TAR Palermo, sez. I, sentenza 2022-03-25, n. 202201051
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Testo completo
Pubblicato il 25/03/2022
N. 01051/2022 REG.PROV.COLL.
N. 01348/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1348 del 2021, proposto da-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato L T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio presso sito in Palermo, Passaggio dei Poeti n. 11;
contro
Ufficio Territoriale del Governo di Palermo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, domiciliataria ex lege in Palermo, via Valerio Villareale, 6;
per l'annullamento
del provvedimento antimafia interdittivo prot. n. 72155 del 19.5.2021, ex artt. 67 e 84 d.lgs n. 159/2011, comunicato in data 20.5.2021 dalla Prefettura di Palermo.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Ufficio Territoriale del Governo di Palermo e del Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 marzo 2022 il dott. L G e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso ritualmente proposto, il Sig.-OMISSIS-, nella qualità di titolare della omonima ditta individuale, ha impugnato il provvedimento antimafia interdittivo n. 72155 del 19 maggio 2021, emesso ex artt. 67 e 84 d.lgs n. 159/2011.
In fatto il ricorrente deduce di essere titolare dell’omonima ditta individuale con sede in Palermo, che opera nel campo della coltivazione e produzione di prodotti agricoli biologici.
Con sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, il Tribunale di Palermo, in data 21 febbraio 2007, applicava al Sig.-OMISSIS- la pena di anni due di reclusione, per fatti risalenti agli anni 2000 e 2001.
Il Giudice concedeva le circostanze attenuanti generiche e riconosceva il beneficio della sospensione condizionale della pena, essendo, in particolare, favorevole il giudizio prognostico in ordine all'astensione dello stesso dalla commissione di reati.
Con decreto del 19 giugno 2007, il Tribunale di Palermo, Sez. Misure di Prevenzione, rigettava la proposta di applicazione della misura di prevenzione personale e revocava, rigettando la proposta di confisca, il sequestro operato, ex L. 575/1965, sull’impresa individuale oggi oggetto del provvedimento impugnato e su una porzione di fondo rustico sito in C.da Susafa.
Successivamente, il Sig.-OMISSIS- proponeva istanza di riabilitazione ai sensi degli artt. 667, 676 e 178 c.p. L’istanza di riabilitazione veniva però rigettata dal Tribunale di Palermo con provvedimento del 17 marzo 2015. A questo proposito il Sig.-OMISSIS- precisa che la ragione del provvedimento di rigetto non era legata ad elementi inerenti la condotta tenuta successivamente ai fatti di cui alla sentenza suddetta, ma esclusivamente alla circostanza che egli non aveva provveduto al risarcimento del danno in favore degli enti territoriali, sebbene questi ultimi non avessero mai avanzato alcuna richiesta in tal senso, né nell’ambito del procedimento penale, né in altra sede giudiziaria, né in via extragiudiziaria, così ponendo, a suo dire, l’interessato nella materiale difficoltà di dar corso ad un risarcimento per quel “danno all’immagine” che il Tribunale di Sorveglianza riteneva quale unico ed esclusivo motivo ostativo alla riabilitazione.
Di seguito, in data 19 maggio 2021, la Prefettura ha proceduto ad adottare la comunicazione qui gravata.
Più nel dettaglio, il ricorrente precisa che siffatta misura rinviene il suo unico fondamento nel precedente penale e nella mancata riabilitazione.
A ciò si aggiunga che, alla luce del disposto normativo di cui all’art. 645, comma 2, c.p.p, il reato oggetto della più volte richiamata sentenza di applicazione della pena è da ritenersi estinto per il decorso del termine di cinque anni previsto dalla norma.
Il ricorso è assistito da unico complesso motivo di lagnanza, con il quale preliminarmente il ricorrente richiama l’art. 166, comma 2, c.p., che prevede: “La condanna a pena condizionalmente sospesa non può costituire in alcun caso, di per sé sola, motivo per l'applicazione di misure di prevenzione, né d'impedimento all'accesso a posti di lavoro pubblici o privati tranne i casi specificamente previsti dalla legge, né per il diniego di concessioni, di licenze o di autorizzazioni necessarie per svolgere attività lavorativa”.
A suo dire, la norma richiamata è espressione di un principio di carattere generale, applicabile a prescindere da ogni normativa di riferimento. Rimarca l’istante che il sistema della cd. prevenzione amministrativa antimafia trova la sua ragion d’essere sul fatto che esso intende incidere sulla pericolosità del soggetto.
Pertanto, il precedente penale richiamato nel provvedimento impugnato sarebbe inidoneo a fungere da presupposto per l’applicazione delle cause di decadenza, sospensione e divieto di cui all’art. 67 d.lgs. 159/2011, salvo a voler violare il principio di non contraddizione dell’ordinamento giuridico.
Così come, sempre a parere dell’istante, il provvedimento impugnato sarebbe stato assunto in violazione di legge perché privo di ogni valutazione dei dati favorevoli al ricorrente.
Ancora, emergerebbe anche un ulteriore profilo di contraddittorietà del provvedimento impugnato e financo della richiesta di comunicazione inviata da AGEA alla Prefettura, in quanto l’impresa individuale avrebbe regolarmente fruito, senza alcuna soluzione di continuità, delle agevolazioni di legge nel corso degli anni.
In subordine, il ricorrente chiede al Collegio di proporre questione di legittimità costituzionale dell’art. 67, comma 8, d.lgs. 159/2011 in relazione agli artt. 3 e 41 Cost., laddove fa derivare automatici effetti pregiudizievoli nell’ipotesi di condanna in sede penale per i reati ivi indicati, anche in assenza di pericolosità sociale o allorquando con la sentenza di condanna sia stato concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Resistono in giudizio il Ministero dell’Interno e la Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di Palermo, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo che ha depositato memorie a difesa chiedendo il rigetto del ricorso.
Con ordinanza n. 571 pubblicata il 20 settembre 2021, questo Tribunale ha rigettato la richiesta di sospensione del provvedimento impugnato “alla luce della mancata riabilitazione dalla condanna intervenuta per reati richiamati dall’art. 67, comma 8, del d.lgs. 159/11 ed in considerazione del fatto che, con la comunicazione di cui all’art. 84, comma 2, del codice antimafia, il Prefetto si limita a dare atto dell’esistenza di elementi ostativi che, ex lege, escludono il conseguimento di autorizzazioni, iscrizioni in albi o elargizione di contributi statali sulla scorta del solo provvedimento emesso dal Giudice Penale”.
A seguito di appello cautelare, con ordinanza n. -OMISSIS- del 20 dicembre 2021, il CGA ha riformato il provvedimento di prime cure chiarendo che: “[…] per risolvere la presente fattispecie non assume rilievo la problematica relativa alla necessità della riabilitazione anche a fronte di una sentenza di patteggiamento, tematica già affrontata da questo Consiglio (cfr. C.G.A.R.S. 129/2018). Non assume altresì rilievo la questio relativa alla differenza tra riabilitazione ed estinzione del reato dovuta al decorrere del tempo durante in cui la pena rimane sospesa. Dirimente rilievo assume, ritiene il Collegio, la disciplina che il codice penale disegna per l’istituto della sospensione della pena e dei suoi effetti. Proprio nel disciplinare gli effetti di una condanna con cui si ordina la sospensione della pena inflitta così dispone il comma 2 dell’art. 166 c. p.: […]. Il d.lgs n. 159/2011 (codice antimafia) ha optato per una tendenziale equiparazione degli effetti della sentenza di patteggiamento con quelli derivanti dalle sentenze emesse a conclusione del rito ordinario, ma nulla ha innovato in merito all’istituto della sospensione della pena. La l.n. 3 del 2019 (spazzacorrotti) ha integrato il primo comma dell’art. 166 c.p., senza apportare alcuna modifica al secondo comma dello stesso articolo che, appunto, disciplina la fattispecie oggetto del presente giudizio. Il termine “misure di prevenzione” utilizzato nel citato comma, ad avviso del Collegio deve essere inteso come comprensivo anche delle c.d. misure di prevenzione amministrative, compresa, quindi, la comunicazione antimafia (…in alcun caso..). Diversamente opinando dovrebbe registrarsi un insanabile conflitto tra la norma penale che collega alla pena condizionalmente sospesa il diritto di continuare ad ottenere concessioni, licenze, autorizzazioni necessarie per svolgere attività lavorativa e la previsione di una comunicazione interdittiva che proprio sulla valorizzazione della sola stessa pena sospesa renda impossibile ottenere concessioni, licenze, autorizzazioni necessarie per svolgere attività lavorativa. In termini restrittivi deve essere interpreta la deroga al citato principio generale prevista dallo stesso comma tra due virgole “né d'impedimento all'accesso a posti di lavoro pubblici o privati tranne i casi specificamente previsti dalla legge”. Specifiche norme possono far derivare dalla pena sospesa solo il divieto di accedere a determinati posti di lavoro pubblici o privati. Non sussistono pertanto, nella presente fattispecie, le condizioni per emettere la comunicazione interdittiva”.
In vista dell’udienza odierna le parti hanno scambiato memorie e depositato documenti.
All’udienza pubblica del 10 marzo 2022 la causa è stata posta in decisione previa discussione da parte della difesa del ricorrente.
DIRITTO
1. Brevemente occorre riepilogare i