TAR Napoli, sez. V, sentenza 2020-10-26, n. 202004834

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. V, sentenza 2020-10-26, n. 202004834
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 202004834
Data del deposito : 26 ottobre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/10/2020

N. 04834/2020 REG.PROV.COLL.

N. 03884/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3884 del 2016, proposto da
P M, L C, R S, G D, P I, G F, G I, G L C, E A, M M, rappresentati e difesi dall'avvocato D P, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. G G in Napoli, via Andrea D'Isernia, 20;

contro

Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato R S, con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, via S Lucia, 81 - c/o Avvocatura Regionale;
Provincia di Avellino, non costituita in giudizio;

e con l'intervento di

ad adiuvandum:
Provincia di Avellino, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Oscar Mercolino, Gennaro Galietta, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv.to Gennaro Galietta in Napoli, piazza Libertà – c/o Provincia di Avellino;

per l'annullamento:

della delibera di giunta regionale n. 318 del 28.06.2016 con la quale la Regione Campania, nell'ambito della programmazione triennale del fabbisogno del personale 2014/2016, ha disposto il trasferimento nei ruoli della giunta regionale delle unità di personale degli enti locali di area vasta, adibite all'esercizio delle funzioni non fondamentali allocate alla regione ai sensi dell’art. 3, comma 1 della stessa legge.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Campania;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 ottobre 2020 il dott. F M e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.- I ricorrenti, dipendenti a tempo indeterminato della Provincia di Avellino assegnati alla funzione non fondamentale "biblioteche — musei — pinacoteche", premettono che la legge n. 56/2014 (c.d. "legge Delrio"), ridisegnando i confini e le competenze dell'amministrazione provinciale senza modificare il Titolo V della Costituzione, aveva distinto tra le funzioni fondamentali (quelle, cioè, che - in quanto attribuite dallo Stato alle Province - non potevano essere trasferite ad altri Enti) e quelle non fondamentali che, viceversa, le Province dovevano cedere ad altri livelli di governo (Regioni, Città Metropolitane e Comuni).

Pertanto, il personale preposto allo svolgimento delle mansioni corrispondenti alle funzioni non fondamentali doveva essere necessariamente ricollocato presso gli altri Enti cui era stata concessa la facoltà di ampliare la propria dotazione organica in misura pari al numero delle unità da ricollocare.

In ragione del chiaro dettato normativo, i ricorrenti rivendicavano il diritto ad essere ricollocati nei ruoli della Regione Campania.

In presenza di tale quadro normativo generale, la Regione Campania, con L.R. n. 14/2015, in attuazione della L. n. 56/14, all'art. 3, comma 1, aveva stabilito che "Sono ricollocate alla Regione le seguenti funzioni non riconducibili alle funzioni fondamentali valorizzazione di beni di interesse storico, artistico e altre attività culturali".

Al comma 2, viceversa, in palese contraddizione, secondo la prospettazione di parte ricorrente, sia con il primo comma che con la normativa nazionale (L. n. 56/14), aveva disposto che "... sono mantenute in capo alle Province le attività e i servizi riconducibili alla funzione non fondamentale "biblioteche, musei e pinacoteche".

Dal contenuto precettivo recepito dalle citate norme, emergeva, dunque, l’illegittimità della disposizione, considerato che la funzione delle "biblioteche, musei e pinacoteche" costituiva indubbiamente una funzione non fondamentale da trasferire ad altri Enti sulla base dell'art. 1, comma 88 della L.n.56/2014.

Successivamente, con la DGRC n. 616 del 30.11.2015, la Regione aveva approvato "l'individuazione delle attività e dei servizi specifici riconducibili alle funzioni non fondamentali delle Province e delle Città Metropolitane oggetto di riordino ". Orbene, l'allegato elenco individuava anche la Funzione "Biblioteche, Musei e Pinacoteche" come ricollocata alla Regione.

Sennonché, la Regione Campania aveva adottato una delibera dal contenuto completamente opposto e contrastante con la norma nazionale.

Aveva, infatti, comunicato al Dipartimento della Funzione Pubblica che il personale delle Province adibito alla Funzione non Fondamentale "Biblioteche, Musei e Pinacoteche" era ricollocato alle Province e non nei ruoli regionali.

La Regione Campania, poi, con la delibera DGRC n. 261 del 07.06.2016 decideva "… di approvare la disciplina per il trasferimento delle attività e dei servizi riconducibili alle funzioni non fondamentali nonché delle connesse risorse umane, strumentali e finanziarie".

Di conseguenza, nell'allegato alla suddetta delibera, era stabilito che "Le risorse umane relative alle funzioni oggetto di riordino sono quelle individuate dalle Province a seguito di dichiarazione di soprannumerarietà e riportate nell'allegato A dei verbali sottoscritti, sia con riferimento al personale da trasferire nei ruoli della Giunta regionale, sia al personale adibito all'esercizio della funzione non fondamentale "biblioteche, musei, pinacoteche" che, ai sensi dell'art. 3, comma 2 e art. 8, comma 1 della L.R n. 14/2015, permane in capo alle Province”.

Infine, con delibera di Giunta Regionale n. 318 del 28.06.2016, nell'ambito della programmazione triennale del fabbisogno del personale 2014/16, era stato disposto il trasferimento nei ruoli della Giunta Regionale delle unità di personale degli Enti Locali di Area vasta, adibite all'esercizio delle funzioni non fondamentali allocate alla Regione ai sensi dell'art. 3, comma 1 della stessa legge, essendo stato congiuntamente approvato l'elenco nominativo del personale da trasferire alla Giunta Regionale da cui risultava essere stato escluso quello connesso alla funzione "non fondamentale" "Biblioteche, Musei e Pinacoteche" delle Province, nonostante nella stessa delibera si attestasse (cfr. lett. b, pag.3) che "gli spazi occupazionali relativi agli anni 2015 e 2016 risultano ampiamente sufficienti a coprire quelli necessari per il trasferimento delle 67 unità adibite alla funzione non fondamentale "biblioteche, musei, pinacoteche "qualora ciò fosse necessario".

Nella sostanza, la Regione, pur ammettendo la capienza della pianta organica con riguardo all’indicato personale, non ne aveva consentito l'immissione nel proprio ruolo.

Avverso la decisione espressa nei provvedimenti adottati dalla Regione Campania di non collocare presso di sé le risorse umane adibite alla funzione non fondamentale "Biblioteca, Musei, Pinacoteca" sono insorti gli odierni articolando le censure di seguito riportate.

1) Violazione e falsa applicazione della disposizione di cui all'art. 1, commi 85 e 89, della L. n. 56/2014. Illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma 2, della L.R. Campania n. 14/2015 — in quanto in contrasto con l'art. 117 della Costituzione - nella parte in cui, pur riconoscendo il carattere "non fondamentale" della funzione "Biblioteche, Musei, Pinacoteche", non ne prevede il trasferimento alla Regione.

La decisione della Regione Campania di non collocare presso di sé le risorse umane connesse alla funzione non fondamentale "Biblioteche, Musei, Pinacoteche" doveva, innanzitutto, ritenersi illegittima in quanto contrastante con la normativa nazionale sopra riportata e con il dettato costituzionale.

2) Violazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui all'art. 1, comma 421 della L. n.190/2014 in relazione alla circolare n. 1/2015 del Ministro per la Semplificazione e Funzione Pubblica.

L’illegittimità della decisione della Regione Campania emergeva, inoltre, con riguardo ad un ulteriore profilo poiché, attribuendo in modo surrettizio alla Provincia una funzione di cui non era più investita ai sensi della legge Delrio, si era posta in contrasto con la Part. 1, comma 421 della L. n. 190/2014 (legge di stabilità per il 2015), in forza della quale "La dotazione organica delle città metropolitane e delle province delle regioni a statuto ordinario è stabilita, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, in misura pari alla spesa del personale di ruolo alla data di entrata in vigore della legge 7 aprile 2014, n. 56, ridotta rispettivamente, tenuto conto delle funzioni attribuite ai predetti enti dalla medesima legge 7 aprile 2014, n. 56, in misura pari al 30 e al 50 per cento e in misura pari al 30 per cento per le province, con territorio interamente montano e confinanti con Paesi stranieri, di cui all'articolo 1, comma 3, secondo periodo, della legge 7 aprile 2014, n. 56. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, i predetti enti possono deliberare una riduzione superiore. Restano fermi i divieti di cui al comma 420 del presente articolo. Per le unità soprannumerarie si applica la disciplina dei commi da 422 a 428 del presente articolo".

Orbene, il Ministro della Funzione Pubblica, con circolare n. 1/2015, aveva precisato che "il legislatore ha rapportato le dotazioni organiche delle Province delle Regioni a Statuto ordinario al fabbisogno connesso con lo svolgimento delle sole funzioni fondamentali attribuite agli Enti di Vasta area. Le percentuali di riduzione sono tarate, infatti, in ragione della consistenza delle funzioni fondamentali rispettivamente ad essi attribuite".

Pertanto, la dotazione organica delle Province doveva intendersi costituita esclusivamente dal personale necessario a consentire lo svolgimento delle funzioni fondamentali con la conseguente esclusione del personale assegnato alla funzione "Musei, biblioteche e pinacoteche" dalla dotazione organica della Provincia.

3) Violazione e falsa applicazione dell'art.1, comma 422 della legge n.190/2014 come chiarito con la circolare della Funzione Pubblica n. 1/2015.

La circolare n. 1/2015, intendendo precisare la disposizione di cui all'art. 1, comma 422 della L. n. 190/2014, stabiliva che "gli Enti di area vasta definiscono ... l'elenco del personale che rimane a carico della dotazione organica e quello da destinare ai processi di mobilità perché soprannumerario".

Pertanto, le risorse umane connesse alla Funzione "Musei e Biblioteche", definita non fondamentale dall'art.1, comma 85 della legge n. 56/2014 e dall'art. 3 della L.R. n.14/2015, e quindi con titolarità rimasta in capo alla Regione Campania, avrebbero dovuto esclusivamente transitare nei ruoli organici della Regione Campania.

4) Eccesso di potere sotto il profilo del difetto di motivazione, della manifesta illogicità, dello sviamento, della contraddittorietà, della disparità di trattamento.

La decisione assunta dalla Regione Campania di non consentire il trasferimento presso di sé del personale della funzione non fondamentale "Biblioteche, Musei e Pinacoteche", infine, doveva ritenersi illegittima essendo ingiustificata e contraddittoria rispetto alla acclarata disponibilità dei posti in organico presso la medesima Regione.

Il dedotto profilo di disparità di trattamento era, inoltre, aggravato dalla circostanza che in tutte le altre Regioni d'Italia le funzioni non fondamentali "Biblioteche, Musei, Pinacoteche" erano state trasferite alle Regioni unitamente al relativo personale.

Si è costituita la Regione Campania eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità del gravame sotto un duplice profilo.

In primo luogo, la domanda, tesa all’accertamento del diritto dei ricorrenti a transitare nei ruoli della Regione Campania, afferendo chiaramente ad una procedura di mobilità, rientrava nella giurisdizione del giudice ordinario con conseguente difetto di giurisdizione del Tribunale adito.

In secondo luogo, i ricorrenti avevano adito, con riferimento alla medesima questione, il Tribunale di Avellino, Sezione lavoro, con il ricorso contrassegnato dal n. RG 3072/2016, respinto con la sentenza n. 487/2017.

Nel merito, il ricorso doveva essere dichiarato totalmente infondato.

Interveniva ad adiuvandum dei ricorrenti anche la Provincia di Avellino.

All’udienza del 20 ottobre 2020, il Collegio ha riservato la causa in decisione.

2.- La difesa della Regione ha eccepito preliminarmente il difetto di giurisdizione dell’adito Tribunale, sostenendo che i ricorrenti, instaurando il presente giudizio, abbiano inteso agire per la tutela dell’asserito diritto soggettivo, loro attribuito dalla legge del Rio, ad essere direttamente immessi nei ruoli regionali, come peraltro confermato dalla simultanea proposizione di un analogo giudizio introdotto, con riguardo alla medesima pretesa, dinanzi al Tribunale di Avellino, Sezione lavoro, con il ricorso contrassegnato dal n. RG 3072/2016.

In considerazione della peculiarità e del contesto normativo in cui si è sviluppato il procedimento culminato nella decisione riduttiva impugnata, il Collegio ritiene di dover accogliere l'eccezione, e quindi dichiarare l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione dell'adito giudice amministrativo.

2.1.- Ai sensi dell'art. 63, co. 1, del d. lgs. n. 165/2001, "1. Sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, ad eccezione di quelle relative ai rapporti di lavoro di cui al comma 4, incluse le controversie concernenti l'assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte, ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti. Quando questi ultimi siano rilevanti ai fini della decisione, il giudice li disapplica, se illegittimi. L'impugnazione davanti al giudice amministrativo dell'atto amministrativo rilevante nella controversia non è causa di sospensione del processo.".

Recita, quindi, il comma 4 della stessa disposizione, che "4. Restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, nonché, in sede di giurisdizione esclusiva, le controversie relative ai rapporti di lavoro di cui all'articolo 3, ivi comprese quelle attinenti ai diritti patrimoniali connessi.".

Restano, inoltre, devolute al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva, le controversie relative ai rapporti di lavoro del personale in regime di diritto pubblico (di cui all'art. 3 dello stesso d. lgs. n. 165/2001).

Deve quindi rilevarsi che, al di fuori delle ipotesi di giurisdizione esclusiva, nel caso di specie non ricorrente, il riparto di giurisdizione deve necessariamente essere calibrato in base al criterio del petitum sostanziale, ovvero della natura della posizione giuridica fatta valere.

È stato, in particolare, rilevato che "... in base alla consolidata giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione il criterio per individuare il giudice munito di giurisdizione si fonda sul "petitum sostanziale" dedotto in giudizio, da identificare soprattutto in funzione della "causa petendi" (vedi: Cass. SU, 15 dicembre 2016, n. 25836 e Cass. SU, 9 febbraio 2015, n. 2360).

Dalla premessa secondo cui, nell'interpretare la domanda giudiziale, il giudice non è condizionato dal tenore formale utilizzato dalla parte, si deve, senza scadere in rigidi formalismi, considerare l'intero contesto dell'atto, ovverosia il contenuto sostanziale della domanda in relazione alla effettiva finalità che la parte intende perseguire (cfr.: Cass. Civ. Sez. Un., 4 luglio 2018, n. 17535).

2.2.- Ciò premesso in linea generale, osserva il Collegio che i ricorrenti hanno agito a tutela del proprio (asserito) diritto soggettivo a transitare, ricorrendone i presupposti normativamente previsti, nei ruoli regionali in forza della invocata procedura di mobilità collettiva.

Tale prospettazione, tuttavia, è chiaramente volta a conseguire, tramite l'impugnazione degli atti in oggetto, un riconoscimento del proprio inquadramento professionale al fine della trasformazione del rapporto di lavoro alle dipendenze dell’ente regionale.

A ben vedere, dunque, i ricorrenti propongono la presente azione non per lamentare vizi della procedura o degli atti di macro-organizzazione, ma per ottenere, di riflesso, tramite l'annullamento degli atti impugnati, un riconoscimento vincolante per la P.A. del loro diritto alla mobilità collettiva con l'inquadramento giuridico ed economico nei ruoli regionali, in tal modo ponendo una questione sicuramente devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario (ex multis, Cass. Civ., Sez. Un., 23 settembre 2013, n. 21671).

Emerge, pertanto, quale petitum sostanziale, l'accertamento del diritto all'assunzione presso il diverso Ente Regione secondo un determinato schema incentrato sulla mobilità collettiva nei ruoli regionali, senza l'espletamento di alcuna procedura concorsuale.

2.3.- Tanto premesso, ritiene il Collegio che la controversia esuli dalla giurisdizione del giudice amministrativo alla stregua dell'art. 63, commi 1 e 4, d.lgs. n. 165 del 2001, secondo la lettura datane dal giudice della giurisdizione.

A conferma di tale conclusione, occorre precisare che le Sezioni unite della Corte di Cassazione (cfr., ex multis, Sentenza 1° agosto 2012, n. 13796) pacificamente riconoscono "carattere generale" alla devoluzione al giudice ordinario di tutta la materia del lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (rilevando a tal fine la sola inerenza della controversia al rapporto di lavoro) e, al contempo, "portata limitata ed eccezionale" alle disposizioni che prevedono il perpetuarsi della giurisdizione del giudice amministrativo, ivi incluse quelle sulle "procedure concorsuali" (ritenendosi comprese in questo novero sia le procedure finalizzate alla costituzione per la prima volta del rapporto di lavoro sia quelle promosse per il passaggio a un'area o fascia funzionale superiore in virtù del combinato disposto degli artt. 35, co. 1, e 52 d.lgs. n. 165/01).

Fermo tale criterio, le Sezioni unite si sono anche soffermate sulla possibilità di doppia tutela allorché la contestazione riguardi atti di organizzazione dell'amministrazione, tuttavia escludendola alla stregua del principio di diritto secondo cui le controversie concernenti tali atti "rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, e sono passibili di disapplicazione, in tutti i casi nei quali costituiscano provvedimenti presupposti di atti di gestione del rapporto di lavoro del pubblico dipendente" (così Cass. civ., sez. un., 16 febbraio 2009, n. 3677, in tema di variazione di pianta organica, secondo cui "non è consentito al titolare del diritto soggettivo, che risente degli effetti di un atto amministrativo, di scegliere, per la tutela del diritto, di rivolgersi al giudice amministrativo per l'annullamento dell'atto, oppure al giudice ordinario per la tutela del rapporto di lavoro previa disapplicazione dell'atto presupposto, atteso che, in tutti i casi nei quali vengano in considerazione atti amministrativi presupposti, ove si agisca a tutela delle posizioni di diritto soggettivo in materia di lavoro pubblico, è consentita esclusivamente l'instaurazione del giudizio davanti al giudice ordinario, nel quale la tutela è pienamente assicurata dalla disapplicazione dell'atto e dagli ampi poteri riconosciuti a quest'ultimo dal secondo comma del menzionato art. 63").

Può a tal fine ritenersi che la vicenda in rilievo configuri un'ipotesi speciale di mobilità collettiva obbligatoria, istituto disciplinato in linea generale dall'art. 31 d.lgs. n. 165 del 2001 ("fatte salve le disposizioni speciali, nel caso di trasferimento o conferimento di attività, svolte da pubbliche amministrazioni, enti pubblici o loro aziende o strutture, ad altri soggetti, pubblici o privati, al personale che passa alle dipendenze di tali soggetti si applicano l'articolo 2112 del codice civile e si osservano le procedure di informazione e di consultazione di cui all'articolo 47, commi da 1 a 4, della legge 29 dicembre 1990, n. 428").

A sostegno dell'assunto è sufficiente richiamare quanto sostenuto dai ricorrenti in ragione del richiamato art. 1 comma 88 della Legge n.56/2014 (c.d. "legge Delrio"), a mente del quale il personale preposto allo svolgimento delle mansioni corrispondenti alle funzioni non fondamentali delle Province doveva essere necessariamente ricollocato presso gli altri Enti cui era stata concessa la facoltà di ampliare la propria dotazione organica in misura pari al numero delle unità da ricollocare.

Orbene, nella giurisprudenza, anche amministrativa, è stata già affrontata la questione di giurisdizione in riferimento a procedimenti di mobilità (volontaria e coatta) di dipendenti pubblici.

Segnatamente, in una controversia avente a oggetto l'indizione e gli esiti di una procedura di mobilità volontaria si è concluso per la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario (Cons. Stato, sez. V, 12 settembre 2011, n. 5085), sul rilievo che tale procedura non comporta "la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro con i soggetti selezionati, ma soltanto la cessione del contratto di lavoro già in essere con la originaria amministrazione di appartenenza” e questa affermazione prende l’abbrivio dal dictum enunciato da Cass. civ., sez. un. 9 settembre 2010, n. 19251, secondo cui, al di fuori dell'ipotesi di procedure concorsuali per l'assunzione e per il passaggio ad area superiore, si riespande la regola dell'art. 63, co. 1, d.lgs. n. 165/2001 (v. anche T.a.r. Lazio, sez. I-ter, 19 ottobre 2011, n. 8030, secondo cui "rientra nella giurisdizione del g.o. la controversia avente ad oggetto l'istituto della mobilità esterna che si configura come cessione del contratto di lavoro, non appartenendo a quelle vicende che l'art. 63 comma 4, d.lg. n. 165 del 2001 attribuisce alla giurisdizione amministrativa”).

Il procedimento di mobilità esterna, volontaria o coatta, tra p.a., infatti, è un atto di gestione del rapporto e per tale ragione il relativo contenzioso rientra nella giurisdizione del giudice del lavoro. In questi casi ha luogo una semplice cessione del contratto di lavoro del dipendente tra l'Amministrazione di provenienza e quella di destinazione e non si determina, quindi, la costituzione di un nuovo rapporto di pubblico impiego ovvero una nuova assunzione, ma esclusivamente la modificazione soggettiva del rapporto di lavoro già esistente con continuità del suo contenuto.

Allo stesso modo, è stata affermata la sussistenza della giurisdizione ordinaria in ordine al giudizio vertente su un'ipotesi di mobilità collettiva coatta per eccedenza di personale ai sensi degli artt. 33 ss. d.lgs. n. 165/2001 (cfr. Cass. civ., sez. un. 13 marzo 2009, n. 6062), ritenendosi che dalla vicenda del "ricollocamento del personale in disponibilità", ricostruita in termini di "mutamento soggettivo nel rapporto di lavoro pubblico con la sostituzione dell'amministrazione datrice di lavoro", possono sortire due tipi di contestazioni: da parte del lavoratore assegnato che, al pari dell’odierna controversia, agisca per la declaratoria dell'obbligo di essere immesso nei ruoli dell'amministrazione ad quem;
da parte dell’amministrazione pubblica destinataria dell'assegnazione avverso gli atti della procedura di ricollocamento, ovverosia "per l'accertamento negativo dell'insussistenza dell'obbligo di iscrizione del dipendente a lei assegnato nei ruoli del proprio personale".

Entrambe tali controversie sono devolute alla cognizione del giudice ordinario, facoltizzato a disapplicare gli atti amministrativi della procedura, se illegittimi", dovendosi escludere la doppia tutela, sul rilievo del possibile contrasto di giudicati e, in ultima analisi, della "dubbia compatibilità" di tale situazione con il canone della ragionevole durata del processo.

2.4.- Alla luce di quanto sin qui osservato, reputa il Collegio che si debba pervenire alle medesime conclusioni anche in riferimento alla procedura in esame, in alcun modo assimilabile a un concorso neppure con riguardo all’ampia nozione inclusiva dei passaggi di area.

Nella specie i ricorrenti, tutti dipendenti della Provincia di Avellino, impugnano l’atto adottato dalla resistente Regione in quanto ne disconosceva il diritto a transitare nei ruoli regionali e, quindi, la mancata attivazione della procedura di mobilità collettiva che, come detto, consiste in una cessione del rapporto di lavoro ad altro datore di lavoro con le modifiche (anche oggettive) necessitate dall'inserimento nella nuova organizzazione.

Il Collegio osserva che, contrariamente a quanto ritenuto dai ricorrenti, gli atti con cui la Regione ha proceduto alla graduazione degli uffici regionali e della relativa pianta organica non vengono in questa sede riguardati quali atti di macrorganizzazione.

Invero, sotto il profilo sostanziale, la pretesa vantata dai ricorrenti (volta, in ultima analisi al riconoscimento alla mobilità nei ruoli regionali) ha ad oggetto diritti soggettivi in una materia che non rientra nella giurisdizione esclusiva del G.A., bensì nell'ambito della generale giurisdizione del G.O., cosicché, nel caso in esame, la questione di giurisdizione deve essere risolta sulla base della consistenza della posizione giuridica azionata, da individuarsi in base al complesso delle richieste e dei fatti allegati (in tal senso, ex multis, Cass. Civ., Sez. un., 31 marzo 2009, n. 7768).

2.5.- Riguardando, poi, la questione sotto il versante sostanziale, emerge che i ricorrenti mirano ad ottenere in giudizio proprio il riconoscimento del proprio diritto soggettivo alla mobilità collettiva, non intendendo conseguire una diversa configurazione dell'assetto macrorganizzativo dell'amministrazione di appartenenza, né contestare l'individuazione degli uffici di maggiore rilevanza ovvero i modi di conferimento della titolarità dei medesimi, aspetti, questi ultimi, che in base al richiamato - e consolidato - orientamento sarebbero restati devoluti alla giurisdizione del Giudice amministrativo.

In conclusione, va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto la giurisdizione spetta al giudice ordinario, non occorrendo, ai sensi degli artt. 59 l. n. 69/2009 e 11 c.p.a., fissare il termine per la riassunzione del giudizio dinanzi al giudice ordinario essendo tale giudizio già pendente.

2.6.- Al riguardo, deve comunque precisarsi che la circostanza da ultimo precisata non preclude la pronuncia declinatoria della giurisdizione poiché, come si è condivisibilmente chiarito in giurisprudenza (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 25 febbraio 2016, n. 782;
T.A.R. Basilicata, 4 aprile 2014, n. 238;
T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 26 aprile 2011, n. 2285), la litispendenza è un istituto processuale che opera per le cause proposte davanti alla stessa giurisdizione ed è finalizzato ad evitare contrasti di giudicato sulla medesima controversia, che non possono viceversa verificarsi tra decisioni di giurisdizioni distinte, quand'anche il rapporto sostanziale dedotto in giudizio sia identico. Infatti, ove non venga impedita dalla parte mediante regolamento preventivo di giurisdizione, l'ipotesi in questione può dare luogo ad un eventuale conflitto positivo di giurisdizione suscettibile di essere risolto mediante ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 362, comma 1, n. 1, c.p.c.. Pertanto, di fronte ad una domanda proposta contemporaneamente davanti a due distinte giurisdizioni, se il giudice non declina senz'altro la propria giurisdizione non può spogliarsi della controversia con una pronuncia dichiarativa della litispendenza, che postula l'esistenza della sua giurisdizione e la sua statuizione affermativa di tale presupposto processuale è in ogni caso suscettibile di essere sottoposta al potere regolatorio della giurisdizione.

3.- Vertendo la controversia in un ambito in cui non è sempre agevole individuare il corretto riparto di giurisdizione, sussistono le ragioni per disporre l’integrale compensazione delle spese di giudizio.

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