TAR Napoli, sez. VIII, sentenza 2019-10-11, n. 201904836

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. VIII, sentenza 2019-10-11, n. 201904836
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201904836
Data del deposito : 11 ottobre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/10/2019

N. 04836/2019 REG.PROV.COLL.

N. 05339/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Ottava)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5339 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da Immobiliare Petrone Snc di A &
S P, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato L G, con domicilio eletto presso lo studio Bruno Mantovani in Napoli, via Morgantini n.3;

contro

Comune di Fragneto Monforte, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato M C, con domicilio fisico ex art.25 c.p.a. eletto presso lo studio dell’avv. Patrizia Sorrentino in Napoli, via Arte della Lana n. 16;

per l'annullamento

del provvedimento di demolizione prot.n.3043 del 13.06.14 notificato il 17.6.14 del Comune di Fragneto Monforte


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 26 settembre 2019 la dott.ssa Ines S I P e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il ricorso in epigrafe parte ricorrente ha impugnato il provvedimento prot. n. 3043 del 13.06.2014, notificato il 17.06.2014, con il quale il Comune resistente ha ordinato la demolizione di un muro lungo circa metri 50,00 ed alto centimetri 60, con sovrastante rete metallica, perché asseritamente realizzato su suolo pubblico ed in assenza del permesso di costruire, unitamente al rapporto di servizio del 16.09.2013, richiamato nel provvedimento impugnato e di ogni eventuale atto, parere o provvedimento, presupposto o consequenziale all’adozione o esecuzione della diffida impugnata.

Argomenta al riguardo parte ricorrente di aver presentato in data 24.11.2000 istanza assunta al protocollo dell'Ente al n. 4687 con cui la Arredamenti Petrone s.n.c. chiedeva il rilascio di concessione edilizia per l'ampliamento del fabbricato urbano adibito ad attività commerciale sito nel Comune di Fragneto Monforte alla Contrada Rapinella, riportato in catasto al foglio 15 particelle 262, 437 e 493 e la sistemazione dell'area esterna mediante una serie di opere e, tra l'altro, anche la recinzione dell'intero perimetro dell'area ove sorgeva il fabbricato, mediante la realizzazione di muretti in calcestruzzo con sovrastanti pannelli grigliati di rete metallica zincata, che sarebbe stata accolta con il rilascio della concessione edilizia n. 5 dell'11 maggio 2001 - in forza della quale sono stati poi eseguiti i lavori di ampliamento del fabbricato, di sistemazione del piazzale e di recinzione dell'intero lotto ove sorge il fabbricato, ivi compresa la porzione esistente in confine con la strada comunale- da cui discenderebbe l’illegittimità del provvedimento impugnato in questa sede.

A sostegno del ricorso ha dedotto:

1) INSUSSISTENZA DEI PRESUPPOSTI A BASE DEL PROVVEDIMENTO. DIFETTO DI ISTRUTTORIA. IRRILEVANZA DEL MANUFATTO AI FINI EDILIZI, argomentando che il manufatto in esame era regolarmente assentito in virtù di concessione edilizia n. 5 dell’11 maggio 2001;
in ogni caso, che l’ordine di demolizione non poteva comunque essere adottato in presenza di una tipologia di attività edilizia che, per consistenza e dimensioni, era chiaramente esclusa dal regime del permesso di costruire, trattandosi di un intervento di edilizia minore sottoposto alla diversa disciplina della SCIA, con conseguente inapplicabilità della sanzione demolitoria, essendo tutt’al più applicabile una sanzione pecuniaria.

2) DIFETTO DI ISTRUTTORIA. DIFETTO DI MOTIVAZIONE IN ORDINE ALL'INTERESSE PUBBLICO PER EFFETTO DI UNA SITUAZIONE CONSOLIDATA DA ANNI. VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DEL GIUSTO PROCEDIMENTO E DELL'AFFIDAMENTO in quanto il Comune di Fragneto Monforte assume che il muretto di recinzione sarebbe stato costruito su suolo di proprietà pubblica senza specificare, tuttavia, in che cosa sarebbe consistita l'invasione commessa dalla ricorrente e senza instaurare con essa alcun contraddittorio, mentre il perimetro del lotto ove sorge il muro, oggetto di precedenti allineamenti, comprende nella proprietà dei ricorrenti anche la recinzione realizzata a confine con la strada pubblica. D'altronde, se mai ci fosse stata una modesta occupazione del suolo pubblico nella realizzazione del muro, tale intervento sarebbe comunque legittimo per effetto di una sdemanializzazione tacita del suolo da parte dell'Ente Comunale.

Peraltro, il lungo lasso di tempo trascorso dalla esecuzione delle opere ed il protrarsi dell'inerzia dell'amministrazione preposta alla vigilanza per lunghi anni, ha comportato la nascita di una posizione di affidamento nel privato, in relazione alla quale l'esercizio del potere repressivo è subordinato ad un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche all'entità e alla tipologia dell'abuso, indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso dal mero ripristino della legalità violata, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato.

Ha pertanto concluso per l’accoglimento del ricorso.

Con memoria difensiva depositata il 27 novembre 2014, il Comune di Fragneto Monforte si è costituito in giudizio, deducendo in sintesi che:

- l’opera risultava realizzata senza alcun titolo autorizzativo in quanto la concessione edilizia n. 5/2001 non aveva affatto ad oggetto la costruzione del muro in questione;
infatti, già nel progetto allegato all’istanza di concessione edilizia, emergeva la presenza del muretto contestato;

- in ogni caso, l’opera appariva illegittima in quanto insistente su suolo pubblico, come accertato anche dalla ANAS s.p.a.;
il muro, inoltre, risultava realizzato a soli 40 cm dalla sede stradale in luogo della distanza minima di 3 metri prevista per i muri di cinta dalle strade classificate di tipo C;

- il provvedimento impugnato andava considerato atto dovuto e rigorosamente vincolato, adottato nel rispetto del contraddittorio;

- non sussistevano i presupposti necessari a dimostrare l’avvenuta sdemanializzazione del suolo pubblico occupato dall’opera oggetto della controversia.

Con ricorso contenente motivi aggiunti notificato in data 18 febbraio 2015, parte ricorrente ha contestato tali argomentazioni, ribadendo la sussistenza di un valido titolo autorizzativo del manufatto, risalente addirittura ad un provvedimento tacito di silenzio-assenso del 1992 e la totale carenza di interesse da parte del Comune ad emanare il provvedimento di demolizione a distanza di oltre vent’anni dalla realizzazione dell’eventuale abuso.

In particolare, parte ricorrente ha evidenziato che il muro, nella richiesta di concessione edilizia, veniva indicato ad abundatiam: infatti, con progetto a firma del Geom. R V, prot. n. 2691 del 23 ottobre 1992, il sig. P N, dante causa dei Sig.ri A e S P, aveva richiesto l'autorizzazione ad eseguire i lavori per la sistemazione dell'area di pertinenza al fabbricato sito in Fragneto Momforte alla C..da Rapinella, ed in particolare alla realizzazione del muro in questione. Alla richiesta di autorizzazione non era seguito un formale provvedimento dell'ente ma, all'epoca, per la realizzazione di lavori di scarsa incidenza (recinzioni, manufatti pertinenziali, demolizioni, e scavi), l'opera poteva ritenersi assentita anche per silenzio, in caso di omessa pronuncia nel termine di novanta giorni dal deposito della richiesta di autorizzazione edilizia.

In definitiva quanto indicato nella richiesta di concessione edilizia n. 5 dell'11 maggio 2001, lungi dall'essere un'opera abusiva già esistente, era semplicemente il riporto di particolari costruttivi di un'opera già assentita lungo i confini del lotto ed in particolare lungo la strada.

Inoltre, ha ribadito che a distanza di oltre venti anni dalla richiesta di autorizzazione appare dunque evidente che vi è stata, da parte del Comune, una perdurante inerzia che non può che dimostrare la volontà di dismettere il bene, nel senso di non conservarne l'uso pubblico, assumendo un inequivoco comportamento di sdemanializzazione.

Pertanto, come già precisato nel ricorso introduttivo, il lungo lasso di tempo trascorso dalla esecuzione delle opere ed il protrarsi dell'inerzia dell'amministrazione preposta alla vigilanza per lunghi anni, ha comportato la nascita di una indubbia posizione di affidamento nel privato, della quale non può non tenersi conto in questa sede. Inoltre, in relazione a tale aspetto, l'esercizio del potere repressivo deve considerarsi subordinato ad un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche all'entità e alla tipologia dell'abuso, indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso dal mero ripristino della legalità violata, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato

Con ulteriore memoria dell’8 aprile 2015, poi, il Comune resistente ha ulteriormente contestato le argomentazioni esposte dalla ricorrente, evidenziando l’inammissibilità dei motivi aggiunti e nel merito ribadendo l’assenza di un titolo autorizzativo e la natura pubblica del suolo ove insiste il manufatto.

Nell’odierna udienza, vista la memoria conclusiva depositata da parte ricorrente in data 25.07.2019, il ricorso e i motivi aggiunti sono stati trattenuti in decisione.

DIRITTO

Oggetto di impugnazione è l’ordine di demolizione di un muro alto 0,6 metri e lungo 50 metri, innalzato senza titolo edilizio e, secondo quanto rappresentato dall’amministrazione comunale, su suolo pubblico.

Parte ricorrente prospetta l’illegittimità del provvedimento per insussistenza dei presupposti a base del provvedimento, difetto di istruttoria, irrilevanza del manufatto ai fini edilizi nonché per difetto di motivazione in ordine all'interesse pubblico per effetto di una situazione consolidata da anni e. violazione del principio del giusto procedimento e dell'affidamento, chiedendone l’annullamento.

Come meglio evidenziato nell’esplicazione dei motivi di ricorso in punto di fatto, l’intervento realizzato sarebbe stato realizzato in virtù di concessione edilizia rilasciata dall’Amministrazione comunale nel 2001 e comunque, per le sue caratteristiche, la costruzione del muro rientrerebbe tra le attività non soggette a permesso di costruire bensì, al più, a segnalazione certificata di inizio attività, per la quale andrebbe, al più, comminata la diversa sanzione pecuniaria e non l’ordine di demolizione del manufatto. In secondo luogo, il muro sarebbe stato costruito su una minima porzione di terreno pubblico, oggetto di sdemanializzazione tacita e comunque la sanzione non avrebbe più potuto essere irrogata a distanza di così tanti anni dalla realizzazione dell’eventuale abuso.

I motivi del ricorso sono infondati.

Va innanzitutto evidenziato che, contrariamente a quanto argomentato da parte ricorrente, il Comune, ritualmente costituito, ha provato in atti che il muro in questione è stato costruito in assenza di titolo, in quanto la concessione edilizia n. 5/2001 aveva un diverso oggetto rispetto all’intervento edilizio in esame cui trattasi, la cui esistenza peraltro era già evidenziata nella planimetria particolareggiata allegata al progetto di ampliamento posto a sostegno della richiesta di concessione edilizia n. 5/2001.

In particolare, la difesa dell’amministrazione ha rilevato che “ Come accertato dal Responsabile dell'U.T.0 con relazione del 21 /11 /2014 la planimetria particolareggiata allegata alla richiesta di concessione edilizia del 24/11/2000, come è agevole constatare, non riporta il tratto di muro in questione in corrispondenza della strada comunale Rapinella, ma solo nei tratti laterali e posteriori all'opificio” ed inoltre che La presenza del muro de quo, emergeva piuttosto da altro allegato, ossia dal servizio fotografico, al fine di dimostrare e documentare in maniera oggettiva e da atto proveniente dalla stessa controparte (e dunque avente natura per così dire confessoria), che il manufatto abusivo era già esistente all'atto della presentazione della predetta istanza”.

Precisato, quindi, che l’intervento risulta realizzato senza titolo edilizio, neppure può accedersi alla tesi di parte ricorrente secondo cui tale intervento non avrebbe necessitato del rilascio di alcun titolo edilizio o, al più, avrebbe potuto essere realizzato in virtù di D.I.A. ( e, successivamente, S.C.I.A.).

Se infatti, secondo l’orientamento giurisprudenziale in materia di muri di recinzione per l’innalzamento del muro di recinzione è sufficiente la segnalazione certificata di inizio attività e solo laddove il muro modifichi l’assetto territoriale è necessario il permesso di costruire (cfr. per tutte Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 gennaio 2016 n. 10 e 4 luglio 2014 n. 3408;
Cass. Pen., Sez. III, 11 novembre 2014 n. 52040), tuttavia non può non evidenziarsi che il muro di recinzione di cui trattasi è stato realizzato almeno in parte su suolo pubblico e risale addirittura al 1992, in epoca antecedente alla cennata liberalizzazione dell’attività edilizia c.d. “minore”.

Ne deriva che, non risultando il muretto oggetto di un atto autorizzativo espresso da parte del Comune competente, l’intervento doveva in ogni caso ritenersi abusivo.

Né può accedersi alla tesi di parte ricorrente, secondo cui la porzione di suolo pubblico sulla quale è stato edificato il muro sarebbe stata oggetto di sdemanializzazione tacita, stante il mancato uso protrattosi nel tempo da parte dell’Amministrazione.

Al riguardo il Collegio osserva che la c.d. sdemanializzazione tacita o sdemanializzazione c.d. di fatto, viene ammessa dalla prevalente giurisprudenza a condizioni e limiti ben precisi: in particolare, per aversi sdemanializzazione è necessario essere in presenza di atti e fatti che evidenzino in maniera inequivocabile la volontà della p.a. di sottrarre il bene medesimo a detta destinazione e di rinunciare definitivamente al suo ripristino. Il successivo provvedimento previsto dall’articolo 829 c.c. ha valore meramente dichiarativo e viene emesso quando sussistono condizioni che, di fatto, rendono incompatibili l’uso del bene effettuato e la destinazione a uso pubblico. La funzione del provvedimento, in siffatti casi, risiede nel prendere atto di tale situazione di incompatibilità, dichiarando il passaggio del bene dal demanio pubblico al patrimonio.

Tuttavia, “ non costituiscono elementi sufficienti a provare in maniera non equivoca la cessazione della destinazione del bene all'uso pubblico il prolungato disuso di un bene demaniale da parte dell'ente pubblico proprietario, ovvero la tolleranza osservata da quest'ultimo rispetto a un'occupazione da parte di privati, essendo ulteriormente necessario, al riguardo, che tali elementi indiziari siano accompagnati da fatti concludenti e da circostanze così significative da non lasciare adito ad altre ipotesi se non a quella che l'amministrazione abbia definitivamente rinunciato al ripristino dell'uso pubblico ” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, n. 6338/2011).

Nella controversia in esame, l’assenza di un qualsivoglia provvedimento emesso ai sensi dell’articolo 829 c.c. e la mera precisazione del mancato uso del terreno da parte dell’Amministrazione non costituiscono argomenti sufficienti a ritenere che sul bene sia intervenuto un processo di sdemanializzazione, seppur tacito. A ciò si aggiunga che il muro è stato edificato nelle vicinanze di una strada extraurbana senza che siano state rispettate le prescritte distanze che, il codice della strada stabilisce in tre metri per le strade classificate di tipo C: ne consegue che l’intervento non avrebbe comunque potuto essere assentito senza una espressa volontà dell’amministrazione.

Né può ritenersi che l’illegittimità dell’ordine di demolizione possa poggiare sulla mancanza di una specifica motivazione, in virtù del lungo tempo trascorso, non sussistendo a fronte di un abuso edilizio alcun affidamento incolpevole del privato da tutelare.

Per le ragioni esposte, nel merito il ricorso deve pertanto essere respinto.

Quanto all’esame dei motivi aggiunti, parte ricorrente amplia le censure già formulate prospettando la formazione del silenzio assenso sull’edificazione del muro di recinzione a far data dal 1992, sicchè gli stessi, come dato atto a verbale nell’odierna udienza ai sensi dell’art.73 c.p.a., vanno dichiarati inammissibili, atteso che ineriscono a vizi del provvedimento che sarebbe stato, comunque, possibile conoscere con l’ordinaria diligenza e dedurre al momento del ricorso introduttivo, pena la frustrazione della regola dell’osservanza del termine decadenziale per l’impugnazione dei provvedimenti amministrativi.

In secondo ordine, pur ammettendo che contestualmente alla costituzione in giudizio, il comune abbia depositato atti in precedenza non conosciuti, tale deposito è avvenuto in data 27 novembre 2014 mentre la notifica del ricorso per motivi aggiunti è del 18 febbraio 2015, oltre i termini previsti in materia di notificazione del ricorso (cfr. sul punto Cons. St., Ad. Plen., n. 5/2019). Ne consegue, pertanto, che il ricorso per motivi aggiunti deve essere dichiarato inammissibile in quanto tardivamente proposto.

In ogni caso, per completezza, si evidenzia che nel caso in esame avuto riguardo alla data della presentazione dell’istanza (nella quale comunque non era, come già rilevato, rappresentata la parziale realizzazione del muretto su suolo pubblico) non avrebbe potuto operare il silenzio-assenso all’epoca introdotto con la legge n.94/1982 e prorogato fino al 31/12/1991, in quanto successivamente soppresso dalla L.n. 179/1992.

Per i sopra esposti motivi, il ricorso principale deve essere respinto e il ricorso per motivi aggiunti deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

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