TAR Roma, sez. 1B, sentenza 2016-04-05, n. 201604124

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1B, sentenza 2016-04-05, n. 201604124
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201604124
Data del deposito : 5 aprile 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 14690/2014 REG.RIC.

N. 04124/2016 REG.PROV.COLL.

N. 14690/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 14690 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
A M ed altri, come da elenco allegato, rappresentati e difesi dall'avv. F A, con domicilio eletto presso Giorgia Antonelli in Roma, Via Simone De Saint Bon,89;

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero della Difesa, Ministero della Salute, Ministero per la Semplificazione e La Pubblica Amministrazione, Ministero del Lavoro e Politiche Sociali, Ministero dell' Economia e delle Finanze, Associazione Italiana della Croce Rossa, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

e con l'intervento di

ad adiuvandum:
Maurizio Autuori ed altri, come da elenco allegato, rappresentati e difesi dall'avv. F A, con domicilio eletto presso Giorgia Antonelli in Roma, Via Simone De Saint Bon,89;

per l'annullamento

della procedura per la selezione del contingente di personale di cui all'art.5, comma 6 del Decreto Legislativo 28 settembre 2012 n. 178, pubblicata con avviso sulla G.U. (IV Serie) n. 74 del 23 settembre 2014.

- decreto 10 aprile 2013 del Ministero della difesa di concerto con i Ministri della Salute e per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione, recante definizione dei criteri e dei requisiti per la selezione del contingente di personale di cui all’articolo 5, comma 6 del decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 78;

- decreto 6 agosto 2014 del Ministero della Difesa di concerto con i Ministri della Salute e per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione, recante modifiche al predetto decreto interministeriale 10 aprile 2013;

- decreto 17 dicembre 2013 del Ministro della Difesa di concerto con i Ministri della Salute e per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione recante nomina della commissione di valutazione per la selezione del contingente di personale di cui all’articolo 5, comma 6 del decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178;

nonché di tutti gli atti normativi, provvedimenti, ordinanze presidenziali CRI, presupposti, pregressi e comunque connessi, sia espressamente richiamati nell’atto impugnato sia non richiamati in esso, in particolare per la questione di costituzionalità del Decreto Legislativo 28 settembre 2012, n. 178, nonché l’omesso coordinamento con la Legge 730/1986 e con i D.P.C.M. relativi alle immissioni in servizio continuativo nel Corpo Militare CRI”;

nonché, con motivi aggiunti:

del D.I. del 7.8.2015 (pubblicato sulla GU n. 72 del 18.9.2015) che modifica, secondo le quote previste dalle legge n. 11/2015, il DI 10.4.2013 ed avvia la procedura di selezione del contingente di personale sopraindicato.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri della Difesa, della Salute, del Lavoro e dell' Economia e dell’Associazione Italiana della Croce Rossa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 20 gennaio 2016 la dott.ssa F R e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il ricorso in esame, notificato il 17.11.2014 e depositato il 26.11.2014, i ricorrenti, inquadrati in servizio continuativo nel Corpo Militare della Croce Rossa con grado diverso (Ufficiali, Sottoufficiali e Truppa) impugnano, chiedondone l’annullamento, i DM indicati in epigrafe con cui viene avviata la “procedura per la selezione del contingente di personale di cui all’art. 5, comma 6 del decreto legislativo 28 settembre 2012 n. 178” (in G.U. n. 74 del 23 settembre 2014) in attuazione dell’art. 5 del D.Lgs. 178/2012, che viene anch’esso censurato –chiedendo di sollevare la questione di legittimità costituzionale –nella parte in cui prevede la trasformazione, a partire dalla costituzione dell’Associazione della Croce Rossa Italiana, del predetto Corpo in un Corpo militare volontario - che presta servizio a titolo gratuito - costituito esclusivamente da personale volontario in congedo e che prevede, per il personale del Corpo militare costituito dalle unità già in servizio continuativo per effetto di provvedimenti di assunzione a tempo indeterminato (categoria a cui appartengono i ricorrenti), il transito (a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui all’articolo 6, comma 1 – DPCM che fissa le modalità di equiparazione economica e funzionale tra il personale del Corpo militare e quello civile dell’Associazione e tra quest’ultimo ed il personale civile del Comparto ministeri) in un ruolo ad esaurimento nell’ambito del personale civile della CRI.

Quanto all’interesse a ricorrere i predetti – precisato che il presente gravame non deve essere interpretato come una rinuncia a partecipare alla selezione per la costituzione del contingente di personale di cui all’art. 5, comma 6 del decreto legislativo 28 settembre 2012 n. 178 di cui all’avviso oggetto di impugnativa per la quale hanno presentato la domanda di partecipazione – chiariscono che, una volta transitato nei ruoli del personale civile dell’Associazione, il personale del Corpo militare sarà soggetto a ricollocazione nell’ambito dell’Associazione e, nel caso in cui risultassero eccedenze in organico, avviato alle procedure di mobilità verso le altre Amministrazioni pubbliche ai sensi dell’art. 33 del decreto legislativo n. 165 del 2001 (con conseguente rischio di perdere il posto di lavoro e, comunque, lo status giuridico ed economico già conseguito). La creazione del contingente in contestazione, infatti, viene prevista solo “in via provvisoria” al solo fine di continuare ad assicurare la funzionalità e il pronto impiego dei servizi ausiliari alle Forze armate rese dai Corpi ausiliari e, quindi, anche dal Corpo Militare della CRI – e dal Corpo delle infermiere volontarie – “fino al completamento del processo di privatizzazione della CRI”.

Pertanto essi impugnano tutti gli atti con cui viene data attuazione a quanto previsto dall’art. 5 co. 6 del decreto legislativo n. 178/2012, in particolare:

il decreto del Ministro della Difesa, di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro della pubblica amministrazione e semplificazione “da emanarsi entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto” con cui sono determinati i criteri per la costituzione, nell’ambito del personale di cui al comma 5 del presente articolo e di cui all’articolo 6, comma 9, terzo periodo, previa selezione per titoli, di un contingente di personale del Corpo militare in servizio attivo, la cui dotazione massima e la successiva alimentazione con personale civile della CRI e quindi dell’Ente avente altresì, la qualifica di militare in congedo, è stabilita in trecento unità” (personale che transiterà nel ruolo civile della CRI e quindi dell’Ente “alla data determinata con decreto del Ministro della Difesa, di concerto con il Ministro della salute e comunque non oltre il 31 dicembre 2017” e dalla predetta data sarà soggetto alle medesime disposizioni in materia di mobilità per il personale civile dell’Associazione di cui all’articolo 6 dello stesso decreto legislativo 178/2012);

-i successivi decreti del Ministero della Difesa, di concerto con il Ministro della salute e il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, adottati in data 17 dicembre 2013 - con cui è stata nominata la commissione di valutazione per la procedura di selezione del personale sopraindicato - ed in data 6 agosto 2014 con cui sono state apportate alcune modifiche al D.M. dell’aprile 2013, nonché l’avviso pubblicato sulla G.U. n. 74 del 23 settembre 2014 con cui è stato dato concreto avvio alla procedura per la selezione del contingente in contestazione.

Con “atto di intervento volontario adesivo dipendente” del 28.1.2015 altri soggetti si sono successivamente affiancati ai ricorrenti precisando di trovarsi nelle medesime condizioni– in quanto anch’essi inquadrati in servizio continuativo nel Corpo militare della Croce Rossa Italiana (C.R.I.) – ed associandosi ai motivi di censura dedotti formulano le medesime domande, chiedendo anch’essi l’annullamento dei decreti attuativi indicati in epigrafe e la remissione della questione di legittimità costituzionale del decreto legislativo 28.9.2012 n.178 di riorganizzazione dell'Associazione Italiana della Croce Rossa (C.R.I.), adottato in attuazione dell'art. 3 della legge 4.11.2010 n. 183, nella parte in cui prevede che il Corpo Militare della C.R.I. sia costituito solo da “personale volontario in congedo” con conseguente transito dei militari in servizio attivo della Croce Rossa nel ruolo civile ad esaurimento per essere poi ricollocati, attraverso la mobilità, in altre amministrazioni pubbliche.

I ricorrenti deducono svariate censure avverso i decreti sopraindicati e prospettano numerosi profili di illegittimità costituzionale del Decreto Legislativo n. 178/2012 per contrasto con gli artt. 76 e 77 Costituzione e della legge delega L. 183/2010 e del DL 216/2011 (conv. in legge n. 14 del 24.2.2012) lamentando che il Decreto Legislativo n. 178/2012 è stato adottato fuori termine ed eccede l’ambito dei contenuti necessari per superamento dei limiti di delega imposti dall'art. 2 della L. 183/2010 (che affida al Governo solo il potere di adottare provvedimenti tesi al riordino e semplificazione dell’attività degli enti vigilati, ma non la trasformazione della natura giuridica dell’Associazione Croce Rossa Italiana da ente pubblico o comunque di rilevanza pubblica in ente privato);
nonché per contrasto con l’obiettivo di conseguire risparmi di spesa mediante in riordino della CRI;
per contrasto con la disciplina dello status del personale militare prevista dal D.Lvo n. 66/2010;
per incompatibilità della natura privatistica dell’ente con le caratteristiche e gli impieghi tipici della CRI che presuppongono il mantenimento dello status militare degli appartenenti;
per mancato rispetto della clausola di invarianza finanziaria espressamente prevista nel decreto.

Si sono costituiti in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero della Difesa, il Ministero della Salute e la Croce Rossa Italiana (C.R.I.) che depositano articolata memoria difensiva.

Con successivi motivi aggiunti del 6.5.2015 e del 17.11.2015 i ricorrenti contestano le modifiche introdotte dal D.L. 31 dicembre 2014, n. 192 (convertito in Legge 27 febbraio 2015, n. 11) all’art. 5 co. 6 del d.lvo n. 178/2012 – che ha aggiunto il comma 6 bis che riserva 150 posti del contingente in contestazione al personale del Corpo Militare di cui all’art. 6 co. 9 co. 3 in servizio al 31.12.2014 - nonché il D.I. del 7.8.2015 (pubblicato sulla GU n. 72 del 18.9.2015) – che modifica, nella parte relativa, il DI 10.4.2013 (impugnato col ricorso ricorso introduttivo) introducendo, appunto, le quote riservate previste dalla predetta legge n. 11/2015 (con conseguente riduzione delle opportunità di riassorbimento dei ricorrenti nell’ambito del contingente in parola).

All’udienza pubblica del 20.1.2016 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Si deve, in via preliminare, dichiarare inammissibile l’intervento ad adiuvandum proposto da soggetti in posizione analoga a quella dei ricorrenti originari, in quanto costituisce un’inammissibile impugnazione tardiva degli atti gravati.

Si può prescindere dall’esaminare le questioni dell’attualità e concretezza dell’interesse a ricorrere sollevata dall’Amministrazione resistente così come si può prescindere dall’esaminare la questione dell’ammissibilità del ricorso collettivo in esame (proposto da una molteplicità di ricorrenti, che non specificano la rispettiva categoria di appartenenza, e che possono eventualmente venire a trovarsi in posizioni conflittuali tra loro) in quanto il ricorso risulta comunque infondato nel merito.

Vanno esaminate con priorità le censure dedotte con il terzo motivo di ricorso – rubricato “Violazione ed eccesso di potere per violazione dei limiti temporali della procedura concorsuale come previsti dal d.lvo n. 178/2012” – con cui i ricorrenti eccepiscono la tardività del DM 10.4.2013 rispetto al termine (asseritamente) perentorio prescritto dall’art. 5 co. 6 del Decreto Legislativo n. 178/2012. Essi sostengono che i termini per costituire il contingente di n. 300 unità di personale militare della Croce Rossa Italiana in servizio attivo previsti dall’art. 5, co. 6 del d.lvo 28.9.2012, n. 176 - che stabiliva che il decreto del Ministro della Difesa, di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro per la pubblica amministrazione e semplificazione avrebbe dovuto emanarsi “entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto” – non erano stati prorogati da alcuna successiva legge sicchè il D.M. 10 aprile 2013 – così come tutti i provvedimenti successivamente adottati ed oggetto di impugnativa (D.M. 17 dicembre 2013 e D.M. 6 agosto 2014) – sarebbe nullo o perlomeno illegittimo in quanto adottato oltre il termine di 60 giorni dall’entrata in vigore di quel decreto legislativo (e cioè entro il 3.1.2013 considerato che il d.lvo 28.9.2012, pubblicato sulla GU del 19.10.2012 è entrato in vigore il 3 novembre 2012 dopo l’ordinario periodo di vacatio legis).

La censura va disattesa in quanto l’art. 5, comma 6 del predetto decreto legislativo non attribuisce al termine predetto alcun carattere perentorio - e questo non è deducibile né dalla natura, né dalla funzione dell’atto da adottare e non commina, per il caso di mancato rispetto, alcuna decadenza -sicchè deve ritenersi di carattere meramente ordinatorio.

Del pari infondato risulta il quarto motivo di ricorso – rubricato “Violazione ed eccesso di potere per violazione delle norme sulla pubblicazione dei bandi di concorso della P.A. attraverso la G.U.” – con cui i ricorrenti prospettano la nullità o perlomeno illegittimità del DM 10.4.2013 in quanto “non è mai stato pubblicato prima del 23.9.2014”. I predetti ritengono insufficiente ad assicurare il rispetto degli oneri di pubblicità incombenti sulla PA la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 74 del 23.9.2014 e sostengono di essere venuti a conoscenza del decreto 10.4.2013 solo attraverso il sito internet del Ministero della Difesa.

Il motivo di censura in esame risulta inammissibile per difetto di interesse: come precisato dai ricorrenti, essi hanno tutti presentato domanda di partecipazione alla procedura selettiva in parola e quindi non sono legittimati a dolersi dell’omessa pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del “bando di concorso” (sicchè dall’eventuale accoglimento della censura non conseguirebbero alcuna utilità in quanto verrebbero semplicemente messi nella condizione di ripresentare le domande di partecipazione).

Le doglianze risultano comunque infondate anche per quanto riguarda le modalità di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’avviso dell’avvio della procedura di selezione pubblicato sulla GU n. 72 del 18.9.2015, del decreto 17 Dicembre 2013 di nomina della commissione di valutazione (GU n. 74 del 23 settembre 2014) senza pubblicazione dei decreti ministeriali per intero. Il rilievo risulta inconducente dato che la versione integrale degli stessi, oltre al Decreto del 10.4.2013 è stata comunque messa a disposizione degli interessati, assicurandone in tal modo la conoscibilità da parte degli interessati, mediante link sul sito istituzionale del Ministero. Ciò ha consentito agli interessati di inoltrare le domande di partecipazione in via telematica, come prescritto dall’articolo 8, del DL n. 5/2012, nella piena consapevolezza dei criteri di valutazione e di tutti gli altri elementi rilevanti ai fini della selezione La modalità di pubblicazione risulta quindi adeguata alle esigenze di conoscibilità della lex specialis relative alla specifica tipologia di procedura selettiva, rivolta a personale già dipendente, e non di concorso pubblico.

Si passa pertanto ad esaminare i restanti motivi di ricorso che invece investono la legittimità sostanziale delle scelte operate con il DM oggetto di impugnativa.

Ed infatti con numerose censure dedotte con il primo mezzo di gravame - rubricato “Violazione ed eccesso di potere per discriminazione nell’accesso alla procedura concorsuale e manifesta illogicità dell’allegato D del DM 13.04.2013” - si denuncia l’illegittimità delle asseritamente discriminatorie disposizioni del decreto attuativo che prevedono: l’esclusione dalla selezione del personale che matura il diritto al collocamento in quiescenza entro il 31 dicembre 2015 (poi spostato al 2016 dal DM 6.8.2014);
la preferenza accordata, a parità di punteggio, al candidato più giovane;
il limite dei dieci anni per la valutazione del servizio prestato.

Le doglianze sono infondate: le previsioni in contestazione non costituiscono un’ingiusta discriminazione a danno del personale interessato, ma risultano “giustificate” – nell’ambito dell’ampio potere di organizzazione riconosciuto dal decreto legislativo al quale si doveva dare attuazione – dall’esigenza di tener conto delle “direttive” dell’articolo 5, comma 6 del decreto legislativo n. 178 del 2012. Quest’ultimo imponeva che, nella determinazione dei criteri e dei requisiti ai fini della procedura di selezione per la costituzione del contingente in contestazione, si dovesse di tener conto del “possesso di requisiti di competenza tecnico-logistica, di esperienza operativa e nelle emergenze”, oltre che del rendimento in servizio e dei precedenti disciplinari”. Con tale locuzione il legislatore intendeva valorizzare sia le competenze professionali acquisite (evidentemente nella prestazione dei servizi istituzionali, anche se non espressamente specificato) sia il comportamento lodevole tenuto (cioè i precedenti di servizio) all’evidente e condivisibile fine di non disperdere il patrimonio umano e professionale necessario per assicurare il funzionamento dell’Istituto nella critica fase di transizione.

Rispetto a tale obiettivo va perciò valutata la congruenza – sempre entro i limiti del giudizio di legittimità e quindi del sindacato di ragionevolezza condotto sotto il profilo della idoneità dei mezzi rispetto al fine perseguito – delle scelte operate con il DI impugnato che all’art. 5 co. 6 prevede la formazione del contingente in parola “allo scopo di assicurare la funzionalità e il pronto impiego dei servizi ausiliari alle Forze armate rese dai Corpi ausiliari”. Ed è appunto in tale ottica funzionale va valutata la legittimità delle previsioni del DI in questione.

In tale prospettiva è solo parzialmente condivisibile la tesi dell’Amministrazione ove difende le proprie scelte sostenendo che l’articolo 5, comma 6 del decreto legislativo n. 178 del 2012 fornisce la richiamata elencazione che è tassativa, ma non esaustiva, in quanto indicativa solo dei criteri minimi che devono essere adottati ai fini della selezione del personale che dovrà costituire il predetto contingente, demandando l’integrazione dei criteri stessi al decreto interministeriale, attribuendo in tale sede un ampio margine di discrezionalità. Infatti il DI era chiamato a concretizzare – e non già ad integrare - i criteri in parola e ciò doveva fare tenendo conto delle indicazioni funzionali sopra richiamate (selezionare personale professionalmente adeguato che abbia dato buona prova di sé durante il servizio prestato) e dello scopo posto (assicurare la funzionalità e il pronto impiego dei relativi servizi).

Orbene, in tale prospettiva, il Collegio ritiene che, nell’ampio ambito delle scelte legittimamente possibili, l’esclusione dalla selezione di coloro che maturano il diritto a pensione entro la data di termine del contingente, può ritenersi giustificata dall’esigenza di mantenere in servizio nella medesima posizione gli elementi che avessero maturato le esperienze di servizio nell’arco di tempo sufficientemente ampio (dieci anni) e che avessero ancora un periodo di servizio attivo sufficientemente ampio a sostenere la loro motivazione (escludendo pertanto quelli prossimi al pensionamento, categoria che proprio per il breve periodo di servizio residuo viene giustificatamente esclusa dalle fasi intermedie delle modifiche ordinamentali, trattandosi peraltro di personale la cui posizione è già salvaguardata dalla possibilità di cessare dal servizio ed essere collocato in pensione).

Così come pure risulta legittima la preferenza accordata – a parità di punteggio – al candidato più giovane trattandosi peraltro di previsione conforme alla disciplina in materia di assunzioni nel pubblico impiego introdotta dalla riforma Bassanini (art. 3, comma 7, della legge 15 maggio 1997, n. 127) e la limitazione del periodo di servizio valutabile a soli dieci anni, che risulta giustificato dalla necessità – richiamata dall’Amministrazione nella propria memoria difensiva - di “attualizzare le esperienza da valutare ai fini del servizio da garantire” in quanto non si tratta di riconoscere l’esperienza di una intera vita professionale, bensì di “valutare quali – tra le risorse umane disponibili – siano quelle più pronte a garantire la continuità di una funzione che il legislatore ritiene debba essere ancora assicurata, nonostante il processo di riorganizzazione in corso nella CRI”.

Nella richiamata ottica funzionale va scrutinata la legittimità della previsione di un maggior punteggio per i servizi svolti presso gli Ispettorati dei Corpi ausiliari piuttosto che per il servizio prestato presso i servizi d’istituto (con conseguente penalizzazione di questi ultimi). Al riguardo risulta convincente la giustificazione fornita dalla difesa dell’Amministrazione e cioè che tra i servizi ausiliari alle Forze armate rientrano tutti quelli svolti presso gli Ispettorati dei Corpi ausiliari e non, invece, le mansioni svolte presso i servizi d’istituto che attengono precipuamente alla componente civile della CRI. In tale prospettiva è condivisibile il rilievo che risulterebbe illogico, ed in contrasto con l’interesse – legislativamente protetto – alla creazione di un contingente preposto allo svolgimento di funzioni ausiliarie alle Forze armate, attribuire un punteggio maggiore a coloro che abbiano prestato servizio in ambiti diversi.

Quanto alle irregolarità “formali” denunciate con il primo motivo di ricorso – e cioè quelle concernenti “la mancata variazione del punteggio dell’allegato E, a seguito di variazione al punteggio corrispondente, contenuto nell’allegato D” è sufficiente l’osservazione dell’Amministrazione che si tratta di un refuso chiaramente individuabile e privo di conseguenze sul piano sostanziale dato che i punteggi da attribuire ai titoli erano indicati nell’allegato D (che era l’unico rilevante in quanto ad esso l’articolo 6 del DM 13.4.2013 rinviava per la determinazione dei punteggi) e che comunque sono state impartite adeguate istruzioni agli organi competenti per l’istruttoria delle domande di partecipazione per ovviare all’inconveniente. Pertanto la discrepanza della modellistica indicata dal suddetto decreto 10 aprile 2013 non ha inficiato l’operato delle Commissioni dato che con il Decreto 6 agosto 2014 sono state operate rettifiche in epoca ben antecedente all’inizio della valutazione delle schede degli interessati.

Le stesse considerazioni inducono a rigettare il settimo motivo di ricorso – rubricato “Violazione di legge ed eccesso di potere per contraddittorietà ed insufficienza negli allegati al modello di domanda di partecipazione al concorso nonché all’individuazione dei punteggi attribuiti” - con cui i ricorrenti lamentano l’incompletezza dell’allegato C al DM 10.04.2013, asseritamente privo della seconda parte – che deve riportare la firma del candidato e del Comandante del Centro di Mobilitazione – nonché l’omesso adeguamento dell’allegato E alle modifiche apportate all’allegato D dal decreto del 6 agosto 2014 che al punto 9 (servizio effettivamente prestato alle dirette dipendenze dei Corpi ausiliari) continua a riportare un punteggio diversi;
nonché l’erroneità della formula per la valutazione del punteggio complessivo.

Del pari formalistiche e comunque irrilevanti rispetto all’interesse fatto valere dai ricorrenti risultano le censure dedotte con il secondo mezzo di gravame - rubricato, “Violazione ed eccesso di potere per illogicità nei riferimenti temporali della procedura concorsuale” – con cui si eccepisce che l’art. 7, comma 3 del DM 10 aprile 2013 prevede l’invio delle graduatorie finali di merito formate dalla Commissione al Presidente o, in sua mancanza, al Commissario straordinario dell’Associazione CRI – che dovrà approvarle entro 90 gg dalla loro comunicazione – e dell’analoga designazione operata dall’art. 8 (relativamente ai posti non coperti) senza tener conto che i relativi atti saranno destinati ad essere adottati dal Presidente di un’associazione divenuta di diritto privato, dato che al momento in cui detti atti dovranno essere adottati l’Ente pubblico CRI non esisterà più.

Anche in questo caso la censura ha perso di interesse considerata la sopravvenuta adozione del Decreto 6 agosto 2014 di rettifica della tempistica (oltre che della modellistica) indicata dal suddetto decreto 10 aprile 2013 (comunque va osservato che, anche prima di tale modifica, era dubbia la configurabilità di una portata direttamente ed immediatamente lesiva per i ricorrenti delle previsioni in parola in quanto incidono solo sull’aspetto soggettivo dell’organo chiamato ad approvare gli atti in questione e non sull’aspetto sostanziale delle decisioni in esso contenute dato che le graduatorie sono compilate dalle competenti Commissioni sulla base di criteri che predeterminano in modo preciso i punteggi da attribuire). Comunque la censura risulta anche infondata alla luce dei chiarimenti dell’Amministrazione sullo stretto collegamento che lega la tempistica della vita del contingente e del mantenimento della natura pubblica di almeno parte della CRI per cui il contingente dura fino al 31.12.2017, e cioè fino al termine massimo per la liquidazione della CRI (al riguardo la PA precisando che, se pure è previsto che a partire dal 1° gennaio 2016 le funzioni esercitate dall’Associazione italiana della Croce Rossa sono trasferite alla costituenda Associazione della Croce Rossa Italiana, persona giuridica di diritto privato, ai sensi dell’art. 1, comma 1 D.Lgs. 178/2012, tuttavia il successivo art. 2 co. 1 stabilisce che a partire dal 1° gennaio 2016 e fino alla data della sua liquidazione la CRI assume la denominazione di «Ente strumentale alla Croce Rossa italiana» mantenendo la personalità di diritto pubblico come ente non economico, sia pure non associativo, con la finalità di concorrere temporaneamente allo sviluppo dell’Associazione;
collegamento che scaturisce comunque dalla lettura combinata dell’art. 2, comma 4 e dell’art. 5, comma 6, ultimo periodo del D.Lgs. 178/2012 per cui quando, a partire dal 1° gennaio 2018, la CRI diventerà interamente un soggetto di diritto privato, per espressa previsione normativa, il contingente non potrà più esistere).

Con il quinto motivo di ricorso – rubricato “Manifesta illogicità nella formazione dell’Organigramma previsto per la selezione” - i ricorrenti contestano l’articolazione delle diverse figure professionali contenuta nella Tabella “A” allegata al DM 13.04.2013” denunciando l’incongruità della distribuzione delle posizioni funzionali previste nelle tabelle organiche sotto i seguenti profili: a) per quanto riguarda il posto riservato nel grado di Ufficiali Generali (previsto n. 1 posto di Maggiore Generale) lamentano che “vi è un evidente squilibrio nella formazione delle varie posizioni funzionali (…) ciò determina con riferimento ai requisiti, titoli di studio e di servizio, di cui alle Tabelle successive, che tale posizione può essere ricoperta soltanto dall'attuale Ispettore Generale del Corpo Militare CRI già in carica;
b) per quanto riguarda i soli posti disponibili per gli Ufficiali Medici (n. 2 Tenente Colonnello e n. 3 Capitano) sostengono che la previsione in organico “appare del tutto inconferente rispetto ai compiti istituzionali che permangono in capo al Corpo Militare della CRI sia pure nella nuova previsione ridotta di organico, ma non di competenze sanitarie”;
c) per quanto riguarda i posti disponibili per gli Ufficiali Commissari (n. 3 Colonnelli, N. 11 Ten. Col. ;
n. 13 Maggiore;
n. 15 Capitano;
n. 3 tenente;
n. 1 Sottoten.) eccepiscono lo “squilibrio a favore dei gradi più alti della gerarchia, ciò in contrasto con ogni norma sulla suddivisione gerarchica dei gradi anche in relazione alle singole attribuzioni di gradi e di comando di unità e mezzi”;
d) per quanto riguarda i posti disponibili per il Personale di Assistenza (sottufficiali) contestano l'inversione dell'ordine gerarchico per cui “a fronte di zero Militi si sale in una illogica progressione sino a n. 98 Marescialli Maggiori, a danno delle professionalità minori ma maggiormente operative”;
e) per quanto riguarda la mancata previsione di posti disponibili per la figura di cappellano militare che preclude la possibilità di partecipazione alla selezione degli appartenenti a tale categoria, con ingiustificata discriminazione nonostante il R.D. n. 484/1936 ne preveda la presenza nel Corpo Militare della CRI. Più in generale i ricorrenti sostengono che “tutta la previsione di organico, sia per gli Ufficiali che per i Sottufficiali è in violazione delle equivalenze con i corrispondenti gradi della FFAA. e dei ruoli in quelle previsti” (ed. es. un Ufficiale Generale non dovrebbe avere il comando di una unità di soli 300 militari, che nelle FF.AA. equivale ad una formazione di "Compagnia" comandata da un Ufficiale con il grado di Capitano o al massimo di Maggiore) e soprattutto denunciano che “La discrasia si riflette in tutte le posizioni intermedie degli Ufficiali Superiori e degli Ufficiali Inferiori” per cui si arriva al paradosso che nel“l organico previsto per il Personale di Assistenza (Sottufficiali) …..i rapporti dimensionali tra il Ruolo dei Marescialli, il Ruolo dei Sergenti ed il Ruolo della Truppa, sono completamente rovesciati” per cui prevalgono numericamente le figure apicali rispetto a quelle di base.

I puntuali rilievi che i ricorrenti formulano in relazione alle previsioni delle tabelle organiche sopra riportate risultano difficilmente scrutinabili in questa sede di giudizio di legittimità dato che si tratta di scelte organizzative riservate all’autorità competente e queste possono essere sindacate esclusivamente sotto il profilo dell’eccesso di potere nei suoi profili tradizionali ed in quelli più evoluti del sindacato di ragionevolezza e di proporzionalità;
che nel caso dell’esercizio della “discrezionalità organizzativa” attiene alla congruità dell’allocazione delle risorse rispetto alle attività assegnate. Nel caso in esame il Collegio non è in grado di stabilire se effettivamente sussista quell’assoluta e manifesta incongruità della distribuzione delle funzioni organizzative previste nelle tabelle organiche - che sola consentirebbe di ritenere il decreto impugnato illegittimo - in quanto i ricorrenti si sono limitati a denunciare genericamente solo il primo termine di paragone (cioè a riportare il dato quantitativo del numero di posti previsti per ciascun profilo asserendone l’incongruenza) senza tuttavia precisare le attività che questi debbano espletare e quindi senza dimostrare per quali ragioni la dotazione organica in contestazione si dovrebbe ritenere non proporzionata rispetto alle funzioni da svolgere. Ne consegue che le scelte in contestazione si debbono ritenere legittimamente operate nell’ampio ambito di “libertà organizzativa” attribuita al “datore di lavoro pubblico” dall’articolo 2 del decreto legislativo n. 165 del 2001 che appunto pone la determinazioni delle dotazioni organiche complessive tra le funzioni afferenti il potere di organizzazione delle Amministrazioni pubbliche che costituiscono “frutto di autonomia organizzativa”. E ciò proprio in quanto queste comportano scelte che sono dell’autorità procedente che deve poter disporre della possibilità di stabilire l’impiego delle risorse necessarie allo svolgimento delle attività previste per il raggiungimento di determinati risultati secondo scelte, di merito, organizzative che sono ad essa riservate in quanto non solo gode – a differenza del giudice - di “legittimazione democratica” ma è anche chiamata a rispondere politicamente dei risultati della propria azione.

Con il sesto motivo di ricorso – rubricato violazione di legge ed eccesso di potere per violazione delle norme sulla trasparenza in relazione alla composizione della Commissione di concorso – i ricorrenti lamentano l’illegittimità del decreto 17 dicembre 2013 di nomina della commissione di valutazione per la presenza, tra i membri della Commissione di valutazione, di personale in posizione di incompatibilità. Al riguardo deve innanzitutto dubitarsi che la censura - genericamente denunciata in quanto non sono specificamente individuati i componenti di cui si lamenta la posizione incompatibilità – non abbia perduto di attualità a seguito della sopravvenuta adozione, nelle more della decisione del gravame, del Decreto del 26 marzo 2015 e del decreto 23 dicembre 2015 con cui sono stati sostituiti cinque membri della predetta Commissione. In ogni caso, la doglianza va disattesa in quanto l’appartenere alla stessa Amministrazione ed essere stati, in taluni casi, precedentemente sottoposti ai valutandi non rientra tra le cause di incompatibilità previste dall'art. 51 c.p.c come chiarito dall’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale. Questo, a tal fine, richiede una serie di elementi che consentano di ravvisare un interesse diretto nella procedura concorsuale del commissario (es. causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con uno dei concorrenti;
se è tutore, curatore, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti etc.) per cui in assenza dei predetti “indici sintomatici di incompatibilità” la mera conoscenza tra un candidato e un componente della Commissione giudicatrice non è di per sé motivo di astensione di quest’ultimo dalle valutazioni. Ciò vale a maggior ragione nel caso in cui, come nella procedura in esame, in capo ai commissari non residua pressocché alcuna valutazione discrezionale in merito al possesso dei titoli da valutare, dato il carattere squisitamente vincolato delle operazioni di attribuzione dei punteggi predeterminati per ciascuna classe di titoli (come ricordato dalla PA la procedura di selezione è strutturata in maniera tale che il Comandante di ciascuno dei candidati inserisce i titoli posseduti dal concorrente nell’allegato E al DM 13.04.2013 e che, sulla base dei punteggi indicati nell’articolo 6 e nell’allegato D del citato DM provvede al calcolo del relativo punteggio;
punteggio che deve essere “validato” dal candidato medesimo che, sottoscrivendolo prima dell’inoltro alla Commissione, ne attesterà la completezza e la veridicità). Come ricordato dalla PA in tale procedura “la Commissione non è chiamata a svolgere un ruolo di “valutazione discrezionale” dei titoli, ma semplicemente a verificare la loro completezza formale” (e cioè a controllare che tutti i dati sono stati compilati e coincidono con quelli risultati dalla documentazione di servizio, supervisionando quanto già verificato dall’interessato) e stilare, con criteri meramente aritmetici la graduatoria per ciascuna delle categorie in cui il personale è suddiviso (per cui non è configurabile, aprioristicamente, una incompatibilità nei componenti della Commissione, posto che solamente uno dei commissari appartiene al Corpo militare in servizio attivo e che, proprio per evitare la sussistenza di cause di incompatibilità, è stato scelto tra il personale che non è stato ammesso alla selezione).

Con l’ottavo motivo di censura – rubricato “Violazione di legge ed eccesso di potere in relazione alla legge 730/1986 per illegittima disapplicazione” – inizia la seconda parte del ricorso intesa a contestare, alla radice, la possibilità di essere inclusi nell’operazione di riforma della CRI operata dal decreto legislativo n. 178 del 2012. I ricorrenti premettono che il Corpo Militare CRI è costituito da un contingente di 838 militari in servizio attivo assunto negli anni tra 1986 e 1988 a tempo indeterminato (di cui: n. 133 assunti ai sensi dell'articolo 12 della Legge 730/1986;
n. 120 assunti sulla base del D.P.C.M. 19 Settembre 1986, adottato ai sensi dell'art. 6, comma 17 della legge 28 Febbraio 1986, n.41;
n. 237 unità assunte sulla base del D.P.C.M. 9 novembre 1988, adottato ai sensi dell'articolo 24, comma 8, della Legge 11 Marzo 1988, n. 67;
n. 358 con decreto del Ministro della Sanità 12 Febbraio 1988 e altri provvedimenti amministrativi risalenti alla stessa epoca;
n. 350 militari con richiamo in servizio con contratti a tempo determinato rinnovati nel tempo).

Essi lamentano la mancata indicazione di tali riferimenti nelle premesse degli atti impugnati che, a loro avviso, non terrebbero adeguatamente conto che è proprio in virtù dei predetti provvedimenti (anche di natura legislativa) che essi sono stati assunti nel Corpo militare della CRI – in un ruolo “ad esaurimento” che è stato considerato come “servizio continuativo” e qualificato come “rapporto di pubblico impiego consolidato ed a tempo determinato” – per cui essi dovrebbero essere considerati come già presenti nell’organigramma del Corpo militare della CRI (nei gradi e nelle funzioni già acquisite) e mantenuti in servizio “oltre la previsione di selezione per 300 posti” (con conseguente impossibilità di sottoporre i ricorrenti a selezione per accedere ad un ruolo che già esiste e del quale già fanno parte appunto perché già assunti in servizio in un ruolo “ad esaurimento” ai sensi della legge n. 730/86 e dei provvedimenti soprarichiamati). In sostanza, secondo la loro prospettazione, né il decreto legislativo n. 178/2012 né il DM impugnato potevano modificare “una legge formale dello Stato” - in quanto “di rango inferiore” alla citata legge (appunto la legge n. 730 del 1986) - che aveva autorizzato, a suo tempo, l’assunzione in servizio dei ricorrenti e l’immissione nel ruolo speciale “ad esaurimento”.

L’articolata e complessa prospettazione dei ricorrenti, faticosamente sintetizzata nei termini sopraesposti, non è condivisibile. Va innanzitutto osservato che non sono stati né il decreto legislativo n. 178/2012 né il DM a modificare “una legge formale dello Stato” (quale la legge n. 730 del 1986) bensì, semmai, la legge delega del 4 novembre 2010 (legge n. 183/2010). Comunque l’impostazione difensiva non è condivisibile alla radice in quanto pretende di attribuire alla legge che ha autorizzato l’immissione in servizio dei ricorrenti “effetti ultrattivi” volti a sancire l’immodificabilità dello stato giuridico del personale del ruolo dalla stessa creato ipotizzando addirittura la sua resistenza alle future eventuali modificazioni dell’ente di appartenenza (finendo con il pretendere di precludere al legislatore la riorganizzazione del settore secondo una logica per cui è la struttura organizzativa che si deve adeguare al personale e non viceversa).

Si tratta di perciò di una linea difensiva che non può essere condivisa: la legge in parola, che ha “compensato” i ricorrenti per aver prestato servizio in attività di soccorso in determinate emergenze, non ha attribuito al ruolo speciale “ad esaurimento” in questione quella particolare forza di resistenza ipotizzata dagli interessati e non pregiudica al legislatore alcuna forma di intervento successivo;
sicchè questi, una volta inseriti nella struttura, sono soggetti alla stessa disciplina del restante personale, tra cui, appunto, quella concernente il riordino della CRI dettata dal decreto legislativo 178 del 2012 che coinvolge tutte le diverse categorie di personale che nel tempo sono confluite a vario titolo all’interno dell’Associazione.

Con il nono motivo di ricorso – rubricato “Questione inserimenti del personale in servizio continuativo ai sensi del D.P.C.M. 19 settembre 1986, adottato ai sensi dell'art. 6, comma 17 della legge 28 febbraio 1986, n_41;
del D.P.C.M. 9 novembre 1988, adottato ai sensi dell'articolo 24, comma 8, della legge 11 marzo 1988, n. 67;
del decreto del Ministro della sanità 12 febbraio 1988 nonché di altri provvedimenti amministrativi, e con richiami in servizio con contratto a tempo determinato rinnovati nel tempo” – i ricorrenti prospettano le medesime difese con riferimento anche agli appartenenti al Corpo militare CRI immessi in servizio continuativo attraverso i predetti DPCM o DM, ribadendo, anche a favore di questi, la tesi che il personale immesso in servizio secondo la previsione dei predetti provvedimenti normativi “non può essere interessato al riordino di cui al d.vo n. 178/2012, non può essere licenziato o posto in mobilità”. Ne consegue che anche questo motivo di ricorso va respinto in quanto risulta infondato per le stesse ragioni esposte in sede di esame del precedente mezzo di gravame.

Per gli stessi motivi va rigettato altresì l’undicesimo motivo di ricorso – rubricato “Eccesso di potere e violazione dei principi di buona amministrativa e legittimo affidamento” – con cui le medesime argomentazioni apportate a sostegno delle censure dedotte con l’ottavo e nono motivo di ricorso sono riproposte per sostenere che i provvedimenti in contestazione finirebbero con il violare il principio del legittimo affidamento “nella certezza dell’impiego quale militare della CRI” che gli appartenenti al Corpo militare che hanno beneficiato dell’immissione in servizio continuativo ai sensi della legge 730/1976 o richiamati ai sensi dei provvedimenti sopracitati avrebbero maturato sin dall’atto dell’immissione in ruolo.

Inoltre e conclusivamente si può osservare, per quanto riguarda la lamentata lesione dell’aspettativa della predetta categoria di mantenere immutato nel tempo il rapporto di lavoro – a prescindere dalle modificazioni della struttura organizzativa e della natura giuridica dell’ente di appartenenza – come chiarito dall’Amministrazione resistente il contingente in contestazione “non attribuisce al personale che vi dovesse essere immesso un quid pluris rispetto al personale che ne dovesse risultare escluso. Il contingente, piuttosto, replica – a ranghi ridotti: 300 anziché circa 1000 unità – l’attuale composizione del Corpo militare volontario, articolato, da sempre, sia su personale in servizio continuativo che su personale c.d. precario, ovvero richiamato di anno in anno. Con riferimento a quest’ultimo, in particolare, si evidenzia che la sua consistenza varia a seconda sia delle esigenze d’impiego che delle contingenti disponibilità finanziarie”. E per fugare le preoccupazioni del ricorrenti precisa che “il contingente non è finalizzato ad una forma di ’reclutamento occulto’, ma solo ed esclusivamente a garantire – nel periodo di riordino dell’Associazione cioè fino al 31 dicembre 2017 – l’indispensabile continuità nell’assolvimento delle funzioni ausiliarie alle Forze armate da parte di CRI”.

Con il decimo motivo di ricorso – rubricato “Violazione delle clausole di invarianza finanziaria” - invece, i ricorrenti introducono un gruppo affatto diverso di censure, lamentando alcune criticità che, a loro avviso, il d.lvo 178/2012 presentava già dalla prima stesura. Infatti il ricorso, oltre ad avversare i provvedimenti attuativi impugnati, è inteso ad avversare, a monte, la complessiva operazione di “smantellamento” del Corpo militare della Croce Rossa e la conseguente perdita dello status giuridico ed economico del personale militare in servizio continuativo che è prevista dal d.lvo n. 178. Di conseguenza le censure dedotte con il decimo mezzo di gravame vanno esaminate assieme ai diversi profili di illegittimità costituzionale “sostanziale” del d.lvo n. 178/2012 evidenziati nella seconda parte del gravame con cui i ricorrenti chiedono di sollevare la questione di legittimità costituzionale del Decreto Legislativo n. 178/2012 anche per violazione dell’art. 76 della Costituzione per invalidità sostanziale per contrasto con i contenuti della legge delega, per mancato rispetto della clausola di invarianza finanziaria espressamente prevista nel decreto;
per erroneità delle valutazioni finanziarie presupposte, per contrasto con l’obiettivo di conseguire risparmi di spesa mediante in riordino della CRI.

Va innanzitutto esaminata la questione della pretesa illegittimità costituzionale del D. Lgs. 28 settembre 2012, n. 178 per eccesso di delega in quanto questa sarebbe stata esercitata oltre i termini previsti dalla legge delega.

Per quanto attiene alla questione della violazione dei termini, il Collegio osserva che il termine per l’esercizio della delega conferita della legge 4 novembre 2010, n. 183 (recante varie Deleghe al Governo, tra cui, all’art. 2 la delega per la riorganizzazione degli enti vigilati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero della salute, tra cui, appunto, la Croce Rossa) – che autorizzava il Governo ad adottare i necessari decreti legislativi entro dodici mesi dalla data della entrata in vigore della legge delega (e cioè entro il 24.11.2011 visto che la legge è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 9.11.2010) - era suscettibiledi automatica proroga di ulteriori due mesi (e quindi fino al 21.1.2012) per acquisire i pareri delle Commissioni parlamentari di merito (che dovevano essere espressi entro quaranta giorni dall’assegnazione del provvedimento: nel caso in esame avvenuto, come ricordato dagli stessi ricorrenti, il 21.11.2011) nel caso in cui il termine per l’espressione del predetto parere delle Commissioni dovesse scadere nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine di delega (cioè al fine, ricordato dall’Amministrazione, di consentire al Governo di tener conto delle eventuali osservazioni delle Commissioni parlamentari).

Il predetto termine peraltro è stato differito, prima della scadenza, dal decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216 (convertito in legge 24 febbraio 2012, n. 14 recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e ifferimento di termini relativi all'esercizio di deleghe legislative) al 30 giugno 2012 e, quest’ultimo, successivamente è stato ulteriormente prorogato, sempre prima della sua scadenza, dal decreto-legge 20 giugno 2012, n. 79 (convertito in L. 07/08/2012, n. 131 recante misure urgenti varie e differimento di termine per l'esercizio di delega legislativa) al 30 settembre 2012 al dichiarato fine “di coordinare la riforma dell'associazione della Croce Rossa Italiana (CRI) con gli interventi per la funzionalità del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e con il riordino del Servizio nazionale della protezione civile, nell'intento di realizzare un compiuto sistema nazionale di gestione delle emergenze”

Ne consegue che il decreto legislativo n. 178 del 28.9.2012 risulta essere stato adottato entro il previsto termine di scadenza secondo quanto previsto dai richiamati, ripetuti, interventi normativi.

Quanto poi all’ulteriore profilo di illegittimità per violazione dell’art. 77 della Cost., dedotto dai ricorrenti - che denunciano che i predetti interventi normativi di proroga dei termini soprarichiamati (decreto-legge 29.12. 2011, n. 216 e decreto-legge 20 giugno 2012, n. 79) sono stati adottati in via d’urgenza dal Governo in assenza dei presupposti legittimanti di necessità ed urgenza prescritti dall’art. 77 - va osservato che la legittimità degli stessi non può essere messa in discussione semplicemente lamentando (come fanno i ricorrenti) che tale pratica consente di “riesumare un potere non resuscitabile”. Si tratta infatti di un potere “legittimato” dallo stesso ripetersi della “prassi costituzionale” censurata dai ricorrenti che vede il Parlamento fornire le direttive politiche ed indicare le principali linee delle riforme per principi ed indirizzi che vengono poi articolatamente sviluppate dal Governo in vere e proprie forme (cd. fenomeno della soft law). Ciò provoca un conseguente “ingolfamento” del livello (più basso) di formazione delle norme sul quale vengono scaricate le scelte politiche di questioni che non hanno trovato soluzione al livello più alto, con conseguente necessità di riavviare il processo normativo bloccato con ulteriori atti di impulso ad iniziativa dello stesso legislatore delegato (appunto a forza di decreti legge adottati dallo stesso Governo).

Più complesso risulta invece l’esame del gruppo di censure “contenutistiche” – articolatamente sviluppate nel secondo, terzo e quarto motivo di incostituzionalità - con cui si prospetta la questione sostanziale dell’illegittimità per violazione del principio di omogeneità e per eccesso di delega rispetto ai criteri, principi, finalità e contenuti della delega di cui alla legge n. 183 del 2010 da parte del decreto legislativo n. 178 del 2012.

Secondo i ricorrenti il decreto legislativo n. 178/2012 eccede l’ambito dei contenuti necessari per superamento dei limiti di delega imposti dall'art. 2 della L. 183/2010 che delegava il Governo ad adottare provvedimenti di “riordino e semplificazione dell’attività” degli enti vigilati dal Ministero della Salute, ma non la trasformazione della natura della personalità giuridica della CRI (con trasformazione dell’Associazione Croce Rossa Italiana da ente pubblico o comunque di rilevanza pubblica a soggetto di diritto privato) e la “smilitarizzazione” del Corpo con transito dei militari in servizio permanente in un ruolo civile ad esaurimento da ricollocare, attraverso la mobilità, in altre Amministrazioni pubbliche. Trasformazione che, secondo gli interessati, impedirebbe alla CRI l’effettivo ed efficace perseguimento dei fini istituzionali.

La prospettazione dei ricorrenti non è condivisibile né con riguardo all’interpretazione letterale né all’interpretazione logico- sistematica delle relative previsioni della legge delega.

L’articolo 2, comma 1 della legge delega n. 183 del 2010, reca, tra i criteri e principi direttivi anche quello, indicato alla lett. a) della “semplificazione e snellimento dell’organizzazione e della struttura amministrativa degli enti…adeguando le stesse ai principi di efficacia, efficienza ed economicità dell’attività amministrativa e all’organizzazione.”.

Secondo la difesa dell’Amministrazione, la previsione in contestazione non si può ritenere esorbitante dall’ambito della delega in quanto il contingente previsto dall’articolo 5, comma 6 è uno degli strumenti predisposti ai fini del raggiungimento dell’obiettivo di semplificazione e snellimento dell’organizzazione e della struttura amministrativa “con la gradualità necessaria” al fine di non compromettere l’assolvimento dei compiti istituzionali al perseguimento dei quali la Croce Rossa è preposta. E proprio a quest’ultimo riguardo l’Amministrazione precisa che la delega, infatti, non cambia la natura dei compiti perseguiti dagli enti vigilati interessati dalla delega stessa, ma ne prevede un riassetto aderente ai principi di semplificazione dell’attività amministrativa e ordinamentale che, nel caso di specie, a percorso riorganizzativo completato, saranno pienamente raggiunti.

L’Amministrazione, nel giustificare l’istituzione del contingente come misura di assetto transitorio per agevolare il passaggio al riordino della CRI in senso privatistico, fornisce pertanto adeguata giustificazione della strumentalità di tale misura, senza tuttavia replicare all’argomento di fondo dei ricorrenti, che contestano, in radice, la finalità, di privatizzazione, perseguita dal decreto delegato che, proprio sotto tale profilo, viene considerato esorbitante l’ambito di delega che, evidentemente, secondo i ricorrenti, non implicherebbe solo il mantenimento del rilievo pubblicistico dei compiti attribuiti alla CRI, ma anche il mantenimento della natura e carattere militare degli appartenenti al relativo Corpo.

Si tratta pertanto di una questione complessa che è resa ancor più complicata, dall’inciso, contenuto nella legge delega, così enigmaticamente formulato: “ferme restando le disposizioni vigenti per il relativo personale in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge”(art. 2 co. 1 lett. a -penultimo periodo). Orbene i dubbi prospettabili sulla base della lettura del disposto dell’unica lett. a) possono essere risolti dall’esame del complessivo tenore dell’intera disposizione, dato che, se si risale dall’elenco dei criteri e principi declinati dalle lett- a-e alla precedente proposizione introduttiva che indica le finalità perseguite, si deve riconoscere che la delega attribuita al Governo ha un ambito materiale estremamente ampio investendo la riorganizzazione degli enti vigilati (nonché il rapporto di vigilanza ministeriale) rendendo quindi possibile – fermo restando il limite della natura e della finalità dei compiti – la scelta del modello organizzativo ritenuto più adatto nel rispetto dei criteri successivamente enunciati (appunto quelli indicati nelle lettere a- e). Si tratta pertanto della nota questione dell’alternativa tra moduli privatistici e pubblicistici e della relativa migliore idoneità, in determinate circostanze di specifici e contingenti momenti storici, dell’uno e dell’altro modulo per svolgere determinati compiti ed attività che sono ritenute di interesse pubblico. Pertanto la legge delega limitava il legislatore delegato quanto al “fine” da perseguire, precludendogli di modificare compiti e funzioni della CRI, attribuendogli potere di disciplinare esclusivamente “le modalità organizzative dell’azione”, tra cui rientra, appunto, la scelta tra il modulo pubblicistico e quello privatistico, che è stata legittimamente operata dal Governo nell’ambito delle decisioni ad esso attribuite. Altra e diversa questione è invece quella dell’opportunità della scelta e dei risultati conseguiti sul piano pratico, che esula tuttavia dall’ambito delle questioni di (mera) legittimità da delibare in questa sede ed esaminabili dalla Corte costituzionale, trattandosi di questioni politiche da affrontare nelle competenti sedi parlamentari (tant’è che le Camere sono state già investite dalla questione, da ultimo anche dal recente disegno di legge presentato al Senato, proprio sulla base delle problematiche applicative del decreto legislativo 178 del 2012 che ha profondamente inciso le modalità operative dell’Ente, che anche a causa dei drastici tagli di risorse, affronta notevoli difficoltà di funzionamento, di addestramento del personale, di manutenzione e gestione dei beni, etc.) e soprattutto dei dubbi sul mantenimento degli stessi livelli qualitativi e quantitativi dei servizi mediante il ricorso a solo personale volontario a titolo gratuito una volta completata la fase transitoria di “smobilitazione” del Corpo militare.

Per gli stessi motivi va disattesa la prospettazione dei ricorrenti relativamente all’impatto economico della riforma alla quale afferiscono il gruppo di censure dedotte con il decimo motivo di ricorso – con cui si denuncia la violazione della clausola di invarianza finanziaria espressamente prevista dall’art. 9 del decreto legislativo n. 128/2012 e dall’AIR e ATR che ne accompagnavano il testo, nonché l’erroneità delle valutazioni finanziarie, in particolare relative alle dismissioni del patrimonio immobiliare, evidenziato anche dalla Corte dei Conti – Sez. Controllo nella relazione sulla gestione finanziaria della CRI per il 2013 con conseguente aumento degli oneri di bilancio e con fallimento dell’intento di riduzione dei costi perseguito dalla riforma della CRI – e con il pluriarticolato attacco alla costituzionalità del decreto legislativo n. 178/2012 e degli atti normativi connessi sia nell’ottavo ed ultimo profilo di incostituzionalità denunciato, in cui è conclusivamente ripreso il motivo del mancato rispetto della clausola di invarianza finanziaria per l’erogazione, tra l’altro, del trattamento di fine servizio alle unità in servizio continuativo.

Quanto ai primi rilievi, formulati con il decimo motivo di ricorso, il Collegio ritiene sufficiente osservare che i deludenti risultati di gestione lamentati dai ricorrenti, ove effettivamente riscontrati, dipendono esclusivamente dalla fase applicativa del decreto legislativo di riforma – che costituisce oggetto dei controlli di gestione della Corte dei Conti, che è l’organo esclusivamente competente a stabilire eventuali responsabilità– e quindi non attengono all’illegittimità in sé delle norme che dovevano essere applicate.

Anche a prescindere da tali rilievi sull’erroneità delle previsioni, la censura risulta invece generica e labilmente dedotta in quanto si limita all’astratta menzione dell’AIR e AIE senza sviluppare articolati e specifici rilievi di difformità rispetto alle relative prospettazioni.

Ugualmente non condivisibili risultano i dubbi di incostituzionalità dedotti al quinto punto,

con cui si lamenta il superamento dell’ambito di normazione delegato al Governo anche in relazione all’art. 3 co. 1 lett. a) del d.lvo n. 178/2012 che – secondo i ricorrenti - illegittimamente ed al di fuori della necessaria autorizzazione da parte della legge delega - attribuisce al Commissario della CRI il potere di modificare con propria ordinanza – e quindi mediante un atto di amministrazione – lo Statuto della CRI – quindi di un atto emesso con

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