TAR Firenze, sez. II, sentenza 2019-09-05, n. 201901213

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Firenze, sez. II, sentenza 2019-09-05, n. 201901213
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Firenze
Numero : 201901213
Data del deposito : 5 settembre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 05/09/2019

N. 01213/2019 REG.PROV.COLL.

N. 01116/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1116 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da
H s.p.a. in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati N G e C C, con domicilio eletto presso il primo in Firenze, via Vittorio Alfieri 19;

contro

il Parco Regionale delle Alpi Apuane in persona del Presidente pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato F C, con domicilio eletto presso l’Avvocatura della Regione Toscana in Firenze, piazza dell'Unità Italiana 1;
la Regione Toscana in persona del Presidente pro tempore ed i Comuni di Stazzema e Seravezza in persona del rispettivi Sindaci pro tempore , non costituiti in giudizio;

per l'annullamento

con il ricorso principale

- della deliberazione del Consiglio Direttivo del Parco Regionale delle Alpi Apuane n. 16 del 23.04.2013, pubblicata all'albo pretorio dal 9 maggio 2013 al 24 maggio 2013 (divenuta esecutiva il 19 maggio 2013 ex art. 134 comma 3 T.U. Enti Locali), avente ad oggetto "approvazione di norme integrative all'Atto generale di indirizzo per le attività di settore Uffici Tecnici, relativi ad interventi di recupero ambientale e funzionale di cave dismesse";

- di tutti gli atti presupposti, prodromici, consequenziali, comunque collegati e/o connessi anche se non conosciuti ed, in particolare, dell'Allegato “A” alla delibera impugnata, parte integrante della stessa, nelle parti lesive e cioè quanto al paragrafo dal titolo "condizioni e requisiti generali di ammissibilità" e quanto al paragrafo dal titolo "requisiti della documentazione da allegare alla domanda di autorizzazione";

con ricorso per motivi aggiunti depositato il 29 gennaio 2014

- della deliberazione del Consiglio Direttivo del Parco regionale delle Alpi Apuane n. 35 del 26.9.2013, pubblicata all’albo pretorio dal 25.10.2013 al 30.10.2013 e divenuta esecutiva il 4.11.2013, avente ad oggetto “piano per il parco – stralcio attività estrattive. Approvazione delle strategie di piano e delle direttive da impartire al soggetto incaricato della sua redazione”;

- di tutti gli atti presupposti, prodromici, consequenziali e comunque collegati o connessi anche se non conosciuti e, in particolare, l’avvio del procedimento per la formazione del piano per il parco – stralcio attività estrattive di cui alla deliberazione del Consiglio Direttivo 28 del 19 luglio 2013 nonché i documenti recepiti nella deliberazione impugnata e precisamente: la Relazione programmatica per l’avvio della formazione del piano-stralcio attività estrattive;
la documentazione dell’Allegato attività estrattive del 2002 (approvato con deliberazione del Consiglio Direttivo n. 27 del 23 luglio 2002) e il documento del Direttore del Parco del febbraio 2010 “la pianificazione delle attività di cava nel parco: lo stato dell’arte e le questioni aperte”.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Parco Regionale delle Alpi Apuane;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 luglio 2019 il dott. A C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. L’impresa H s.r.l. è proprietaria di diversi agri marmiferi siti nel “Monte Altissimo” delle Alpi Apuane. Avendo rilevato, nel corso di un’indagine, l’esistenza di importanti giacimenti inattivi ha manifestato al Parco Regionale delle Alpi Apuane (nel seguito: “Parco”) e al Comune di Serravezza, interessati il primo dalla procedura di adozione del piano per il parco e il secondo da quella per l’adozione del regolamento urbanistico, la volontà di riattivare cave dismesse per le quali la disciplina posta dalla Legge della Regione Toscana 3 novembre 1998, n. 78, e dalla deliberazione della Giunta Regionale Toscana 11 febbraio 2002, n. 138, consentiva una forma controllata di valorizzazione mediante recupero ambientale e funzionale con possibilità di estrarre e commercializzare il 30% della risorsa originariamente escavata.

Il Consiglio Direttivo del Parco, con deliberazione 23 aprile 2013, n. 16, ha successivamente approvato alcune norme integrative in materia di interventi di recupero ambientale e funzionale di cave dismesse e il provvedimento è stato impugnato dall’impresa H s.r.l. con ricorso notificato il 18 luglio 2013 e depositato il 31 luglio 2013, lamentando violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili in quanto introdurrebbe una disciplina ostativa al risanamento ambientale delle cave, escludendo in particolare venti cave dismesse site nei comuni di Stazzema e Serravezza.

Si è costituito il Parco eccependo l’inammissibilità e chiedendo, comunque, la reiezione del ricorso nel merito.

2. Con motivi aggiunti notificati il 30 dicembre 2013 e depositati il 29 gennaio 2014 l’impresa H ha poi impugnato la deliberazione del Consiglio Direttivo del Parco 26 settembre 2013, n. 35, con cui sono state approvate strategie e direttive per il soggetto incaricato della redazione del piano per il parco-stralcio attività estrattive.

All’udienza del 9 luglio 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Con il ricorso principale è impugnato l’epigrafato provvedimento con cui il Parco ha approvato norme integrative in tema di recupero ambientale e funzionale di cave dismesse. L’impugnazione è circoscritta ai paragrafi contenenti “condizioni e requisiti generali di ammissibilità” e “requisiti della documentazione da allegare alla domanda di autorizzazione”.

Con primo motivo la ricorrente lamenta che l’atto di indirizzo porrebbe una nuova perimetrazione delle aree interessate dalla normativa sui piani di recupero ambientale e funzionale per cave dismesse, escludendo dal perimetro quelle situate sopra 1.100 metri sul livello del mare;
quelle che necessitano di nuove strade e quelle che presentano una situazione di avvenuta rinaturalizzazione. Queste misure restrittive ostano al rilascio dell’autorizzazione al recupero delle aree e sarebbero state adottate da organi non competenti, poiché il Consiglio Direttivo del Parco difetterebbe del relativo potere che la legge quadro nazionale sulle aree protette 6 dicembre 1991, n. 394, attribuirebbe alla Regione. Questo ente, e non il Parco, avrebbe il potere di determinare i confini delle aree contigue mentre al Parco, in materia, sarebbe riservato un ruolo collaborativo e concertativo.

La Legge della Regione Toscana 11 agosto 1997, n. 65, secondo la ricorrente attribuirebbe al Parco i compiti di tutelare i valori naturali e ambientali nell’area perimetrata dalla stessa fonte normativa e di individuare, attraverso la procedura di formazione del piano, i perimetri entro cui consentire l’esercizio di attività estrattive tradizionali, considerando queste zone come parte dell’area contigua della zona a parco. La perimetrazione dei confini delle zone interne all’area contigua entro cui esercitare attività estrattiva sarebbe demandata al piano per il parco e fino al momento in cui questo strumento non é approvato, il Parco non potrebbe con propria deliberazione identificare autonomamente alcun confine o perimetro né modificare quelli esistenti e ratificati dalla legge. Non sarebbe nemmeno consentito introdurre criteri ostativi al rilascio dei titoli per l’escavazione connessa al recupero ambientale di cave dismesse.

Anche la L.R. n. 78/1998 attribuirebbe alla Regione, e non al Parco, la competenza a stabilire indirizzi ed obiettivi per l’attività di pianificazione in materia di recupero delle aree di escavazione.

Con secondo motivo la ricorrente si duole che l’atto impugnato sarebbe in realtà finalizzato ad introdurre una riperimetrazione delle cave dismesse suscettibili di recupero ambientale e funzionale. Il Parco avrebbe così posto un nuovo criterio ostativo senza consultazione dei soggetti pubblici e privati interessati, violando così il principio di partecipazione che caratterizza la formazione del piano e del regolamento del parco. Entrambi gli strumenti prevedono infatti la partecipazione attiva degli enti e il parere vincolante della Regione Toscana.

Con terzo motivo lamenta che le prescrizioni impugnate contrasterebbero con le norme regionali in materia di recupero di cave dismesse poiché l’articolo 4 della L.R. 78/1998 prevederebbe che nel Piano Regionale delle Attività Estrattive (PRAER) siano indicate modalità di incentivazione per il recupero delle aree dismesse.

Con quarto motivo si duole dell’illegittimità dei criteri ostativi al recupero ambientale delle cave poiché né la previsione di un limite altimetrico di 1.100 metri sul livello del mare, né quello riferito all’esigenza di una viabilità in buono stato manutentivo sono oggetto di alcuna motivazione e non offrirebbero ragione del sacrificio imposto alla proprietà privata.

Con quinto motivo contesta la previsione dell’obbligo di prestare una fideiussione a favore del Parco, in aggiunta a quella a favore del Comune prevista dall’articolo 15, comma 2, della L.R. 78/1998. A dire della ricorrente si tratterebbe di un illegittimo aggravio del procedimento e, inoltre, la disposizione violerebbe il principio di cui all’articolo 23 Cost. secondo cui alcuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.

Con sesto motivo ricorda che l’atto impugnato attribuisce ad una commissione interna del Parco il compito di attestare il riconoscimento dell’alto livello di qualità ambientale paesaggistica della cava. Il riconoscimento esclude l’ammissibilità dell’autorizzazione al piano di recupero ambientale e funzionale e a dire della ricorrente, la commissione opererebbe in assoluta discrezionalità sfociante in arbitrio, avendo possibilità di eliminare il diritto del privato senza che alcuna norma, neanche regolamentare, preveda tale potere.

2. Con il ricorso per motivi aggiunti è impugnata la deliberazione del Consiglio Direttivo del Parco 26 settembre 2013, n. 35, con cui sono state approvate strategie e direttive per il soggetto incaricato della redazione del piano per il parco-stralcio attività estrattive.

Con primo motivo lamenta che il Parco, invece di dare avvio al nuovo procedimento pianificatorio in base alla Legge urbanistica della Regione Toscana 3 gennaio 2005, n. 1, ha disposto che il piano venga elaborato facendo riferimento allo studio effettuato dal Direttore del Parco nell’anno 2010;
alla documentazione di cui all’allegato Attività Estrattive e relative norme tecniche attuative e alla cartografia del piano per il parco dell’anno 2002. Quest’ultima apparterebbe ad un quadro conoscitivo datato, mentre la relazione del Direttore del Parco è uno strumento conoscitivo non previsto tra quelli tipici dell’attività pianificatoria in base alla L.R. n. 1/2005. Non sarebbe stata attribuita rilevanza a dati obiettivi e imprescindibili quali la situazione del mercato lapideo, in costante crescita dal 2009 al 2013;
il numero e l’estensione delle cave autorizzate negli ultimi dieci anni;
gli esiti di studi eseguiti dalla Regione Toscana con l’ausilio dell’Università di Siena;
la previsione delle quantità di materiale estraibile indicate nel P.R.A.E.R. e nel Piano delle Attività Estrattive di Recupero delle Aree Escavate Provinciale (P.A.E.R.P.) e le nuove tecnologie già utilizzate e volte al miglior sfruttamento delle risorse.

Con secondo motivo deduce incompetenza del Parco alla perimetrazione delle aree contigue in cui è consentita l’escavazione per le stesse ragioni esposte nel primo motivo del ricorso principale.

Con terzo motivo lamenta che il Parco abbia introdotto criteri ostativi all’attività estrattiva in assenza di base normativa con la suddivisione delle zone contigue in tipologie non previste dalla legge.

Con quarto motivo contesta la previsione secondo la quale il Parco, nell’esercizio dei poteri di pianificazione nel piano stralcio per le attività estrattive, determini un tetto annuale estrattivo totale per le aree contigue. In tal modo, a suo dire, il Parco si sostituirebbe non solo alle determinazioni regionali del P.R.A.E.R. ma anche ai poteri comunali di rilascio delle autorizzazioni all’escavazione.

Con quinto motivo lamenta che la deliberazione impugnata introdurrebbe criteri ostativi allo sviluppo dell’attività estrattiva senza alcuna motivazione.

3. La difesa del Parco formula diverse eccezioni preliminari.

Con riferimento al ricorso principale eccepisce che l’annullamento della deliberazione impugnata non farebbe venir meno la condizione ostativa, contestata dalla ricorrente, per la quale “gli interventi di recupero ambientale e funzionale di cave dismesse, laddove prevedano attività estrattiva, non sono ammissibili nel caso in cui per la loro attuazione sia necessario prevedere la realizzazione di nuove infrastrutture viarie o la modifica sostanziale di quelle esistenti”: questa condizione infatti è stata riproposta con il Piano di Indirizzo Territoriale (PIT) approvato con deliberazione del Consiglio Regionale toscano 27 marzo 2015, n. 37. Il ricorso, per questa parte, sarebbe quindi improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

Quanto alla condizione secondo la quale “negli interventi di recupero ambientale e funzionale di cave dismesse, le attività estrattive non sono ammissibili al di sopra della quota di 1.100 metri s.l.m.”, la difesa regionale eccepisce che all’art. 9, comma 3, lett. b), dell’ Elaborato 8B - Disciplina dei beni paesaggistici del PIT è previsto che “salvo quanto previsto dalla lettera e) per i Bacini delle Alpi Apuane, non è ammessa l’apertura di nuove cave e miniere, né è ammesso l’ampliamento di quelle autorizzate”. Anche sotto questo profilo il ricorso principale sarebbe improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

Il ricorso principale sarebbe poi inammissibile con riferimento alla condizione per la quale “gli interventi di recupero ambientale e funzionale di cave dismesse, laddove prevedano attività estrattiva, non sono ammissibili nel caso in cui ricadano all’interno di siti in cui l’opera spontanea di rinaturalizzazione ha raggiunto alti e riconosciuti livelli di qualità ambientale e paesaggistica. Il riconoscimento dell’alto livello di qualità ambientale e paesaggistica viene attestato da una valutazione congiunta della Commissione tecnica del Nulla Osta e della Commissione della Valutazione di Incidenza del Parco”. Questa infatti sarebbe una mera precisazione di quanto deve essere valutato in sede di rilascio del nulla osta a nuove attività estrattive, anche in considerazione dell’art. 142, comma 1, lett d), del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.

La previsione poi dell’attivazione di una polizza fideiussoria a garanzia dell’effettiva realizzazione dell’opera di recupero era prevista dal combinato disposto degli artt. 12, comma 2, lett. d) e f) e 15 della, allora vigente, L.R. n. 1/1978.

La Regione contesta anche che i siti di cava oggetto di interesse da parte della ricorrente non verrebbero incisi della deliberazione impugnata.

Nel merito, replica puntualmente alle deduzioni della ricorrente.

Quanto al ricorso per motivi aggiunti, ne eccepisce l’irricevibilità e l’inammissibilità per carenza di interesse anzitutto poiché l’avvio del processo di formazione del piano per il parco – stralcio attività estrattive è avvenuto con la delibera n. 28/2013 che non sarebbe stata impugnata nei termini e, comunque, la delibera n. 35/2013 non produrrebbe alcuna lesione concreta ed attuale. Inoltre il suo annullamento non potrebbe spiegare effetti sulla deliberazione del Consiglio Direttivo del Parco n. 9/2015 con cui è stato avviato il procedimento di formazione del piano stralcio delle aree estrattive. Peraltro gli atti impugnati non avrebbero alcun contenuto provvedimentale e comunque non comporterebbero alcun danno alla ricorrente, la quale ammette di essere titolare di cave sospese o inattive. Da tanto discenderebbe anche il difetto di legittimazione passiva del Parco.

Nel merito, la difesa del Parco replica puntualmente alle deduzioni della ricorrente.

4. Il ricorso principale è infondato e deve essere respinto.

4.1 Il primo e il secondo motivo sono privi di fondamento poiché il Parco, con la deliberazione impugnata, non ha effettuato una nuova perimetrazione delle aree estrattive ma ha disciplinato alcune condizioni di ammissibilità degli interventi di recupero all’interno delle aree contigue, e non di cava, come delimitate dalla L.R. n. 65/97, all’interno delle quali vige il divieto di estrazione. Il potere del Parco di dettare tali condizioni si rinviene nell’articolo 31 di questa legge regionale in base al quale esso, fino all’approvazione del piano del parco, nel rilasciare il nulla osta necessario per ottenere i titoli abilitativi ed autorizzatori ad interventi nelle aree soggette a pianificazione deve verificare che l’estrazione del materiale lapideo e la risistemazione ambientale siano realizzati in modo uniforme in tutti i perimetri risultanti dalla cartografia allegata alla medesima legge (comma 7). Il motivo non coglie nel segno poiché parte da un errato presupposto, ovvero che il Parco abbia inteso riperimetrare le aree disciplinate dalla normativa sui piani di recupero ambientale funzionali per cave dismesse ed è quindi inconferente: come correttamente replica la difesa regionale, la necessità di garantire coerenza alle modalità estrattive e di risistemazione implica che il Parco abbia il potere di dettare i relativi indirizzi alle strutture competenti al rilascio dei nulla osta. Il Parco non ha innovato nulla rispetto alla normativa vigente ma si è limitato a fornire indirizzi operativi per il rilascio di questi provvedimenti al fine di garantire coerenza nelle modalità estrattive di risistemazione in aree in cui l’estrazione di materiale è vietata, e tanto rientra nelle sue attribuzioni.

4.2 Il terzo motivo è infondato poiché il P.R.A.E.R. e la delibera giuntale n. 138/2002 dettano norme generali sulle cave e sul loro ripristino che devono necessariamente essere integrate con le peculiari finalità di tutela proprie del Parco. L’art. 4, L.R. n. 78/1998, al comma 2, lett. f) comprende, tra gli elementi essenziali del Piano anche l’incentivazione del recupero delle cave dismesse o in abbandono ma questo non comporta il venir meno del potere del Parco di dettare, a tutela dei valori ambientali (attività costituente la sua mission ), specifiche prescrizioni in materia.

4.3 Il quarto motivo deve a sua volta essere respinto poiché per nozione di comune esperienza, nel caso in cui sia necessario realizzare una nuova infrastruttura per un intervento di recupero ambientale, ebbene l’impatto di essa può essere superiore al vantaggio ambientale conseguente alla rinaturalizzazione.

Ove poi sia già stato raggiunto un adeguato livello di rinaturalizzazione nell’ambito di un sito di cava dismesso, come attestato dalle Commissioni tecniche del Parco, non vi è ragione alcuna di effettuare un intervento umano a tal scopo.

Il divieto infine di svolgere attività estrattiva per recupero ambientale di cave al di sopra dei 1.100 metri s.l.m. trova logica ragione nella necessità di tutelare un ambiente delicato al di sopra di una certa quota, e non appare irragionevole né sproporzionato.

Le previsioni tutte, in ultima analisi, appaiono logiche e ragionevoli in un contesto nel quale la tutela della proprietà privata deve essere bilanciata e conformata con le esigenze di tutela dell’interesse collettivo al mantenimento dell’ambiente.

4.4 Con il quinto motivo la ricorrente contesta l’obbligo di prestare garanzia fideiussoria a favore del Parco, che aggraverebbe ingiustificatamente il procedimento e violerebbe il principio di cui all’articolo 23 Cost.

Il motivo è infondato poiché la prestazione di garanzia trova logica motivazione nell’esigenza di garantire l’effettiva realizzazione delle opere di recupero, e correlativamente il sacrificio del privato trova compensazione nella possibilità di estrarre e commercializzare materiale di cava.

4.5 Il sesto motivo è privo di fondamento poiché le commissioni tecniche del Parco non sono chiamate ad esprimersi secondo il proprio arbitrio ma in base ai criteri indicati dall’allegato A all’impugnata deliberazione, e precisamente la presenza nel sito oggetto dell’intervento di indicatori biologici, di emergenza ambientale, di habitat e di attività soggetta tutela e conservazione. Il provvedimento impugnato introduce criteri atti a delimitare e circoscrivere la discrezionalità delle commissioni tecniche del Parco e tanto è sufficiente ad escludere che questo, tramite dette commissioni, possa decidere secondo arbitrio nella materia in esame.

5. Il ricorso per motivi aggiunti deve essere dichiarato inammissibile poiché è diretto avverso un atto qualificabile come preparatorio rispetto al provvedimento finale. Esso detta direttive al soggetto incaricato della predisposizione dello stralcio “attività estrattive” del piano del Parco e in quest’ambito endoprocedimentale esaurisce la sua vincolatività. Trattasi di effetto interno al procedimento senza alcuna lesività esterna, come già ritenuto dalla Sezione con sentenza 21 marzo 2019, n. 406.

Il provvedimento impugnato con il ricorso per motivi aggiunti non esplica alcun effetto esterno e nemmeno assume effetto vincolante nei confronti del provvedimento finale, sicché non è in grado di determinarne puntualmente contenuto. Le direttive che esso pone ben possono essere modificate nel corso del procedimento, in base agli apporti forniti dai soggetti chiamati a parteciparvi. Eventuali effetti lesivi potranno derivare unicamente dal provvedimento finale che è il solo idoneo ad incidere nella sfera giuridica degli interessati. E’ dunque su quest’ultimo che si concentra l’interesse ad agire della ricorrente.

Nel diritto processuale amministrativo l’interesse ad agire si qualifica nei termini di una lesione attuale, oppure futura ma certa, e di un vantaggio derivante al ricorrente dall’accoglimento del gravame. Nel caso di specie non è possibile predicare, allo stato, quale sarà il contenuto del provvedimento finale poiché le direttive poste con l’atto in questa sede impugnato non hanno un contenuto (ancora) definitivo e non esplicano effetti vincolanti sul contenuto del provvedimento finale, esaurendo la loro efficacia in ambito endoprocedimentale. Solo con la loro concreta (ed eventuale) attuazione mediante recepimento nell’atto finale potrà valutarsi la sussistenza di un danno attuale alla ricorrente e di un vantaggio a lei derivante dall’accoglimento del ricorso, ma allo stato essa è priva di interesse ad agire. Pertanto il ricorso per motivi aggiunti deve essere dichiarato inammissibile.

6. In conclusione, il ricorso principale deve essere respinto e il ricorso per motivi aggiunti deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese processuali vengono tuttavia compensate in ragione della novità, all’epoca dei fatti di causa, della normativa applicata.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi