TAR Roma, sez. 2T, sentenza 2018-07-17, n. 201808003
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Pubblicato il 17/07/2018
N. 08003/2018 REG.PROV.COLL.
N. 01800/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1800 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da
SOCIETA’ FONDIARIA INDUSTRIALE ROMAGNOLA – S.F.I.R. S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, via Dora n. 1 presso lo studio degli avv.ti V C I ed A M che la rappresentano e difendono nel presente giudizio
contro
- AGENZIA PER LE EROGAZIONI IN AGRICOLTURA – AGEA, in persona del legale rappresentante p.t., domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12 presso la Sede dell’Avvocatura Generale dello Stato che ex lege la rappresenta e difende nel presente giudizio;
- MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI, in persona del Ministro p.t., domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12 presso la Sede dell’Avvocatura Generale dello Stato che ex lege lo rappresenta e difende nel presente giudizio;
per l'annullamento
dei seguenti atti:
quanto al ricorso principale:
- nota prot.UMU.2014.2343 del 26.11.14 con la quale l’AGEA ha comunicato alla ricorrente che, all’esito della Decisione della Commissione Europea del 18.11.2014, in corso di pubblicazione, l’Agenzia avrebbe dovuto recuperare le somme, già erogate e non dovute agli zuccherifici che non hanno smantellato i silos, ed ha invitato la ricorrente a restituire il complessivo importo di euro 51.012.833,13 entro trenta giorni dalla futura notifica della predetta Decisione;
quanto al primo ricorso per motivi aggiunti:
- nota prot. n. DAPU.2015.25 del 02/02/15 con cui l’Agea ha comunicato che la Decisione della Commissione Europea di escludere dal finanziamento destinato all’Italia la cifra di euro 90.498.735,16, concernente i fondi per la ristrutturazione del settore dello zucchero non dovuti per il mancato smantellamento dei silos, è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea L 16 del 23 gennaio 2015;
quanto al secondo ricorso per motivi aggiunti:
- “Scheda Informativa Credito” n. 327539, “Scheda Informativa Credito” n. 327541 e “Scheda Informativa Credito” n. 327543, tutte emesse da AGEA il 09/12/14, in cui risultano indicati, come debiti a carico della società, gli importi rispettivamente di euro 28.525.970,92, 4.083.338,77 e 18.403.523,44 in riferimento agli aiuti precedentemente erogati per la ristrutturazione dell’industria dello zucchero;
- eventuali atti con cui l’Agea ha disposto la trascrizione del debiti nelle predette schede;
- ogni ulteriore atto connesso ivi comprese le note AGEA del 3.11.2014, prot. AGEA.UMU.2014.2202, 3.11.2014, prot. AGEA.DPMU.2014.4710, 10.10.2014, prot. n. AGEA.UMU.2014.2077 e 25.7.2014, prot. n. AGEA.DAPU.2014.193 nonché la nota del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali del 1.10.2014 prot. n. 5566
e per ottenere, ai sensi dell’art. 112 comma 5° c.p.a., chiarimenti in ordine alle modalità di esecuzione della sentenza n. 9481/2011 del TAR Lazio – Roma come confermata dalla sentenza n. 3185/2014 del Consiglio di Stato;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Agea - Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura e del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 maggio 2018 il dott. M F e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso spedito per la notifica a mezzo posta il 23/01/15 e depositato il 04/02/15 la Società Fondiaria Industriale Romagnola – S.F.I.R. s.p.a. ha impugnato la nota prot.UMU.2014.2343 del 26.11.14, con la quale l’AGEA ha comunicato alla ricorrente che, all’esito della Decisione della Commissione Europea del 18.11.2014, in corso di pubblicazione, l’Agenzia avrebbe dovuto recuperare le somme già erogate e non dovute agli zuccherifici che non hanno smantellato i silos ed ha chiesto la restituzione del complessivo importo di euro 51.012.833,13 entro trenta giorni dalla notifica della predetta Decisione, e, ai sensi dell’art. 112 comma 5° c.p.a., ha chiesto chiarimenti in ordine alle modalità di esecuzione della sentenza n. 9481/2011 del TAR Lazio – Roma come confermata dalla sentenza n. 3185/2014 del Consiglio di Stato.
Con atto spedito per la notifica a mezzo posta il 19/02/15 e depositato il 04/03/15 la ricorrente ha impugnato con motivi aggiunti la nota prot. n. DAPU.2015.25 del 02/02/15 con cui l’Agea ha comunicato che la Decisione della Commissione è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea L 16 del 23 gennaio 2015.
Il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e l’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura - AGEA, costituitisi in giudizio con comparsa depositata il 30/03/15, hanno chiesto il rigetto del ricorso.
Con ordinanza n. 1716/2016 del 16/04/15 il Tribunale ha accolto l’istanza cautelare proposta dalla ricorrente.
Con atto spedito per la notifica a mezzo posta il 09/06/15 e depositato il 17/06/15 la ricorrente ha impugnato con ulteriori motivi aggiunti la Scheda Informativa Credito” n. 327539, la “Scheda Informativa Credito” n. 327541 e la “Scheda Informativa Credito” n. 327543, tutte emesse da AGEA il 09/12/14, in cui risultano indicati, come debiti a carico della società, gli importi rispettivamente di euro 28.525.970,92, 4.083.338,77 e 18.403.523,44 in riferimento agli aiuti precedentemente erogati per la ristrutturazione dell’industria dello zucchero, gli eventuali atti con cui l’Agea ha disposto la trascrizione del debiti nelle predette schede e ogni ulteriore atto connesso, ivi comprese le note AGEA del 3.11.2014, prot. AGEA.UMU.2014.2202, 3.11.2014, prot. AGEA.DPMU.2014.4710, 10.10.2014, prot. n. AGEA.UMU.2014.2077 e 25.7.2014, prot. n. AGEA.DAPU.2014.193 nonché la nota del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali del 1.10.2014 prot. n. 5566.
Con ordinanza n. 6232/2016 del 24/06/16 il Tribunale ha assegnato alle parti, ai sensi dell’art. 73 c.p.a., il termine ivi indicato per presentare memorie in ordine alla questione di giurisdizione ravvisata dal Collegio.
Con sentenza n. 9226/2016 del 24/06/16 il Tribunale ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso per difetto del giudice amministrativo in favore del giudice ordinario.
Con sentenza n. 3326/2017 dell’08/06/17 il Consiglio di Stato ha annullato la sentenza del TAR rimettendo la causa davanti a quest’ultimo per il prosieguo.
Con atto spedito per la notifica a mezzo posta il 02/11/17 e depositato il 03/11/17 la ricorrente ha riassunto il giudizio davanti a questo Tribunale.
Alla pubblica udienza del 30 maggio 2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Preliminarmente il Tribunale evidenzia che nel fascicolo processuale non sono stati rinvenuti gli originali dei due ricorsi per motivi aggiunti di cui sono, però, presenti le copie integrali.
Tale circostanza è stata prospettata alle parti presenti alla pubblica udienza del 30 maggio 2018 che hanno consentito all’utilizzazione, ai fini della decisione, delle copie disponibili agli atti.
Nel merito, il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Con il ricorso principale la Società Fondiaria Industriale Romagnola – S.F.I.R. s.p.a. impugna la nota prot.UMU.2014.2343 del 26.11.14, con la quale l’AGEA ha comunicato alla ricorrente che, all’esito della Decisione della Commissione Europea del 18.11.2014, in corso di pubblicazione, l’Agenzia avrebbe recuperato le somme, già erogate e non dovute agli zuccherifici che non hanno smantellato i silos, ed ha chiesto la restituzione del complessivo importo di euro 51.012.833,13 entro trenta giorni dalla notifica della predetta Decisione, e, ai sensi dell’art. 112 comma 5° c.p.a., chiede chiarimenti in ordine alle modalità di esecuzione della sentenza n. 9481/2011 del TAR Lazio – Roma come confermata dalla sentenza n. 3185/2014 del Consiglio di Stato.
Il ricorso principale è infondato.
Con la prima censura la ricorrente prospetta la violazione degli artt. 3, 4 e 5 Reg. CE n. 320/2006, 26 Reg. CE n. 968/06 e 6 d.m. 15/02/2007 nonché il vizio di eccesso di potere per contraddittorietà ed irragionevolezza manifesta, mancanza dei presupposti e travisamento dei fatti in quanto la normativa comunitaria di riferimento e, in particolare, l’art. 26 del Regolamento CE n. 968/2006 consentirebbe il recupero nelle sole ipotesi d’inadempimento agli impegni previsti dal piano di ristrutturazione approvato dalle competenti autorità;nella fattispecie il mantenimento dei silos nei propri stabilimenti industriali è stato inserito dalla ricorrente nel piano approvato dalle autorità nazionali ai fini dell’ottenimento del contributo previsto per lo smantellamento completo dell’impianto dall’art. 3 Reg. CE n. 320/2006 per cui l’eventuale “errore di interpretazione” sarebbe imputabile esclusivamente alle autorità nazionali che dovrebbero, se del caso, sopportare le conseguenze della Decisione della Commissione.
Il motivo è infondato.
Con comunicazione dell’08/12/10 la Commissione Europea ha dichiarato di ritenere non conforme ai Regolamenti CE nn. 320/2006 e 968/2006, nell’ipotesi di mantenimento dei silos, la concessione dell’aiuto previsto per lo “smantellamento completo” dell’impianto di produzione di zucchero.
Con nota del 22/03/11 l’AGEA ha prontamente comunicato tale circostanza alla ricorrente e l’ha invitata a procedere allo smantellamento anche dei silos al fine di superare le criticità emerse in sede comunitaria.
L’atto in esame è stato impugnato davanti al TAR Lazio il quale ha, in parte qua, respinto il ricorso con sentenza n. 9481/2011 confermata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 3185/2014.
Con la Decisione n. 103/2015 del 16 gennaio 2015 la Commissione Europea ha escluso dal finanziamento dell’Unione, tra gli altri, l’importo di euro 90.498.736,16, erogato per gli anni 2007, 2008 e 2009 per la ristrutturazione del settore dello zucchero, in ragione dell’“interpretazione erronea” (così nella Decisione) della normativa di riferimento.
L’atto del 26/11/14, impugnato con il ricorso principale, è stato adottato dall’Agea in pedissequa attuazione delle Decisione Ue, all’epoca già emessa ma non ancora pubblicata.
Così ricostruita, in fatto, la vicenda, il Tribunale ritiene, in diritto, che la prima censura non possa essere condivisa in quanto la stessa prospetta la spettanza del contributo, previsto per l’ipotesi di smantellamento totale dell’impianto, anche nell’ipotesi di conservazione dei silos e la conseguente illegittimità del recupero laddove l’esame della fondatezza della questione deve, in questa sede, ritenersi precluso dalla Decisione della Commissione che, benché impugnata dallo Stato italiano, esplica attualmente i suoi effetti così come previsto dall’art. 288 TFUE (secondo cui “la decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi. Se designa i destinatari è obbligatoria soltanto nei confronti di questi”).
Con la Decisione in esame la Commissione ha, infatti, escluso dal finanziamento comunitario previsto per lo “smantellamento totale” tutti i casi (quale quello della ricorrente) in cui sono stati mantenuti i silos.
Né la censura merita positivo apprezzamento in riferimento al disposto dell’art. 26 Reg. n. 968/2006, secondo cui “fatto salvo il disposto del paragrafo 3, se il beneficiario non adempie, in tutto o in parte, agli impegni previsti, secondo i casi, nel piano di ristrutturazione, nel piano aziendale o nel programma di ristrutturazione nazionale, l'aiuto erogato è recuperato proporzionalmente all'impegno o agli impegni non rispettati, eccetto in caso di forza maggiore”.
La disposizione in esame, infatti, disciplina specificamente i casi in cui il contributo, legittimamente concesso ab origine, diventa indebito in ragione del mancato adempimento alle obbligazioni previste nel piano di ristrutturazione.
La fattispecie oggetto di causa, invece, è riconducibile alla diversa ipotesi di concessione ab origine illegittima (di parte) del contributo perché erogato per lo “smantellamento totale” senza che, in concreto, ne ricorressero i presupposti e ciò in ragione del mancato smantellamento dei silos.
In questo senso, del resto, depone anche la sentenza n. 3326/2017 del Consiglio di Stato che ha espressamente qualificato l’atto impugnato “come un annullamento implicito del provvedimento di concessione” fondando su questo presupposto la giurisdizione del giudice amministrativo.
Nell’ipotesi di concessione ab origine illegittima del contributo il recupero assume carattere doveroso alla luce della necessità di garantire la primazia del diritto comunitario, assicurare l’effetto utile dello stesso ed evitare che il beneficio illegittimamente erogato possa configurare un aiuto di Stato non legittimo ai sensi degli artt. 87 e ss. del Trattato.
In relazione a tale ultimo profilo va richiamato l’articolo 13 bis Reg. n. 320/2006, come introdotto dall’art. 2 Reg. n. 72/2009, secondo cui “fatto salvo l'articolo 6, paragrafo 5 del presente regolamento e in deroga all'articolo 180 del regolamento (CE) n. 1234/2007 e all'articolo 3 del regolamento (CE) n. 1184/2006 , gli articoli 87, 88 e 89 del trattato non si applicano ai pagamenti erogati dagli Stati membri a norma degli articoli 3, 6, 7, 8, 9 e 11 del presente regolamento, conformemente al presente regolamento”;la disposizione in esame, a prescindere dalla sua applicabilità “ratione temporis” alla presente fattispecie, è espressione del principio generale per cui i contributi erogati a carico del fondo di ristrutturazione dell’industria dello zucchero nella Comunità, facente capo al Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA), non costituiscono illegittimi aiuti di Stato solo se erogati in conformità alle condizioni, a tal fine, previste dal Regolamento.
La doverosità del recupero è, altresì, comprovata dall’art. 32 Reg. n. 1290/2005, recante “Disposizioni specifiche per il FEAGA”, che obbliga lo Stato al recupero degli aiuti illegittimamente erogati consentendo di non portare avanti il procedimento di recupero solo “in casi debitamente giustificati” e, in particolare, “solo nei casi seguenti:
a) se i costi già sostenuti e i costi prevedibili del recupero sono globalmente superiori all'importo da recuperare;
b) se il recupero si riveli impossibile per insolvenza del debitore o delle persone giuridicamente responsabili dell'irregolarità, constatata e riconosciuta in virtù del diritto nazionale dello Stato membro interessato”.
Nello stesso senso l’art. del Reg. n. 1306/2013, che ha abrogato il Reg. n. 1290/2005 e che disciplina la politica agricola comune (PAC) finanziata attraverso il Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) e il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), all’articolo 54 statuisce l’obbligatorietà del recupero laddove prevede che:
“1. Gli Stati membri chiedono al beneficiario la restituzione di qualsiasi pagamento indebito in seguito a irregolarità o a negligenza entro 18 mesi dall'approvazione e, se del caso, dal ricevimento da parte dell'organismo pagatore o dell'ente incaricato del recupero di una relazione di controllo o documento analogo, che indichi che vi è stata un'irregolarità. Al momento della richiesta di restituzione, gli importi corrispondenti sono inseriti nel registro dei debitori dell'organismo pagatore.
2. Qualora il recupero non abbia avuto luogo nel termine di quattro anni dalla data della richiesta di recupero, oppure nel termine di otto anni in caso di procedimento giudiziario dinanzi ai tribunali nazionali, il 50% delle conseguenze finanziarie del mancato recupero è a carico dello Stato membro interessato e il 50% è a carico del bilancio dell'Unione, fermo restando l'obbligo per lo Stato membro di dare corso ai procedimenti di recupero in applicazione dell'articolo 58.
Qualora, nell'ambito del procedimento di recupero, un verbale amministrativo o giudiziario avente carattere definitivo constati l'assenza di irregolarità, lo Stato membro interessato dichiara ai Fondi, come spesa, l'onere finanziario di cui si è fatto carico in applicazione del primo comma.
Tuttavia, qualora per ragioni non imputabili allo Stato membro interessato, il recupero non abbia potuto aver luogo nel termine di cui al primo comma e l'importo da recuperare superi 1 milione di EUR, la Commissione può, su richiesta dello Stato membro, prorogare il termine per un periodo non superiore alla metà del termine originario.
3. Per motivi debitamente giustificati gli Stati membri possono decidere di non portare avanti il procedimento di recupero. Tale decisione può essere adottata solo nei casi seguenti:
a) se i costi già sostenuti e i costi prevedibili del recupero sono globalmente superiori all'importo da recuperare, tale condizione è considerata già soddisfatta se:
i) l'importo da recuperare dal beneficiario a titolo di una singola operazione di pagamento per un regime di aiuti o misura di sostegno, non comprendente gli interessi, non supera i 100 EUR;o
ii) l'importo da recuperare dal beneficiario a titolo di una singola operazione di pagamento per un regime di aiuti o misura di sostegno, non comprendente gli interessi, è compreso tra 100 EUR e 250 EUR e lo Stato membro interessato applica una soglia pari o superiore all'importo da recuperare a norma del suo diritto nazionale per il mancato recupero di crediti nazionali. (18)
b) se il recupero si riveli impossibile per insolvenza del debitore o delle persone giuridicamente responsabili dell'irregolarità, constatata e riconosciuta in virtù del diritto nazionale dello Stato membro interessato”.
La rivalsa dell’Agea nei confronti dell’impresa interessata è stata, del resto, definita espressamente “obbligatoria” dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 3185/2014 (punto X) che, proprio per questo, ha escluso l’esistenza di un affidamento giuridicamente tutelabile in capo alla ricorrente.
Per altro, la doverosità del recupero è nella fattispecie conseguente anche alla necessità di evitare un danno erariale.
Alla luce del quadro normativo comunitario e nazionale, in precedenza delineato, non può essere condiviso quanto affermato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 3326/2017 in ordine alla non “mera doverosità” del recupero asseritamente riconducibile “ad un’illegittimità sopravvenuta di matrice comunitaria” e ciò in quanto l’annullamento “implicito del provvedimento di concessione”, di cui parla il giudice di appello, è imposto non già da un’illegittimità sopravvenuta (categoria dogmatica di problematica configurabilità) ma dall’assenza delle condizioni per l’erogazione dei benefici previste dai Regolamenti comunitari per l’ipotesi di “smantellamento totale” quale accertata nella fattispecie sin dalla comunicazione della Commissione Europea dell’08/12/10 e, successivamente, dal giudicato formatosi sulle sentenze nn. 9481/2011 del TAR Lazio e 3185/2014 del Consiglio di Stato.
Con la seconda censura la ricorrente prospetta la violazione degli artt. 3 l. n. 241/90 e 2 comma 3 d.l. n. 2/2006 nonché i vizi di violazione del principio del contrarius actus, d’incompetenza, difetto d’istruttoria e motivazione nonché eccesso di potere per carenza dei presupposti e contraddittorietà in quanto solo il Ministero delle politiche agricole sarebbe legittimato a concedere gli aiuti, previa valutazione dei piani di ristrutturazione, e a dare impulso all’azione di recupero mentre nella fattispecie l’AGEA avrebbe agito per il recupero senza una previa revoca, da parte del Ministero, degli atti di concessione degli aiuti.
Inoltre, il gravato provvedimento non specificherebbe le ragioni per cui la decisione, ivi richiamata, avrebbe escluso dal finanziamento comunitario l’importo di circa 90 milioni di euro né per quale motivo “la stessa rettifica dovrebbe essere oggetto di rivalsa nei confronti delle società saccarifere ed, in particolare, della ricorrente” (pag. 23 dell’atto introduttivo);l’atto del 26/11/14 avrebbe, altresì, anticipato irragionevolmente l’avvio del procedimento di recupero nonostante la Decisione della Commissione non fosse, al momento, ancora pubblicata.
Il motivo è infondato.
Come già precisato, l’insussistenza del diritto al contributo previsto per lo “smantellamento completo” nell’ipotesi, quale quella in esame, di mantenimento dei silos, è stata affermata dalla Commissione con la Decisione n. 103/2015 da ritenersi vincolante per lo Stato italiano.
Il provvedimento di recupero, pertanto, anche per la doverosità che ne caratterizza la natura quale desumibile dal quadro normativo comunitario ed interno richiamato in precedenza, costituisce adempimento meramente consequenziale rispetto alla Decisione stessa e, pertanto, non avrebbe dovuto essere preceduto dalla previa rimozione, in autotutela, dell’atto di ammissione al beneficio.
Ne deriva l’insussistenza del dedotto vizio d’incompetenza di AGEA prospettato nel gravame proprio sul presupposto della necessità della previa adozione del provvedimento di secondo grado di annullamento dell’atto di ammissione al beneficio.
Nella fattispecie, in realtà, AGEA ha agito come ente preposto alla materiale erogazione dei contributi in virtù della competenza specificamente attribuita, a tal fine, dall’art. 2 comma 4 bis d.l. n. 2/2006, e, in generale, dall’art. 3 comma 1 d.l. n. 165/99, secondo cui l’Agenzia “agisce come unico rappresentante dello Stato italiano nei confronti della Commissione europea per tutte le questioni relative al FEOGA, ai sensi del regolamento (CE) n. 1663/95 della Commissione, del 7 luglio 1995. L'Agenzia è responsabile nei confronti dell'Unione europea degli adempimenti connessi alla gestione degli aiuti derivanti dalla politica agricola comune, nonché degli interventi sul mercato e sulle strutture del settore agricolo, finanziate dal FEOGA”, e comma 4 che prevede che “fino all'istituzione ed al riconoscimento degli appositi organismi di cui al comma 3, l'Agenzia è organismo pagatore dello Stato italiano per l'erogazione di aiuti, contributi e premi comunitari previsti dalla normativa dell'Unione europea e finanziati dal FEOGA, non attribuita ad altri organismi pagatori nazionali”.
Insussistente, poi, è il dedotto difetto motivazionale dell’atto impugnato che, contrariamente a quanto prospettato da parte ricorrente, specifica in maniera congrua la ragione per cui la Decisione della Commissione ha escluso dal finanziamento comunitario la somma di euro 90.498.735,16 ivi espressamente indicata nella non debenza del contributo nell’ipotesi di mancato smantellamento dei silos.
Per altro, tale circostanza era a conoscenza della ricorrente la quale aveva impugnato davanti al TAR Lazio e, poi, al Consiglio di Stato la nota del 22/03/11 con cui AGEA aveva comunicato la non spettanza del beneficio previsto per lo “smantellamento totale”.
Con la nota del 26/11/14 l’Agea, poi, non ha intrapreso alcuna illegittima azione di recupero dal momento che, come emerge dall’atto in questione, l’obbligo di restituzione sarebbe diventato effettivo solo dopo la notifica della Decisione della Commissione da parte dell’Agenzia.
Con la terza censura la ricorrente prospetta la violazione e l’elusione delle sentenze n. 9481/2011 del TAR Lazio – Roma e n. 3185/2014 del Consiglio di Stato, la violazione dell’art. 24 Cost. e del connesso principio di effettività della tutela giurisdizionale nonché l’eccesso di potere e la contraddittorietà in quanto, in assenza di alcun colpevole inadempimento in capo a SFIR s.p.a., la nota impugnata precluderebbe alla società di dare corretta esecuzione alle sentenze richiamate da cui deriverebbe l’obbligo di demolire i silos e non già quello di restituire gli aiuti percepiti;in quest’ottica, la società si troverebbe “nuovamente di fronte all’alternativa posta dal provvedimento impugnato [ovvero la nota del 22/03/11 con cui AGEA aveva ordinato la demolizione dei silos] e, cioè, demolire i silos o restituire parte dell’aiuto ricevuto” (pag. 26 dell’atto introduttivo) e ciò anche in ragione delle ordinanze cautelari nn. 2699/2011 del TAR e 235/2012 e 2069/2012 del Consiglio di Stato.
A tale doglianza risulta connessa la domanda con cui parte ricorrente ha chiesto, ai sensi dell’art. 112 comma 5 c.p.a., chiarimenti in ordine alle modalità di esecuzione della sentenza n. 9481/2011 del TAR Lazio – Roma come confermata dalla sentenza n. 3185/2014 del Consiglio di Stato.
Il motivo e la correlata domanda ex art. 112 c.p.a sono infondati e debbono essere respinti.
Con la nota prot. n. UMU.2011.327 del 22/03/11 l’Agea, preso atto delle contestazioni mosse dalla Commissione Europea con la comunicazione dell’08/12/10 in ordine alla legittimità del contributo, ha invitato la ricorrente, al fine di superare le criticità emerse in sede comunitaria, a procedere allo smantellamento dei silos nel termine del 30 settembre 2011 previsto dall’art. 6 Reg. CE n. 968/2006, poi prorogato al 31 marzo 2012 dall’art. 1 Reg. CE n. 672/11.
La nota in esame è stata impugnata davanti al TAR Lazio il quale con la sentenza an. 9481/11 ha, in parte qua, respinto il ricorso;la sentenza del TAR è stata confermata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 3185/2014.
Viene, pertanto, in rilievo nella fattispecie un giudicato di rigetto il quale, per sua natura, non postula alcun obbligo di esecuzione in capo all’amministrazione che possa giustificare l’azione ex art. 112 c.p.a. proposta dalla ricorrente.
A ciò si aggiunga che:
a) nell’ipotesi in esame la possibilità di procedere alla demolizione è inequivocabilmente esclusa dal decorso del termine perentorio previsto dai Regolamenti CE n. 968/2006 e 672/2011.
In questo senso non assume significativa rilevanza, in favore della ricorrente, il gravame (poi definitivamente respinto, in parte qua) dalla stessa interposto avverso la nota del 22/02/2011 che non è idoneo a rimettere la società in termini per la demolizione dei silos non potendosi ragionevolmente prospettare una scadenza differenziata dei termini per l’adempimento in esame, indispensabile al perseguimento degli obiettivi oggetto dei Regolamenti comunitari, a seconda della scelta dei singoli operatori di adire o meno l’autorità giudiziaria. Nello stesso senso la ricorrente non può utilmente invocare i provvedimenti cautelari citati nella censura in ragione della natura interinale degli stessi e dell’effetto retroattivo riconoscibile alle sentenze di rigetto (in parte qua) del TAR e del Consiglio di Stato;
b) in ogni caso, l’alternativa tra demolizione e restituzione del contributo è esclusa dal tenore della Decisione della Commissione n. 103/2015 che ha sancito la definitiva non spettanza nella fattispecie dei contributi previsti per lo smantellamento totale perché la SFIR s.p.a. non ha rimosso i silos.
Con la quarta censura la ricorrente prospetta la violazione degli artt. 21 quinquies e 21 nonies l. n. 241/90 e del principio “del legittimo affidamento della società, la quale è stata indotta a confidare, senza colpa, sulla correttezza del proprio operato e sul proprio diritto a conseguire l’aiuto per lo smantellamento completo dal comportamento inequivoco del MIPAAF e della stessa AGEA” (pag. 30 dell’atto introduttivo);in quest’ottica la tutela dell’affidamento, quale desumibile anche dalle sentenze della Corte di Giustizia, avrebbe un’importanza particolare nel settore della politica agricola comune e sarebbe nella fattispecie giustificata da “atti precisi, concordanti e ripetuti delle Autorità nazionali” (pag. 33 dell’atto introduttivo).
Il motivo è infondato.
Deve, innanzi tutto, essere rilevato che già nei giudizi aventi ad oggetto la legittimità degli atti prodromici (tra cui la nota AGEA del 22/03/2011) rispetto a quelli impugnati in questa sede sia il TAR Lazio con la sentenza n. 9481/2011 che il Consiglio di Stato con la sentenza n. 3185/2014 hanno escluso l’esistenza di un affidamento giuridicamente tutelabile evidenziando, in particolare, che:
“il principio del legittimo affidamento, come quello della certezza del diritto, non può essere di ostacolo all’applicazione effettiva delle previsioni contenute nella normativa comunitaria in virtù del superiore principio di effettività (cfr. Corte Giust. CE, sez. II, 3 settembre 2009 n. nella causa 2/08, richiamata dal TAR).
D’altro canto, come altresì ritenuto in sostanza nella sentenza appellata, ai sensi degli artt. 9 e 10 del regolamento di applicazione è vero che la decisione di ammissibilità della domanda di aiuto spetta ai competenti organi dello Stato membro, ma la trasmissione delle domande e dei relativi piani alla Commissione non ne comporta il controllo ai fini dell’eventuale rifiuto dell’aiuto comunitario.
Invero, a norma degli artt. 30 ss. del Regolamento (CE) n.1290 del Consiglio del 21 giugno 2005 e ss.mm.ii., concernente il finanziamento della politica agricola comune, il finanziamento comunitario è condizionato dalla verifica successiva dell’aderenza dell’intervento di ristrutturazione alla ripetuta normativa comunitaria, la cui persistente mancanza implica l’addebito all’Italia della “conseguente, significativa, rettifica finanziaria” con obbligatoria rivalsa dell’AGEA nei confronti dell’impresa interessata, come evidenziato dalla stessa AGEA nella diffida in data 22 marzo 2011.
Alla stregua di tali ultime considerazioni, per un verso deve escludersi la rilevanza di un soggettivo affidamento, pur a fronte del sostegno del Ministero (ed iniziale di AGEA) alle tesi di SFIR, e per altro verso nel comportamento dell’AGEA non è ravvisabile alcuna contraddittorietà per aver prima aderito all’interpretativa della normativa comunitaria seguita dal Ministero e dalle imprese interessate, per poi mutare indirizzo dopo poco più di un mese” (Cons. Stato n. 3185/2014).
Le conclusioni del TAR Lazio e del Consiglio di Stato nelle citate sentenze meritano piena condivisione anche perché, in punto di fatto, le contestazioni mosse dalla Commissione Europea in ordine alla parziale illegittimità del contributo erogato sono state conosciute dalla ricorrente almeno dal 22 marzo 2011 (data a cui risale la nota con cui l’Agea aveva invitato la S.F.I.R. s.p.a. a demolire i silos), e, quindi, oltre tre anni prima della data (26/11/14) in cui è stato adottato l’atto impugnato nel presente giudizio.
Con la quinta censura la ricorrente prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 31 Reg. CE n. 1290/2005 ed eccesso di potere e difetto d’istruttoria in quanto la nota impugnata avrebbe richiesto la restituzione di tutti gli importi indebitamente erogati mentre, in applicazione dell’art. 31 citato, non avrebbe potuto riguardare le somme relative alle campagne 2006/2007 e 2007/2008 erogate oltre 24 mesi prima della contestazione formulata dalla Commissione con nota dell’08/12/10.
Il motivo è infondato.
Secondo l’art. 31 Reg. CE n. 1290/2005, applicabile alla fattispecie “ratione temporis” (per altro, la norma è stata sostituita dall’art. 52 paragrafo 4 lettera b Reg. CE n. 1306/2013 avente lo stesso tenore) sono escluse dal finanziamento comunitario “le spese di cui all'articolo 3, paragrafo 1, eseguite più di 24 mesi prima della comunicazione scritta, da parte della Commissione allo Stato membro interessato, dei risultati delle verifiche”.
Il richiamo dell’art. 31 all’art. 3 comma 1 del Reg. n. 1290/2005 induce a interpretare il termine “spese” come “contributo” erogato dal FEAGA (come, per altro, esplicitamente dedotto nella censura) e a ritenere che il dato dirimente ai fini dell’applicazione della disposizione limitativa del recupero sia costituito dalla data di materiale erogazione del contributo e non già dal periodo temporale cui lo stesso si riferisce.
Ciò posto, la ricorrente non ha in alcun modo comprovato che i contributi di cui è stata richiesta la restituzione siano stati materialmente erogati oltre 24 mesi prima dell’08/12/10, data a cui risale la comunicazione della Commissione Europea.
Tale prova è sicuramente nella disponibilità di parte ricorrente, in quanto materiale beneficiaria degli importi in questione, di talchè l’inosservanza del relativo onere non può che ricadere a carico della stessa.
La fondatezza della censura è, altresì, esclusa dalla stessa Decisione della Commissione n. 103/2015 la quale, al punto 5 dei Considerando, dà esplicitamente atto che gli importi ivi esclusi dal finanziamento a carico del FEAGA e del FEASR “non riguardano spese eseguite anteriormente ai ventiquattro mesi che precedono la comunicazione scritta, da parte della Commissione agli Stati membri interessati, dei risultati delle verifiche”.