TAR Palermo, sez. I, sentenza 2012-02-10, n. 201200328

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Palermo, sez. I, sentenza 2012-02-10, n. 201200328
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Palermo
Numero : 201200328
Data del deposito : 10 febbraio 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01833/2010 REG.RIC.

N. 00328/2012 REG.PROV.COLL.

N. 01833/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1833 del 2010, proposto da Ibla S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. A B, G B, con domicilio eletto presso l’avv. Gaspare Lo Iacono in Palermo, via Mariano Stabile N. 151.

contro

Assessorato Bb.Cc. dell'Identita' Siciliana della Regione Siciliana, Soprintendenza Per i Bb.Cc.Aa. di Ragusa, in persona ei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, domiciliata per legge in Palermo, via A. De Gasperi 81;
Comune di Ragusa, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;

per l'annullamento

1) del Decreto del Dirigente Generale dell'Assessorato resistente n. 1626 del 30 luglio 2010, notificato, in uno alla nota di trasmissione del 9


settembre 2010 a mezzo posta, in data 17 settembre 2010 con il quale l'Assessorato resistente ha esercitato il diritto di prelazione sull'appezzamento di terreno sito in Ragusa, distinto al catasto terreno al fg. 153, mappale 37, 38, 400, 14,41, 44, 267, 335;

2) della nota dell'Assessorato resistente n.50130 del 28 giugno 2010, successivamente conosciuta con la quale si comunica l'intenzione di esercitare il diritto di prelazione;

3) di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale, ivi compresa la proposta di esercizio del diritto di prelazione avanzata dalla resistente Soprintendenza con nota prot. n. 509 del 16 marzo 2010, di cui si sconosce il contenuto.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Assessoratobb.Cc. e dell'Identita' Siciliana della Regione Siciliana e di Soprintendenza Bb.Cc.Aa. di Ragusa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 dicembre 2011 il dott. Giovanni Tulumello e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con ricorso notificato il 15 ottobre 2010, e depositato il successivo 26 ottobre, la società “Ibla s.r.l.” ha impugnato il Decreto del Dirigente Generale dell'Assessorato dei beni culturali e dell’identità siciliana, n. 1626 del 30 luglio 2010, con cui il quale l'Assessorato ha esercitato il diritto di prelazione sull'appezzamento di terreno sito in Ragusa, distinto al catasto terreno al fg. 153, mappale 37, 38, 400, 14,41, 44, 267, 335, nonché la nota n. 50130 del 28 giugno 2010, con la quale si comunica l'intenzione di esercitare il diritto di prelazione, la proposta di esercizio del diritto di prelazione avanzata dalla Soprintendenza per i beni culturali ed ambientali di Ragusa, con nota prot. n. 509 del 16 marzo 2010, e il telegramma della Soprintendenza datato 23 febbraio 2010, con il quale si revocava il nulla osta del 23 marzo 2009 perché era stata riscontrata una diversa intestazione della proprietà.

Nel ricorso si deduce “Violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli articoli 59, 60, 61 e 62 del D. Lgs. n. 42 del 2004. Violazione dell’art. 42 Cost. Violazione dell’articolo 1 del Protocollo 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Violazione dell’art. 3 della l.r. 30 aprile 1991 n. 10 per erroneo presupposto di fatto e sviamento di potere”.

Con ordinanza n. 986/2010 è stata accolta la domanda di sospensione cautelare degli effetti dei provvedimenti impugnati, in quanto “i motivi dedotti nel ricorso appaiono provvisti di sufficiente fumus boni iuris, alla luce della decorrenza del termine per l’esercizio della prelazione, e al carattere recettizio del provvedimento in questione, per cui va accolta la domanda di sospensione dell'esecuzione sopra descritta”.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, con ordinanza n. 37/2011, ha accolto l’appello cautelare, osservando che “in questa fase cautelare, è prevalente l’interesse pubblico a impedire ogni diverso utilizzo dell’immobile”.

Il ricorso è stato definitivamente trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 20 dicembre 2011.

Il punto centrale della questione devoluta all’esame del collegio è, in estrema sintesi, il seguente: qualora, come si ammette in ricorso, non sia mai stato ritualmente trasmesso (quanto a forme e termini) alla competente Soprintendenza il contratto nelle forme previste per l’esercizio del diritto di prelazione, la denuntiatio possa comunque considerarsi comunque come effettuata, con conseguente impossibilità per l’amministrazione di esercitare la prelazione oltre la scadenza del termine, per effetto della conoscenza ottenuta ad altri fini e in altre forme dalla stessa amministrazione titolare del diritto di prelazione.

La società ricorrente assume infatti che, nonostante il mancato inoltro del contratto nei modi e nelle forme di legge, la Soprintendenza abbia avuto conoscenza del contratto di compravendita in parola dapprima in sede di richiesta di nulla-osta, quindi per il tramite della Agenzia delle Entrate, e che avrebbe potuto (e dovuto) esercitare il diritto di prelazione nel termine decorrente da tale conoscenza.

Ritiene il collegio che la risposta al quesito sopra enunciato vada ricercata nella disciplina della fattispecie in questione: se, alla luce di tale disciplina, la denuntiatio riveste una forma vincolata, allora essa non ammette equipollenti, sicché la conoscenza ottenuta aliunde non può essere ad essa equiparata.

L’art. 59 del citato D.lgs. n. 42/2004 stabilisce che:

“1. Gli atti che trasferiscono, in tutto o in parte, a qualsiasi titolo, la proprietà o, limitatamente ai beni mobili, la detenzione di beni culturali sono denunciati al Ministero (119).

2. La denuncia è effettuata entro trenta giorni:

a) dall'alienante o dal cedente la detenzione, in caso di alienazione a titolo oneroso o gratuito o di trasferimento della detenzione;

b) dall'acquirente, in caso di trasferimento avvenuto nell'àmbito di procedure di vendita forzata o fallimentare ovvero in forza di sentenza che produca gli effetti di un contratto di alienazione non concluso;

c) dall'erede o dal legatario, in caso di successione a causa di morte. Per l'erede, il termine decorre dall'accettazione dell'eredità o dalla presentazione della dichiarazione ai competenti uffici tributari;
per il legatario, il termine decorre dalla comunicazione notarile prevista dall'articolo 623 del codice civile, salva rinuncia ai sensi delle disposizioni del codice civile (120).

3. La denuncia è presentata al competente soprintendente del luogo ove si trovano i beni.

4. La denuncia contiene:

a) i dati identificativi delle parti e la sottoscrizione delle medesime o dei loro rappresentanti legali;

b) i dati identificativi dei beni;

c) l'indicazione del luogo ove si trovano i beni;

d) l'indicazione della natura e delle condizioni dell'atto di trasferimento;

e) l'indicazione del domicilio in Italia delle parti ai fini delle eventuali comunicazioni previste dal presente Titolo.

5. Si considera non avvenuta la denuncia priva delle indicazioni previste dal comma 4 o con indicazioni incomplete o imprecise”.

In argomento il Consiglio di Stato, nella decisione n. 713 del 27 febbraio 2008, ha affermato che “Scopo della normativa in esame è infatti quello di consentire alle Autorità competenti di valutare l’opportunità di acquisire al patrimonio pubblico determinati beni, in considerazione del peculiare interesse storico o artistico dei medesimi;
i dati necessari per effettuare tale valutazione sono compiutamente indicati dal ricordato art. 59, comma 4 D.Lgs. n. 42/04, nei seguenti termini:

a) dati identificativi delle parti e sottoscrizione delle medesime o dei loro rappresentanti legali;

b) dati identificativi dei beni;

c) indicazione del luogo ove si trovano i beni;

d) indicazione della natura e delle condizioni dell’atto di trasferimento;

e) indicazione del domicilio in Italia delle parti, ai fini di eventuali comunicazioni.

(….).

In tale situazione, deve ritenersi che l’invio dell’atto in questione potesse equivalere alla trasmissione di un diverso documento, formalmente qualificato come “denuncia ai sensi dell’art. 59 del D.lgs. n. 42/04”, non risultando specificate a livello normativo primario le modalità formali, con cui la denuncia stessa avrebbe dovuto essere redatta ed essendo, in linea di principio, dette modalità libere, ove non diversamente prescritto. (…..) Sempre in rapporto alla formulazione dei più volte citati articoli 59 e 61 D.Lgs. n. 42/04, peraltro, non può non ritenersi applicabile il principio di strumentalità delle forme, secondo cui le modalità e il contenuto della denuncia di cui trattasi debbono ritenersi viziate, in modo tale da rendere la denuncia stessa “tamquam non esset”, solo quando i dati trasmessi non consentano l’apprezzamento discrezionale, cui la comunicazione è finalizzata”.

Pur nella considerazione di una possibile libertà di forme della denuntiatio, la sentenza citata si preoccupa però di sottolineare: “fermo restando che la denuncia doveva essere “effettuata” – ex art. 59, comma 2 – entro trenta giorni (….)”.

Ne consegue che se nella fattispecie in esame la denuntiatio ha tendenzialmente forma libera (quanto alle modalità di trasmissione degli elementi identificativi del regolamento negoziale), in tanto ha senso parlare di forme equipollenti in quanto venga comunque rispettato il termine di trenta giorni.

Nel caso di specie non è in discussione che tale termine – stabilito dalla legge quale elemento non surrogabile (a differenza della veste dell’atto) della denuntiatio, a tutela dell’interesse pubblico ad una tempestiva decisione sulla sorte del bene - non sia stato rispettato dalle pretese modalità alternative di denuncia, sicché il Collegio, melius re perpensa rispetto alla sommaria delibazione operata in sede di giudizio cautelare, ritiene che non possa accedersi al presupposto fattuale su cui si fondano le censure articolate nel ricorso in esame.

Ne consegue il rigetto del ricorso, con compensazione delle spese, sussistendone le condizioni di legge (avuto riguardo al difforme esito della fase cautelare).

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