TAR Firenze, sez. III, sentenza 2018-05-14, n. 201800655

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Firenze, sez. III, sentenza 2018-05-14, n. 201800655
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Firenze
Numero : 201800655
Data del deposito : 14 maggio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 14/05/2018

N. 00655/2018 REG.PROV.COLL.

N. 01667/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1667 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
C P e L'Oasi di P Cristiano &
C. S.a.s., rappresentati e difesi dall'avvocato E N, con domicilio eletto presso il suo studio in Firenze, via Puccinotti, 30;

contro

Comune di Monsummano Terme, rappresentato e difeso dall'avvocato A G, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. R S in Firenze, via XX Settembre n. 60;
Ministero per i Beni e Le Attività Culturali con l'Avvocatura Distrettuale di Firenze nel cui Ufficio in via degli Arazzieri n. 4 è ex lege domiciliato

nei confronti

Comando Provinciale Vigile del Fuoco di Pistoia, Dipartimento dei Vigili del Fuoco del Soccorso Pubblico e della Difesa con l'Avvocatura Distrettuale di Firenze nel cui Ufficio in via degli Arazzieri, 4 è ex lege domiciliato;

per l'annullamento:

del provvedimento di diniego parziale della istanza di accesso presentata dai ricorrenti il 15 aprile 2016

- dell'ordinanza n. 192 del 26 giugno 2014 con cui il comune di Monsummano Terme ha ordinato la demolizione di opere eseguite in assenza di titolo edilizio ed il ripristino dello stato dei luoghi;

- della nota del SUAP del Comune di Monsummano Terme datata 30 luglio2014, prot. n. 11176 del 23 luglio 2014, recante ad oggetto "domanda di valutazione progetto VVFF locali Posta Club - Piazza IV Novembre Monsummano Terme - Comunicazione di improcedibilità;

- della nota del SUAP del Comune di Monsummano Terme datata 5 agosto 2014 prot. n. 11844 nella parte in cui viene affermato che la Soc. l'Oasi di P Cristiano avrebbe "originariamente realizzato i lavori oggetto di concessione in difformità dai titoli edilizi";

nonché con i primi moti aggiunti:

-della nota del Comando dei VVFF di Pistoia n. 1889 del 27/10/2014;

- della nota SUAP del comune di M. Terme in data 30/10/2014;

- della ingiunzione di comune di M. Terme in data 7/11/2014;

nonché con secondi motivi aggiunti:

dell’ordinanza ingiunzione del comune di M. Terme in data26/06/2014;

della nota SUAP del comune di M. Terme in data 30/7/2014;

della nota SUAP del comune di M. Terme in data 5/8/2014;

della nota del Comando provincia dei VVFF di Pistoia in data 27/10/2014;

della nota del SUAP del comune di M. Terme in data 30/10/2014;

nonché con terzi motivi aggiunti:

della nota della OUC Sviluppo del territorio del comune di M. Terme in data 2/11/2015;

della nota del MBAC del 8/10/2015;

nonché, con quarti motivi aggiunti:

delle note della OUC Sviluppo del Territorio del comune di M. Terme in data 13/1/2016 e 17/2/2016;

della nota del MBAC in data 25/11/2015.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Monsummano Terme in persona del Sindaco pro tempore e di Soprintendenza per Beni Architettonici per le Provincie di Firenze, Prato e Pistoia, del Ministero per i Beni e Le Attività Culturali e del Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 aprile 2018 il dott. R G e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Viene in decisione la complessa vicenda che vede coinvolta la S.a.S. Oasi di P Cristiano in qualità di concessionaria dell’area pubblica denominata Chalet di proprietà del comune di Monsummano terme in quanto ritenuta responsabile della esecuzione nell’ambito della stessa di un insieme di opere edilizie in assenza di idoneo titolo.

In tale contesto l’Oasi ha impugnato con il ricorso principale seguito da quattro motivi aggiunti le ordinanze con cui il comune di Monsummano terme ha ingiunto la demolizione delle opere abusive, il diniego di condono opposto dal predetto comune al tentativi di regolarizzare la situazione dell’area, le note con cui la Soprintendenza ha espresso parere negativo rispetto alla compatibilità paesaggistica dei manufatti abusivi, il diniego di rilascio del certificato di prevenzione incendi da parte dei VVFF, nonché il provvedimento di risoluzione del contratto di concessione.

Si può prescindere dall’esame delle eccezioni di inammissibilità formulate dal Comune resistente stante l’improcedibilità di parte dei mezzi di impugnazione e la infondatezza dei restanti.

Il Collegio ritiene, infatti, che (fatta eccezione per la diffida ex art. 35 del D.P.R. 380/2001 impugnata con i quarti motivi aggiunti) le impugnative riferite alle ordinanze di demolizione, per la parte in cui si riferiscono alle opere di cui è stata richiesta la sanatoria, siano divenute improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse, essendo le stesse divenute inefficaci a seguito della conclusione del procedimento di condono.

Ciò premesso l’impugnativa della ordinanza n. 192 del 26 giugno 2014, contenuta nel ricorso principale, deve essere esaminata solo per la parte avente ad oggetto le opere abusive non comprese nelle istanze di regolarizzazione edilizia.

La domanda è infondata.

La ricorrente sostiene che, non essendo proprietaria dell’area pubblica, il provvedimento sanzionatorio avrebbe potuto esserle comminato solo previo accertamento della sua responsabilità nella commissione dell’abuso;
cosa che andrebbe esclusa, in quanto essa sarebbe subentrata ad un precedente concessionario che sarebbe stato anche autore delle opere.

Tale assunto è stato, tuttavia, smentito dal comune di Monsummano che con allegazione documentata, e comunque non contestata, ha rappresentato che in realtà non è avvenuto alcun avvicendamento soggettivo nella titolarità della concessione, essendo il subentro del Sig. P avvenuto nella titolarità delle quote della Società concessionaria la quale ha continuato a gestire l’area senza soluzione di continuità.

Con altro motivo la Società ricorrente si duole del fatto che l’ordinanza di demolizione non sarebbe stata preceduta dalla previa diffida contemplata dall’art. 35 del D.P.R. 380/2001.

Il rilevo è inammissibile ai sensi del comma 2 dell’art. 21 octies della L. 241/90 in quanto afferente un vizio formale che è rimasto ininfluente sul contenuto del provvedimento sanzionatorio avente natura vincolata.

Afferma ancora il ricorrente che la realizzazione del gazebo oggetto della impugnata ordinanza non avrebbe richiesto alcun titolo edilizio trattandosi di opera liberalizzata ai sensi dell’ordinamento regionale.

Sulla tesi non si può tuttavia convenire atteso che la liberalizzazione riguarda i “manufatti semplicemente ancorati al suolo senza opere murarie”, mentre l’opera di cui si discorre è in muratura sia nelle struttura che nella fondazioni e non può essere considerata un semplice elemento di arredo.

Parimenti infondato è anche il rilevo secondo cui, trattandosi di manufatto realizzabile in base a scia, la sanzione irrogabile avrebbe dovuto essere di natura pecuniaria, posto che tale principio non vale per le strutture realizzate in zona soggetta a vincolo paesaggistico delle quali in assenza di autorizzazione deve sempre essere ordinata la demolizione.

Con ulteriore motivo si assume che l’ordinanza impugnata sarebbe viziata da eccesso di potere per sviamento atteso che l’intento del comune sarebbe stato quello di indurre il P a realizzare il progetto di risistemazione dell’area approvato nel 1985.

La censura, al pari delle altre, non ha pregio perché il vizio di eccesso di potere può essere riferito solo agli aspetti discrezionali che connotano il potere, nella specie del tutto assenti.

Infondata è altresì l’impugnativa del parere negativo della Soprintendenza posto dal comune a fondamento del diniego di condono edilizio.

Con una prima censura il ricorrente afferma che la Soprintendenza avrebbe adottato il provvedimento senza eseguire il previo sopralluogo che la stessa aveva preannunciato.

Il motivo è infondato.

Già in altra occasione questa Sezione ha stabilito che la mancata esecuzione di un sopralluogo presso i manufatti abusivi da parte della Soprintendenza, pur se dalla stessa preannunciato, non inficia la legittimità del provvedimento negativo se non si riverbera in un difetto di istruttoria o motivazione che va concretamente dimostrato (sentenza n. 428/2018).

Tale difetto nella specie non sussiste in quanto i motivi con cui il ricorrente denuncia tale vizio sono privi di fondamento.

Non è vero infatti che la motivazione del parere sarebbe insufficiente e stereotipa in quanto la Soprintendenza è scesa nell’esame concreto della fattispecie ed ha puntualmente replicato alle osservazioni formulate dall’istante nel corso del procedimento.

Per altro verso l’assunto secondo cui sussisterebbe contraddittorietà fra il giudizio espresso dalla Soprintendenza negli atti impugnati e quello formulato sul progetto di ristrutturazione dell’area presentato dal comune di Monsummano a metà degli anni ’80 del secolo scorso, riguardando entrambi gli stessi manufatti, è totalmente privo di basi.

I percorsi pedonali abusivamente realizzati non erano affatto compresi nel progetto originario;
il tecnico dei ricorrenti si è limitato ad affermare che gli stessi sarebbero funzionali ad una migliore fruizione delle opere previste nel progetto, ma è intuitivo che le opere di miglioria non certo possono essere realizzate in assenza del vaglio dell’Autorità preposta alla tutela del paesaggio.

Per quanto invece riguarda la pensilina la tesi secondo cui la stessa sarebbe stata prevista nel progetto del 1985 è stata smentita dalla Soprintendenza e, comunque, rimane un mero asserto del tutto privo di riscontro probatorio.

Del pari anche la asserita sottoposizione dei manufatti al regime della edilizia libera non è rilevante ai fini delle censure rivolte contro il parere soprintendentizio, posto che anche la realizzazione di tali manufatti, ancorché non richieda un titolo edilizio, nella misura in cui incide sul contesto sottoposto a tutela richiede il previo assenso ai fini paesaggistici.

Il ricorrente oltre ai provvedimenti di tipo edilizio impugna altresì l’atto con cui il comune di Monsummano ha dichiarato risolta la convenzione accessiva all’atto di concessione per il verificarsi di una condizione risolutiva e comunque per l’inadempimento consistente nella realizzazione dei manufatti abusivi.

I motivi si concentrano sul primo profilo (mettendo in evidenza la asserita nullità della clausola che prevede la condizione risolutiva), tuttavia l’atto impugnato ben può reggersi sul secondo capo della motivazione atteso che, alla luce di quanto detto nella superiore parte della presente sentenza, risulta accertato che la Società ricorrente si sia resa responsabile della realizzazione di numerosi e consistenti abusi edilizi ed abbia posto, perciò, in essere un comportamento che rileva come inadempimento e giustifica quindi il rimedio adottato dall’Ente proprietario dell’area demaniale.

La ricorrente impugna anche il diniego del certificato di prevenzione incendi da parte del SUAP e dei FFVV.

La censura è tuttavia improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse posto che la Società, dovendo restituire l’area, non ha più alcuna ragione di ottenere il richiesto certificato.

Con il quarto ricorso per motivi aggiunti viene altresì impugnata la diffida ex art. 35 del D.P.R. 380 del 2001 con la quale, preso atto del diniego di sanatoria, si intima la demolizione dei manufatti abusivi.

La ricorrente deduce che la competenza ad adottare il predetto atto sarebbe spettata alla Soprintendenza e non al comune.

Si afferma infatti che il “dirigente” menzionato dal predetto articolo non potrebbe essere quello del comune proprietario dell’area dal momento che tale non sarebbe autorità procedente ma mero destinatario della comunicazione per conoscenza della diffida.

L’assunto non ha pregio.

La norma si riferisce alle ipotesi in cui l’abuso edilizio sia stato commesso su un suolo demaniale. In tale ipotesi il dirigente del Comune competente per territorio deve, per intuitive ragioni, notiziare della adozione dell’ordine di demolizione l’Autorità che è titolare del diritto di proprietà pubblica. Di tale avviso ovviamente non v’è alcuna necessità nel caso in cui la proprietà dell’area sia dello stesso comune procedente.

A ciò si aggiunga che il riparto di competenza fra comune e Stato nella comminazione delle sanzioni relative a manufatti abusivi realizzati in zona soggetta a vincolo paesaggistico è disciplinato dall’art. 27 del D.P.R. 380 del 2001 il quale riserva alla Autorità statale l’esercizio del potere repressivo solo in alcune tassative ipotesi fra cui non rientra quella di specie.

Il ricorso e i successivi motivi aggiunti non possono, quindi, trovare accoglimento.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo nel rapporto fra ricorrente e comune.

Sussistono invece giusti motivi per compensare le spese nei confronti dello Stato.

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