritto al r.g. 12295/2011;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Mistero dell’Istruzione e dell’Uff. Scolastico Reg. Puglia - Uff

III

Ambito Terr per la Provincia di Bari;

Visto l'art. 114 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 13.4.2022 la dott.ssa Desirèe Zonno e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con ricorso ritualmente proposto l’odierno ricorrente ha adito questo Tribunale per ottenere la integrale e corretta ottemperanza del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e dell’Amministrazione scolastica periferica, alla sentenza emessa dal Tribunale di Bari, sezione lavoro, n. 2170 del 14.6.2018.

Segnatamente, la sentenza in questione – riguardante un ricorso collettivo avente ad oggetto la domanda di riqualificazione dei contratti a termine conferiti oltre i 36 mesi ed il riconoscimento del conseguente risarcimento del danno in favore dei ricorrenti, insegnanti di religione cattolica, per inadempimento contrattuale – ha così statuito: “ 1) dichiara la inammissibilità della domanda di conversione;
2) accoglie la domanda risarcitoria dei ricorrenti con contratti a termine stipulati con la Amministrazione resistente che hanno superato il tetto dei trentasei mesi e, per l'effetto, condanna il Ministero resistente al pagamento nei loro confronti, a titolo di risarcimento del danno derivante dall'espletamento di attività lavorativa in violazione di disposizioni imperative, dell'importo in linea capitale pari ad euro 250,00 per ogni mese relativo al periodo di occupazione con contratti termine e con decorrenza dalla data del superamento del termine di trentasei mesi, oltre accessori come in motivazione;
3) rigetta ogni altra domanda;
4) condanna la parte convenuta alla rifusione in favore della parte ricorrente della metà delle spese di lite, che liquida per tale metà in curo 5.061,88, oltre accessori come per legge, con distrazione in favore dei procuratori antistatari;
6) compensa tra le parti la restante metà delle spese di lite
”.

Tale sentenza non risulta essere stata impugnata ed è passata in giudicato (la circostanza è incontestata).

Il ricorrente ha soggiunto che, in data 23.12.2019, ha notificato all’Ufficio scolastico per la Puglia, con sede a Bari, nonché al Ministero (24.12.2019) l’atto di precetto con cui ha quantificato la somma risarcitoria, secondo i criteri indicati in sentenza, per un importo, omnibus, € 53.955,59, di cui € 53.364,65 a titolo di risarcimento del danno ed € 590,94 a titolo di spese di precetto;
tale precetto non è stato opposto, ma l’USR avrebbe, con nota del 20.1.2020 “riconosciuto la congruità del risarcimento del danno chiedendo all’Avvocatura dello Stato la sola congruità delle spese successive indicate in precetto” (cfr., ancora, pag. 2).

Per ultimo, il 25.3.2020, la Banca d’Italia, con vaglia cambiario non trasferibile, ha rimesso, in favore della ricorrente, la diversa somma di € 6.570,00, trattenuta a titolo di acconto della somma complessiva spettante.

In sostanza, l’Amministrazione avrebbe “diversamente quantificato il risarcimento del danno” e non avrebbe riconosciuto la differenza tra la somma complessiva chiesta in precetto, decurtata quella liquidata dal menzionato vaglia cambiario.

La liquidazione di tale somma, dunque, costituirebbe il principale oggetto richiesta ottemperanza alla pronuncia del Tribunale di Bari, cui la difesa della ricorrente aggiunge anche quella inerente il pagamento delle spese di precetto.

In particolare, in ordine al computo della cifra da liquidare a titolo risarcitorio come sorte capitale, il ricorrente, per come emerge dal calcolo indicato nell’atto di precetto, fa decorrere il computo dal 1.9.2004, al pari di quanto fatto dall’Amministrazione scolastica (v. tabella risarcimento danni prodotta dall’Avvocatura).

Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, il quale ha depositato documentazione ed una relazione dell’USR, con cui ha evidenziato che “il ricorso è stato depositato in data 22.08.2011 e, in applicazione della statuita prescrizione decennale, il conteggio degli anni utili ai fini del risarcimento danno è stato calcolato dalla data del 01.09.2001 alla data del 31.05.2018 tenuto conto che la Sentenza è stata pubblicata in data 14.06.2018 (dies ad quem).

In riferimento ad ogni singolo periodo di servizio da ciascun ricorrente prestato, e tenuto conto del citato periodo di prescrizione, si è proceduto a liquidare il risarcimento del danno considerando, ai fini della sua quantificazione, i contratti su base annuale intercorsi dal 1 settembre al 31 agosto una volta superato il menzionato periodo di legge di trentasei mesi.

Si precisa altresì che il risarcimento danno, liquidato con vaglia cambiari intestati ai singoli ricorrenti, è stato riconosciuto al netto della ritenuta IRPEF trattandosi di crediti connessi a un rapporto di lavoro.

Per quel che concerne il pagamento degli interessi legali e rivalutazione monetaria, trattandosi di somme gravanti su un diverso capitolo di bilancio, i relativi importi sono in corso di quantificazione da parte di questa amministrazione stante l’elevato numero di ricorrenti.”.

In vista dell’udienza in camera di consiglio del 2.12.2020 il ricorrente ha depositato documentazione comprovante l’avvenuta liquidazione di una ulteriore somma di €2.592,76 a titolo di rivalutazione e interessi (v. vaglia cambiario);
il ricorrente ha depositato una memoria il 28.10.2020, nella quale ha lamentato che “il capitale di € 3000 non è stato rivalutato annualmente, come diversamente disposto in sentenza, quindi non sono stati calcolati gli interessi legali sul capitale rivalutato ed è stata inopinatamente applicata, sul capitale così calcolato l’aliquota del 27% del reddito irpef, imputato non si sa bene a quale anno” e che “tali illegittimi conteggi sono stati calcolati alla inspiegabile data del 31.5.2018, anziché all’attualità e/o alla data del precetto ossia al 30.9.2019”.

Prima dell’udienza camerale del 2.12.2020 il ricorrente ha depositato un’istanza di cancellazione della causa dal ruolo in ragione del fatto che in precedenti giudizi, afferenti alla medesima sentenza da ottemperare, la Sezione aveva respinto i ricorsi e che, in relazione ad alcuni di tali giudizi, pendesse appello innanzi al Consiglio di Stato.

Infine, all’udienza del 13.4.2022 la causa è stata trattenuta per la decisione.

Nel merito il ricorso è parzialmente fondato, nei sensi e nei limiti di seguito precisati.

Preliminarmente, agli atti risulta: il passaggio in giudicato della sentenza del Giudice ordinario di cui si chiede l’ottemperanza, come richiesto dall’art. 112, comma 2 lett. c) del codice del processo amministrativo e dimostrato dall’attestazione di cancelleria;
nonché l’avvenuta notifica in forma esecutiva del titolo e il decorso infruttuoso del termine di 120 (centoventi) giorni ex art. 14 DL n.669/1996.

Il pagamento delle somme connesse all’accoglimento della domanda risarcitoria per il periodo ulteriore rispetto al termine previsto nel contratto originario di lavoro, quindi oltre il tetto dei trentasei mesi, è stato corrisposto previa applicazione della prescrizione decennale (dal 1.9.2001), come riconosciuto dalla sentenza oggetto di ottemperanza: il tutto per un netto di € 6.570,00, come da tabella già citata e accettata dal ricorrente, ancorché quale mero acconto, come espressamente precisato nell’atto introduttivo del giudizio.

Tale quantificazione, in particolare, è stata correttamente determinata dall’Amministrazione scolastica con decorrenza dall’anno scolastico 2004/2005 (peraltro, sul punto, le parti concordano, avendo il ricorrente indicato la stessa data nell’atto di precetto) e i relativi emolumenti sono stati calcolati in €. 3.000,00 per ciascun anno (cioè come previsto nella sentenza, ossia “euro 250,00 per ogni mese relativo al periodo di occupazione”) fino al 31.5.2018 e con applicazione, a tali somme, della tassazione IRPEF con aliquota del 27%.

Corretta risulta anche la decorrenza finale individuata dall’Amministrazione (A.S. 2006-2007), atteso che, con decorrenza giuridica dal 1.9.2007, l’odierno ricorrente risulta aver stipulato un contratto a tempo indeterminato in qualità di docente per l'insegnamento della Religione Cattolica (v. documento depositato il 17.7.2020 dal MIUR, all.4), sicchè dopo tale data, difettano i presupposti indicati dalla sentenza per la cui ottemperanza si agisce a fini risarcitori.

Ciò premesso, si può passare all’esame dei singoli profili di censura.

Un primo aspetto ha riguardato il termine di decorrenza finale, che il ricorrente ha stigmatizzato come “inspiegabile”, di contro evidenziando che il termine esatto sarebbe da individuare nella data di notificazione del precetto, ossia il 30.9.2019 (cfr. pag. 2 della memoria di replica).

Ritiene, tuttavia, il Collegio che tale prospettazione sia infondata.

L’atto di precetto, infatti, sostanzia un’intimazione ad adempiere successiva alla formazione del titolo esecutivo (sentenza) oggetto di ottemperanza, e, per di più, segue una peculiare ed autonoma disciplina processuale: ragione per cui tale atto non può integrare un riferimento accettabile né in punto di determinazione della decorrenza finale della liquidazione delle spettanze, né, soprattutto, ai fini della definitiva quantificazione delle somme oggetto della domanda di ottemperanza.

Venendo all’altro e più rilevante profilo, ossia quello afferente all’applicata tassazione IRPEF, il Collegio osserva, come già chiarito nei precedenti della sezione n.1788/2021 e n.37/2022, che:

a) nella sentenza ottemperanda si è dato atto che “per il periodo di lavoro (o i periodi di lavoro, in caso di sequenza di contratti) il lavoratore ha diritto ad essere retribuito ed ha diritto a che tale periodo o tali periodi siano computati ai fini della anzianità di servizio e, quindi, della maturazione degli scatti di anzianità (v. Cass. n. 4557/2016)”;

b) si è, pure, evidenziato che “il danno da precarizzazione si sostanzia in un danno da perdita di chance derivante dal fatto di aver lavorato in modo illegittimo” e che “sulla base della valutazione assolutamente condivisibile della circostanza che si tratta di danni da mancato lavoro (…) non può, in via analogica, ritenersi applicabile una disposizione normativa che disciplina un'altra ipotesi di risarcimento del danno emergente derivante dalla perdita del lavoro”;

c) si è, pertanto, concluso che “il danno da perdita di chance può essere determinato in forma equitativa in una percentuale delle retribuzioni irrimediabilmente perse e che il lavoratore avrebbe percepito se fosse stato assunto stabilmente nel periodo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro a termine”;

d) la determinazione di carattere equitativo è stata computata in una “somma pari ad Euro 250,00 per ogni mese relativo al periodo di occupazione con contratti a termine, partendo dall'esame dell'importo del trattamento retributivo che sarebbe spettato all'istante se fosse risultato vincitore del concorso per un posto di lavoro a tempo indeterminato”.

Nella sentenza n.3803/2021 il Consiglio di Stato ha statuito che “l’importo oggetto di contestazione ha quindi natura risarcitoria da perdita di chance (ovvero di risarcimento di danno comunitario) estranea ai rapporti di lavoro posti in essere nella legittima impossibilità di procedere alla loro conversione, e, pertanto, seguendo i principi sopra ricordati, deve affermarsi che gli importi riconosciuti dal Giudice del lavoro quale risarcimento del danno D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 36, comma 5, non sono assoggettabili a tassazione del D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 6, comma 1. Il che determina, in parte qua, il riconoscimento della spettanza azionata”.

Ne deriva che l’Amministrazione dovrà riformulare i conteggi senza considerare la tassazione riconosciuta come illegittima dal giudice di seconde cure, in ciò consistendo l’attuazione del giudicato reclamata in via principale.

Sotto tale profilo, il ricorso va accolto in parte qua.

Su tali somme (così calcolate) devono essere applicati gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, trattandosi di un debito di valore.

Ma, sul punto, risulta che è stato emesso, a favore del ricorrente, un secondo vaglia cambiario per l’importo sopraindicato a titolo di rivalutazione e interessi, oggetto di una contestazione generica e, pertanto, infondata, conseguendone che non risulta nulla più dovuto a titolo di accessori (rivalutazione ed interessi) alla sorte capitale.

Il ricorrente reclama, infine, le spese legali per il precetto.

Esse non possono essere riconosciute in sede di ottemperantza del titolo in base al quale il precetto è stato azionato.

Come già evidenziato, l’atto di precetto, infatti, sostanziandosi in un’intimazione ad adempiere successiva alla formazione del titolo esecutivo (sentenza) oggetto di ottemperanza, esula da quanto esigibile con l’ottemperanza, potendosi, con il giudizio ex art.114 cpa, agire solo per quanto direttamente riconosciuto con il titolo stesso.

In parte qua il ricorso va respinto.

Resta, inoltre, impregiudicata l’eventuale nomina del commissario ad acta.

In conclusione, negli anzidetti limiti il ricorso va accolto e per la restante parte respinto.

La novità e complessità dei profili esaminati giustifica la compensazione delle spese processuali.

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