TAR Roma, sez. III, sentenza 2016-05-11, n. 201605571
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Testo completo
N. 05571/2016 REG.PROV.COLL.
N. 05924/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5924 del 2013, proposto da:
A L, rappresentata e difesa dall'avv. G L L, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. G B S in Roma, Via Pinciana, 25;
contro
il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato e presso la medesima domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
F D e C G;
per l'annullamento
- del giudizio di non idoneità e non ammissione della ricorrente alle prove orali del concorso a 200 posti di notaio, indetto dal ministero della giustizia con D.D. 27 dicembre 2010, espresso dalla commissione esaminatrice riportato nel verbale n. 294 del 27.2.2013;
- di ogni altro atto collegato, connesso e conseguente e, in particolare, del bando di concorso, di tutti i verbali della commissione giudicatrice, della graduatoria provvisoria degli idonei, della determinazione di non ammissione adottato dalla commissione, del verbale n. 15 del 6 marzo 2012, e di tutti i verbali compresi i provvedimenti di nomina della commissione e delle sottocommissioni.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 aprile 2016 il dott. V B e uditi l’avv. G L L per la ricorrente e l’avv. Fico per l’avvocatura dello Stato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
La ricorrente ha partecipato al concorso a 200 posti di notaio indetto dal Ministero della Giustizia con D.D. 27 dicembre 2010.
La commissione esaminatrice, dopo aver letto l’elaborato relativo all’atto inter vivos e dopo aver deliberato di procedere alla lettura dell’atto mortis causa ha giudicato la ricorrente non idonea sul presupposto che quest’ultimo fosse “ gravemente insufficiente anche perché l’atto in più punti non realizza le finalità pratiche perseguite dal disponente …”.
Pertanto, la commissione ha deliberato di non procedere alla lettura dell’elaborato successivo, impedendo alla ricorrente di essere ammessa alla prova orale.
Avverso gli atti in epigrafe ha, quindi, proposto ricorso l’interessata deducendo i seguenti motivi:
1) violazione falsa applicazione del regio decreto 14 novembre 1926, n. 1953, come modificato dal regio decreto 22 dicembre 1932, n. 1728 e dal decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 166;violazione della legge 7 agosto 1990, n. 241;violazione dell’articolo 97 della Costituzione;irragionevolezza;eccesso di potere;difetto assoluto di motivazione.
La commissione nella seduta del 6 marzo 2012 ha elaborato criteri per la valutazione delle prove scritte, stabilendo che avrebbe proceduto ad una prima valutazione degli elaborati, tendente ad una verifica della sussistenza di nullità e/o di gravi insufficienze e, in seguito, ad una seconda valutazione degli elaborati fini della idoneità e quindi dell’ammissione dei candidati alle prove orali.
La commissione avrebbe disatteso tali criteri, procedendo erroneamente ad una valutazione unica, completa e approfondita degli elaborati, in tal modo omettendo di svolgere una prima valutazione degli atti, come previsto dall’articolo 11, comma 7, del decreto legislativo 166/2006.
L’atto mortis causa da compilare, infatti, non evidenzierebbe le nullità e/o gravi insufficienze contestate: in particolare, quanto al passaggio della traccia relativo ad un immobile sito al Terminillo, la ricorrente avrebbe rispettato la volontà del testatore, comodato sull’appartamento, prevedendo il termine di durata espresso nei seguenti termini: “secondo le seguenti modalità… ed entro il…”.
La commissione avrebbe giudicato idonei altri candidati che avrebbero utilizzato la stessa formula adottata dalla ricorrente.
L’istante, inoltre, avrebbe realizzato le diverse volontà del testatore riguardanti la necessità di assicurare un indennizzo al beneficiario del comodato nel caso di vendita dell’appartamento o cessazione del suo utilizzo (mediante la previsione di un legato di somma di denaro condizionato sospensivamente alla vendita del bene e dalla cessazione dell’utilizzo del medesimo), prospettando una soluzione analoga a quella di un altro candidato risultato idoneo.
Quanto all’ulteriore punto censurato dalla commissione, riguardante la necessità di liberare altro erede dal debito residuo per un mutuo ipotecario, l’istante avrebbe previsto un legato di liberazione dal debito ai sensi dell’articolo 658 del codice civile, preoccupandosi di regolare ogni possibile ipotesi al riguardo. Per quanto concerne la cancellazione del gravame ipotecario (richiesto dalla traccia della prova concorsuale), questa sarebbe in re ipsa, per cui non sarebbe stata necessaria alcuna precisazione nell’atto, atteso che il testatore non avrebbe potuto incidere in alcun modo su realizzarsi di tale evento.
E’ contestata l’ulteriore censura della commissione riguardante la mancata menzione, nello svolgimento, della donazione effettuata dal testatore in vita ad altro erede, che secondo l’organo di valutazione avrebbe dato la possibilità di ottenere la “riserva” in aggiunta all’oggetto della donazione, senza onere di imputazione. Secondo la ricorrente poiché nulla è detto nella traccia in ordine alla donazione ricevuta in vita, questa dovrebbe intendersi in conto di legittima, da imputare ai fini della determinazione della relativa quota e, quindi, nel quantum ad essa spettante, per cui la soluzione sarebbe coerente rispetto alla traccia.
Tale soluzione sarebbe stata prospettata da altro candidato risultato idoneo, per cui sussisterebbe disparità di trattamento.
La commissione non avrebbe indicato le ragioni per cui gli elaborati sarebbero affetti da nullità o grave insufficienza;
2) irragionevolezza;eccesso di potere;difetto assoluto di motivazione.
La commissione si sarebbe limitata a riportare sull’elaborato la mera indicazione di non idoneità, esplicitandone la motivazione nel verbale per cui non sussisterebbe alcuna certezza che la valutazione riportare nel verbale sia riferibile all’elaborati dall’elaborato della ricorrente.
Il Ministero intimato si è costituito in giudizio, eccependo, con memoria, l’inammissibilità dell’avversa impugnazione, che involgerebbe valutazioni di merito della Commissione, come tali insindacabili dal giudice amministrativo, nonché la sua infondatezza.
Alla pubblica udienza del 6 aprile 2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Con il primo motivo la ricorrente, dopo aver premesso che la commissione in occasione della prima riunione, ha individuato dei criteri di valutazione delle prove scritte, ai sensi art. 11 del d.lgs 166/2006, distinguendo tra una prima valutazione tendente solo ad una verifica della sussistenza di nullità o gravi insufficienze e, a seguito di tale primo esame, una seconda valutazione degli elaborati ai fini dell’idoneità, deduce che la stessa commissione avrebbe disatteso tali criteri procedendo ad una unica e approfondita valutazione, al termine del quale ha dichiarato la candidata non idonea, sebbene non abbia rinvenuto ipotesi di nullità e/o gravi insufficienze.
La tesi non convince.
L’art. 10, comma 2, del d.lgs. 24 aprile 2006, n. 166 stabilisce che la commissione, prima di iniziare la correzione, definisce i criteri che regolano la valutazione degli elaborati e l’ordine di correzione delle prove stesse.
Il successivo art. 11 in relazione alle modalità di correzione degli elaborati, dispone che ciascuna sottocommissione procede, collegialmente e nella medesima seduta, alla lettura dei temi di ciascun candidato, al fine di esprimere un giudizio complessivo di idoneità per l’ammissione alla prova orale. Al comma 2 si precisa che “ salvo il caso di cui al comma 7, ultimata la lettura dei tre elaborati, la sottocommissione delibera a maggioranza se il candidato merita l'idoneità ”, mentre il comma 7 stabilisce che “ nel caso in cui dalla lettura del primo o del secondo elaborato emergono nullità o gravi insufficienze, secondo i criteri definiti dalla commissione, ai sensi dell'articolo 10, comma 2, la sottocommissione dichiara non idoneo il candidato senza procedere alla lettura degli elaborati successivi ”.
Dagli atti di causa si evince che, ai sensi degli artt. 10, comma 2, e 11, comma 7, del d.lgs. 2006/166, nella seduta del 6 marzo 2012 (cfr. verbale n. 15) la Commissione, in primo luogo, ha proceduto ai sensi del comma 2 dell’art. 10 del d.lgs. 166/2006, ad individuare i criteri generali di correzione cui attenersi nella valutazione degli elaborati (la rispondenza dell’elaborato al contenuto della traccia;l’aderenza delle soluzioni adottate alle norme ed ai principi dell’ordinamento giuridico;la corrispondenza delle soluzioni all’interesse delle parti, quale manifestato al notaio dai contraenti e disponenti;la coerenza tra le soluzioni adottate e la relativa motivazione;l’adeguatezza delle tecniche redazionali, anche nella prospettiva della chiarezza espositiva dell’atto).
In secondo luogo ha definito le condizioni che avrebbero impedito di procedere alla lettura del secondo e/o del terzo elaborato ai sensi dell’art. 11, comma 7, stabilendo che il candidato sarebbe stato dichiarato non idoneo, quando anche da uno solo degli elaborati corretti fosse emersa:
- una nullità, formale o sostanziale, prevista dalla legge notarile, dal codice civile e dalle altre leggi dello Stato;
- una grave insufficienza sotto il profilo della errata interpretazione, ovvero travisamento della traccia, tale da far pervenire il candidato alla formulazione di un atto, o parte di esso, che non realizzi le finalità pratiche indicate dai contraenti o disponenti, o le realizzi attraverso un percorso non coerente con gli elementi di fatto espressi dalla traccia e/o con le valutazioni giuridiche implicate dagli stessi;
- nelle ipotesi di contraddittorietà tra le soluzioni adottate, ovvero tra esse o una di esse, e le ragioni di fatto e di diritto poste a base delle soluzioni medesime;
- la mancanza sostanziale di ragioni giustificative della soluzione adottata o delle argomentazioni logico-giuridiche a supporto dei ragionamenti svolti, ovvero mera casualità della soluzione adottata;- gravi carenze della parte teorica anche per omessa trattazione di parti qualificanti della medesima;- gravi violazioni di legge nella redazione dell’atto;
- gravi e non occasionali errori di grammatica o di sintassi.
In tal modo la Commissione ha individuato le ipotesi in cui sarebbe stato precluso, ai sensi dell’art. 11, comma 7, del d.lgs. n.166/2006 la correzione delle prove successive;ha individuato le situazioni che avrebbero consentito di individuare delle carenze ed imperfezioni valorizzabili solo a seguito dell’esame di tutti gli elaborati (e quindi di carattere non preclusivo), al fine di giungere ad un giudizio di non idoneità a seguito dell’esame complessivo degli elaborati, o, nelle situazione opposta, ad una valutazione positiva delle prove.
In tal modo, non solo i criteri adottati dalla commissione appaiono logici e coerenti con l’impianto del d.lgs. 166/2006, ma non si ravvisa nemmeno, nell’applicazione di tale criteri, una illegittima sovrapposizione tra i medesimi parametri di “correzione o valutazione delle prove” e i criteri di “esclusione” o impeditivi del passaggio alla lettura degli elaborati successivi (secondo e terzo) .
Ad ogni modo è, altresì, utile osservare che i criteri di valutazione e di esclusione sono strettamente correlati fra loro, atteso che la loro relazione è quella di una progressiva gradualità che consente di individuare, nell’ambito delle griglie di valutazione, elementi che sono immediatamente ostativi al giudizio di idoneità ed altri che, invece, consentono alla commissione di procedere alla progressiva lettura di tutti gli elaborati per trarne una valutazione complessiva finale di idoneità o non idoneità.
In tal modo di i criteri di esclusione (o impeditivi) costituiscono una specificazione dei criteri di correzione in attuazione della disciplina normativa sopra richiamata, in quanto individuano delle situazioni predeterminate che, in sede di lettura degli elaborati, consentono di esprimere un immediato giudizio di non inidoneità, determinando l’interruzione dell’esame degli ulteriori elaborati, nelle ipotesi in cui siano state individuate nullità o gravi insufficienze (nei termini sopra indicati) che rendono vana la prosecuzione dell’attività valutativa da parte della commissione.
In conclusione, contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente (secondo cui la Commissione avrebbe svolto un’unica valutazione invece di due), il medesimo organo di valutazione ha invero applicato i criteri elaborati alla luce delle richiamate disposizioni normative.
Con un ulteriore profilo di censura esposto nel primo motivo la ricorrente contesta la valutazione operata dalla Commissione.
La censura impone un esame preliminare dell'ambito entro il quale questo Giudice può esaminare la valutazione della commissione esaminatrice, ciò al fine di verificare l'ammissibilità delle censure sollevate avverso l'esercizio della discrezionalità valutativa, confluita nel giudizio negativo impugnato.
Le ampie osservazioni rappresentate dalla ricorrente si riferiscono, sotto diversi profili, al merito insindacabile delle scelte operate dalla Commissione, che doveva rendere comprensibili le ragioni e la completezza della disamina effettuata, anche discostandosi dai parametri ritenuti più idonei dalla istante, in quanto per la medesima più favorevoli.
In proposito, il Collegio non può non sottolineare che la pur rilevante evoluzione della giurisprudenza, in tema di riscontro di legittimità sugli atti discrezionali, deve talvolta arrestarsi in rapporto all’ampiezza dell’apprezzamento, rimesso alle Commissioni esaminatrici in un settore particolarmente delicato e complesso, come quello di cui si discute, sotto il profilo sia della legittimità dei parametri procedurali adottati, sia della congruità della valutazione finale.
E’ vero infatti che in ordine a detto apprezzamento – insindacabile nel merito – la cognizione del Giudice Amministrativo deve ritenersi piena (in conformità all’indirizzo giurisprudenziale formatosi a partire dalla decisione del Consiglio di Stato, sez. IV, 9.4.1999, n. 601, in cui si chiarisce come il sindacato giurisdizionale non possa essere limitato ad un esame estrinseco della valutazione discrezionale, secondo i noti parametri di logicità, congruità e completezza dell’istruttoria, dovendo invece l’oggetto del giudizio estendersi alla esatta valutazione del fatto, secondo i parametri della disciplina nella fattispecie applicabile);quanto sopra, tuttavia, senza prescindere dalla priorità che deve essere accordata alle scelte dell’Amministrazione, ove di tali scelte – pur opinabili – sia comunque pienamente comprensibile la logica interna, sulla base di circostanze di fatto non smentite da chi vi abbia interesse, o di mere affermazioni difensive, che non possono costituire di per sé principio di prova, su questioni scientificamente complesse.
In tale ottica – ed in applicazione del principio di effettività della tutela delle situazioni soggettive protette, rilevanti a livello comunitario (quale principio imposto anche dall’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, promossa dal Consiglio d’Europa nel 1950: cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, Albert et Le Compte c. Belgio, par. 29, 10 febbraio 1983 e Obermeier c. Austria, par 70, 28 giugno 1990) – se è vero che il Giudice non può esimersi dal valutare l’eventuale erroneità, o arbitrarietà, dell’apprezzamento dell’Amministrazione, è anche vero che il Giudice non può sostituirsi all’Amministrazione stessa nel puro apprezzamento di valore, sottostante a scelte discrezionali, come quelle di cui si discute nel caso di specie.
Tali scelte, come è noto, possono corrispondere alla cosiddetta discrezionalità amministrativa, ove si tratti di individuare la linea operativa più opportuna nel caso concreto, per il soddisfacimento dell’interesse pubblico (adeguatamente bilanciato con ogni altro interesse rilevante), ovvero a discrezionalità tecnica, quando l’esercizio del potere richieda non una valutazione di opportunità, ma l’esatta considerazione di un fatto secondo i parametri di determinate scienze o tecniche;in altri casi, infine, la discrezionalità può avere carattere misto, come nel caso dell’individuazione dei criteri selettivi in un pubblico concorso, trattandosi in tal caso di scegliere criteri idonei, affinchè gli organi competenti possano individuare i profili ritenuti ottimali, per la copertura del posto da assegnare. Il controllo del giudice, in presenza di apprezzamenti tecnicamente verificabili, può incidere su valutazioni che si pongano al di fuori dell'ambito di esattezza o attendibilità, quando non appaiano rispettati parametri tecnici di univoca lettura, ovvero orientamenti già oggetto di giurisprudenza consolidata, o di dottrina dominante in materia (cfr. anche, in termini, Consiglio di Stato, sez IV, 13 ottobre 2003, n. 6201);in situazioni corrispondenti alla prima ed alla terza tipologia di valutazione discrezionale, invece, il vizio funzionale può emergere solo sotto il profilo dell’arbitrarietà, quando la ragione delle scelte amministrative compiute non appaia logica e verificabile, di modo che sia impossibile valutare l’effettiva rispondenza della scelta stessa all’interesse pubblico, perseguito dalla norma attributiva del potere (in tal senso Cons. St., sez. VI, 17.1.2011, n. 229). L’inattendibilità del giudizio, in altre parole, dovrebbe essere di intuitiva evidenza (per palesi vizi logici o contraddittorietà: ad esempio, per formulazione di più osservazioni di segno opposto, o frutto di documentato travisamento della situazione di fatto);in assenza di incongruità di immediata percezione, invece, non può non ritenersi che fosse onere dell’interessato fornire ulteriori elementi di riscontro (documenti scientifici, o perizia tecnica di parte), atti a dimostrare non la possibilità di conclusioni diverse, ma la formulazione – da parte della commissione – di valutazioni non rispondenti ad oggettivi parametri della disciplina applicabile, così come generalmente conosciuta. Tali elementi non appaiono deducibili dagli atti di causa e non sorreggono, pertanto, le tesi difensive in esame.
Nella vicenda in esame è necessario ricordare, in primo luogo, le peculiarità di una procedura concorsuale, che investendo settori altamente specializzati della comunità scientifica non può sottostare a regole di verifica stringenti e restrittive.
Non si vede, pertanto, come il Collegio potrebbe addentrarsi in argomentazioni difensive, la cui premessa è l’attribuzione di una valutazione non commisurata alle soluzioni dei quesiti proposti dalla dottoressa Lanza.
I travisamenti e le illogicità, che l’istante procede minuziosamente a segnalare, in effetti, non fanno che proporre un diverso iter valutativo, rispetto a quello discrezionalmente posto in essere dalla Commissione.
Il giudizio di legittimità non può, infatti, trasmodare in un rifacimento, ad opera dell'adito organo di giustizia, del giudizio espresso dalla Commissione, con conseguente sostituzione alla stessa, potendo l'apprezzamento tecnico dell'organo collegiale essere sindacabile soltanto ove risulti macroscopicamente viziato da illogicità, irragionevolezza o arbitrarietà. Deve, pertanto, ritenersi infondata una censura che miri unicamente a proporre una diversa valutazione dell'elaborato, atteso che in tal modo verrebbe a giustapporsi alla valutazione di legittimità dell'operato della Commissione una - preclusa - cognizione del merito della questione.
Nel caso di specie non si ravvisano, nel giudizio della commissione, elementi sintomatici della manifesta illogicità e irragionevolezza e l'assenza del “travisamento dei fatti”, sotto forma di errore nella interpretazione della traccia di esame, invocato dalla ricorrente, per cui è precluso al Collegio di sindacare il merito della valutazione effettuata dalla Commissione, che peraltro, nella sua sinteticità, si rivela sufficientemente motivata, con riferimento ai criteri di valutazione dalla stessa predeterminati.
Del resto la ricorrente con le censure in argomento mira ad ottenere una riesame del proprio elaborato, alla luce delle diverse soluzioni alla tracce proposte dagli altri candidati che hanno superato le prove scritte.
L’interessata indirizza le proprie censure avverso i rilievi esposti dalla Commissione sugli elaborati in esame, contestando nel merito l’interpretazione della traccia svolta dal medesimo organismo, e le valutazioni dello stesso in ordine alle soluzioni individuate dalla stessa candidata.
Il Collegio, pertanto, non può esaminare le contestate valutazioni della Commissione, non trattandosi nella fattispecie dell'accertamento di un fatto o del rilievo di una manifesta illogicità valutativa, quanto piuttosto del compimento di un'attività valutativa e comparativa, dell'elaborato della candidata e dei rilievi della Commissione, preclusa a questo Giudice.
Non possono, pertanto, trovare favorevole considerazione in questa sede le censure che mirino a contestare le valutazioni della commissione proponendo una diversa lettura del contenuto delle prove oggetto di concorso: è evidente, invero, che in tal modo si chiede alla sede giurisdizionale di sovrapporsi alla valutazione di merito resa dalle commissioni esaminatrici.
Applicando alla fattispecie in esame tali consolidati canoni ermeneutici, e tenendo conto sia dell'opinabilità delle questioni giuridiche sottese ai quesiti, spesso articolati e complessi, che connotano le prove d'esame del concorso notarile, sia del rilievo che il giudizio sulle soluzioni offerte dal candidato è spesso condizionato in modo determinante dal percorso logico e dalle argomentazioni che le sostengono, nell'ambito di una più generale valutazione sulla completezza e la logica interna dell'elaborato, il Collegio non rinviene la possibilità di procedere a uno scrutinio delle singole affermazioni espresse dalla commissione in relazione agli aspetti della prova della ricorrente fatte oggetto di negativo apprezzamento, come proposto dalla stessa interessata.
Tali profili, si ribadisce, attengono infatti alla sfera di giudizio riservata alla piena discrezionalità della commissione, rispetto alla quale non è in alcun modo ammissibile la "sostituzione" dell'organo giurisdizionale, neanche in via mediata.
E sono le stesse ragioni da ultimo esposte che non permettono di conferire rilevanza neanche alla richiesta, pure avanzata dalla parte ricorrente, di confrontare il proprio elaborato con le soluzioni prospettate da altri candidati valutati come idonei.
Invero, applicando sulla base delle coordinate giurisprudenziali sopra citate, tale operazione sarebbe possibile soltanto nell'ipotesi di un'assoluta identità degli elaborati da confrontare (cfr. Tar Lazio, Roma, I, 12 aprile 2012, n. 3339), che nella specie non si configura.
Peraltro, come eccepito dall’Amministrazione, l’istante fonda la dedotta disparità di trattamento su un paragone non corretto, in quanto propone un paragone non tra due giudizi integralmente considerati, ma tra segmenti di un giudizio più ampio e complesso e isolati riscontri nelle prove di altri candidati, senza tener conto del fatto che nelle valutazioni di natura complessiva, come quelle in esame, è l’insieme degli errori nella loro globalità ad essere valutato e posto in relazione al tenore complessivo tenore degli atti al fine di individuare un possibile equilibrio. Inoltre, l’istante confronta rilievi non del tutto sovrapponibili, senza considerare che una insufficienza può dipendere dalla intensità, ripetitività e dal contesto dell’elaborato in cui è stata individuata.
Deve essere disatteso anche il secondo mezzo con il quale è dedotto che la Commissione si sarebbe limitata a riportare sull’elaborato la semplice dicitura “non idoneo”, indicando la relativa motivazione nel verbale, il che impedirebbe di riferire con certezza la valutazione riportata nel verbale alle prove della ricorrente.
L’art. 11 comma 6 del d.lgs. 166/2006, prevede che il segretario annoti la votazione complessiva “o la motivazione, facendola risultare dal processo verbale, per ciascun elaborato”. La norma, quindi, è chiara nel prevedere che la le ragioni del giudizio debbano essere riportate nel verbale, per cui in calce all’elaborato è indicato soltanto il giudizio di non idoneità.
Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere respinto.
Quanto alle spese di giudizio, in considerazione della particolarità della vicenda contenziosa, può disporsene l'integrale compensazione fra le parti costituite.