TAR Roma, sez. 1S, sentenza 2023-02-17, n. 202302854

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1S, sentenza 2023-02-17, n. 202302854
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202302854
Data del deposito : 17 febbraio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/02/2023

N. 02854/2023 REG.PROV.COLL.

N. 01037/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Stralcio)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1037 del 2017, proposto da Hera S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati F I, F S e A N, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio materiale in Roma, via Pinciana 25;

contro

Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Federazione delle Associazioni Nazionali dell'Industria Meccanica Varia e Affine - Anima, Associazione Costruttori Italiani Strumenti di Misura - Acism, non costituiti in giudizio;

per l'annullamento:

- del provvedimento n. 26251 del 23.11.2016, adottato a conclusione del procedimento RP1 (‘Hera-Affidamenti gruppi misura gas/Termini di pagamento') e notificato a mezzo P.E.C. il 7.12.2016 (“Provvedimento finale”, doc. 1) con il quale l'Autorità ha accertato che Hera “ha posto in essere un abuso di dipendenza economica ai sensi dell'articolo 9, comma 3 bis, della legge 18 giugno 1998, n. 192, consistente nella violazione diffusa e reiterata della disciplina di cui al Decreto Legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, come modificato dal Decreto Legislativo 9 novembre 2012, n. 192” ed ha irrogato ad Hera una sanzione d'importo pari a 800.000 euro;

nonché di ogni atto dell'Autorità presupposto, successivo o comunque connesso al Provvedimento finale, in particolare:

- il provvedimento n. 25918 del 9.3.2016 con cui l'Autorità ha avviato il procedimento RP1 nei confronti di Hera (doc. 2);

- il provvedimento del 4.8.2016, recante rigetto delle “istanze di autotutela e di chiarimenti in merito alle condizioni e ai termini di presentazione degli impegni” (doc. 3);

- la Comunicazione delle Risultanze Istruttorie (“CRI”) del procedimento RP1, il cui invio è stato autorizzato con provvedimento del 14.9.2016 (doc. 4);

- il provvedimento del 14.9.2016 recante proroga al 30.11.2016 del termine di conclusione del procedimento RP1 (doc. 5);

il provvedimento del 29.9.2016 recante rigetto degli impegni di Hera (doc. 6).


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 25 novembre 2022 il dott. F M T e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.La società ricorrente ha impugnato il provvedimento sanzionatorio indicato in epigrafe, con il quale l’Antitrust, all’esito del procedimento avviato con atto n.25918/2016, ha accertato la realizzazione, da parte dell’istante, di una condotta anticoncorrenziale integrante un abuso di dipendenza economica, consistente nella imposizione di clausole contenenti termini di pagamento ultralegali ai danni delle imprese indicate in atti e sfruttando la posizione di dominanza in qualità di stazione appaltante nel mercato della fornitura di prodotti e servizi funzionali alla distribuzione del gas.

L’istante ha lamentato l’illegittimità dell’atto, articolando specifici motivi di diritto ed instando per l’annullamento della sanzione.

Si è costituita l’Autorità intimata, contestando il ricorso e chiedendone il rigetto, a mezzo di ampie deduzioni difensive.

La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza di smaltimento dell’arretrato del 25 novembre 2022.

2. Il ricorso è infondato.

3. Vale ricordare che il procedimento esitato nel provvedimento impugnato ha avuto inizio in data 3 marzo 2016, all’esito di diverse segnalazioni pervenute da parte della Federazione delle Associazioni Nazionali dell’Industria Meccanica.

Veniva infatti notificato alla società istante l’avvio dell’istruttoria avente ad oggetto la violazione, reiterata e diffusa, della disciplina di cui al d. lgs. 231/2002, come modificato dal d.lgs. 192/2012, recante la normativa sui termini di pagamento nelle transazioni commerciali. L’avvio del procedimento è stato preceduto da congrua istruttoria, con richiesta di informazioni, acquisizione di documentazione e audizione dei rappresentanti della società segnalata. L’attività istruttoria ha evidenziato la predisposizione, da parte della ricorrente, di documentazione relativa alle procedure di gara per la fornitura di servizi e prodotti funzionali alla distribuzione del gas, contenente clausole (imposte unilateralmente) con previsione di termini di pagamento a 120 giorni dalla cd “fattura fine mese”. In particolare i termini di pagamento, così dilatati, venivano riportati nei contratti predisposti dalla stazione appaltante nell’ambito delle varie procedure di gara del riferito mercato.

Vale anche ricordare che l’articolo 9, comma 3 bis, della legge 18 giugno 1998 n.192, recante la disciplina della subfornitura, prevede che «Ferma restando l'eventuale applicazione dell'articolo 3 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato può, qualora ravvisi che un abuso di dipendenza economica abbia rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato, anche su segnalazione di terzi ed a seguito dell'attivazione dei propri poteri di indagine ed esperimento dell'istruttoria, procedere alle diffide e sanzioni previste dall'articolo 15 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, nei confronti dell'impresa o delle imprese che abbiano commesso detto abuso. In caso di violazione diffusa e reiterata della disciplina di cui al Decreto Legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, posta in essere ai danni delle imprese, con particolare riferimento a quelle piccole e medie, l'abuso si configura a prescindere dall'accertamento della dipendenza economica».

L’Autorità, pertanto, avviava l’istruttoria de qua, onde accertare se le descritte condotte potessero configurare effettivamente un abuso di dipendenza economica consistente nella violazione diffusa e reiterata della disciplina di cui al predetto d. lgs. 231/2002.

Al termine dell’istruttoria, l’Antitrust si determinava nei sensi del provvedimento gravato, che la ricorrente ha contestato sotto i profili: - del mancato rispetto del diritto di difesa;
- della tardività dell’azione amministrativa;
- della carenza di potere dell’Autorità in ordine alla fattispecie ascritta e della insussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie.

Ciò precisato va poi ricordato, sul piano della disciplina normativa, che la ratio del d. lgs. 231/2002 è quella di evitare l’imposizione, in qualsivoglia modo ovvero per prassi o per via negoziale, di termini di pagamento, i quali determinino uno squilibrio economico del mercato ed in particolare uno squilibrio finanziario a danno delle imprese fornitrici di beni e servizi. D’altra parte il legislatore europeo ha emanato, come noto, una serie di norme di contrasto all’adozione di termini di pagamento eccessivi nonché di contrasto al fenomeno dei pagamenti costantemente tardivi, pregiudizievoli della parte debole della catena contrattuale. Ciò ha portato al recepimento delle direttive 2000/35/CE e 2011/7/UE, per mezzo del decreto legislativo surriferito, così stabilendosi un termine massimo per il pagamento delle transazioni commerciali tra privati di 30 giorni, con la possibilità di una suo allungamento a 60 giorni, nei casi in cui la parte debitrice sia una pubblica amministrazione e con ulteriore possibilità di diversa pattuizione espressa per iscritto (nei limiti in cui i termini convenzionalmente stabiliti non siano comunque iniqui per il creditore). La sanzione per ogni clausola che preveda termini diversi e più lunghi è, come noto, quella della nullità della clausola stessa.

4.Tanto ricordato sul piano del quadro normativo di riferimento, il Collegio rileva l’infondatezza di tutte le doglianze esposte ricorso.

5. Quanto alla dedotta tardività dell’avvio del procedimento, vale rinviare, anche ai sensi dell’articolo 74, comma 4, del codice di rito, alla giurisprudenza recente della Sezione (sentenza n. 148/2022), la quale ha opinato nel senso della inapplicabilità dell’articolo 14 della legge 689/1981 ai procedimenti di competenza dell’Antitrust.

In ogni caso, quand’anche si ritenesse che l’articolo 14 della riferita legge sia applicabile al procedimento di cui si verte, deve convenirsi con quanto ritenuto da altra giurisprudenza della Sezione (v. sentenza 125/2023), laddove ha osservato che il termine di 90 giorni previsto dalla disposizione non può che decorrere, anche nella fase preistruttoria, dal momento in cui l’Autorità ha a disposizione tutti gli elementi per poter rappresentarsi la configurabilità della potenziale violazione e dunque dal momento in cui l’Antitrust ha una chiara ed esaustiva contezza degli elementi costitutivi del potenziale illecito ovvero della potenziale pratica scorretta.

Solo laddove vi sia un irragionevole prolungamento della fase preistruttoria, nella quale l’Autorità rimanga colposamente inerte pur avendo a disposizione tutti gli elementi per poter notificare l’avvio del procedimento, può ravvisarsi una tardività dell’azione amministrativa ed una decadenza dall’esercizio del relativo potere.

Tanto precisato, il Collegio reputa che tale ultima evenienza non si è verificata nel caso di specie. Infatti, la fase preistruttoria è stata particolarmente complessa e si è svolta mediante accertamenti graduali e condotti a più riprese, la cui consistenza indiziaria si è via via più consolidata, all’esito dei vari accertamenti condotti progressivamente dall’Autorità. Le prime segnalazioni pervenute dagli operatori del settore non erano più che mere denunce, ancora prive di un qualsivoglia riscontro probatorio, le quali necessitavano di una continuata e capillare verifica, anche mediante un monitoraggio continuo teso a riscontrare la congruenza delle rappresentate contestazioni. Il riferito quadro probatorio si è più nitidamente delineato solo nel corso del 2016, all’esito del contraddittorio con la ricorrente e del deposito delle memorie difensive.

E’ dunque perfettamente ragionevole ritenere che l’Autorità (la quale, si ricordi, ha l’onere di accertare anche fatti favorevoli e a discolpa del potenziale sanzionato) abbia avuto sufficientemente chiara la possibile integrazione degli elementi costitutivi della condotta de qua solo al termine dell’anno 2016, determinandosi poi, nei sensi del provvedimento gravato, nel novembre del riferito anno.

Il primo motivo di gravame è dunque infondato.

6. Sotto altro profilo, non può essere condivisa la doglianza, con cui l’istante lamenta la violazione dei propri diritti di difesa.

Va condiviso quanto dedotto dalla difesa erariale, laddove osserva che nel caso di specie sussistevano tutti gli elementi idonei a giustificare un approfondimento istruttorio ai sensi dell’art. 9, comma 3 bis, della legge 192/1998 e dell’art. 14 della Legge 287/1990. L’Autorità ha logicamente ritenuto di acquisire ulteriori elementi che supportassero la contestazione. Né può dirsi che la ricorrente sia stata privata delle garanzie procedurali minime. Il Collegio osserva che, in primo luogo, la ricorrente ha potuto esercitare, in concreto, tutte le prerogative di difesa, tra le quali l’accesso al fascicolo, il diritto a ricevere la comunicazione delle risultanze istruttorie, il diritto a presentare impegni e il diritto ad essere sentita in audizione. Ne deriva che ogni eventuale irregolarità ravvisabile nella gestione del procedimento non potrebbe essere che una irregolarità meramente formale, che non ha causato alcuna illegittimità sostanziale nel contenuto del provvedimento finale. In ogni caso, deve anche rilevarsi come l’Antitrust abbia ben evidenziato sia presupposti del suo intervento sia le modalità dello svolgimento dell’istruttoria, in quanto ha richiamato espressamente l’art. 14 della legge 287/1990 e il riferito art. 9, comma 3 bis della legge 192/1998.

7. Infondato è anche il motivo di ricorso, con il quale l’istante deduce che non sarebbero stati chiesti e ottenuti i pareri delle altre Autorità competenti (AEEGSI e ANAC).

Sul punto, si osserva che i procedimenti di abuso di dipendenza economica non necessitano della richiesta di un parere obbligatorio, a meno che non venga in rilievo una attività specificamente e funzionalmente legata ai settori regolati. Il caso di specie riguarda, più semplicemente, l’applicazione di termini di adempimento di obbligazioni pecuniarie e dunque attiene ad un fenomeno di natura civilistica, di carattere generale, che prescinde dal singolo settore in cui opera il professionista.

8. Quanto poi al merito della condotta, devono rigettarsi i pertinenti motivi di gravame, con i quali il ricorrente sostiene l’insussistenza degli elementi della fattispecie sanzionata.

Deve, per converso, evidenziarsi, in linea con quanto dedotto dall’avvocatura, che la fattispecie di cui all’art. 9, comma 3 bis della surriferita legge prevede una presunzione di abusività della condotta contestata e cioè ravvisa l’abuso nell’imposizione (predisposizione unilaterale) di termini di pagamento ultralegali. In un’ottica protettiva della posizione asimmetrica in cui versa una delle parti del rapporto, la normativa de qua contempla cioè un comportamento abusivo del professionista, solo per il fatto che ponga in essere un tal comportamento, già di per sé potenzialmente pregiudizievole della posizione della parte “debole” (che si trova in una posizione di subordinazione funzionale ed economica), a prescindere dall’accertamento in concreto degli effetti lesivi e della possibilità di attivare (solo ex post) gli opportuni rimedi civilistici.

La rilevanza della condotta de qua è stata ritratta dalla natura reiterata e diffusa della pratica, posta in essere da un professionista che era la stazione appaltante nel mercato di riferimento e che dunque, considerata la sua posizione di ontologica preminenza, poteva imporre le clausole in rilievo nei confronti di tutte le imprese che partecipavano alle procedure.

Vale ribadire come sia del tutto irrilevante che queste ultime potessero riequilibrare lo squilibrio normativo mediante l’esperimento di rimedi civilistici (sopportando i relativi costi ed il dispendio di tempo), in quanto ciò che conta è la potenzialità dannosa della condotta che già di per sé integra il fenomeno dell’abuso.

9. Non può, infine, essere condivisa l’ultima doglianza, con la quale il professionista lamenta che l’Autorità non avrebbe tenuto conto che la condotta sarebbe cessata in corso di procedimento in virtù dell’esecuzione spontanea degli impegni proposti e rigettati dall’Antitrust.

Anche sotto tale profilo, il ragionamento fatto proprio dall’Autorità non pecca di illogicità e resiste al sindacato estrinseco, non sostitutivo, del Tar.

Il provvedimento ha infatti congruamente motivato sul punto, assumendo che le modalità di attuazione spontanea degli impegni non hanno condotto ad una cessazione totale della condotta contestata, laddove, secondo i nuovi parametri contrattuali, i termini massimi di legge potevano comunque essere derogati per via consensuale. Si aggiunga che l’Autorità gode di ampia discrezionalità nel valutare gli impegni e che essa può decidere, coerentemente, di perseguire comunque la condotta in ragione della sua gravità e della sua potenzialità lesiva. Circa il quantum, è stato ragionevolmente preso a riferimento il fatturato dell’anno 2015 e il valore degli acquisti di misuratori di gas. La sanzione applicata è stata quindi quantificata nella somma di euro 800.000, importo sicuramente coerente con il volume d’affari. Né l’Autorità poteva determinarsi nel senso di applicare una sanzione meramente simbolica (ai sensi dell’articolo 33 delle linee guida richiamate), posto che tale facoltà certo non si attagliava alla gravità del caso in esame.

10. Alla luce delle superiori considerazioni, tutti motivi di ricorso devono essere ritenuti infondati e la domanda annullatoria va rigettata.

Le spese seguono la soccombenza come da liquidazione in dispositivo.

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