TAR Firenze, sez. II, sentenza 2011-01-05, n. 201100022
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N. 00022/2011 REG.PROV.COLL.
N. 01021/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1021 del 2009, proposto dal sig.
G J, rappresentato e difeso dagli avv.ti V B ed E A e con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima, in Firenze, v.le Belfiore 10
contro
Comune di Firenze, rappresentato e difeso dagli avv.ti S P e M R F e con domicilio eletto presso la Direzione Avvocatura, in Firenze, p.zza della Signoria (Palazzo Vecchio)
per l’annullamento,
previa sospensione dell’efficacia,
- dell’ordinanza del Sindaco di Firenze n. 2009/00307 del 16 aprile 2009, con cui è stato ingiunto al ricorrente, a sua moglie, sig.ra Gani Gjulfidan, ed ad ogni altro occupante, il rilascio del modulo abitativo, di proprietà comunale, posto in Firenze, al n. 26/42 del villaggio Poderaccio, lo sgombero di ogni materiale, relitto, rifiuto ed oggetto mobile ivi presente e delle masserizie di loro proprietà, nonché l’allontanamento dal villaggio Poderaccio entro il 30 aprile 2009;
- di ogni atto antecedente, contemporaneo e conseguente, comunque connesso.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Vista la domanda di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dal ricorrente;
Visti l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Firenze, nonché il rapporto informativo e la restante documentazione depositati dal predetto Comune;
Vista l’ordinanza n. 540/09 del 3 luglio 2009, con cui è stata accolta l’istanza cautelare;
Vista l’ulteriore documentazione depositata dal Comune di Firenze;
Visti tutti gli atti della causa;
Nominato relatore nell’udienza pubblica del 10 dicembre 2010 il dott. Pietro De Berardinis;
Uditi i difensori presenti delle parti costituite, come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue
FATTO e DIRITTO
1. Il ricorrente, sig. Jasar Gani, espone di avere ottenuto dal Comune di Firenze l’assegnazione in concessione al suo nucleo familiare di un modulo abitativo di tipo D1 ubicato nel villaggio 1 di via del Poderaccio n. 26/42, a Firenze. Il relativo contratto prevedeva tra l’altro, all’art. 6, l’obbligo del concessionario di occupare stabilmente l’alloggio entro cinque giorni dalla consegna e di continuare ad abitarlo stabilmente per la durata della concessione, elencando tra le cause di rilascio del bene il fatto di non occupare stabilmente l’alloggio stesso.
1.1. Tuttavia, a seguito di ripetuti controlli l’Amministrazione comunale perveniva alla conclusione che il nucleo familiare dell’esponente non occupasse stabilmente il modulo abitativo assegnatogli e, perciò, non possedesse più requisiti necessari al mantenimento dell’assegnazione. Per conseguenza, con ordinanza n. 2009/00307 del 16 aprile 2009, emessa ai sensi dell’art. 54, commi 4 e 4-bis, del d.lgs. n. 267/2000 (T.U.E.L.) e dell’art. 2 del d.m. 5 agosto 2008, il Sindaco di Firenze ingiungeva al sig. G J, alla moglie e ad ogni altro occupante, il rilascio del modulo abitativo in questione e lo sgombero di ogni oggetto ivi presente.
2. Avverso l’ora vista ordinanza del Sindaco è insorto l’esponente, impugnandola con il ricorso in epigrafe e chiedendone l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione.
2.1. A supporto del gravame ha dedotto i seguenti motivi:
- eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto di istruttoria, in quanto non vi sarebbe nessun serio riscontro probatorio circa l’assenza del ricorrente e di sua moglie dal modulo abitativo de quo. Al contrario, la persistenza dei consumi relativi alle varie utenze ed il buon fine delle notifiche del provvedimento gravato e dei precedenti atti di contestazione da parte del Comune, dimostrerebbero la regolare permanenza del nucleo familiare nel modulo abitativo assegnatogli;
- violazione di legge per falsa applicazione dell’art. 54 del d.lgs. n. 267/2000, per come modificato dall’art. 6 del d.l. n. 92/2008, conv. con l. n. 125/2008, giacché, da un lato, il riferimento al comma 4-bis dell’art. 54 cit. sarebbe erroneo, dall’altro lato, la denegata violazione dell’art. 6 del contratto stipulato tra il Comune ed il ricorrente non integrerebbe una lesione dell’incolumità pubblica e della sicurezza urbana e non giustificherebbe il richiamo all’art. 54 T.U.E.L..
2.2. Si è costituito in giudizio il Comune di Firenze, depositando una relazione dell’Ufficio Aree Metropolitane e Decentramento, con allegata la pertinente documentazione.
2.3. Nella Camera di Consiglio del 2 luglio 2009 il Collegio, considerata, prima facie, fondata la censura per cui l’eventuale mancata stabile occupazione dell’alloggio non concretizzerebbe alcuna lesione dell’incolumità pubblica e della sicurezza urbana, come definite dall’art. 1 del d.m. 5 agosto 2008, cui rinvia l’art. 54, comma 4-bis, del d.lgs. n. 267/2000, ed evidenziata l’esistenza di altri, più appropriati strumenti a disposizione del Comune per sanzionare la violazione imputata al ricorrente (in specie, la decadenza dall’assegnazione), con ordinanza n. 540/09 ha accolto l’istanza incidentale di sospensione.
2.4. In vista dell’udienza di merito, il Comune di Firenze ha prodotto ulteriore documentazione tesa a dimostrare il permanere della situazione di mancata stabile occupazione dell’alloggio.
2.5. All’udienza pubblica del 10 dicembre 2010, la causa è stata trattenuta in decisione.
3. Il ricorso è fondato, nei termini che si vanno di seguito ad esporre.
3.1. L’art. 54, comma 4, T.U.E.L., nel testo dell’art. 6 del d.l. n. 92/2008 (conv. con l. n. 125/2008), stabilisce che il Sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti anche contingibili ed urgenti nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, “al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’ìncolumità pubblica e la sicurezza urbana”. Il successivo comma 4-bis demanda ad un decreto del Ministro dell’Interno la disciplina dell’ambito applicativo dei precedenti commi, “anche con riferimento alle definizioni relative all’ìncolumità pubblica e alla sicurezza urbana”. In attuazione di detta norma, il Ministro dell’Interno ha provveduto ad emanare il d.m. 5 agosto 2008, il cui art. 1 dispone che, ai fini dell’art. 54 cit., per incolumità pubblica deve intendersi l’integrità fisica della popolazione e per sicurezza urbana “un bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a difesa, nell’ambito delle comunità locali, del rispetto delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale”. Il successivo art. 2 prevede, in proposito, l’intervento del Sindaco per prevenire e contrastare, tra le altre: (lett. b)) le situazioni in cui si verificano comportamenti quali il danneggiamento al patrimonio pubblico e privato, o che ne impediscono la fruibilità e provocano lo scadimento della qualità urbana;(lett. c )) l’incuria, il degrado e l’occupazione abusiva di immobili tali da favorire, tra l’altro, la situazione indicata alla precedente lett. b).
3.2. Questo essendo il contesto normativo di riferimento, vanno anzitutto superati eventuali dubbi di ammissibilità del ricorso in quanto notificato al Sindaco di Firenze nella sede del Comune, anziché nella competente sede dell’Avvocatura dello Stato. La giurisprudenza ha infatti chiarito che, pur se il Sindaco agisca (come nella fattispecie ora in esame) quale ufficiale di Governo, la notificazione dell’impugnazione di atti adottati dall’Amministrazione comunale va comunque effettuata presso la sede del Comune, anziché presso l’Avvocatura dello Stato. Ed invero, neanche l’esercizio, da parte del Sindaco, di funzioni di ufficiale di Governo, è sufficiente affinché risultino applicabili le norme del r.d. n. 1611/1933 sull’Avvocatura dello Stato, che attribuiscono a quest’ultima la rappresentanza in giudizio (con domiciliazione ex lege) delle Amministrazioni statali e delle altre Amministrazioni indicate specificamente da disposizioni di legge, poiché tra queste non rientra la figura del Sindaco, neppure quale ufficiale di Governo (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 11 luglio 2005, n. 5607).
3.3. In secondo luogo, va evidenziato che, ad onta delle contrarie argomentazioni del ricorrente, sul piano fattuale risulta indiscutibile l’accertamento, ad opera del Comune, della situazione di mancata stabile occupazione da parte del nucleo familiare assegnatario del modulo abitativo per cui è causa. Tale situazione si ricava dal rapporto della Polizia Municipale del 28 luglio 2008 (all. 6 del Comune di Firenze), che fa riferimento a molteplici controlli eseguiti a decorrere dal mese di dicembre 2007, intensificati nel bimestre giugno-luglio 2008 (periodo nel quale le verifiche sono state frequenti ed in orari differenti della giornata): controlli e verifiche conclusisi tutti con esito negativo, giacché nel modulo abitativo in discorso non è stata riscontrata mai la presenza né dell’odierno ricorrente, né di sua moglie, componenti del nucleo assegnatario, ma di altri familiari (il figlio, i nipoti), non facenti parte del suddetto nucleo assegnatario (v., altresì, il rapporto a firma della Responsabile dell’Ufficio Immigrati del Quartiere 4 del 27 giugno 2008, all. 5 del Comune). Prive di pregio sono, dunque, le asserzioni del ricorrente circa l’invarianza dei consumi delle diverse utenze (che ben si spiegano, in quanto il modulo è comunque abitato) e circa il carattere temporaneo delle assenze degli interessati dall’abitazione, per recarsi ad assolvere i più elementari bisogni e le occorrenze personali (che non giustificano la sistematica assenza ad ogni verifica effettuata dagli organi comunali). Nemmeno può argomentarsi in contrario dalla positiva ricezione del provvedimento impugnato, poiché i ricorrenti erano stati resi edotti delle contestazioni dell’Amministrazione e dell’invito a rilasciare il modulo in questione. Donde l’infondatezza del primo motivo di gravame, finalizzato a (vanamente) contestare l’attendibilità degli accertamenti eseguiti dal Comune.
4. A conclusioni opposte deve, invece, pervenirsi con riferimento al secondo motivo di gravame. Ed invero, attesa l’infondatezza del primo motivo, la controversia si risolve interamente nella doglianza (formulata, appunto, con il secondo motivo) circa l’impossibilità di utilizzare l’ordinanza sindacale ex art. 54 T.U.E.L. per fronteggiare la situazione in esame, in cui viene contestata la mancata stabile occupazione del modulo abitativo di proprietà comunale, in violazione di apposita clausola (l’art. 6) del contratto accessivo alla concessione dello stesso. Per affrontare la doglianza in esame è, dunque, necessaria una più approfondita analisi della normativa del T.U.E.L. più sopra riportata.
4.1. La giurisprudenza più avvertita (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 6 aprile 2010, n. 981) ha chiarito come la principale innovazione apportata dal d.l. n. 92/2008, convertito con l. n. 125/2008, alla disciplina del potere del Sindaco (previsto dall’art. 54 T.U.E.L.) di adottare ordinanze, riguardi l’estensione di tale potere pure alla materia della sicurezza urbana;peraltro, si è aggiunto, la stessa natura del potere di ordinanza sembra essere stata modificata, nel senso della possibilità di emanare anche provvedimenti atipici in funzione della prevenzione e dell’eliminazione di gravi pericoli che minaccino detto bene, pur in assenza dei presupposti della contingibilità e dell’urgenza. La portata dei nuovi poteri del Sindaco è stata, poi, meglio definita dal già citato d.m. 5 agosto 2008.
4.2. Sulla questione dell’esatta portata delle innovazioni introdotte dall’art. 6 del d.l. n. 92/2008 con il dettare il nuovo testo dell’art. 54 T.U.E.L., si è pronunciata la Corte costituzionale nella sentenza 1° luglio 2009, n. 196. In particolare, ai fini che qui interessano la Consulta ha chiarito che il d.m. 5 agosto 2008 – recante la definizione dell’ambito del concetto di “sicurezza urbana” – ha ad oggetto solamente la tutela della sicurezza pubblica, da intendere come attività di prevenzione e repressione dei reati. Ciò, sia perché la titolazione del d.l. n. 92/2008 si riferisce alla “sicurezza pubblica”, sia in quanto nelle premesse del decreto ministeriale de quo si fa espresso riferimento, quale fondamento giuridico dello stesso, all’art. 117, secondo comma, lett. h), Cost., che – sottolinea la Corte, citando la propria giurisprudenza in argomento ed in particolare le sentenze nn. 222 e 237 del 2006 e n. 383 del 2005 – “attiene alla prevenzione dei reati e alla tutela dei primari interessi pubblici sui quali si regge l’ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale”. Del resto, osservano ancora i giudici costituzionali, il decreto ministeriale in questione nelle premesse esclude espressamente dal proprio ambito di riferimento la polizia amministrativa locale.
4.3. Dalle parole ora riferite della Corte costituzionale la giurisprudenza, anche di questo Tribunale (T.A.R. Toscana, Sez. II, 24 novembre 2010, n. 6600) ha tratto l’insegnamento per cui l’ampiezza e l’incisività dei nuovi poteri conferiti dall’art. 6 del d.l. n. 92/2008, convertito con la l. n. 125/2008, all’organo di vertice dell’Amministrazione comunale, esercitabili (ad una prima lettura) senza limiti di tempo ed a prescindere da situazioni di urgenza e pertanto tali da porre a rischio la gerarchia delle fonti prevista dalla Carta costituzionale (v. T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. II, ord. 1° ottobre 2010, n. 700), postulano un’interpretazione particolarmente rigorosa della disposizione in esame, al fine di renderla conforme al dettato costituzionale (nello stesso senso T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, n. 981/2010, cit.). Applicando tale insegnamento alla vicenda ora in esame, se ne deduce l’esigenza di considerare la materia della sicurezza urbana di cui all’art. 54, comma 4, T.U.E.L. – indicata dal Sindaco di Firenze nell’ordinanza gravata, a giustificazione della stessa – come coincidente con la materia della sicurezza pubblica (intesa quale prevenzione dei fenomeni criminosi che minacciano i beni fondamentali dei cittadini).
4.4. Non può, invece, accogliersi una lettura in senso lato del concetto di “sicurezza urbana”, intesa quale strumento per l’eliminazione di taluni fenomeni di degrado che affliggono i centri urbani, non necessariamente correlati con esigenze di repressione della criminalità (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, n. 981/2010, cit.). D’altro lato – aggiunge la sentenza del T.A.R. Lombardia ora citata, le cui argomentazioni sono pienamente condivise dal Collegio – se le ordinanze ex art. 54 T.U.E.L. si estendessero a materie diverse dalla sicurezza pubblica tradizionalmente intesa, sconfinando nella polizia amministrativa locale, tutta l’operazione attuata con il d.l. n. 92/2008 si presterebbe a forti sospetti di incostituzionalità per violazione delle garanzie di autonomia degli Enti locali. La materia della polizia amministrativa locale è, infatti, espressamente esclusa dalla riserva legislativa statale sulle materie dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica prevista dall’art. 117, secondo comma, lett. h), Cost.;anche a livello amministrativo, tale materia rientra attualmente nelle funzioni proprie dei Comuni previste dagli artt. 19, 20 e 21 del d.P.R. n. 616/1977 e dagli artt. 158–163 del d.lgs. n. 112/1998, e la relativa titolarità risulta rinforzata dal principio di sussidiarietà ex art. 118 Cost.. La sottoposizione dell’esercizio di poteri di polizia amministrativa locale ad un penetrante controllo del Prefetto ed alle direttive del Ministro dell’Interno, così come previsto dall’art. 54 T.U.E.L., darebbe luogo ad un’ingerenza dello Stato nelle competenze locali ben al di là del controllo sostitutivo di cui all’art. 120, secondo comma, Cost..
4.5. Per quanto concerne, poi, la possibilità di ammettere un potere atipico di ordinanza, sganciato dalla necessità di far fronte a specifiche situazioni contingibili di pericolo, la decisione in esame ha condivisibilmente rimarcato il contrasto di un simile potere con gli artt. 23, 97 e 113 Cost. e, più in generale, con tutte le disposizioni della Costituzione contenenti riserve di legge a garanzia di diritti fondamentali. Diversamente opinando – si nota – verrebbe ad attribuirsi ai Sindaci in via ordinaria il potere di incidere su diritti individuali in modo totalmente indeterminato e sulla base di presupposti molto lati, suscettibili di larghissimi margini di apprezzamento. Per evitare un simile rischio, si può così valorizzare il d.m. 5 agosto 2008, lì dove aggancia la difesa della sicurezza pubblica al rispetto di preesistenti norme regolanti la vita civile, con il corollario che il potere di ordinanza del Sindaco ex art. 54 T.U.E.L., al di là dei casi in cui assuma carattere contingibile ed urgente, deve limitarsi a prevedere misure che assicurino il rispetto di norme ordinarie volte a tutelare l’ordinata convivenza civile, quando dalla loro violazione possano derivare gravi pericoli per la sicurezza pubblica (senza alcuna valenza “creativa”). In altre parole – ed è la conclusione da tener ferma, secondo il Collegio, per valutare la legittimità o meno dell’ordinanza oggetto del ricorso in epigrafe – il potere in esame può essere esercitato qualora la violazione delle norme che tutelano i beni previsti dal d.m. 5 agosto 2008 (tra cui la tutela del patrimonio pubblico e della sua fruibilità, nonché l’incuria ed occupazione abusiva di immobili) non assuma rilevanza solo in sé considerata – perché in tale ipotesi soccorrono gli strumenti ordinari – ma costituisca la premessa per l’insorgere di fenomeni di criminalità capaci di minare la sicurezza pubblica: in questo caso, infatti, venendo in gioco interessi che vanno oltre le normali competenze di polizia amministrativa locale, il Sindaco, quale ufficiale di Governo, assume il compito di garante della sicurezza pubblica e può provvedere, sotto il controllo del Prefetto ed in conformità alle direttive ministeriali, alle misure necessarie a prevenire od eliminare i gravi pericoli che minaccino il predetto bene (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, n. 981/2010, cit.).
5. Questa essendo, secondo il Collegio, l’interpretazione da privilegiare per il contesto normativo di riferimento, non può che concludersi per l’illegittimità del provvedimento impugnato. Ed invero, ad onta delle affermazioni contenute nel medesimo, nonché nella relazione sui fatti di causa depositata dal Comune di Firenze e nella documentazione ad essa allegata, non si vede quale minaccia di gravi pericoli per la sicurezza pubblica si possa riscontrare nella mancata stabile occupazione del modulo abitativo da parte del nucleo familiare del ricorrente: si tratta, infatti, di un comportamento che, una volta accertato, costituisce – come già esposto in sede cautelare – inadempimento di una clausola (il punto 6) del contratto accessivo alla concessione del modulo de quo, da sanzionare, in base ad una esplicita previsione del contratto medesimo, con la declaratoria di decadenza dall’assegnazione del modulo e l’ordine di rilascio di esso. Vi è, cioè, uno strumento ordinario che pacificamente consente di affrontare la situazione e questa, del resto, non si può configurare quale premessa per l’insorgere di gravi fenomeni criminosi. Il diffondersi, secondo la relazione del Comune, di un convincimento negli altri occupanti del villaggio circa l’impunità del ricorrente e la nascita, che ne deriverebbe, di un clima ambientale favorevole all’illegalità e di minaccia all’incolumità ed alla sicurezza nell’area dei villaggi, oltre ad essere evocato in termini abbastanza generici, sembra francamente un pericolo ricollegabile, piuttosto, all’inspiegabile inerzia del Comune di Firenze nell’avvalersi di tutti i rimedi ordinari messigli a disposizione dall’ordinamento per quello che resta un semplice inadempimento contrattuale.
5.1. Del resto, anche ad opinare diversamente (e cioè a considerare per assurdo esistente, nel caso di specie, un pericolo per la sicurezza pubblica), la conclusione circa l’illegittimità del provvedimento impugnato resterebbe comunque ferma. Invero, l’ordinanza sindacale richiama, a proprio sostegno, l’art. 2 del citato d.m. 5 agosto 2008, nella parte in cui – alla lett. b) – elenca, tra le situazioni che si possono prevenire o contrastare con lo strumento delle ordinanze sindacali, i comportamenti che si concretizzano nel danneggiamento del patrimonio pubblico e privato, o quelli che impediscono la fruizione dello stesso e determinano lo scadimento della qualità urbana. Nessuna di dette situazioni può essere rinvenuta nella fattispecie in parola, non potendosi in alcun modo sussumere la mancata stabile occupazione dell’alloggio comunale nei comportamenti che determinano il danneggiamento del patrimonio pubblico. Con riguardo all’impedimento alla fruizione del patrimonio pubblico, pur a voler distinguere l’ipotesi dall’occupazione abusiva di immobili – citata dalla successiva lett. c) – essa potrebbe casomai ravvisarsi in un momento successivo e cioè qualora, dichiarata la decadenza dalla concessione del modulo abitativo ed ordinatone il rilascio, persistesse un comportamento dei suoi occupanti volto ad ostacolare l’effettiva esecuzione del provvedimento stesso, in grave spregio della legalità. In questo caso, infatti, potrebbe parlarsi di condotta tesa ad impedire (indirettamente) la fruizione di un bene appartenente al patrimonio comunale. Una condotta del genere non si può, al contrario, ravvisare nella fase attuale, nella quale il ricorrente è parte di un contratto tuttora valido ed efficace e, quindi, esercita i diritti nascenti da tale contratto, ancorché gli venga contestato e, per quanto sopra detto, sia stato accertato, l’inadempimento ad una clausola del contratto stesso. E ciò, tanto più che, come ricordato, è la P.A. che sembra avere rinunciato, senza apparenti giustificazioni, ad avvalersi degli strumenti ordinari che l’ordinamento giuridico le fornisce onde porre rimedio alla situazione di inadempimento contrattuale. In sostanza, anche a voler tendere al massimo la portata applicativa delle disposizioni in esame (l’art. 54, comma 4, T.U.E.L., in uno con l’art. 2, lett. b), del d.m. 5 agosto 2008), permane un contrasto di fondo tra le disposizioni stesse e l’ordinanza sindacale gravata: donde l’illegittimità di quest’ultima anche per il profilo ora analizzato.
6. In definitiva, il ricorso è fondato e deve essere accolto, attesa la fondatezza del secondo motivo, nei termini sopra rammentati. Per conseguenza, va disposto l’annullamento dell’ordinanza sindacale oggetto di impugnazione.
7. Sussistono, comunque, giusti motivi per disporre la compensazione delle spese, viste la (parziale) novità e la complessità delle questioni affrontate.