TAR Roma, sez. 3T, sentenza 2015-07-09, n. 201509269

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 3T, sentenza 2015-07-09, n. 201509269
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201509269
Data del deposito : 9 luglio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 14943/2014 REG.RIC.

N. 09269/2015 REG.PROV.COLL.

N. 14943/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 14943 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
RDE Group s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t. , rappresentata e difesa dagli avv.ti R P e G D, domiciliata presso la Segreteria del Tar Lazio in Roma, Via Flaminia n. 189;

contro

GSE - Gestore dei servizi energetici s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t. , rappresentata e difesa dagli avv.ti prof. A P, P R M, M A F e A P, elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in Roma, Via di Villa Sacchetti n. 11;

per l'annullamento

(ric.)

- del provvedimento prot. 20140150099 del 20.10.14, con cui il GSE, a conclusione dell’attività di controllo sull’impianto termoelettrico alimentato a biocombustibili liquidi denominato “Vitulazio”, sito nel comune di Vitulazio (CE) e identificato con il numero

IAFR

4144, ha comunicato alla società ricorrente di dover restituire “quanto ricevuto a titolo di incentivazione in forza della convenzione identificata dal numero di istanza TO100233”, e dunque le somme percepite dal 7.3.2012 al 9.5.2013;

- dei provvedimenti del GSE prot. n. 20140084672 del 17.7.2014, recante richiesta di chiarimenti alla Provincia di Caserta, e n. 20140084679 del 17.7.2014, di comunicazione a RDE della sospensione del procedimento di verifica in attesa delle chieste integrazioni documentali e di contestuale sospensione degli incentivi;

- di ogni atto presupposto, connesso e conseguente, se e in quanto lesivo, con specifico riferimento alle note di credito richieste e al blocco cautelare dell’impianto effettuato dal GSE con provvedimento del 17.7.2014, nonché alla richiesta di compensazione totale del presunto credito vantato dal Gestore, non liquido né esigibile, con il credito, certo, liquido ed esigibile, vantato dalla ricorrente per la fornitura di energia nel periodo maggio-ottobre 2014, per un totale complessivo di euro 650.000;

(mm.aa.)

- del provvedimento del GSE del 29.1.2015, recante asserzione di non idoneità di atto amministrativo proveniente dal Comune di Vitulazio di autorizzazione a RDE per silenzio assenso sulla PAS depositata il 17.1.2012;

- del silenzio rifiuto serbato dal GSE sulla richiesta di riesame notificata l’1.12.2014.

e per la condanna

del GSE a pagare la differenza di 60 euro/MWh per le forniture effettuate da RDE nel periodo marzo 2012 – maggio 2013.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della parte intimata;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica dell’8 maggio 2015 il cons. M.A. di Nezza e uditi i difensori delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso spedito per le notificazioni a mezzo del servizio postale l’11.11.2014 (anticipato a mezzo fax il 27.10.2014, dep. il 28.10), la società RDE Group, premettendo di essere titolare di un impianto di produzione di energia elettrica alimentato a fonti rinnovabili, realizzato in base a d.i.a. in forza dell’art. 65 l. r. Campania n. 1/2008 e avente qualifica IAFR dal 2009, ha dedotto:

- di avere iniziato la produzione utilizzando olio vegetale, dapprima non tracciato (dal giugno 2009 all’ottobre 2011), con percezione di una tariffa pari a 220 euro/MWh, e poi tracciato (dall’ottobre 2011 fino al 16.1.2011) con una tariffa di 280 euro/MWh;

- di avere chiesto al Gestore dei servizi energetici (GSE) e al Ministero dello sviluppo economico nei mesi di giugno, ottobre e novembre 2011, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 28/2011, chiarimenti in merito alla possibilità di impiegare come combustibile il grasso animale (compensato con tariffa di 280 euro/MWh), ricevendo infine dal Gestore una mail in data 30.1.2012, a suo dire recante affermazione della sufficienza del possesso della qualifica IAFR;

- di avere pertanto comunicato allo stesso GSE, con raccomandata del 27.2.2012, che dal giorno 8.3.2012 l’impianto avrebbe utilizzato il grasso animale, poi effettivamente impiegato dal 20.3.2012;

- di avere nondimeno continuato a percepire una tariffa non aggiornata (220 euro/MWh), nonostante l’avvenuto inoltro al Gestore dei documenti da questo domandati (con nota del 16.5.2012);

- di avere ottenuto: i) dalla Regione Campania (a seguito di istanza del maggio 2012) i decreti dirigenziali 4.10.2012, n. 216, relativo alle emissioni in atmosfera, 2.11.2012, n. 99, di riconoscimento dell’idoneità dell’impianto ai sensi del reg. CE n. 1069/2009, e 12.2.2013, n. 34 (di “rettifica” del d.d. n. 216); ii) dal Comune di Vitulazio, nel mese di ottobre 2012, l’autorizzazione all’impiego di grasso animale;

- di avere inoltrato tale documentazione al GSE (con ripresa della produzione al 29.11.2012) e di avere altresì intrapreso, in adesione a una nuova richiesta dell’amministrazione, una procedura ex art. 12 d.lgs. n. 387/2003, conclusasi con il rilascio da parte della Provincia di Caserta del provvedimento di autorizzazione unica, di cui al d.d. 9.5.2013, n. 6;

- di essere in tal modo divenuta titolare di un duplice titolo autorizzatorio (regionale e provinciale) nonostante l’unicità della centrale e l’assenza di variazioni dell’assetto impiantistico;

- di avere infine iniziato a percepire solo dal 9.5.2013 la maggior tariffa, restando da stabilire il trattamento della produzione con grasso animale per il periodo intermedio (20.3.12-8.5.13), in relazione al quale essa avrebbe peraltro ottenuto dal Comune di Vitulazio un atto di “sanatoria” (avente efficacia dal 20.3.2012);

- che con nota 25.3.14 il GSE aveva comunicato l’avvio di un procedimento ex art. 42 d.lgs. n. 28/2011 di controllo mediante verifica e sopralluogo presso l’impianto, da concludersi entro il 24.6.2014 (90 giorni dalla ricezione;
o entro il 29.6.2014, prendendo a riferimento il 31.3.2014, data di inizio della verifica);

- che con distinte note del 17.7.2014 il Gestore aveva chiesto alla Provincia di Caserta delucidazioni sulla data di decorrenza dell’autorizzazione unica e alla società RDE ulteriori chiarimenti, con contestuale sospensione del procedimento di controllo e degli incentivi;

- che l’amministrazione provinciale e la ricorrente avevano dato riscontro in data 1.8.2014, la prima indicando il 9.5.2013 quale dies a quo dell’autorizzazione provinciale e la seconda fornendo le informazioni richieste;

- che con comunicazione del 20.10.14 il GSE, rilevata l’avvenuta attivazione dell’impianto a decorrere dalla data indicata dalla Provincia, aveva (tra l’altro) disposto la “revoca degli incentivi” per il periodo 7.3.12-8.5.13 (con ritiro delle somme percepite per tariffa incentivata e riaccredito come ritiro dedicato);

- di essere stata nuovamente ammessa al conferimento dell’energia a tariffa incentivata a far tempo dal 21.10.2014 (e vantando un credito nei confronti del GSE delle somme relative alle forniture di maggio e giugno 2014, per euro 212.836,47 ed euro 165.720,63, e per arretrati del 2012, pari a euro 13.139,36);

- che con comunicazione del 22.10.2014 il GSE aveva manifestato l’intenzione di procedere alla compensazione “delle fatture RDE emesse e da emettersi” (recanti crediti certi, liquidi ed esigibili) con “note di credito” ancora da emettere (crediti non certi, liquidi ed esigibili);

- di essere creditrice nei confronti del GSE di altri euro 360.013,50 (oltre iva, per un totale di euro 396.014,85), pari al prodotto della differenza tariffaria di 60 MWh (280 – 220 MWh) per l’energia generata nel periodo in considerazione (MWh 6000,225);

tanto premesso, ha chiesto l’annullamento dei menzionati provvedimenti del GSE del 17.7.2014 e del 20.10.2014, oltre che degli altri atti riportati in epigrafe, prospettando:

1. Violazione del giusto procedimento e dei tempi per il completamento ai sensi della l. n. 241/90;
violazione degli artt. 2 e 14-ter l. n. 241/90, dell’art. 12 d.lgs. n. 387/2003, della l.r. Campania n. 1/2008:

il procedimento di verifica si sarebbe concluso successivamente al decorso del termine di 90 giorni (precisamente dopo 210 giorni) indicato nella stessa comunicazione di avvio, termine da considerare perentorio alla stregua dell’art. 2 l. n. 241/90 letto congiuntamente all’art. 12, co. 4, d.lgs. n. 387/03 (qualificabile come “principio fondamentale in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”), mentre non rileverebbe la richiesta di chiarimenti formulata dal Gestore, parimenti pervenuta alla ricorrente il 17.7.2014, ossia dopo la scadenza prevista;

2. Eccesso di potere per difetto di motivazione;
violazione del giusto procedimento;
violazione della normativa comunitaria, come recepita in Italia, in materia di equiparazione del grasso animale all’olio vegetale ai fini della corresponsione degli incentivi;
violazione dell’art. 65 l.r. Campania n. 1/2008;
violazione dell’art. 4, co. 3, d.m. 18.12.2008;
eccesso di potere per disparità di trattamento e per ingiustizia manifesta;
violazione dell’art. 1, co. 2, l. n. 241/90
:

la ricorrente, che avrebbe fatto tutto il possibile per chiarire la propria situazione, avrebbe iniziato a utilizzare grasso animale (in luogo di olio vegetale), confidando nella mail del Gestore del 30.1.2012 (sulla sufficienza della qualifica IAFR);
essa avrebbe peraltro regolarmente comunicato allo stesso Gestore tale circostanza, con conseguente perfezionamento, in assenza di rilievi, di silenzio assenso ex art. 4, co. 3, d.m. 18.12.2008 e 42 d.lgs. n. 28/2011 (almeno a far tempo dal 29.5.2012);
sotto altro profilo, dall’art. 25, co. 5, d.lgs. n. 28/2011 si desumerebbe la titolarità in capo al soggetto responsabile di un impianto munito di qualifica IAFR (indipendentemente dal regime osservato per la sua realizzazione, se ex art. 12 d.lgs. n. 387/03 o attraverso la procedura derogatoria divisata dall’art. 65 l.r. n. 1/2008 cit.) di un “diritto alla estensione dell’autorizzazione all’utilizzo del grasso in luogo dell’olio”;

ancora, la determinazione di revoca (pure a volerla considerare tempestiva) sarebbe palesemente erronea, non avendo il Gestore ritenuto di acquisire dalla Regione Campania e dall’Asl delucidazioni sui titoli adottati da tali enti, perché in tal caso l’amministrazione avrebbe potuto disporre il ritiro degli incentivi “per il solo periodo in cui la Rde non avesse chiesto o ottenuto” i relativi assensi;

il GSE avrebbe dovuto tener conto, infine, della “sanatoria” pronunciata dal Comune di Vitulazio con decorrenza 20.3.2012, avendo comunicato la s.c.i.a. e attivato la d.i.a., ora p.a.s. (procedura abilitativa semplificata);

3. Violazione degli artt. 3 e 97 Cost.;
eccesso di potere per disparità di trattamento e per ingiustizia manifesta
:

il GSE sarebbe contraddittoriamente addivenuto al riconoscimento della maggior tariffa incentivante per un impianto sito nel Comune di Paolisi (BN), analogo a quello della ricorrente, e in altre due fattispecie similari nella Regione Veneto;

4. Violazione del principio di legalità circa la compensazione dei crediti :

la compensazione tra poste debitorie e creditorie ipotizzata dal GSE non sarebbe legittimata da alcuna norma, ponendosi anche in contrasto con le inerenti regole del codice civile (i reciproci titoli non sarebbero omogenei e sarebbero carenti di certezza, liquidità ed esigibilità).

La ricorrente ha altresì chiesto l’accertamento del proprio diritto a produrre energia elettrica incentivata con la tariffa di 280 euro/MWh “sin dalla comunicazione del 30.1.2012 ovvero in qualsiasi altra data il Tar adito riterrà legittima”, con conseguente condanna del Gestore al pagamento in suo favore per il periodo marzo 2012-maggio 2013 della “differenza di euro 60 x 6000,225 MWh per un totale di euro 360.013,50 oltre iva” (per complessivi euro 396.014,85).

Si è costituito in resistenza il GSE (18.12.2014), che nelle memorie depositate per la trattazione della domanda cautelare (19.1 e 2.2.2015), eccepita la tardività dell’impugnazione del provvedimento di sospensione dell’erogazione degli incentivi, ha instato per la reiezione del ricorso nel merito.

Con motivi aggiunti notificati a mezzo pec il 2.3.2015 (dep. il 3.3), la società RDE, esposte nuovamente le vicende di causa con alcune precisazioni concernenti l’avvenuta presentazione al Comune di Vitulazio in data 17.1.2012 di una dichiarazione di procedura abilitativa semplificata (p.a.s.) assentita per silentium (punti 13, 20, 21, 36, 44, 57, 63), ha ulteriormente dedotto:

- di avere chiesto il riesame della determinazione di revoca del 20.10.2014;

- che con nota del 15.1.2015 il Gestore aveva domandato al Comune di Vitulazio delucidazioni sulla menzionata p.a.s.;

- che con comunicazione dell’1.12.2014 la Regione Campania, compulsata da RDE (con nota del 17.11.2014), aveva chiarito di avere delegato i comuni ad assentire la variazione chiesta dalla ricorrente (giusta l’art. 6 d.lgs. n. 28/2011), sortendo da tale affermazione il riconoscimento della competenza del Comune di Vitulazio a trattare la vicenda (dal 2012 al maggio 2013), non già della Provincia di Caserta (come opinato dal Gestore);

- che il GSE sarebbe decaduto dall’impugnazione giurisdizionale della p.a.s. tacitamente assentita;

tanto premettendo, la ricorrente ha impugnato la nota del GSE in data 29.1.2015, recante contestazione della posizione espressa dal Comune di Vitulazio, nonché il silenzio serbato sull’istanza di riesame, deducendo:

1. Violazione dell’art. 97 Cost. e dell’art. 2 l. n. 241/90;
eccesso di potere per violazione del giusto procedimento;
violazione dei termini per la conclusione della procedura ispettiva e di verifica;
eccesso di potere per violazione dello stesso regolamento GSE in materia di applicazione della l. n. 241/90;
illegittimità del silenzio rifiutuo alla istanza ex art. 21-quinquies l. n. 241/90;
difetto di motivazione;
eccesso di potere per contraddittorietà tra atti;
perplessità e sviamento dai fini della norma;
travisamento dei fatti ed erronea valutazione degli stessi;
violazione degli artt. 5, 6 e 25 d.lgs. n. 28/2011
:

sarebbe illegittimo il silenzio sull’istanza di riesame inoltrata l’1.12.2014, alla luce delle censure svolte nel ricorso introduttivo e stanti le peculiarità della vicenda;

2. Incompetenza;
carenza di potere nella valutazione di atti di altra amministrazione;
violazione del giusto procedimento e dei tempi per il completamento dello stesso;
violazione degli artt. 2, 14-ter e 21-quinquies l. n. 241/90, dell’art. 12 d.lgs. n. 387/03 della l.r. n. 1/2008, dell’art. 6 d.lgs. n. 28/2011;
illegittimità manifesta;
eccesso di potere per arbitrarietà;
difetto di motivazione;
sviamento;
travisamento dei fatti;
disparità di trattamento;
irragionevolezza, illogicità e contraddittorietà dell’atto;
manifesta ingiustizia
:

gli atti impugnati sarebbero frutto di un’erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto, risultando idoneo a sorreggere l’attività produttiva posta in essere dalla ricorrente il silenzio assenso sulla dichiarazione di p.a.s. (consegnata al Gestore in sede di sopralluogo sull’impianto);
le ultime affermazioni della Regione Campania (sul riparto di competenze amministrative) e del Comune di Vitulazio (note 16.1.15 e 26.2.15) confermerebbero altresì il rilievo di illegittimità del silenzio serbato sull’istanza di riesame;

3. Eccesso di potere per difetto di motivazione per erroneità, incongruità e inconferenza;
violazione del giusto procedimento;
violazione dell’art. 6 d.lgs. n. 28/2011 e della normativa comunitaria, come recepita in Italia, in materia di equiparazione del grasso animale all’olio vegetale anche ai fini della corresponsione degli incentivi;
violazione dell’art. 65 l.r. Campania n. 1/2008;
violazione dell’art. 4, co. 3, d.m. 18.12.2008;
eccesso di potere per disparità di trattamento e per ingiustizia manifesta
:

il Gestore, ferma la liceità dell’attività produttiva di RDE in forza di duplice silenzio assenso (del Comune sulla p.a.s. del 17.1.2012, “doppiato” da provvedimento espresso di sanatoria, e del Gestore sulla comunicazione del cambio di combustibile), oltre ad aver violato i propri “doveri di consulenza”, avrebbe operato un inammissibile sindacato sugli atti del Comune di Vitulazio (la contestazione avrebbe potuto avvenire soltanto attraverso impugnazione giurisdizionale), venendo altresì a contraddire il suo precedente “comportamento tacitamente autorizzatorio” (nulla avendo eccepito all’indomani della ridetta comunicazione di cambio di combustibile);

in questa ottica, sarebbe inescusabile la mancata richiesta di chiarimenti (se non nel mese di gennaio 2015) da parte del Gestore al Comune, mentre sarebbe infondato il rilievo, sempre del Gestore, circa l’esercizio da parte della ricorrente di un’opzione in favore del conseguimento dell’autorizzazione unica (la circostanza che la “sanatoria” comunale risalirebbe al novembre 2013 si spiegherebbe con la perdurante possibilità, per qualsiasi autorità amministrativa, di attestare in ogni momento l’avvenuto rilascio di titoli a essa riferibili);

4. Violazione degli artt. 3 e 97 Cost.;
eccesso di potere per disparità di trattamento e per ingiustizia manifesta
;

5. Violazione del principio di legalità circa la compensazione dei crediti .

Respinta l’istanza cautelare (con ordinanza n. 1048 del 9.3.2015), all’odierna udienza, in vista della quale le parti hanno depositato documenti (27.3.15), memorie (1.4 e 7.4.15) e repliche (17.4.15), il giudizio è stato discusso e trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. La controversia attiene alla spettanza della tariffa incentivante prevista per l’utilizzo di “grasso animale” in relazione alla produzione di energia elettrica effettuata della società RDE nel proprio impianto IAFR di Vitulazio, originariamente alimentato con “oli vegetali”, per il periodo 7.3.2012-8.5.2013.

Con l’atto introduttivo la società istante chiede l’annullamento del provvedimento assunto in data 20.10.2014 (all’esito dell’attività di vigilanza espletata ai sensi dell’art. 42 d.lgs. n. 28/2011 e del d.m. 31.1.2014), nella parte in cui il GSE, richiamati gli elementi rappresentati dalla Provincia di Caserta circa l’“estensione dell’autorizzazione” all’utilizzo di grasso animale fuso a decorrere dal 9.5.2013 (giusta il d.d. 9.5.2013, n. 6), ha comunicato come fosse emerso che “ nel periodo 7 marzo 2012 – 9 maggio 2013, l’impianto è stato alimentato a grassi animali in assenza di idoneo titolo autorizzativo ”, con conseguente riscontro della violazione dell’art. 11, co. 3, d.m. 31.1.2014 e necessità di recupero delle somme percepite dalla società in tale lasso temporale.

Il ricorso ha altresì a oggetto le presupposte richieste di informazioni del 17.7.2014 nonché la determinazione di sospensione degli incentivi (“fino alla definizione dell’esito” dell’attività di controllo) adottata in pari data (provv. prot. P20140084679;
all. 7 res. dep. 2.2.15).

A seguito dell’instaurazione del giudizio e della presentazione di un’istanza di riesame da parte della ricorrente (l’1.12.2014), il Gestore chiedeva al Comune di Vitulazio (nota 15.1.2015) di conoscere se la p.a.s. fosse, tra l’altro, “titolo idoneo ad autorizzare RDE all’utilizzo di olio da grasso animale in alternativa all’olio vegetale e, in caso positivo, a partire da quale data”.

Con nota del 21.1.2015 l’ente locale confermava le circostanze dell’avvenuta presentazione della “richiesta di estensione all’impiego dell’olio da grasso animale” attraverso p.a.s. depositata il 17.1.2012 (prot. n. 697) e della formazione del silenzio assenso a far data dal 16.2.2012, “in quanto non furono rilevati motivi ostativi” (come previsto dall’art. 6 d.lgs. n. 28/2011).

A sua volta, il GSE replicava con nota del 29.1.2015 (indirizzata anche alla Provincia e all’A.s.l. di Caserta, alla Regione Campania e alla stessa ricorrente), nella quale, rammentata la natura sostanziale della modifica e richiamati il d.d. 4.10.2016, n. 212 (autorizzazione alle emissioni in atmosfera) e il d.d. 29.1.2013, n. 7 (riconoscimento definitivo ai sensi dell’art. 24, lett. d , reg. CE n. 1069/09), precisava:

i) che “la corretta formazione del titolo abilitativo […] avrebbe richiesto, al fine di acquisire preventivamente i pareri degli altri Enti competenti […], la formale convocazione da parte dell’Ente comunale competente di una conferenza dei servizi ai sensi dell’art. 6, comma 5, del D.lgs. 28 del 2011, che invece nella specie non risulta essere stata indetta”;

ii) che pertanto, “in assenza dei suddetti atti propedeutici (intervenuti solo successivamente al perfezionarsi del silenzio assenso) la PAS non è idonea a esplicare gli effetti abilitativi all’esercizio dell’impianto alla data del 16 febbraio 2012 ai sensi del citato art. 6, comma 5”.

I motivi aggiunti attengono a quest’ultima nota del Gestore (oltre che al silenzio mantenuto sull’istanza di riesame presentata dalla ricorrente).

2. Tanto premesso – e rilevate in limine : a) in adesione all’eccezione del Gestore (pagg. 17-19 mem. 2.2.15), la tardività della domanda caducatoria rivolta avverso la sospensione degli incentivi “fino alla definizione dell’esito della presente attività di controllo”, di cui alla nota del 17.7.2014 (prot. P20140084679, ricevuta da RDE il 23.7.2014;
cfr. nota RDE del 13.10.14;
all. 8 res. 2.2.2015), trattandosi di una determinazione autonomamente lesiva impugnata dopo il decorso del termine di legge (il ricorso è stato spedito per le notificazioni l’11.11.2014, con dies a quo risalente al 23.7.2014);
e b) l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità dei motivi aggiunti in quanto proposti a mezzo pec, alla luce del principio di raggiungimento dello scopo (il Gestore ha infatti accettato il contraddittorio e si è ampiamente difeso sulle inerenti censure) – il Collegio ritiene che il ricorso e i motivi aggiunti siano fondati per quanto di ragione.

2.1. La società istante si duole anzitutto della violazione del termine di 90 giorni stabilito per chiudere il procedimento di verifica (conclusosi in 210 giorni), essendo peraltro irrilevante ai fini del computo l’attività istruttoria posta in essere dal Gestore (atteso che le richieste di chiarimenti alla ricorrente e alla Provincia di Caserta sarebbero parimenti intervenute in data successiva al dies ad quem ;
n. 1 ric.).

La doglianza va disattesa.

Il d.m. 31.1.2014, attuativo dell’art. 42, commi 5 e 6, d.lgs. n. 28/2011, nel disciplinare, tra l’altro, le modalità di effettuazione dei controlli sugli “impianti di competenza del GSE” (cfr. art. 42, co. 5, lett. b ), prevede all’art. 10 (“conclusione del procedimento di controllo mediante sopralluogo”) che “ai sensi dell’art. 2 della legge n. 241 del 1990, il GSE stabilisce, in base a criteri di proporzionalità e di efficienza, il termine di conclusione del procedimento di controllo mediante sopralluogo. Nei casi di maggiore complessità può essere previsto un termine fino a 180 giorni” (co. 1).

In ossequio a questa previsione il Gestore aveva stabilito, nella comunicazione di avvio del procedimento del 25.3.2014 (nota prot. P20140037878), il termine di “90 giorni dalla data di ricezione” dell’avviso di avvio.

Ora, non vi sono dubbi sul superamento del previsto dies ad quem (né vale opporre in contrario l’art. 2, co. 7, l. n. 241/90, che, in disparte la giusta considerazione della ricorrente circa la tardività anche della richiesta di informazioni, consente la sospensione, non già l’interruzione, del termine, peraltro “per una sola volta e per un periodo non superiore a trenta giorni, per l’acquisizione di informazioni”).

Dai dati normativi di riferimento non è tuttavia possibile inferire la natura perentoria del termine in questione.

Può in proposito richiamarsi l’orientamento giurisprudenziale (espresso in fattispecie similare di superamento dei termini di conclusione di una verifica di competenza dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas), secondo cui l’art. 152, 2° co., c.p.c., nell’affermare che “i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori”, detta “un principio generale del nostro ordinamento che è applicabile anche ai termini nei procedimenti amministrativi” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30 dicembre 2014, n. 6430;
questa pronuncia pare peraltro superare la consueta opinione, ribadita da Cons. Stato, ad. plen., 25 febbraio 2014, n. 10, punto 5.2 “diritto”, per la quale l’art. 152 cit. “vale esclusivamente per i termini processuali, mentre con riguardo ai termini esistenti all’interno del procedimento amministrativo il carattere perentorio o meno va ricavato dalla loro ratio ”).

Nel caso concreto non solo è assente una specifica qualificazione normativa in termini di perentorietà, ma anche a volere esaminare la fattispecie in prospettiva più ampia, non è condivisibile l’impostazione suggerita dalla ricorrente, che fa discendere tale caratteristica dallo stretto collegamento del termine in questione con quello stabilito dall’art. 12, co. 4, d.lgs. n. 387/2003 per il rilascio dell’autorizzazione unica.

Ritiene infatti il Collegio che tale nesso non sia ravvisabile, attesa l’evidente differenza strutturale e funzionale tra l’ iter di rilascio dell’autorizzazione unica, consistente in un procedimento ampliativo a istanza di parte, e quello di “controllo” disciplinato dal d.m. 31.1.2014, che risponde a logiche (e riguarda momenti dell’azione amministrativa) del tutto differenti.

Va inoltre precisato che la potestà esercitata nella specie non ha connotazioni sanzionatorie.

Il gravato provvedimento è stato infatti adottato ai sensi dell’art. 11, co. 3, d.m. 31.1.21014, a tenore del quale il Gestore “qualora riscontri violazioni o inadempimenti che rilevano ai fini dell’esatta quantificazione degli incentivi ovvero dei premi, dispone le prescrizioni più opportune ovvero ridetermina l’incentivo in base alle caratteristiche rilevate a seguito del controllo e alla normativa applicabile, recuperando le sole somme indebitamente erogate” (cfr. art. 11, co. 1, e all. 1, lett. l ).

La norma vale a specificare le generali attribuzioni di autotutela spettanti alle autorità amministrative, senza che da ciò possano derivare implicazioni in termini di “afflittività” (con le conseguenti esigenze di tutela della posizione del soggetto destinatario del relativo procedimento).

Ne segue che la violazione del dies ad quem individuato dallo stesso Gestore “in base a criteri di proporzionalità e di efficienza” (art. 10 d.m. 31.1.2014 cit.) non può determinare effetti invalidanti dell’atto finale (è appena il caso di precisare che la parte ricorrente non censura la violazione dell’ultimo periodo di detto art. 10).

2.2. Tali considerazioni sono estensibili anche al primo motivo del ricorso per motivi aggiunti, nella parte in cui reitera le doglianze appena esaminate, mentre è infondato e va pertanto respinto il (nuovo) profilo di critica avente a oggetto l’accertamento dell’illegittimità del silenzio sull’istanza di riesame (v. anche secondo motivo aggiunto), atteso che – in disparte la questione della doverosità dei procedimenti di autotutela – l’atto del 29.1.2015 è comunque apprezzabile alla stregua di provvedimento conclusivo dell’ iter di riesame, stante l’espressa contestazione del Gestore sulla tesi della formazione del titolo abilitativo tacito.

Ciò che rende al contempo prive di rilevanza tutte le questioni relative al momento di consegna dell’“istanza” di p.a.s. al Gestore (se in sede di visita ispettiva, come sostenuto dalla ricorrente, o soltanto dopo l’inizio della controversia, come asserito dalla parte resistente) e alla pretesa “tardività” della richiesta di chiarimenti al Comune (avanzata dal GSE soltanto nel gennaio 2015;
cfr. n. 3 mm.aa.).

3. Una seconda serie di censure attiene all’aspetto sostanziale della vicenda.

3.1. La società RDE contesta in particolare la qualificazione giuridica operata dal Gestore nel provvedimento impugnato, assumendo in particolare di avere operato correttamente in forza del silenzio assenso maturato ai sensi dell’art. 4, co. 3, d.m. 18.12.2008 sull’“istanza” di mutamento di combustibile rivolta nel febbraio 2012 alla parte resistente (n. 2 ric.) e avendo ricevuto, all’esito dei numerosi tentativi di interlocuzione con l’amministrazione per conoscere le modalità di effettuazione dell’operazione, un assenso del Gestore (mail del 30.1.2012);
sarebbe in ogni caso fermo il suo “diritto” a procedere in tal senso in forza dell’equiparazione tra “olio” e “grasso” sancita dall’art. 25, co. 5, d.lgs. n. 28/2011 (e tanto indipendentemente dal titolo conseguito per la realizzazione dell’impianto).

Inoltre, il Gestore avrebbe dovuto acquisire delucidazioni sui provvedimenti dalla Regione e dall’Asl per consentire la produzione (se ciò avesse fatto, avrebbe semmai potuto disporre la revoca degli incentivi per il solo periodo in cui la ricorrente non avesse chiesto o ottenuto i titoli di competenza di tali amministrazioni) e avrebbe dovuto tener conto della “sanatoria” pronunciata dal Comune di Vitulazio.

Con il ricorso per motivi aggiunti (nn. 2 e 3 mm.aa.) la società istante ha ulteriormente dedotto come, attestata dalla Regione Campania la competenza del Comune di Vitulazio sulla p.a.s., si sarebbe formato il silenzio assenso sulla dichiarazione da essa presentata nel febbraio 2012 (con la successiva “sanatoria” l’ente locale si sarebbe limitato a dare atto di questa situazione), non sussistendo il potere del Gestore di metterne in discussione la validità ed efficacia, se non attraverso apposita impugnazione innanzi al giudice amministrativo competente. Essa non avrebbe nemmeno esercitato alcuna “opzione” per l’ iter di autorizzazione unica.

3.2. Le doglianze sono fondate nei sensi di seguito precisati.

3.2.1. Va anzitutto disattesa la tesi della ricorrente secondo cui l’art. 25, co. 5, d.lgs. n. 28/2011 avrebbe equiparato sul piano sostanziale i due combustibili.

La disposizione prevede effettivamente che i “residui di macellazione”, ancorché subiscano “un trattamento di liquefazione o estrazione meccanica”, “non sono considerati liquidi”, ma ciò – precisa la legge – “ai soli fini del riconoscimento della tariffa di cui alla riga 6 della tabella 3 allegata alla legge 24 dicembre 2007, n. 244”, ossia della tariffa di 0,28 euro/kWh per “biogas e biomasse, esclusi i biocombustibili liquidi ad eccezione degli oli vegetali puri tracciabili […]” (cfr. rigo 6 tab. 3 cit.).

Si tratta cioè di un riconoscimento operante sul mero piano tariffario e che dunque non incide sugli aspetti amministrativi.

Quanto alla nota del 27.2.2012 indirizzata da RDE al Gestore, rileva il Collegio come essa consista in una mera comunicazione in cui la società “dichiara” che a partire dal 7.3.2012 la centrale sarebbe stata alimentata “anche da materia primaria proveniente da grassi animali, […], oltre che da oli vegetali, in conformità alle normative vigenti in materia”.

Essa non reca pertanto alcuna “istanza” di adeguamento della qualifica IAFR (tanto più che non risulta allegata la documentazione necessaria ai sensi dell’art. 4, co. 2, d.m. 18.12.2008), con conseguente impossibilità di perfezionamento del silenzio assenso ex art. 4, co. 3, d.m. 18.12.2008 (si tratta invece di una doverosa comunicazione ai sensi del successivo co. 4 dello stesso art. 4, secondo cui “i soggetti responsabili degli impianti comunicano al GSE, ogni variazione dei dati degli impianti stessi, ivi inclusi l’avvio dei lavori di nuova costruzione, potenziamento, riattivazione, rifacimento parziale o totale, e l’avvenuta entrata in esercizio”).

Nemmeno è condivisibile la linea argomentativa diretta a dimostrare la maturazione di un affidamento dell’operatore in forza della mail del 30.1.2012, poiché questa comunicazione consiste in una risposta al quesito (principalmente) posto da RDE circa il soggetto legittimato ad accedere alla tariffa onnicomprensiva (cfr. mail del 23.1.2012). In essa si chiarisce infatti il punto della spettanza della tariffa incentivante al titolare della qualifica IAFR, ma non si affronta la diversa questione della eventuale sufficienza di tale situazione ai fini della percezione dei benefici.

3.2.2. In termini più generali, il regime amministrativo per la realizzazione degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili è delineato dagli artt. 5 (autorizzazione unica, a.u.), e 6 (procedura abilitativa semplificata, p.a.s., e comunicazione), del d.lgs. n. 28/2011 (v., sulla specialità di questa disciplina, Cons. Stato, sez. IV, 12 febbraio 2015, n. 745).

L’art. 5, co. 1, sancisce la necessità dell’a.u. di cui all’art. 12 d.lgs. n. 387/2003 per “la costruzione e l’esercizio” di detti impianti (oltre che delle “opere connesse” e delle “infrastrutture indispensabili” alla costruzione e all’esercizio) nonché per le “modifiche sostanziali” degli stessi, rinviando alle “modalità procedimentali” e alle “condizioni” previste: i) dallo stesso d.lgs. n. 387/03; ii) dalle “linee guida” adottate ai sensi dell’art. 12, co. 10, d.lgs. n. 387/03 cit.: a questo articolo è stata data attuazione col d.m. 10.9.2010, recante per l’appunto le allegate “Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili” (di seguito, Linee guida); iii) “dalle relative disposizioni delle Regioni e delle Province autonome”.

L’art. 6 disciplina la p.a.s. (commi da 1 a 10), che è per l’appunto la procedura semplificata applicabile alla “costruzione ed esercizio” degli impianti di cui ai paragrafi 11 e 12 delle Linee guida.

In particolare, dette Linee guida operano una distinzione tra gli interventi soggetti a d.i.a. e quelli di “edilizia libera”, con la seguente preliminare precisazione (cfr. punto 11.1): “Nel rispetto del principio di non aggravamento del procedimento di cui all’articolo 1, comma 2, della legge n. 241 del 1990, per gli impianti di cui al paragrafo 12, l’autorità competente non può richiedere l’attivazione del procedimento unico di cui all’articolo 12, comma 4, del decreto legislativo n. 387 del 2003. Resta ferma la facoltà per il proponente di optare, in alternativa alla DIA, per tale procedimento unico ” (enf. agg.).

I punti 12.3 e 12.4 riguardano (tra gli altri) gli impianti alimentati da biomasse, per la cui realizzazione è prevista la mera comunicazione o la d.i.a. (oggi p.a.s.) al ricorrere di talune condizioni (quali a es. l’assetto cogenerativo e il non superamento di determinate soglie di “capacità di generazione massima”), di norma cumulative.

L’art. 6, co. 9, d.lgs. n. 28/2011 consente alle regioni e alle province autonome di “estendere la soglia di applicazione” della p.a.s. “agli impianti di potenza nominale fino ad 1 MW elettrico” e di definire altresì “i casi in cui, essendo previste autorizzazioni ambientali o paesaggistiche di competenza di amministrazioni diverse dal Comune, la realizzazione e l’esercizio dell’impianto e delle opere connesse” sono assoggettate all’a.u., mentre il co. 11 conferma la possibilità di continuare ad applicare (“alle stesse condizioni e modalità”) il regime di “comunicazione” per le “attività in edilizia libera” di cui agli anzidetti parr. 11 e 12 Linee guida, ferma la possibilità per regioni e province autonome di estenderlo agli impianti di dimensioni minori (“con potenza nominale fino a 50 kW”) e a quelli fotovoltaici su edifici (indipendentemente dalla potenza).

Le “modifiche” sono prese in considerazione dall’art. 5, commi 1 e 3.

Come si è anticipato, per le “modifiche sostanziali” è necessaria l’a.u. (co. 1).

La norma però non definisce tale nozione. Il comma 3 ne demanda l’individuazione “per ciascuna tipologia di impianto e di fonte” a un d.m. (del Ministro dello sviluppo economico, di concerto col Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mera, previa intesa con la Conferenza unificata), con alcune prescrizioni puntuali. Segnatamente:

i) la clausola “fermo restando il rinnovo dell’autorizzazione unica in caso di modifiche qualificate come sostanziali ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”, induce a ritenere che siano sempre “sostanziali” (perché comunque necessitanti di autorizzazione unica) le modifiche che ricevano tale qualificazione ai sensi del testo unico dell’ambiente (cfr. art. 268, co. 1, lett. m-bis , d.lgs. n. 152/2006);

ii) in via transitoria, fino all’emanazione dell’anzidetto d.m., sono considerati “non sostanziali”, e dunque assoggettabili al regime semplificato della p.a.s.:

- “gli interventi da realizzare sugli impianti fotovoltaici, idroelettrici ed eolici esistenti, a prescindere dalla potenza nominale, che non comportano variazioni delle dimensioni fisiche degli apparecchi, della volumetria delle strutture e dell’area destinata ad ospitare gli impianti stessi, né delle opere connesse” (ferme, ove previste, le procedure di verifica di assoggettabilità e v.i.a.);

- per gli impianti a biomassa, bioliquidi e biogas “i rifacimenti parziali e quelli totali che non modifichino la potenza termica installata e il combustibile rinnovabile utilizzato”.

Al di là di queste puntuali previsioni – che paiono introdurre due presunzioni, rispettivamente di “sostanzialità” (e di necessità di a.u.) e, in via temporanea, di “non sostanzialità” (con possibilità di applicare la p.a.s.) – nulla è detto in riferimento agli altri interventi di modifica, il cui regime va pertanto desunto da quello del titolo originario.

In altri termini sembra che, in assenza di specifiche disposizioni, la modifica dell’impianto sia assentibile attraverso l’adeguamento del titolo sulla base del quale l’impianto stesso è stato realizzato, con applicazione del relativo regime.

3.2.3. Venendo al caso di specie, il Gestore, pur avendo sostenuto la tesi della natura sostanziale del cambio di combustibile operato da RDE – ciò desumendo: dall’ultimo periodo del comma 3 in disamina, da interpretare nel senso che ogni intervento incidente sul combustibile rinnovabile impiegato determinerebbe “in linea di principio – una modifica sostanziale dell’impianto”;
dalle qualificazioni adottate dalle autorità a vario titolo intervenute nel procedimento, come la Regione Campania, nel d.d. n. 216/2012 di autorizzazione alle emissioni in atmosfera, e la Provincia di Caserta, nel d.d. n. 6/2013 di autorizzazione unica, e dalla stessa ricorrente, nella domanda di chiarimenti rivolta alla Regione il 18.11.2014 oltre che nella comunicazione ai fini p.a.s. del 17.1.2012;
dalla circostanza della necessità di uno specifico titolo abilitativo quale il riconoscimento ai sensi del reg. CE n. 1069/2009, non richiesto per i combustibili vegetali – ha tuttavia sviluppato nel presente giudizio una linea argomentativa non fondata sulla questione qualificatoria.

Il GSE ha infatti affermato chiaramente che “in linea generale e di principio, per un impianto analogo a quello condotto dall’odierna ricorrente, la modifica sostanziale consistente nel cambiamento di combustibile utilizzato (da oli vegetali puri ad oli da grasso animale) avrebbe potuto essere assoggettata al regime della c.d. PAS ex art. 6 del d.lgs. n. 28/2011” (pag. 11 mem. 7.4.15;
è appena il caso di rilevare che tale assunto poggia sul rilievo della natura non sostanziale della modifica in argomento ai sensi della normativa ambientale, poiché altrimenti avrebbe dovuto operare la presunzione innanzi ricordata).

Muovendo da questa considerazione di principio, il Gestore ha negato il perfezionamento della procedura semplificata intrapresa dalla ricorrente e ha riconosciuto portata dirimente all’autorizzazione unica provinciale, adottata a seguito della pretesa opzione espressa dalla società RDE ai sensi del menzionato punto 11.1 delle Linee guida.

Gli impugnati provvedimenti del 20.10.2014 e del 29.1.2015, apprezzati alla luce di questa impostazione, possono essere considerati come un tutt’uno (derivando lo iato temporale unicamente dalla circostanza che della p.a.s. la ricorrente ha fatto menzione per la prima volta successivamente all’adozione del primo atto, non importa se nella domanda di misure cautelari ante causam o nel ricorso o nell’istanza di riesame, né rilevando la questione della pretesa esibizione della relativa documentazione in sede di verifica ispettiva, atteso che, alla fine, il Gestore l’ha comunque presa in considerazione).

In estrema sintesi, secondo il Gestore: i) la p.a.s. non si sarebbe perfezionata; ii) la ricorrente avrebbe optato per il procedimento di autorizzazione unica; iii) l’attività produttiva sarebbe “regolare” a far tempo dall’adozione di quest’ultimo provvedimento.

La prospettazione non è condivisibile.

Occorre muovere dalle disposizioni procedimentali dettate dall’art. 6, commi 2 ss., d.lgs. n. 28/2011:

- in caso di assenza di rilievi da parte del Comune nei trenta giorni dalla ricezione della dichiarazione di p.a.s., “l’attività di costruzione deve ritenersi assentita” (commi 2 e 4);

- “[…] Nel caso in cui siano richiesti atti di assenso nelle materie di cui al comma 4 dell’articolo 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e tali atti non siano allegati alla dichiarazione, devono essere allegati gli elaborati tecnici richiesti dalle norme di settore e si applica il comma 5” (co. 2, ult. per.;
tra le materie indicate dall’art. 20, co. 4, cit., sul silenzio assenso, sono incluse “l’ambiente” e “la salute e la pubblica incolumità”);

- “ […] Qualora l’attività di costruzione e di esercizio degli impianti di cui al comma 1 sia sottoposta ad atti di assenso di competenza di amministrazioni diverse da quella comunale, e tali atti non siano allegati alla dichiarazione, l’amministrazione comunale provvede ad acquisirli d’ufficio ovvero convoca, entro venti giorni dalla presentazione della dichiarazione, una conferenza di servizi […]. Il termine di trenta giorni di cui al comma 2 è sospeso fino alla acquisizione degli atti di assenso ovvero fino all’adozione della determinazione motivata di conclusione del procedimento” ( ex art. 14- ter , co. 6- bis , l. n. 241/90) “o all’esercizio del potere sostitutivo” ( ex art. 14- quater , co. 3, l. n. 241 cit.) (co. 5, 2° e 3° per.);

- “La sussistenza del titolo è provata con la copia della dichiarazione da cui risulta la data di ricevimento della dichiarazione stessa, l’elenco di quanto presentato a corredo del progetto, l’attestazione del professionista abilitato, nonché gli atti di assenso eventualmente necessari” (co. 7).

Orbene – indipendentemente dai profili di contraddittorietà e lacunosità dedotti dal GSE (alla luce dell’assenza di riferimenti alla p.a.s. del 17.1.2012 nell’autorizzazione in sanatoria del 30.10.2013, che cita il d.d. n. 6 del 2013, e nella precedente attestazione in data 10.10.2012 di non contrasto dell’intervento con le vigenti norme del p.r.g.) – nemmeno la ricorrente dubita del fatto che la modifica da essa richiesta necessitasse degli “atti di assenso di competenza di amministrazioni diverse da quella comunale”, quali appunto l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera di cui al d.d. n. 216/2012 e il riconoscimento dell’idoneità dell’impianto ai sensi del reg. CE n. 1069/2009.

Sennonché, tali provvedimenti non sono stati allegati dall’interessata alla dichiarazione di p.a.s. presentata al Comune di Vitulazio (né avrebbero potuto esserlo, vista la successione cronologica degli atti;
è il caso di precisare che la relazione prodotta dalla ricorrente sub all. 19 non attiene alla ridetta dichiarazione di p.a.s., atteso che essa richiama, a pag. 4, il successivo d.d. n. 216 del 4.10.2012).

E il Comune non contesta di non avere attivato la conferenza di servizi.

Ne segue che la p.a.s., tenuto conto dell’art. 6, co. 7 cit. (secondo cui, come si è visto, la sussistenza del titolo è provata con “la copia della dichiarazione da cui risulta la data di ricevimento del progetto”, “l’elenco di quanto presentato a corredo del progetto”, l’attestazione del professionista abilitato nonché “ gli atti di assenso eventualmente necessari ”;
enf. agg.), non si è perfezionata nella data voluta dalla ricorrente (arg. anche ex art. 6, co. 6, cit., che consente la realizzazione dell’intervento entro un termine decorrente “dal perfezionamento della procedura abilitativa semplificata ai sensi dei commi 4 o 5”).

In questo senso, è corretto il finale rilievo esposto nel gravato provvedimento del 29.1.2015, laddove il Gestore precisa che in assenza dei necessari atti propedeutici (autorizzazione alle emissioni e riconoscimento ex reg. CE) “la PAS non è idonea a esplicare gli effetti abilitativi all’esercizio dell’impianto alla data del 16 febbraio 2012 ” (enf. agg.).

La precisazione temporale appena riportata induce a soffermarsi sulla previsione dell’art. 6, co. 5, cit., secondo cui “il termine di trenta giorni di cui al comma 2 è sospeso fino alla acquisizione degli atti di assenso ovvero fino all’adozione della determinazione motivata di conclusione” della conferenza di servizi.

La disposizione va intesa nel senso che la dichiarazione di p.a.s. sfornita degli “atti di assenso eventualmente necessari” è temporaneamente inefficace, incombendo sull’amministrazione l’obbligo di “acquisirli d’ufficio” ovvero di convocare una conferenza di servizi, e che essa riprende a esplicare i propri effetti (ai fini della formazione del silenzio) al momento di detta acquisizione ovvero della conclusione della conferenza.

Nel caso concreto risulta come il Comune di Vitulazio, pur non avendo convocato la conferenza, abbia tuttavia acquisito gli assensi nel frattempo ottenuti dalla società RDE (non rilevando se a seguito di richiesta officiosa o non).

Ciò si evince dalla nota del 26.2.2015, in cui l’ente locale ha attestato di avere acquisito in data 8.11.2012 entrambi gli atti propedeutici (d.d. n. 216/12 e d.d. 2.11.2012, n. 99, di “riconoscimento condizionato” ex reg. CE n. 1069/2009;
cfr. all. 25 ric.), affermando al riguardo che “alla ricezione di tali atti nulla ebbe ad osservare mantenendo il silenzio assenso già osservato” (cfr. punto 5 all. 4 mm.aa., depositata anche dal Gestore il 27.3.2015).

Questa circostanza rileva ai fini del riscontro del perfezionamento della fattispecie, potendosi ritenere che il termine di trenta giorni abbia ripreso a decorrere proprio dalla data indicata dal Comune (8.11.2012), con configurazione del provvedimento per silentium all’8.12.2012.

Sicché, se è corretta la riportata affermazione del Gestore circa l’inidoneità della p.a.s. a “esplicare gli effetti abilitativi all’esercizio dell’impianto alla data del 16 febbraio 2012”, non lo sono le conseguenze cui esso perviene in ordine all’inefficacia tout court del provvedimento tacito e alla valenza dirimente dell’autorizzazione unica.

Con riferimento a quest’ultimo aspetto, non è condivisibile l’obiezione del GSE concernente il preteso esercizio da parte della società RDE dell’opzione di cui al punto 11.1 delle Linee guida, dal momento che la relativa istanza è stata presentata il 20.3.2013 (cfr. all. 28 ric.), ossia successivamente alla formazione del ridetto silenzio sulla p.a.s. (dal che si desume che il relativo procedimento, non più in itinere , non è stato “abbandonato” dalla ricorrente), mentre il successivo ottenimento dell’autorizzazione unica, in assenza di manifestazioni di volontà dell’interessata nel senso della rinuncia agli effetti favorevoli del precedente atto ampliativo, non è in grado di incidere sulla preesistente situazione giuridica ( quod abundat non vitiat ).

Va infine dato conto dell’infondatezza della censura avanzata dalla società RDE sull’insindacabilità (e dunque sulla necessità di impugnazione giurisdizionale) del provvedimento comunale tacito, che si sarebbe a suo dire perfezionato (stante l’assenza di rilievi) dopo il decorso di 30 giorni dall’avvio della procedura semplificata, e cioè il 16.2.2012.

Questa Sezione ha infatti già affermato (pronunciando su una doglianza prospettante l’esclusiva spettanza all’amministrazione comunale del potere di accertare l’avvenuto completamento di un impianto ai fini dell’accesso agli incentivi del GSE;
v. sent. 12 settembre 2013, n. 8250) che “l’art. 42 d.lgs. n. 28/2011 attribuisce al Gestore la competenza generale alla verifica dei ‘dati forniti dai soggetti responsabili che presentano istanza…effettuata attraverso il controllo della documentazione trasmessa, nonché con controlli a campione sugli impianti’ (comma 1)”, avendo pertanto il Gestore “il potere e l’obbligo di controllare l’esistenza dei requisiti richiesti dalla normativa vigente ai fini dell’erogazione degli incentivi (come confermato dal comma 3° dell’art. 42 d. lgs. n. 28/2011), […], laddove il concorrente controllo esercitato dagli altri enti pubblici coinvolti nella vicenda ha funzioni meramente ausiliarie essendo principalmente strumentale all’espletamento delle proprie competenze istituzionali”.

Per quanto innanzi osservato, è fondato il profilo di doglianza prospettante la possibilità di revoca degli incentivi limitatamente al “solo periodo in cui la Rde non avesse chiesto o ottenuto i decreti dalla Regione Campania […]” (cfr. pag. 20 ric.), con la conseguenza che i provvedimenti impugnati sono illegittimi nella parte in cui escludono tout court l’efficacia della dichiarazione di p.a.s. presentata dalla società RDE e assumono che la produzione di energia sia avvenuta “in assenza di idoneo titolo autorizzatorio” per l’intero periodo 7.3.2012-9.5.2013.

4. La ricorrente si duole poi del trattamento differenziato posto in essere dal Gestore per un caso analogo (impianto sito in Paolisi), richiamando altresì la posizione espressa sul punto dalla Regione Campania e dalla Regione Veneto (nn. 3 ric. e 4 mm.aa.).

A tale proposito è sufficiente ricordare che per costante giurisprudenza “il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento (configurabile soltanto in caso di assoluta identità di situazioni di fatto e di conseguente assoluta irragionevole diversità del trattamento riservato alle stesse), non può essere dedotto quando viene rivendicata l’applicazione in proprio favore di posizioni giuridiche riconosciute ad altri soggetti in modo illegittimo, in quanto, in applicazione del principio di legalità, la legittimità dell’operato della p.a. non può comunque essere inficiata dall’eventuale illegittimità compiuta in altra situazione”, con la conseguenza che “un’eventuale disparità non può essere risolta estendendo il trattamento illegittimamente più favorevole ad altri riservato a chi, pur versando in situazione analoga, sia stato legittimamente destinatario di un trattamento meno favorevole” (v. Cons. Stato, sez. VI, 1° ottobre 2014, n. 4867, e giurispr. ivi richiamata).

Nel caso concreto non risulta dimostrata dalla ricorrente l’identità delle situazioni fattuali (quanto ai provvedimenti della Regione Campania, in relazione ai quali il GSE ha peraltro dedotto di non avere ancora svolto alcuna attività di verifica, cfr. pag. 22 mem. 7.4.15, è sufficiente osservare che nelle premesse dei provvedimenti versati in atti, sub all. 34 ric., risalenti al maggio 2012, si dà conto di un’istruttoria effettuata dall’Arpac sull’impiego di diverso combustibile “come richiesto e proposto dalla Società interessata”, mentre la deliberazione della Giunta regionale del Veneto, sub all. 35 ric., concerne l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera).

Il motivo va pertanto respinto.

5. Con l’ultimo mezzo la società RDE contesta la compensazione disposta dal Gestore ai fini del recupero degli incentivi erogati, stante la preclusione derivante dagli inerenti principi civilistici (nn. 4 ric. e 5 mm.aa.).

La critica non è condivisibile.

Premesso che l’art. 42, co. 3, d.lgs. n. 28/2011 impone al Gestore il “recupero delle somme già erogate”, può essere richiamato l’orientamento della Sezione in una fattispecie similare (compensazione tra certificati verdi e “ricavi” CIP 6;
cfr. sent. 15 aprile 2013, n. 3763): riconosciuta l’insussistenza, in quella ipotesi, di una potestà pubblicistica, è stato affermato come l’operazione divisata dal GSE fosse comunque rispondente alla disciplina dell’art. 1243 cod. civ., presentando il credito dell’amministrazione i caratteri della liquidità, dell’esigibilità e della certezza (in applicazione del principio secondo cui “l’accertamento dell’esistenza del credito opposto in compensazione può certamente essere compiuto dal giudice davanti al quale tale compensazione è fatta valere”;
cfr. Cass. civ., sez. III, 12 aprile 2011, n. 8338, che prosegue affermando che “siffatto accertamento […] non è processualmente possibile quando venga opposto in compensazione un credito la cui esistenza forma già oggetto di un separato giudizio in corso e prima che questo accertamento sia divenuto definitivo”).

La Sezione ha anche precisato che “la deduzione […] della questione dell’esistenza della pretesa creditoria del GSE, e dunque del correlativo debito della ricorrente, consente di conoscere anche della questione concernente le modalità di soddisfazione della pretesa stessa (nel che si coglie la funzione di ‘garanzia atipica del credito’ ascritta all’istituto della compensazione) attraverso l’estinzione per compensazione del (riconosciuto) debito del Gestore nei confronti della ricorrente ‘per le quantità corrispondenti’ (cfr. art. 1241 cod. civ.), sicché alla soluzione positiva del primo punto (esistenza del debito della ricorrente) segue analoga risposta al secondo (estinzione del corrispondente debito del GSE)”.

Venendo al caso di specie, chiarito che il credito vantato dal Gestore presenta analoghe caratteristiche (si tratta infatti di una pretesa restitutoria ascrivibile alla categoria della condictio indebiti ), va ulteriormente rilevato come oggi si verta in ipotesi di compensazione c.d. impropria.

Per consolidata giurisprudenza “il nostro sistema normativo consente di distinguere una compensazione cc.dd. propria ed una compensazione cc.dd. impropria (anche detta atecnica o contabile). Si ha compensazione in senso proprio quando i contrapposti crediti e debiti delle parti scaturiscono da autonomi rapporti giuridici, cioè, le reciproche obbligazioni non risultano legate da nesso di sinallagmaticità. Deve, invece, ritenersi compensazione impropria quando i rispettivi diritti scaturiscono dal medesimo rapporto contrattuale da cui è sorto il relativo debito […]. Con la specificazione che in quest’ultimo caso, la valutazione delle reciproche pretese comporta semplicemente l’accertamento del dare e avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza. Tale accertamento (cd. compensazione ‘impropria’), pur potendo dare luogo ad un risultato analogo a quello della compensazione propria, non per questo è soggetto alla relativa disciplina tipica, sia processuale (sostanziantesi nel divieto di applicazione d’ufficio da parte del giudice ex art. 1242 c.c., comma 2) che sostanziale (concernente essenzialmente l’arresto della prescrizione ex art. 1242 c.c., comma 2 e la incompensabilità del credito ex art. 1246, cod. civ.)” (così Cass. civ., sez. II, 29 agosto 2014, n. 18452).

Questa possibilità sicuramente sussiste nell’ipotesi in esame, scaturendo i rispettivi diritti dal medesimo rapporto da cui è sorto il relativo debito, con conseguente infondatezza del motivo.

6. La società RDE chiede infine l’accertamento del proprio diritto alla percezione della differenza di 60 euro/MWh a titolo di tariffa incentivante per il periodo marzo 2012-maggio2013 e la consequenziale condanna del Gestore al pagamento della somma corrispondente (quantificata in euro 360.013,50, oltre i.v.a.).

Premesso che non è stato allegato alcun elemento dal quale desumere nel dettaglio l’entità della produzione di energia elettrica per il periodo in considerazione, le domande sono in parte fondate, spettando alla ricorrente le chieste differenze in riferimento al periodo e all’importo che saranno determinati dal Gestore alla luce delle considerazioni innanzi esposte, ferma la possibilità di compensazione (secondo quanto rilevato al precedente n. 5 ).

7. In conclusione, il ricorso e i motivi aggiunti sono fondati nei sensi innanzi precisati.

La novità delle questioni affrontate consente di ravvisare i presupposti per l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi