TAR Venezia, sez. III, sentenza 2024-04-24, n. 202400792

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Venezia, sez. III, sentenza 2024-04-24, n. 202400792
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Venezia
Numero : 202400792
Data del deposito : 24 aprile 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 24/04/2024

N. 00792/2024 REG.PROV.COLL.

N. 00148/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 148 del 2023, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avv. S C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, con domicilio in Venezia, piazza S. Marco, 63;

per l'annullamento

del provvedimento disciplinare emesso dal Ministero dell'Interno – Dipartimento della -OMISSIS- prot. prot. -OMISSIS- notificato a mani il 10.1.2023 con cui è stata comminata “la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per la durata di mesi 1 (uno), a decorrere dal giorno successivo a quella di notifica del presente del presente decreto … (omissis) … Oltre agli effetti previsti dalla legge, detta sanzione comporta la deduzione dal computo dell'anzianità di servizio di un periodo pari a mesi 1 (uno) e, pertanto, il dipendente prenderà il posto nel ruolo del personale dopo il pari qualifica … (omissis).” e ogni altro atto presupposto, connesso, collegato e/o consequenziale, antecedente o successivo, ancorché non conosciuto.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 aprile 2024 il dott. P N e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Il ricorrente, dipendente del Ministero resistente, presso la -OMISSIS-, con ricorso depositato in data 8 febbraio 2023 ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe, in forza del quale gli è stata comminata la sanzione della sospensione dal servizio per la durata di mesi 1 (uno) per avere lo stesso presentato nel 2021 una denuncia nei confronti delle Istituzioni italiane in ordine alla gestione della pandemia Covid-19.

A fondamento del ricorso il ricorrente ha dedotto i seguenti motivi, in sintesi:

1. il provvedimento sarebbe illegittimo, il ricorrente essendo, all’atto della presentazione della denuncia, stato sospeso dal lavoro perché soggetto non vaccinato ai sensi del d.l. n. 172/2021;

2. il provvedimento sarebbe altresì illegittimo in quanto la P.a. avrebbe avuto notizia della denuncia da parte del ricorrente in conseguenza di un’articolata attività informativa della -OMISSIS-, la quale ha chiesto e ottenuto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di -OMISSIS- l’elenco di tutti i cittadini che hanno presentato la denuncia in esame, individuando il nome del ricorrente, pervenendo così all’acquisizione della denuncia da parte di quest’ultimo;
secondo il ricorrente, tale comportamento da parte della P.a. denoterebbe una sorta di accanimento nei suoi confronti, in violazione anche del principio di uguaglianza, visto che le denunce sono state presentate anche da tanti altri cittadini;
sarebbe stato violato anche l’art. 54 bis, d.lgs. n. 165/2001, essendo state adottate misure ritorsive pur a fronte di un’attività asseritamente legittima come la denuncia in esame che non avrebbe leso il decoro dell’Amministrazione;

3. il provvedimento sarebbe, infine, illegittimo anche perché il comportamento posto in essere dal ricorrente non potrebbe ritenersi contrario al decoro, concetto generico, privo di contenuto oggettivo;
la presentazione della denuncia non avrebbe arrecato alcun danno all’Amministrazione e non ne avrebbe comunque leso in nessun modo il decoro.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione resistente contestando l’ammissibilità e fondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.

Parte ricorrente ha depositato memoria difensiva.

All’esito dell’udienza del 10 aprile 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

1. Per quanto concerne il primo motivo di ricorso è sufficiente sottolineare come la sospensione per violazione degli obblighi vaccinali abbia riguardato il solo svolgimento dell’attività lavorativa, ma “con diritto alla conservazione del posto” (si veda l’art. 4 ter, d.l. n. 44 del 2021).

Non solo, ma, in ogni caso, ai sensi dell’art. 13, d.p.r. n. 782 del 1985, ‹‹il personale anche fuori servizio deve mantenere condotta conforme alla dignità delle proprie funzioni››.

Per contro, il riferimento alle circolari ministeriali, che avrebbero confermato la possibilità per il dipendente sospeso di svolgere attività lavorativa estranea alle funzioni di polizia per il solo periodo di sospensione, è del tutto irrilevante: le indicazioni ministeriali, infatti, nel consentire al dipendente sospeso il reperimento di nuovi mezzi di sussistenza, individuano esclusivamente una forma eccezionale di tutela del dipendente, senza d’altronde, giustificare la soluzione ermeneutica indicata da parte ricorrente, in mancanza di una puntuale e inequivoca previsione normativa che consenta di affermare il venir meno dell’appartenenza al ruolo.

Pertanto, il primo motivo di ricorso deve essere respinto.

2. In ordine al secondo e terzo motivo di impugnazione, che possono essere esaminati congiuntamente, va rilevato che, per quanto concerne l’attività di ricerca svolta dalla P.a., non si ravvisa alcuna illegittimità, né alcuno spreco di risorse, in quanto finalizzata, comunque, a far emergere possibili comportamenti illegittimi da parte del personale dipendente.

Parimenti, non è ravvisabile una forma di accanimento o di disuguaglianza discriminatoria nei confronti del ricorrente, in quanto sullo stesso, a differenza di “normali” cittadini, gravano peculiari obblighi di comportamento, di cui si dirà più avanti, correlati alla sua specifica appartenenza all’Amministrazione di riferimento, che si giustificano in ragione dell’importanza del ruolo e delle funzioni svolti.

Del tutto inconferente, poi, nel caso di specie, è il riferimento all’art. 54 bis, d.lgs. n. 165 del 2001, che concerne le segnalazioni, da parte del pubblico dipendente, di “condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro”.

Sotto altro profilo, occorre rammentare che, ai sensi del combinato disposto dei commi 1 e 4 n. 18, dell’art. 6, d.p.r. n. 737 del 1981, la sospensione dal servizio può essere disposta in caso di mancanze previste dall’art. 4, qualora rivestano carattere di particolare gravità, tra le quali rileva, nel caso di specie, ‹‹qualsiasi altro comportamento, anche fuori dal servizio, non espressamente preveduto nelle precedenti ipotesi, comunque non conforme al decoro delle funzioni degli appartenenti ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza››.

Per giurisprudenza costante, ‹‹l'Amministrazione dispone di un ampio potere discrezionale nell'apprezzare in via autonoma la rilevanza disciplinare dei fatti, tanto che "l'accertamento della proporzionalità della sanzione all'illecito disciplinare contestato e la graduazione della sanzione stessa, risolvendosi in giudizi di merito da parte dell'Amministrazione, sfuggono al sindacato del giudice amministrativo, salvo che non si riveli una loro manifesta illogicità o la contraddittorietà"›› (Cons. Stato, sez. IV, 25 febbraio 2020, n. 1397).

Nel caso di specie le valutazioni della P.a. non sono censurabili nei termini indicati dalla giurisprudenza amministrativa, avendo l’Amministrazione motivato ampiamente e non irragionevolmente l’irrogazione della sanzione disciplinare nei confronti del ricorrente.

In senso contrario, le censure dedotte in giudizio da quest’ultimo non sono fondate.

In primo luogo, occorre sottolineare come non possa essere condivisa la tesi affermata da parte ricorrente secondo la quale la presentazione di una denuncia non solo sarebbe assimilabile ad una mera “manifestazione di opinione”, ma costituirebbe, per le modalità concrete con cui è stata presentata “un esempio di pacifica e civile manifestazione del proprio pensiero”: più precisamente, secondo parte ricorrente “anche ad occhi poco esperti in materie giuridiche è lampante che la denuncia in questione avesse come unico scopo quello di manifestare in modo il dissenso del singolo cittadino rispetto alle scelte dell’Esecutivo e non certo di chiedere effettivamente l’avvio di un procedimento penale in danno del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri”.

In senso contrario a quanto affermato da parte ricorrente occorre sottolineare che:

a) la presentazione di una denuncia è un atto particolarmente grave che impone, in generale, in capo a chi la presenta, un’adeguata ed equilibrata ponderazione in ordine alla certezza, quantomeno soggettiva, dei fatti e delle responsabilità penali attribuite a soggetti terzi, posto che l’art. 368 c.p. punisce chiunque, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all'Autorità giudiziaria o ad un'altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato;

b) non solo, ma la presentazione di una denuncia comporta, in ogni caso, lo svolgimento di attività da parte dell’Autorità giudiziaria, anche solo al fine dell’adozione del provvedimento di archiviazione, e poiché la “risorsa giustizia” è, notoriamente, un “bene scarso”, l’eventuale aggravio a carico delle Procure conseguente alla presentazione di una denuncia diventa assolutamente ingiustificato laddove la denuncia, per stessa ammissione del denunciante, venga presentata meramente per “protesta” sapendo già che la stessa sarebbe stata archiviata;

c) la denuncia presentata all’Autorità, quindi, non può in alcun modo essere assimilata ad una mera manifestazione del pensiero, né costituisce “un esempio di pacifica e civile manifestazione del proprio pensiero”, e il fatto che la denuncia in questione “avesse come unico scopo quello di manifestare in modo il dissenso del singolo cittadino rispetto alle scelte dell’Esecutivo e non certo di chiedere effettivamente l’avvio di un procedimento penale in danno del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri” non solo non giustifica il comportamento del ricorrente, ma, al contrario, ne legittima ulteriormente la censura, avendo egli sostanzialmente abusato di un delicato strumento di tutela per finalità del tutto estranee rispetto a quanto previsto dall’ordinamento;

d) quanto precede è tanto più grave se, come nel caso di specie, il denunciante abbia anche utilizzato, nel testo della denuncia, termini e frasi del tutto inadeguate rispetto ad un principio di continenza espressiva (ad es. con riguardo all’utilizzo ripetuto del termine “ricatto” riferito agli effetti degli atti adottati dal Governo e laddove il ricorrente si riferisce alle sanzioni previste in violazione dell’obbligo vaccinale in termini di “vero e proprio ricatto dietro precisa minaccia”), a maggior ragione se, come detto, la denuncia stessa, per ammissione del denunciante medesimo, sia finalizzata ad una asserita “protesta pacifica”.

Quanto precede, che integra un evidente abuso dello strumento della denuncia per fini del tutto diversi da quelli previsti dal legislatore, già sarebbe grave se a commettere il fatto fosse un cittadino “qualunque”, ma assume evidentemente un particolare rilievo laddove, come nel caso di specie, il responsabile sia un -OMISSIS-, al cui ruolo istituzionale è correlato un particolare statuto normativo che impone degli stringenti obblighi di comportamento persino al di fuori dello svolgimento della propria attività lavorativa.

In questo senso, quindi, è del tutto ragionevole l’applicazione dell'art. 6, comma 3 del D.P.R. n. 737/1981 in relazione all'infrazione di cui al n. 18 del richiamato articolo 4, consistente nel comportamento "anche fuori dal servizio ... comunque non conforme al decoro delle funzioni degli appartenenti ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza".

La condotta contestata al ricorrente, infatti, per le ragioni sopra vista ben può essere ritenuta non conforme al decoro delle funzioni degli appartenenti ai ruoli dell'amministrazione della pubblica sicurezza.

Pertanto, anche il terzo motivo di ricorso deve essere respinto.

4. Quanto appena detto consente di esaminare la quarta censura con la quale il ricorrente lamenta l’errata applicazione dell’art. 6, comma 1, d.p.r. n. 737/81 in relazione all’art. 4, n. 18, asserendo l’indeterminatezza del concetto di “decoro”.

Si tratta di una censura infondata nella misura in cui il “decoro”, in termini generali, rimanda al prestigio e all’immagine dell’Amministrazione, e si sostanzia nell’insieme di elementi che concorrono a definire la proiezione del dover essere della P.a. agli occhi dei cittadini.

Nel caso di specie, poi, la condotta del ricorrente viene in rilievo in modo più che proporzionale in ragione del fatto che, da un lato, l’Amministrazione coinvolta è la -OMISSIS-, le cui funzioni sono legate anche al rispetto delle norme e a prevenire e reprimere le eventuali violazioni, in conformità all’ordinamento;
dall’altro lato, che la condotta in questa sede censurata si sostanzia in un abuso dello strumento “denuncia” previsto dal legislatore per finalità serie e non allo scopo di mera “manifestazione di opinione”, come invece asserisce il ricorrente.

Pertanto anche il quarto motivo di ricorso deve essere respinto.

5. Conclusioni e spese.

Alla luce di quanto precede il ricorso deve essere respinto.

Le spese di lite devono essere integralmente compensate attesa la particolarità della controversia.

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