TAR Latina, sez. I, sentenza 2013-01-18, n. 201300059
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N. 00059/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00261/2003 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
sezione staccata di Latina (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso con motivi aggiunti numero di registro generale 261 del 2003, proposto dal sig.
G Ai, rappresentato e difeso dagli avv.ti D B e F R e con domicilio eletto presso lo studio del secondo, in Latina, c.so Matteotti n. 208
contro
Ministero dell’Interno e Prefettura di Latina, in persona del legale rappresentante pro tempore, ex lege rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliati presso gli Uffici della stessa, in Roma, via dei Portoghesi n. 12
a) con il ricorso originario:
per l’annullamento,
previa sospensione dell’esecuzione,
- del decreto del Prefetto di Latina prot. n.6629/P.A./1° Sett. del 29 dicembre 2002, notificato il 18 gennaio 2003, recante revoca della licenza rilasciata al sig. A Guido con provvedimento del 12 gennaio 2001, ai sensi dell’art. 134 T.U.L.P.S., per l’esercizio dell’attività di vigilanza e custodia di proprietà private immobiliari e mobiliari, nonché scorta e trasporto di valori;
- di ogni altro atto connesso, presupposto e conseguente
e per la condanna
dell’Amministrazione al risarcimento dei danni subiti e subendi
b) con i motivi aggiunti depositati il 7 novembre 2005:
per l’accertamento dell’illegittimità comunitaria e conseguente disapplicazione
dell’art. 257 del r.d. 6 maggio 1940, n. 635, recante il regolamento di esecuzione del T.U.L.P.S., se e nella parte in cui si ritenga ivi previsto, tra i requisiti necessari al rilascio della licenza ex art. 134 T.U.L.P.S., anche quello di un numero minimo e/o massimo di dipendenti
e per la dichiarazione di nullità
del provvedimento del Prefetto di Latina prot. nr. 2105/P.A./I Sett. del 12 gennaio 2001, contenente il rilascio della licenza ex art. 134 T.U.L.P.S., nella parte in cui si ritenga ivi previsto, tra i requisiti prescritti per la medesima, anche quello di un numero minimo e/o massimo di dipendenti
c) con i motivi aggiunti depositati il 22 maggio 2008:
per l’annullamento,
previa concessione di misura cautelare,
del provvedimento impugnato con il ricorso originario
d) con i motivi aggiunti depositati l’8 febbraio 2010:
per l’annullamento
della nota a firma del Prefetto di Latina prot. n. 18899/ Area 1 O.S.P. del 16 novembre 2009, con cui è stata respinta l’istanza di revoca del decreto prot. n.6629/P.A./1° Sett. del 29 dicembre 2002, impugnato con il ricorso originario
e per la condanna
dell’Amministrazione al risarcimento del danno in forma specifica o per equivalente.
Visti il ricorso originario ed i relativi allegati;
Vista la domanda di sospensione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dalla parte ricorrente;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e della Prefettura di Latina;
Vista l’ordinanza n. 276/03 del 4 aprile 2003, con cui è stata respinta l’istanza cautelare;
Vista l’ordinanza del Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 4302/2003 dell’8 ottobre 2003, con cui è stato respinto l’appello proposto contro la precedente;
Visti il conferimento, da parte del ricorrente, di una nuova procura speciale alle liti, con contestuale revoca della precedente, nonché di un’ulteriore procura speciale;
Visti i motivi aggiunti depositati il 7 novembre 2005;
Visti gli ulteriori motivi aggiunti depositati il 22 maggio 2008;
Preso atto della rinuncia all’istanza cautelare presentata con gli ora visti motivi aggiunti;
Visti i motivi aggiunti depositati l’8 febbraio 2010;
Viste le memorie conclusionali e la documentazione depositate dal ricorrente;
Vista la memoria difensiva del Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Nominato relatore nell’udienza pubblica dell’8 novembre 2012 il dott. Pietro De Berardinis;
Uditi i difensori presenti delle parti costituite, come specificato nel verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue
FATTO
Il ricorrente, sig. G Ai, espone di avere ottenuto in data 12 gennaio 2001, in veste di legale rappresentante dell’Istituto “Divisione Vigilanza Anticrimine S.r.l.”, il rilascio, da parte del Prefetto di Latina, della licenza ex art. 134 del r.d. n. 773/1931 (T.U.L.P.S.) per l’esercizio delle attività di vigilanza e custodia di proprietà mobiliari ed immobiliari, anche con sistemi di teleallarme, nonché di custodia in cassette di sicurezza e di scorta e trasporto valori.
L’esponente precisa che tra le prescrizioni contenute nel titolo rilasciatogli vi era quella di rendere operante l’Istituto attraverso la nomina delle guardie particolari giurate previste in organico entro il termine di sei mesi dal rilascio del titolo e che detta prescrizione sarebbe stata da lui rispettata con l’assunzione di una guardia particolare giurata, per cui avrebbe ottenuto la prescritta approvazione prefettizia nel termine sopra indicato.
Con decreto prot. n.6629/P.A./1° Sett. del 29 dicembre 2002, tuttavia, il Prefetto di Latina revocava la licenza, ritenendo invece che la suddetta prescrizione non fosse stata osservata e che ciò stesse ad indicare la sostanziale inattività dell’Istituto di vigilanza, nonché la carenza della capacità tecnica in capo al suo titolare a condurre e gestire i servizi autorizzati.
La revoca veniva motivata, infine, con il fatto che la mancata integrazione del personale dell’Istituto avrebbe alterato il rapporto esistente tra organici provinciali delle Forze dell’Ordine e numero delle guardie giurate in servizio.
Avverso il surriferito decreto di revoca della licenza ex art. 134 T.U.L.P.S. è insorto l’esponente, impugnandolo con il ricorso originario indicato in epigrafe e chiedendone l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione;a supporto del gravame ha dedotto, con un unico motivo, le doglianze di eccesso di potere per falsità del presupposto, travisamento della realtà e sua erronea valutazione, irragionevolezza, contraddittorietà ed ingiustizia manifeste, nonché quelle di violazione e mancata applicazione dell’art. 136 T.U.L.P.S., dell’art. 3 della l. n. 241/1990 e dell’art. 97 Cost..
In sintesi, il ricorrente si duole dell’illegittimità della revoca gravata, perché:
- nessuna delle condizioni a cui la Prefettura subordinava il rilascio della licenza avrebbe implicato l’assunzione di un numero determinato di guardie particolari giurate;
- la licenza rilasciata non parlerebbe dell’assunzione di trenta guardie particolari giurate ma di trenta dipendenti nel loro complesso;
- alla luce dell’orientamento espresso dal Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica (tenere il più basso possibile il numero delle nuove guardie giurate rispetto all’organico delle Forze dell’Ordine) e dell’affermazione contenuta nella licenza rilasciata (secondo cui il nuovo Istituto non avrebbe alterato significativamente il rapporto tra Forze dell’Ordine e guardie già operanti), il fatto che, all’inizio, il ricorrente avesse assunto una sola guardia giurata avrebbe dovuto considerarsi del tutto irrilevante;
- non vi sarebbe stata alcuna inattività dell’Istituto, come dimostrerebbero gli incarichi conferiti nel periodo dal dicembre 2001 al febbraio 2003 (dal Comune di Latina, alla Dolciaria Va S.r.l., al Consorzio Sviluppo Futuro S.p.A., a Poste Italiane S.p.A., ecc.);
- sarebbe stato violato l’art. 136 T.U.L.P.S., che consente la revoca della licenza solo per ragioni di ordine pubblico e sicurezza pubblica.
Il ricorrente ha, altresì, formulato domanda di risarcimento dei danni subiti e subendi.
Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Interno e la Prefettura (U.T.G.) di Latina, con atto di costituzione formale.
Nella Camera di consiglio del 4 aprile 2003 il Collegio, ritenuto ad un sommario esame il gravame privo di fumus boni juris per il mancato adempimento alla prescrizione della nomina delle guardie giurate contenuta nella licenza rilasciata (non soddisfatta dalla nomina di una sola guardia giurata), con ordinanza n. 276/03 ha respinto l’istanza cautelare. Con ordinanza n. 4302/2003 dell’8 ottobre 2003, il Consiglio di Stato, Sez. IV, ha respinto il relativo appello.
In data 7 febbraio 2005 la difesa erariale ha depositato apposita memoria difensiva.
Con motivi aggiunti, depositati in data 7 novembre 2005, il sig. A ha agito per l’accertamento dell’illegittimità comunitaria e la disapplicazione dell’art. 257 del r.d. n. 635/1940 (regolamento di esecuzione del T.U.L.P.S.), ove lo si fosse ritenuto elencare, tra i requisiti necessari al rilascio della licenza ex art. 134 T.U.L.P.S., anche quello di un numero minimo e/o massimo di dipendenti. Per l’effetto, ha chiesto altresì la declaratoria di nullità della licenza prefettizia rilasciatagli con atto del 12 gennaio 2001, ove ritenuta prescrivere, tra i requisiti per il rilascio della licenza, anche quello del numero minimo e/o massimo di dipendenti. Ciò, in virtù dell’avvio da parte della Commissione CE di una procedura di infrazione nei confronti della Repubblica Italiana, ai sensi dell’art. 226 Trattato CE, proprio in relazione all’ostacolo ingiustificato che sarebbe frapposto alla libertà di stabilimento ed alla libera circolazione dei servizi dalla disciplina interna in materia di vigilanza privata, lì dove questa prescriverebbe alle imprese svolgenti tali servizi un numero minimo e massimo di dipendenti per ciascuna sede operativa.
In argomento, pertanto, il ricorrente ha articolato la doglianza di violazione e falsa applicazione dei principi comunitari di libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi di cui agli artt. 43 e 49 Trattato CE.
Con ulteriori motivi aggiunti depositati in data 22 maggio 2008 il ricorrente è tornato a domandare l’annullamento del provvedimento di revoca della licenza, già impugnato con l’atto introduttivo del giudizio, sulla base della sentenza della Corte di Giustizia CE, Sez. II, del 13 dicembre 2007, resa in causa C-465/05, nella parte in cui questa ha stabilito che l’imposizione, ad opera dello Stato italiano nei confronti delle imprese di vigilanza privata, di un numero minimo o massimo di personale per il rilascio della relativa autorizzazione costituiva violazione degli artt. 43 e 49 Trattato CE.
In particolare il ricorrente, evidenziato come, in esecuzione della decisione della Corte di Giustizia CE, l’art. 136, secondo comma T.U.L.P.S. sia stato abrogato dall’art. 4, comma 3, lett. f), del d.l. n. 59/2008, ha dedotto l’ulteriore doglianza di violazione e falsa applicazione dei principi comunitari recepiti nel citato art. 4, comma 3, lett. f), del d.l. n. 59/2008 ed ha reiterato l’istanza di concessione di misure cautelari (cui, peraltro, ha successivamente rinunciato).
Da ultimo, il sig. A ha avanzato alla Prefettura di Latina istanza di annullamento in autotutela dell’impugnato provvedimento di revoca della licenza ex art. 134 T.U.L.P.S., sulla base della regola (di elaborazione giurisprudenziale), secondo cui i provvedimenti amministrativi in contrasto con la normativa comunitaria dovrebbero essere rimossi in autotutela dalla stessa P.A.. L’istanza, tuttavia, è stata respinta dal Prefetto di Latina con nota prot. n. 18899/ Area 1 O.S.P. del 16 novembre 2009: quest’ultima, peraltro, ha considerato l’istanza stessa alla stregua di una nuova richiesta di rilascio della licenza ex art. 134 cit., assegnando un termine di trenta giorni al richiedente per presentare la relativa documentazione.
Avverso la suindicata nota prefettizia di diniego dell’annullamento in autotutela il sig. A ha, quindi, proposto un ultimo ricorso per motivi aggiunti, chiedendone l’annullamento e deducendo le seguenti ulteriori censure:
- violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990 per motivazione carente ed incoerente, eccesso di potere per illogicità manifesta, travisamento dei fatti e sviamento, per avere la Prefettura trascurato che la revoca della licenza si baserebbe proprio sul mancato adeguamento del ricorrente alla prescrizione – contraria al diritto comunitario – che gli imponeva di rendere operativo l’Istituto di vigilanza con la nomina delle guardie giurate previste in organico, e che da tale mancato adeguamento sarebbe stata desunta la carenza di capacità tecnica in capo al ricorrente stesso. La P.A. avrebbe avuto, invece, il dovere di verificare la persistenza o meno della capacità tecnica, già riconosciuta al sig. A con il rilascio della licenza;
- eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità e per sviamento, per la manifesta inadeguatezza del termine di trenta giorni assegnato al ricorrente per presentare la documentazione richiesta ex art. 257 del r.d. n. 635/1940 ai fini del rilascio di una nuova licenza;
- violazione dell’art. 1, comma 1, della l. n. 241/1990 e del principio di cooperazione di cui all’art. 10 Trattato CE per mancata applicazione dei principi dell’ordinamento comunitario e delle decisioni della Corte di Giustizia CE, violazione dell’art. 249 Trattato CE, violazione e falsa applicazione dei principi comunitari di libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi ex artt. 43 e 49 Trattato CE, eccesso di potere per ingiustizia manifesta, in quanto la P.A. sarebbe stata vincolata al riesame della propria determinazione, a) per avere il richiesto intervento in autotutela natura doverosa e non discrezionale;b) per l’inesistenza di un legittimo affidamento di terzi nel mantenimento di efficacia dell’atto di cui si era chiesto l’annullamento in autotutela;c) per l’assenza di qualunque problema di salvaguardia dell’esigenza di certezza delle situazioni giuridiche;d) per l’inidoneità della pendenza del giudizio instaurato con il ricorso in epigrafe ad ostacolare l’esercizio del potere di autotutela;e) per l’esistenza di un interesse pubblico all’esercizio del potere di autotutela, onde evitare l’esborso, da parte della P.A., delle somme richieste a titolo di risarcimento dei danni.
In vista dell’udienza pubblica, il ricorrente (il quale ha presentato nel corso del processo molteplici memorie difensive) ha depositato un’ulteriore memoria, ragguagliando sui più recenti sviluppi della vicenda ed in specie sul mancato rilascio della (nuova) licenza ex art. 134 T.U.L.P.S., nonostante la presentazione, da parte sua, della documentazione ex art. 257 del r.d. n. 635/1940.
All’udienza pubblica dell’8 novembre 2012 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Forma oggetto del ricorso originario il provvedimento di revoca della licenza ex art. 134 T.U.L.P.S. rilasciata in precedenza al sig. G Ai, nella sua qualità di legale rappresentante dell’Istituto di vigilanza “Divisione Vigilanza Anticrimine S.r.l.”, nuovamente impugnato con il secondo ricorso per motivi aggiunti.
Con il primo ricorso per motivi aggiunti vengono invece impugnati il regolamento di esecuzione del T.U.L.P.S. (r.d. n. 635/1940), nella parte in cui (art. 257) aveva previsto tra i requisiti per il rilascio della succitata licenza quello del numero minimo e massimo di dipendenti, nonché, sotto l’analogo profilo, anche il provvedimento di rilascio della licenza al sig. A.
Con ultimo ricorso per motivi aggiunti è poi impugnato il provvedimento prefettizio recante diniego di annullamento in autotutela della revoca gravata ab initio.
Venendo all’esame dei gravami, si osserva che nessuno di essi risulta meritevole di condivisione, in quanto gli stessi muovono tutti da un presupposto che il Collegio ritiene erroneo: quello, cioè, che la revoca della licenza, rilasciata al ricorrente per l’esercizio dell’attività di vigilanza e custodia ex art. 134 T.U.L.P.S., sia dovuta all’inosservanza, in sé e per sé considerata, della prescrizione avente ad oggetto l’obbligo del ricorrente di assumere entro sei mesi dal rilascio della licenza le n. 30 guardie particolari giurate previste in organico.
Secondo il ricorrente, l’illegittimità di tale prescrizione per il suo contrasto con i principi comunitari della libertà di stabilimento e della libera prestazione di servizi, accertato dalla sentenza della Corte di Giustizia CE, Sez. II, del 13 dicembre 2007, lì dove questa ha riconosciuto l’incompatibilità con i predetti principi della disciplina interna che imponeva un numero minimo e/o massimo di personale per le imprese richiedenti la licenza ex art. 134 T.U.L.P.S., implicherebbe l’illegittimità della revoca impugnata, proprio perché fondata – si ribadisce – sulla violazione della riferita prescrizione, in sé e per sé considerata.
Il Collegio dissente, tuttavia, da una simile ricostruzione della fattispecie e rileva come, in realtà, il provvedimento impugnato abbia assunto la mancata assunzione di personale, da parte del ricorrente, quale indice sintomatico di altri fattori, costituenti, essi sì, la motivazione della revoca della licenza e più in dettaglio, quale sintomo:
a) della sostanziale inattività dell’Istituto di vigilanza;
b) della carenza di capacità tecnica del titolare dell’Istituto a condurre e gestire i servizi autorizzati: requisito, questo della capacità tecnica, che il provvedimento di revoca ci ricorda essere necessario per il permanere della licenza stessa ex art. 136 T.U.L.P.S..
Il provvedimento, infine, si basa su un’ulteriore elemento giustificativo, discendente anch’esso dalla mancata assunzione di personale da parte del ricorrente, e cioè sull’alterazione, che ne è conseguita, del rapporto esistente tra organici provinciali delle Forze dell’Ordine e numero delle guardie giurate in servizio.
In altre parole, nel caso di specie non si versa per nulla in un’ipotesi di sanzione per l’inosservanza dell’obbligo di rispettare l’organico di personale previsto, ed in relazione al quale era stata rilasciata la licenza: in una simile ipotesi l’assunto del ricorrente sarebbe stato fondato e condivisibile, poiché l’obbligo in questione sarebbe equivalso alla fissazione, ad opera della P.A., di un tetto minimo (o massimo) di dipendenti, così integrandosi la fattispecie in ordine alla quale la Corte di Giustizia CE ha ravvisato la violazione dei principi comunitari ex artt. 43 e 49 Trattato CE. Infatti, l’imposizione di tale obbligo, con la previsione autoritativa di un tetto per l’organico dei dipendenti dell’impresa, integra una circostanza tale da incidere – secondo i giudici comunitari – sull’accesso degli operatori stranieri al mercato italiano dei servizi di vigilanza privata: ed invero, il limite che così è imposto al potere organizzativo e direttivo dell’operatore economico, e gli effetti che ne discendono sui costi, sono fattori che, ad avviso dei giudici comunitari, ben possono dissuadere l’operatore straniero dalla creazione di stabilimenti secondari o filiali in Italia, o dall’offrire i suoi servizi sul mercato italiano (cfr. Corte Giust. CE, Sez. II, 13 dicembre 2007, cit., considerando n. 102).
Nel caso in esame, invece, si versa nella situazione, del tutto diversa, in cui l’inattività del ricorrente nel provvedere all’integrazione dell’organico previsto per l’Istituto – dimostrata dall’assunzione di un solo dipendente nel cospicuo arco di tempo considerato – è stata valutata dall’Amministrazione quale sintomo dell’incapacità tecnica del ricorrente stesso nel condurre e gestire i servizi autorizzati e della sostanziale inattività dell’Istituto di vigilanza. Pertanto, è inconferente ed inutile il richiamo alla sentenza della Corte di Giustizia CE, perché qui non si è trattato di verificare il rispetto di limiti dimensionali autoritativamente imposti dalla P.A., ma di consentire alla P.A. stessa di verificare la permanenza del requisito della capacità tecnica previsto dall’art. 136, primo comma, del T.U.L.P.S.: verifica, che legittimamente è passata anche attraverso il computo del numero di dipendenti assunti dal sig. A in un arco di tempo di quasi due anni, a fronte dell’ottenimento, da parte dello stesso, di ben due proroghe per procedere alle suddette assunzioni.
Per questo aspetto, non può rinvenirsi alcuna violazione dei principi comunitari nel provvedimento gravato, perché la sentenza della Corte di Giustizia CE più sopra richiamata, se impedisce alla P.A. di imporre autoritativamente limiti dimensionali agli operatori che intendono esercitare l’attività di vigilanza privata, certamente non le impedisce di verificare la capacità di questi ultimi di svolgere in concreto la suddetta attività: capacità dimostrata, tra l’altro, anche delle scelte fatte e dall’attività svolta dall’operatore in tema di organizzazione della struttura aziendale e del lavoro, tra cui rientra, indubbiamente, anche l’inerzia serbata dal medesimo operatore nella precostituzione dell’organico aziendale. Donde la legittimità della revoca impugnata.
In proposito si rammenta, infatti, che, secondo la giurisprudenza, l’accertamento del requisito della capacità tecnica ex art. 136 T.U.L.P.S., comporta l’esplicazione di una valutazione discrezionale in relazione a colui che richiede l’autorizzazione alla gestione di un istituto di vigilanza privata sotto il profilo dell’esperienza, dell’affidabilità e dell’organizzazione (cfr. C.d.S., Sez. VI, 7 marzo 2007, n. 1064). Si è, altresì, precisato che la capacità tecnica ex art 136 cit. deve essere verificata alla stregua di una valutazione complessiva delle pregresse esperienze, nonché delle “attuali capacità personali" e di organizzazione del servizio, con riferimento alle persone e ai mezzi a disposizione per il tipo di attività che si intende esercitare, dovendo la predetta capacità essere valutata anche in relazione alle capacità organizzative ed alle forme di organizzazione concretamente proposte per la/le attività da esercitare (cfr. T.A.R. Friuli Venezia Giulia, Sez. I, 25 febbraio 2008, n. 141, con la giurisprudenza ivi richiamata). Nella valutazione della permanenza di tale requisito, si ritiene che legittimamente si possa aver riguardo anche al numero di dipendenti assunti dal titolare della licenza, senza incorrere in violazioni dei principi comunitari, almeno quando, come nel caso in esame, l’atteggiamento del predetto titolare sia stato di quasi totale inerzia (avendo egli effettuato una sola assunzione nell’arco di quasi due anni): il numero di dipendenti assunti, infatti, viene qui considerato non ai fini del tetto dimensionale dell’Istituto di vigilanza, ma in quanto sintomo dell’effettiva esistenza ed operatività di questo, nonché della capacità del titolare nella sua conduzione e gestione.
L’obiezione mossa sul punto dal ricorrente, ed imperniata sulla distinzione tra assunzione di guardie giurate ed assunzione di personale dipendente, non convince e sembra meramente terminologica, in quanto non considera l’inidoneità dell’assunzione di una sola guardia particolare giurata a dar prova della capacità tecnica-imprenditoriale nel settore de quo (che, certo, non potrebbe venir compensata, ad es., dall’assunzione di più dipendenti addetti a compiti solo amministrativi).
Nemmeno può condividersi l’obiezione fondata sull’attività che in concreto sarebbe stata dispiegata dall’Istituto di vigilanza, dopo il rilascio della relativa licenza, giacché le prove documentali fornite al riguardo dal ricorrente si esauriscono nella produzione di contratti comportanti il conferimento di incarichi di vigilanza, ma nulla ci dicono sulle modalità di concreto svolgimento dei relativi servizi, in relazione alle quali il contesto dimensionale concreto dell’azienda – che a quanto si desume dalle stesse difese del ricorrente si limitava ai sigg.ri A e V (quest’ultimo essendo il dipendente assunto) – suscita grosse perplessità.
Si rammenta, a tal proposito, che secondo la giurisprudenza (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. I, 18 luglio 2007, n. 1813), il requisito della capacità tecnica, valutabile in termini presuntivi ed astratti all’epoca del primo rilascio dell’autorizzazione allo svolgimento dell’attività, deve successivamente trovare conferma e concreta dimostrazione mediante il corretto e proficuo svolgimento della relativa attività. E l’apprezzamento negativo della P.A. sulla proficuità ed effettività dell’attività svolta non sembra affatto irragionevole, tenuto conto dei dati fattuali ora riferiti, ed in particolare dell’esiguità dell’organico dell’Istituto.
Da quanto sin qui detto si desume, in ultima analisi, l’infondatezza del ricorso originario e dei primi due ricorsi per motivi aggiunti. Ciò, a prescindere dal fatto che il primo ricorso per motivi aggiunti, nella misura in cui è rivolto a contestare il provvedimento di rilascio della licenza, per avere questo imposto un limite dimensionale all’Istituto di vigilanza del quale è titolare il sig. A, è tardivo e, quindi, irricevibile. Infatti, contrariamente all’assunto del ricorrente – il quale ha parlato di nullità in parte qua del suddetto provvedimento – deve richiamarsi il consolidato indirizzo giurisprudenziale, secondo cui l’atto amministrativo violativo del diritto comunitario è affetto dal vizio di illegittimità per violazione di legge e non dal vizio della nullità, atteso che l’art. 21-septies della l. n. 241/1990, introdotto dalla l. n. 15/2005, ha codificato in numero chiuso le ipotesi di nullità del provvedimento amministrativo, non facendovi rientrare la violazione del diritto comunitario;ne consegue, sul piano processuale, l’onere dell’impugnazione dinanzi al G.A. del provvedimento contrastante con il diritto comunitario entro il termine decadenziale di legge, pena la sua inoppugnabilità (cfr. C.d.S., Sez. VI, 31 marzo 2011, n. 1983), trattandosi di regola ispirata al principio della certezza del diritto, proprio anche del diritto comunitario (C.d.S., Sez. VI, 21 settembre 2007, n. 4890).
Parimenti infondato è, poi, il terzo ed ultimo ricorso per motivi aggiunti, non potendosi condividere nessuna delle censure con esso dedotte avverso il diniego di annullamento in autotutela della revoca gravata con l’atto introduttivo del giudizio. In particolare:
- va respinto l’asserito difetto di motivazione, in quanto correttamente – alla luce di ciò che si è sin qui esposto – il Prefetto di Latina ha ravvisato il persistere di un elemento ostativo all’accoglimento delle pretese del ricorrente pur dopo la pronuncia sopra rammentata della Corte di Giustizia CE, da individuare nella capacità tecnica ex art, 136, primo comma, T.U.L.P.S.;
- il termine di trenta giorni, assegnato per la produzione documentale richiesta dalla P.A. ai fini del rilascio di un nuovo titolo autorizzatorio, non sembra essere stato previsto a pena di decadenza ed in ogni caso lo stesso ricorrente, nella memoria finale, ammette di avere presentato la documentazione richiesta e di essere tuttora in attesa dell’adozione di un nuovo provvedimento, senza che sul punto il citato termine abbia dispiegato alcuna efficacia preclusiva;
- per quanto sopra detto, la revoca della licenza originariamente impugnata non contrastava – e non contrasta – in nessun modo con il diritto comunitario, cosicché non vi era nessun obbligo della P.A. di intervenire in autotutela sulla stessa, fuorviante essendo il richiamo all’orientamento secondo cui, in caso di atto amministrativo violativo del diritto comunitario, questo va rimosso dalla P.A. tramite l’esercizio dei propri poteri di autotutela (cfr. C.d.S., Sez. V, 8 settembre 2008, n. 4263;id., Sez. VI, n. 1983/2011, cit.).
In definitiva, perciò, sia il ricorso originario, sia i motivi aggiunti, sono nel loro complesso destituiti di fondamento e vanno integralmente respinti.
Per l’effetto, va respinta altresì la domanda di risarcimento dei danni avanzata dal ricorrente.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.