TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-07-10, n. 202311487
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Testo completo
Pubblicato il 10/07/2023
N. 11487/2023 REG.PROV.COLL.
N. 01329/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Quinta Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1329 del 2019, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato A F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Brescia, via Pastrengo, 11;
contro
MINISTERO DELL'INTERNO, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
- del decreto Prot.n. -OMISSIS-, del 27.09.2018, notificato a mani del ricorrente in data 14.11.2018, con il quale veniva respinta la domanda del 13.12.2015 di concessione della cittadinanza italiana ex art. 9, comma 1, lett. f ), della legge n. 91 del 1992;
- di ogni altro presupposto, antecedente e conseguente al provvedimento impugnato;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 aprile 2023 il dott. Antonino Masaracchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. – Con il ricorso in esame il ricorrente, cittadino straniero extracomunitario, presente in Italia da diversi anni, ha domandato l’annullamento, previa sospensione cautelare, del decreto n. -OMISSIS-, del 27 settembre 2018, con il quale il Ministero dell’interno ha rigettato la sua richiesta di concessione della cittadinanza italiana, presentata, in data 13 dicembre 2015, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lettera f) , della legge n. 91 del 1992 (residenza decennale).
Nella motivazione del diniego l’amministrazione ha rilevato, a carico del richiedente, l’esistenza di una sentenza di condanna penale, pronunciata con il rito dell’applicazione della pena su richiesta delle parti (artt. 444 e 445 c.p.p.), emessa in data 3 giugno 2009 dal Tribunale di Crema, per il reato di cui agli artt. 624, 625, numero 4), 56 e 62- bis c.p. (furto tentato). Ha inoltre considerato che il richiedente, all’atto della presentazione della domanda di cittadinanza, aveva “ autocertificato di non aver mai riportato condanne penali ”, condotta, quest’ultima, “ che potrebbe andare a configurare una nuova ipotesi di reato ”. Secondo l’amministrazione, la condanna penale riportata, unitamente alla condotta da ultimo contestata, costituirebbero “ indici sintomatici di inaffidabilità del richiedente e di una mancata integrazione nella comunità nazionale, desumibile in primis dal rispetto delle regole di civile convivenza, che si evince anzitutto dalla rigorosa e sicura osservanza della legge penale vigente nell’ordinamento giuridico italiano ”. La motivazione dell’atto ha anche dato conto dell’invio, al richiedente, della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda, ai sensi dell’art. 10- bis della legge n. 241 del 1990, e che “ l’interessato non ha fatto pervenire osservazioni al riguardo ”.
2. – A sostegno del gravame il ricorrente fa valere un unico, complesso motivo di impugnazione, rubricato come di seguito: “Violazione di legge per carenza di motivazione. Eccesso di potere per travisamento dei fatti. Violazione di legge per carenza di istruttoria, carenza o illogicità della motivazione nonché erronea applicazione o interpretazione della Legge 91/92. Violazione di legge per carenza di istruttoria, carenza o illogicità della motivazione nonché erronea applicazione o interpretazione dell’art. 27 Cost.”.
Egli riferisce, anzitutto, di aver autocertificato in assoluta buona fede, al momento della domanda, l’assenza di condanne a proprio carico: nulla, infatti, risultava dal certificato penale e dai “ Carichi Pendenti ”, “così come dalla visura ex art. 335 c.p.p. da cui non risultano iscrizioni in procedimenti penali”.
Lamenta, inoltre, di non aver mai ricevuto il preavviso di diniego ai sensi dell’art. 10- bis della legge n. 241 del 1990.
Sotto altro profilo, egli aggiunge che le “censure” mosse dal Ministero con l’atto di diniego sarebbero “abnormi”, posto che il reato per il quale è stata pronunciata condanna sarebbe molto risalente nel tempo (“risale al 2007, ben 11 anni fa”). Il diniego di cittadinanza, pertanto, sarebbe violativo dell’art. 27 Cost. e del principio di rieducazione della pena; inoltre, pur riconoscendosi la discrezionalità dell’amministrazione nella valutazione della domanda di cittadinanza, si sostiene che sarebbe comunque da preservarsi il principio della motivazione dell’atto amministrativo, con la conseguenza che l’autorità procedente avrebbe dovuto considerare sia la risalenza nel tempo della condanna, sia la scarsa rilevanza della condotta incriminata, e non avrebbe potuto prescindere da un giudizio globale sulla personalità del richiedente. L’impugnato diniego, pertanto, sarebbe “[d]el tutto arbitrario, generico, superficiale, irrituale, intempestivo e illegittimo”, oltre che contraddittorio, in quanto al ricorrente è stato sempre rinnovato il permesso di soggiorno, “e pertanto qualsiasi verifica sulla sua ‘non pericolosità’ deve evidentemente essere già stata svolta con esito positivo dalla Questura competente”.
Da ultimo, richiamando l’art. 6, comma 3, della legge n. 91 del 1992, secondo cui “ La riabilitazione fa cessare gli effetti preclusivi della condanna ”, si sostiene che, nel caso che occupa, “essendo decorsi più di 10 anni”, il richiedente ben potrebbe beneficiare di tale “clausola di apertura”.
3. – Si è costituito in giudizio, con atto di mero stile, il Ministero dell’interno, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, provvedendo, in data 15 dicembre 2022, al deposito di documenti (tra i quali, una relazione sui fatti di causa predisposta, in pari data, dal Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero stesso).
Alla pubblica udienza del 12 aprile 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.
4. – Il ricorso non è fondato.
4.1. – La Sezione ha già più volte rilevato che il provvedimento di concessione della cittadinanza